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Categoria: Cultura

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di Lelio Finocchiaro

OPPIO

Pensare che il problema della droga sia qualcosa che riguardi i giorni nostri, e che solo in tempi recenti esistano campi di produzione, commercio e ricerca di paradisi artificiali, sarebbe un grosso errore.

La storia è piena di esempi che ci mostrano come , invece, in diverse epoche le droghe siano state accettate , tollerate e si siano perfettamente integrate, in alcuni casi, alle abitudini sociali dell'epoca.

Da sempre ogni tribù, in ogni parte del mondo ,ha avuto chi, chiamandosi con nomi tipo stregone o sciamano , scoperto il potere di piante o minerali, lo ha gestito per attribuirsi virtù magiche e per esercitare la propria autorità. E la storia riporta di strani miscugli che, di volta in volta, servivano per potenziare forza e coraggio, per indurre sonno o veglia, per accentuare stati di esaltazione religiosa e così via. L'uso delle droghe risale a tempi immemorabili e probabilmente esse hanno fatto la loro apparizione sin da quando l'uomo esiste. Della maggior parte delle droghe è stata fatta anche una precisa attribuzione della data di comparsa, ma continue ricerche archeologiche spostano continuamente all'indietro l'inizio dell'uso delle sostanze usate con tale scopo.

Per fare qualche esempio , già nel 6000 a. C. in Egitto si faceva uso di Ninfea e Giusquiamo, e in Perù di Coca. Nel 3200 a. C. nella zona ora chiamata Texas i nativi conoscevano gli effetti del peyote, come i cinesi, nel 2000 a. C., quelli dell'efedra. E questo, naturalmente è solo un elenco molto parziale.

L'oppio si fa risalire al 5600 a. C. , e la sua storia ebbe origine proprio nell'Italia meridionale

Parlando di queste sostanze però, dovremmo essere capaci di non guardarle con gli occhi di oggi e non giudicarle frettolosamente alla luce di quello che attualmente sappiamo e delle leggi che governano la spinosa materia. Bisognerebbe essere capaci di immedesimarsi nelle abitudini di tempi lontani dove erano diverse nozioni e prospettive.

Per la verità dovremmo tenere a mente essenzialmente due cose. Primo, che praticamente tutte le conoscenze del mondo delle droghe fanno riferimento a due autori antichi, Plinio il Vecchio e Dioscoride che ne catalogarono circa un migliaio, corredandole di precise descrizioni, disegni, proprietà, e indicando luoghi d'origine, metodi di coltivazione e di somministrazione. Manuali che conservarono tutto il loro valore sino a circa due secoli fa.

Secondo, che quelle che oggi chiamiamo droghe e costituiscono una classe ben precisa di farmaci, anticamente facevano tutte parte di una più grande famiglia di rimedi capaci di provocare nelle persone determinati effetti e che venivano usate proprio per questo scopo.-

Se per un attimo dimentichiamo le deleterie conseguenze che trafficanti e spacciatori hanno sulla vita contemporanea , può essere al contrario interessante conoscere cosa facevano i nostri antenati relativamente all'uso di una droga che da sempre è stata una tra le più gettonate, ricercate e, per così dire, “di gran successo”: l'oppio.

Al tempo dei Greci e dei Romani oppio e cannabis erano molto usati, e in tutto il Mediterraneo specialmente la seconda era considerata bene di lusso (anche per la difficoltà a reperirla, che ne faceva lievitare il prezzo), oggetto di dono tra persone facoltose e usata nei banchetti per le sue qualità allucinogene. Furono i Greci ad imporre l'uso dell'oppio, secondo loro dono del Dio Asclepio che estese ai mortali quella che era una abitudine dei soli Dei. L'oppio (opion greco) era il succo estratto e condensato del “papaver somniferum”, detto meconio. La mitologia attribuisce la diffusione dell'oppio ad Alessandro Magno, che l'avrebbe importato dall'oriente, ma anche a Ermes protettore dei viandanti. Elena di Troia ne avrebbe fatto uso e ne parla Omero nell'Odissea. Un aneddoto narra di come Cerere abbia chiesto al dio del sonno Ipno di poter drogare Annibale favorendo i Romani.

Sembra che l'imperatore Tiberio abbia scelto di abitare a Capri proprio per l'ottima qualità dell'oppio che si coltivava in quell'isola.

A quei tempi era il governo a stabilire il prezzo della droga, come faceva col grano.

L'oppio veniva bruciato e i vapori inalati. Il suo fumo veniva apprezzato come un “profumo” (dal latino “per fumum”), e induceva i caratteristici effetti rilassanti e allucinogeni.

