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di Lorenzo Salvia

Con le nuove regole cosa cambia. Sono 11 i primi decreti che cambiano la pubblica amministrazione. 1) sospensione lampo e licenziamento per i "fannulloni"; 2) luce, acqua e rifiuti servizi ai Comuni se il mercato non c'è; 3) le conferenze di servizi no a tavoli solo email; 4) ex municipalizzate con bilanci in rosso taglia i manager; 5) aziende sanitarie: una lista nazionale per direttori generali 6) trasparenza sul web obbligo di fornire i dati in 30 giorni: tutti gli uffici della P.A. dovranno pubblicare sui loro siti internet l'ammontare complessivo e indivividuale degli stipendi dei dirigenti. Diventa obbligatoria anche un'altra serie di informazioni, come i tempi di attesa nella sanità o quelli per i pagamenti dei creditori. Arriva inoltre il diritto per tutti i cittadini di chiedere un dato a tutte le P.A.. e di ottenere una risposta entro 30 giorni. Gli uffici che non rispettano le nuove regole rischiano snazioni ancora da definire da parte dell'autorità anticorruzione. Rispetto alle regole attuali il salto è notevole: oggi per chiedere un documento bisogna avere un inetresse legittimo. Con questo decreto non serve piu'.

Si aggiungono nuove norme nel decreto contro i «furbetti del cartellino» approvato ieri notte dal consiglio dei ministri. Compresa la responsabilità penale, e quindi il rischio del carcere, per il dirigente che non prende provvedimenti contro gli assenteisti. Viene confermata la norma annunciata negli ultimi giorni e cioè la sospensione, entro 48 ore, dal servizio e dallo stipendio del dipendente pubblico che viene colto in flagrante, mentre striscia il cartellino e poi non va in ufficio. Confermato anche il successivo procedimento disciplinare abbreviato, con una durata massima 30 giorni contro i 100 di adesso. La prima novità, rispetto alle anticipazioni degli ultimi giorni, è che lo stesso rischio lo corre l'eventuale «complice», e cioè chi «abbia agevolato con la proprio condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta». Cioè, chi al tornello passa il badge di un collega che rimane a casa. Non solo. Il lavoratore licenziato rischia di dover pagare allo Stato i danni di immagine: in caso di condanna la somma da versare sarà pari ad almeno sei mesi di stipendio. Ma il giudice dovrà decidere «anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione». Più si è parlato del caso, più la cifra potrebbe diventare alta. La novità più grossa, però, è quella del reato previsto per i dirigenti che non fanno partire la sospensione nelle 48 ore o il procedimento disciplinare a carico degli assenteisti. Si sapeva che i dirigenti avrebbero rischiato un procedimento disciplinare a loro carico, che può arrivare anche al licenziamento. Ma a questa sanzione se ne è aggiunta un'altra, molto più pesante e cioè «l'estensione della fattispecie di reato "omissione d'atti d'ufficio"» a chi non applica queste nuove regole. Il reato d'omissione d'atti d'ufficio è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, anche se con la sospensione condizionale della pena il carcere è un rischio più che altro teorico. In ogni caso questo passaggio ha fatto discutere in Consiglio dei ministri: la riforma della pubblica amministrazione approvata l'estate scorsa, legge delega che fissa i principi da definire poi con i decreti successivi, parla solo di revisione del procedimento disciplinare. Non parla di nuovi reati. Per questo c'è chi sospetta che il carcere per i dirigenti possa superare i limiti della delega, rendendo illegittima questa norma. Alla fine, però, ha prevalso l'argomento contrario: e cioè che non si tratta di un nuovo reato ma solo di far rientrare una nuova condotta in un reato già esistente. Che impatto avranno queste misure nella vita pratica dei dipendenti pubblici? «Dalla sospensione cautelare e dal licenziamento dei dipendenti fraudolenti derivano evidenti risparmi» dice la relazione tecnica che accompagna il provvedimento. Come se fosse prevedibile un'ondata di licenziamenti. Ma forse gli «evidenti risparmi sono un'esagerazione. Sul resto del pacchetto di decreti attuativi, confermato il rinvio per quello sul taglio del numero delle camere di commercio. Sul nodo delle società partecipate dallo Stato, alla fine si è arrivati a un compromesso: le azioni resteranno nel portafoglio del ministero del Tesoro, così come la scelta dei vertici. A spostarsi verso Palazzo Chigi dovrebbe essere solo la vigilanza. ] Si aggiungono nuove norme nel decreto contro i «furbetti del cartellino» approvato ieri notte dal consiglio dei ministri. Compresa la responsabilità penale, e quindi il rischio del carcere, per il dirigente che non prende provvedimenti contro gli assenteisti. Viene confermata la norma annunciata negli ultimi giorni e cioè la sospensione, entro 48 ore, dal servizio e dallo stipendio del dipendente pubblico che viene colto in flagrante, mentre striscia il cartellino e poi non va in ufficio. Confermato anche il successivo procedimento disciplinare abbreviato, con una durata massima 30 giorni contro i 100 di adesso. La prima novità, rispetto alle anticipazioni degli ultimi giorni, è che lo stesso rischio lo corre l'eventuale «complice», e cioè chi «abbia agevolato con la proprio condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta». Cioè, chi al tornello passa il badge di un collega che rimane a casa. Non solo.