Oggi abbiamo ben presenti gli effetti creati dalla dipendenza e dall'astinenza dell'uso dell'oppio, ma in Cina e nell' Europa vittoriana (800), in epoche quindi relativamente recenti ,erano di moda le cosiddette “fumerie d'oppio”, dove ci si poteva distendere su di un lettino per fumarlo tramite narghilè o lunghe pipe apposite. E tutto per estraniarsi dalle difficoltà della vita quotidiana. In seguito, con lo sparire delle fumerie , l'abitudine rimase presso gli artisti e i bohemiens, quasi come identificazione sociale. Anche personaggi letterari famosi erano fumatori d'oppio (come ad esempio Sherlock Holmes). Baudelaire e Coleridge erano noti consumatori, e Thomas de Quincey divenne celebre con il suo libro autobiografico “Memorie di un mangiatore d'oppio”.

In Cina l'oppio si mescolava al tabacco, e quando l'uso di quest'ultimo fu vietato si passò a fumarlo puro. Appena però l'imperatore cercò di limitarne le conseguenze proibendone l'uso, in occasione di una distruzione nel porto di Canton di ben 2000 casse di oppio importato dalla Compagnia britannica delle Indie , si scateno' la cosiddetta “guerra dell'oppio” nel 1839, e successivamente nel 1856, contro l'Inghilterra, in seguito alla quale Hong Kong divenne protettorato inglese.

La morfina, isolata dall'oppio dal tedesco Serturner nel 1803 ,fu così chiamata in onore di Morfeo, dio del sonno e dei sogni.

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POPULISMO MEDIOEVALE

Oggi la parola “populismo” va molto di moda. A secondo di chi parla può assumere valori positivi o negativi. Ma, anzitutto, cosa si intende per populismo?

Genericamente populismo è quella idea (meglio ideologia) che si appoggia al popolo in quanto ritenuto depositario di valori positivi. Spesso sfociante nella demagogia, non è da confondere con la democrazia. Mentre infatti, come si diceva, il populismo è una ideologia, la democrazia (diretta o rappresentativa) può considerarsi un meccanismo. Diciamo che il populismo non è il promettere al popolo tutto ciò che il popolo chiede (demagogia), bensì sapere interpretare quali sono realmente i bisogni del popolo stesso. Spesso si intende come contestazione del sistema.

Storicamente il populismo nasce in Russia nella seconda metà del XIX sec. (1850) come atteggiamento anti-zarista, ma forme importanti di tale fenomeno , inteso come movimento plebiscitario normalmente facente riferimento ad un capo carismatico, sono individuabili anche prima.

Uno di questi movimenti è ascrivibile, in Italia, ad un famoso capopopolo nato a Roma nel 1313.

Bisogna dire che Roma , dopo i fasti del IV secolo, quando arrivò a contare oltre un milione di abitanti, via via subì un decadimento continuo dovuto alle invasioni barbariche, al crollo dell'impero romano d'occidente, a guerre e epidemie che portarono come conseguenza anche un enorme crollo demografico. Terminata l'autorità degli imperatori rimase l'autorità della Chiesa, favorita dal continuo arrivo di pellegrini da tutte le parti del mondo. Anche questa, però , nel 1305, abbandonò Roma, quando Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, divenne Papa col nome di Clemente V fantoccio nelle mani di Filippo IV il Bello , re di Francia, e fu costretto a trasferire ad Avignone la Curia pontificia.

Roma si svuota di persone e di importanza, e diviene luogo di lotte tra famiglie patrizie.

E' in questo contesto che nasce Nicola di Rienzo (detto Cola), da umile famiglia.

Giovane ambizioso e grande comunicatore ,vorrebbe sottrarre la sua città alle lotte che famiglie importanti come gli Orsini, i Caetani, i Colonna e altre impegnano tra loro per la conquista del potere cittadino che spesso si risolve solo nell'imposizione di nuove gabelle.

Cola, che recatosi a Avignone con una delegazione di romani invoca un nuovo Giubileo, stringe una

forte amicizia con Francesco Petrarca.

Tornato a Roma, e confortato da un crescente consenso popolare, nel 1347 organizza una congiura antinobiliare, facendosi eleggere tribuno e proclamando un governo repubblicano.

In pochissimo tempo costituisce una milizia cittadina, toglie ai baroni il monopolio del sale, finanzia monasteri, istituisce la guardia costiera, prevede contributi per vedove ed orfani, controlla strade , porti e fortezze. E tanto altro ancora. Per un po' i nobili intesi come casta dominante, frastornati, non riescono a coalizzarsi contro di lui, ed anche una congiura fallisce. Ma Orsini e Colonna ,alfine, riescono ad accordarsi, aprendo un fronte di guerra e sconfiggendolo nella battaglia di Porta S. Lorenzo.