Il lavoratore licenziato rischia di dover pagare allo Stato i danni di immagine: in caso di condanna la somma da versare sarà pari ad almeno sei mesi di stipendio. Ma il giudice dovrà decidere «anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione». Più si è parlato del caso, più la cifra potrebbe diventare alta. La novità più grossa, però, è quella del reato previsto per i dirigenti che non fanno partire la sospensione nelle 48 ore o il procedimento disciplinare a carico degli assenteisti. Si sapeva che i dirigenti avrebbero rischiato un procedimento disciplinare a loro carico, che può arrivare anche al licenziamento. Ma a questa sanzione se ne è aggiunta un'altra, molto più pesante e cioè «l'estensione della fattispecie di reato "omissione d'atti d'ufficio"» a chi non applica queste nuove regole. Il reato d'omissione d'atti d'ufficio è punito con la reclusione da sei mesi a due anni, anche se con la sospensione condizionale della pena il carcere è un rischio più che altro teorico. In ogni caso questo passaggio ha fatto discutere in Consiglio dei ministri: la riforma della pubblica amministrazione approvata l'estate scorsa, legge delega che fissa i principi da definire poi con i decreti successivi, parla solo di revisione del procedimento disciplinare. Non parla di nuovi reati. Per questo c'è chi sospetta che il carcere per i dirigenti possa superare i limiti della delega, rendendo illegittima questa norma. Alla fine, però, ha prevalso l'argomento contrario: e cioè che non si tratta di un nuovo reato ma solo di far rientrare una nuova condotta in un reato già esistente. Che impatto avranno queste misure nella vita pratica dei dipendenti pubblici? «Dalla sospensione cautelare e dal licenziamento dei dipendenti fraudolenti derivano evidenti risparmi» dice la relazione tecnica che accompagna il provvedimento. Come se fosse prevedibile un'ondata di licenziamenti. Ma forse gli «evidenti risparmi sono un'esagerazione.

Sul resto del pacchetto di decreti attuativi, confermato il rinvio per quello sul taglio del numero delle camere di commercio. Sul nodo delle società partecipate dallo Stato, alla fine si è arrivati a un compromesso: le azioni resteranno nel portafoglio del ministero del Tesoro, così come la scelta dei vertici. A spostarsi verso Palazzo Chigi dovrebbe essere solo la vigilanza.

di Sergio Rizzo

Dice Antonino Fiumefreddo: «Davanti a me c' è un muro. Non ho la sensazione che si vogliano cambiare le cose». Venti giorni fa l' assemblea regionale gli ha bocciato a scrutinio segreto la ricapitalizzazione della società di cui è presidente da un anno, Riscossione Sicilia, e che ha il compito di incassare le imposte nell' isola. Sarà una coincidenza, ma è successo dopo la scoperta che 61 deputati regionali su 90 avevano pendenze con il Fisco. E sono soltanto una parte degli almeno 160 politici locali nelle stesse condizioni. Parlamentari, assessori, ex consiglieri, sindaci... C' è di tutto.

Nessuno gli chiedeva i soldi e forse quando è successo qualcuno si è arrabbiato. Non li chiedevano a loro, né a tantissimi altri. Basta dire che dei 5,7 miliardi di ruoli riscuotibili ogni anno nell' isola, si incassano 480 milioni. Paga solo l' 8 per cento. Ecco perché Riscossione Sicilia, società regionale omologa di Equitalia, fa l' esattore perennemente in perdita, fino ai 14 milioni di buco del 2014. Per non parlare dei costi.

A Catania, 72 mila euro al mese per l' affitto della sede. A Siracusa, 35 mila. A Ragusa, 30 mila. A Palermo la società possiede un immobile di nove piani, eppure spendeva per affitti mezzo milione l' anno.

Quando Fiumefreddo è arrivato ha trovato 702 dipendenti e una lista di 887 avvocati esterni. Azzerarla non è stato facile. Come accorpare gli uffici provinciali. Quanto all' offensiva contro gli evasori, lasciamo spazio all' immaginazione. Da maggio a dicembre hanno sequestrato 3.200 auto.

Ben 1.189 nei soli primi tre mesi: fra queste 33 Ferrari, 119 Porsche, 49 Jaguar, 17 Maserati, 2 Rolls Royce, 3 Cadillac, una Aston Martin e perfino quattro Hummer. Più un jet privato da 8 milioni intestato alla proprietaria di un bar di Catania.

Alla faccia dello stereotipo di regione povera che da sempre marchia la Sicilia, i contribuenti che devono più di 500 mila euro sono 12.979, per un debito di 23,3 miliardi. A Catania il carico maggiore spetta a una sconosciuta signora (Rosaria Ferlito) che dovrebbe dare a Riscossione Sicilia 85,7 milioni. A Trapani il signor Silvano Lombardo di milioni ne deve 168. A Messina, e nelle altre città siciliane, sono gravemente morose le principali aziende municipalizzate.

A Palermo la stessa Regione Siciliana deve al suo esattore 37,8 milioni. Mentre 54,6 milioni dovrebbe pagare Massimo Ciancimino, figlio dell' ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino a suo tempo condannato per mafia. Seguono numerosi altri debitori per milioni, alcuni deceduti, i cui nomi rimandano a Cosa Nostra: come se quel capitolo di quando le esattorie siciliane erano in mano ai cugini mafiosi Ignazio e Nino Salvo non si fosse mai del tutto chiuso. Fantasie?

«Si sottolinea», ha scritto Fiumefreddo al presidente dell' Anticorruzione Raffaele Cantone, «come fra i grandi morosi vi siano soggetti a Catania riconducibili alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra Santapaola-Ercolano, così come a Palermo diverse aziende sono collegabili alle famiglie più famigerate, con una situazione che diviene incredibile a Trapani dove molti soggetti sono noti alle cronache per essere sospettati di fungere da prestanome al boss Matteo Messina Denaro». È saltato pure fuori che non poche imprese «con pendenze fiscali assai importanti» risultano titolari di contratti d' appalto con pubbliche amministrazioni, nonostante questo sia espressamente vietato dalla legge.

Neppure è raro imbattersi in aziende fallite, senza che Riscossione Sicilia con i suoi 887 avvocati si fosse inserita nel passivo. Come pure in società apparentemente in gran salute, privati cittadini, commercianti. E studi professionali tra i più accreditati. Un esempio?

Scorrendo il tabulato di Palermo cade l' occhio sul nome del famoso avvocato Ignazio Messina, ex deputato e segretario dell' Italia dei Valori, partito che fu di Antonio Di Pietro. Gli viene attribuito un debito di 605.431 euro.

Ora è lecito chiedersi se quanto sta accadendo non sia il segno di un preoccupante rigurgito gattopardesco. A novembre, sostiene Fiumefreddo, gli incassi sono saliti del 51 per cento e per la prima volta in dieci anni nel 2015 è stato superato il budget. Evviva. Ma certo con un sistema informativo fermo al 1989 non si fa molta strada. Tanto più se pure la politica rema contro. E non è escluso che Fiumefreddo, avendo forse pestato troppi calli, vada a casa dopo aver portato i libri in tribunale. Senza rimpianti: se questo è il risultato dell' autonomia regionale, meglio che riscuota lo stato centrale. Sapendo però che solo vincendo la battaglia delle tasse si potrà dire che la Sicilia sta cambiando davvero.

---NEI CONSIGLI COMUNALI

Sicilia, politici e scandalo gettoni: si firma e lo stipendio è garantito

Per dimostrare la partecipazione ai lavori del Comune basta varcare il portone del Municipio. Approvando una semplice norma, si risparmierebbero 48 milioni di euro all’anno Michele SchinellaVideo

L'ISTRUTTORIA ANTITRUST

La guerra delle tariffe degli alberghi: vince Booking

Gli hotel non potranno praticare prezzi più bassi sui loro siti. Federalberghi insoddisfatta di Fabio Savelli

Le dichiarazioni di un italiano
su due sotto i 16 mila euro
Regione per regione tutti i dati

Solo il 5% guadagna oltre 50 mila euro.I redditi da lavoro dipendente e da pensione superano l’82% del totale Il reddito medio è in crescita dell’1,5% a 20.070 euroIstat: aumenta la pressione fiscale

---- LA NOMINA

Gabrielli nuovo prefetto di Roma: «Sfida complessa,  la città è unica»

Venerdì l’incontro con il sindaco Marino. In serata la prima sfida importante: la vigilanza sulla Via Crucis ai Fori. «Massima attenzione anche per il contesto internazionale» di R. Frignani

A CORTE COSTITUZIONALE

Non ammissibili i tre referendum sul «taglio dei tribunali»

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di Mario Sensini

Asili nido e trasporti pubblici: online i conti dei Comuni ma solo Torino spende meno del previsto Milano in equilibrio. A Roma 929 mila multe, Napoli si ferma a 688 mila.

ROMA - Dalle quattro di ieri pomeriggio i sindaci italiani hanno meno alibi. In attuazione delle regole sul federalismo fiscale, il governo ha messo on line un sito internet, all'indirizzo www.opencivitas.it, che per la prima volta consente ai cittadini l'accesso diretto a tutti i dati sulla spesa dei loro Comuni. E di verificare se i loro sindaci spendono di più o di meno rispetto a quello che dovrebbero, o a quanto fanno altri sindaci. Per ora il sito, realizzato dal Dipartimento delle Finanze e del Tesoro, contiene solo i dati sulla spesa (ancora al 2010), che non sono di per sé indicativi dell'efficienza dei servizi, ma già da quest'anno il sito sarà integrato anche con dati sulla qualità dei servizi. Ma già adesso, i numeri di OpenCivitas permettono di avere un quadro abbastanza attendibile della situazione, e di capire chi spreca e chi gestisce bene le risorse.

Il confronto.

Il confronto tra le prime quattro città italiane, in termini assoluti, non presenta enormi differenze. Roma è la città che spende di più rispetto al suo fabbisogno standard, che indica i costi medi sostenuti da altri Comuni con caratteristiche simili, una sorta di «studio di settore» per gli enti locali: 252 milioni, ovvero il 7,67%. Torino, al contrario, spende il 7,6% in meno di quanto potrebbe, Milano è perfettamente in linea, con uno scarto dello 0,07%, e Napoli spende il 4,89% più di quanto dovrebbe. Ma non è più virtuosa di Roma considerando i servizi offerti, che il sito permette di verificare, con una profondità di dettaglio impressionante. Prendiamo la polizia locale. A Napoli la spesa storica è di parecchio inferiore a quella definita con i fabbisogni standard, il 28,9%, mentre a Roma il costo è superiore del 14,5%. Ma nella Capitale gli accessi alle Ztl da controllare sono 246, a Napoli 7, a Roma i vigili fanno 929 mila sanzioni per violazioni al codice della strada, a Napoli 688 mila, gli autovelox nella Capitale producono un milione di multe l'anno, a Napoli 176 mila. La polizia locale a Milano eleva 80 mila sanzioni amministrative l'anno, a Roma 28 mila, a Torino 16 mila, a Napoli 963. Trasporti pubblici Per i trasporti pubblici Napoli presenta uno scarto piuttosto contenuto tra la spesa effettiva e quella «standard», pari al 6,1%. Molto meglio di Milano (47,7%, praticamente il doppio del fabbisogno standard) e Roma (15,2%). Ma non è più efficiente, visto che ad esempio gli autisti dei mezzi pubblici napoletani guidano in media per 2,2 ore al giorno contro le 6,7 dei loro colleghi romani e le 5,6 di quelli milanesi, e il grado di copertura territoriale del servizio è il più basso di tutti (il 22% contro il 37,6% di Milano e il 27% di Roma). Per gli asili nido Milano spende il 9,1% in meno di quanto potrebbe in base al fabbisogno standard, Roma il 18% in più. Le rette pagate dai privati incidono per il 62% delle entrate degli asili nido a Roma, e il 40,5% a Milano. A Roma il servizio costa meno: 630 euro contro i 1.098 di Milano, ma la spesa complessiva del Comune, per ogni bambino negli asili nido della Capitale, è molto superiore oltre 10 mila euro contro i poco più di 8 a Milano.

Quest'anno la banca dati verrà aggiornata con i dati sulla spesa effettiva sostenuta dai Comuni nel 2011, 2012 e 2013, e con i dati sulla qualità dei servizi. Dal 2015 il 20% dei trasferimenti dello Stato ai Comuni sarà calcolato sui fabbisogni standard, e il resto sulla spesa storica, ma nel giro di 5 anni tutto il Fondo di solidarietà comunale sarà attribuito sulla base degli standard. Il processo sarà così completo. La spesa eccedente il fabbisogno standard potrà essere finanziata solo dalle tasse locali.

E il cerchio sarà chiuso: i cittadini sapranno finalmente a cosa servono le loro tasse. E voteranno a ragion veduta.

«La democrazia - scriveva Aexis de Tocqueville - è il potere di un popolo informato».

LE REAZIONE NEL WEB.

Angelo Sidoti: Peccato che a Lipari non cambia nulla. Questo è quanto risulta dal sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri "la bussola della trasparenza dei siti web"

link: http://www.magellanopa.it/bussola/page.aspx...

PESCA.

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---NUOVE OPPORTUNITÀ.

Per la lettura dell'artciolo cliccare nel link che segue:

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