E' appena il 1348 quando Cola di Rienzo è costretto a fuggire e, dopo qualche peripezia, è arrestato ad Avignone dove sfugge al rogo solo per l'interessamento del Petrarca.

Il nuovo Papa, Innocenzo IV, lo rimanda a Roma, ripiombata nel caos, sperando in una affermazione dell'autorità papale e fornendogli l'appoggio del potente cardinale Carillo di Albornoz

e del ricco capitano di ventura Moriale d'Albarno. La sua presa sul popolo è ancora forte, e così, nominato senatore dallo stesso Papa, nel 1353 torna a Roma.

Ma la situazione a Roma non è più quella di prima ,i nemici sono ovunque e lui stesso è cambiato.

Comincia a vedere tradimenti dappertutto e giunge a far giustiziare i fratelli del Moriale che tanto lo avevano sostenuto. Impone nuove tasse e, soprattutto, si dà al bere.

Poco tempo dura la nuova avventura, da cui lo stesso Petrarca si dissocia, e già nel 1354 il popolo si solleva contro di lui.

Cola di Rienzo cerca scampo nella fuga, anche travestendosi da contadino, ma viene scoperto e linciato senza pietà insieme alla sorella.

Il suo corpo viene appeso per i piedi dinanzi alla Chiesa di S. Marcello.

La sua storia ha sempre ispirato gli ideali repubblicani ed ha coinvolto diversi scrittori come Gabriele d'Annunzio e perfino musicisti del calibro di Richard Wagner ( che compose l'opera “Rienzi, l'ultimo dei tribuni”.

La figura di Cola di Rienzo ha ispirato il Romanticismo, personificando l'eroe popolare per antonomasia, protagonista di quella riscossa romana che purtroppo rimase incompiuta.

 

NEL MEDIEVO SI ANDAVA IN PRIGIONE?

L' idea di una carcerazione così come oggi è concepita, cominciò a nascere intorno al 1300. Fino ad allora si seguivano comportamenti assai diversi. Il concetto di detenzione punitiva in pratica non esisteva, in quanto non esisteva una mentalità persecutoria. Il concetto pratico seguiva quella che potremmo chiamare “legge del taglione”, cercando di compensare i danni provocati dal reato privando il colpevole di beni sociali come la vita o il denaro. Si applicava ,quindi, una sorta di vendetta sociale Non si pensava ad una riabilitazione del colpevole. La colpa non era considerata un affronto verso la società, ma come un'offesa personale commessa da un uomo contro un altro uomo. Ne derivava che la pena era quasi sempre di natura economica , e si deteneva in custodia il prigioniero fino a quando non avesse saldato il suo debito.

D'altra parte bisogna tenere conto che non esistevano carceri pubbliche gestite dallo stato, mentre erano dei privati che possedendo immobili opportunamente attrezzati, li affittavano ai detenuti, che dovevano pagarne il prezzo. I debitori, in tal modo, aggiungevano debiti a debiti. E' ovvio che anche qui il censo faceva la differenza. C'erano coloro che potevano permettersi alloggi più decorosi e cibi migliori, c'erano i derelitti che dovevano vivere degli aiuti delle famiglie e delle confraternite religiose. In definitiva la reclusione non era la norma ma l'eccezione. In galera finiva chi era in attesa di giudizio e i debitori insolventi, e questo per garantire che non ci fossero tentativi di fuga per sottrarsi alla pena. Naturalmente i nobili erano esentati da punizioni corporali. Gli stessi locatari erano interessati a ricambi veloci e a trattenere più a lungo coloro che più potevano pagare. Storicamente fu la Chiesa, nel V sec., ad adoperare nei monasteri la detenzione carceraria come pena punitiva. Inutile dire che le stanze adibite a prigione solitamente erano piccoli cubicoli, situati in profondità, senza adeguata areazione , umidi e spesso coabitate da topi. La sofferenza e il digiuno divenivano necessari per l'espiazione. Spesso rivali politici o signori bersaglio di congiure venivano confinati in torri dove trascorrevano periodi anche lunghissimi (Enzo, figlio di Federico II, trascorse in questa condizione ben 23 anni). L'alternativa, in mancanza di riscatto, era spesso quella di venire assassinati nella propria cella. La Torre di Londra è rimasta famosa per quello che è successo al suo interno, come le uccisioni di Edoardo V e del suo fratellino Riccardo.

Le cosiddette “segrete”, chiamate anche oubliettes, erano stanze sotterranee raggiungibili solo attraverso botole nel pavimento e spesso associate all'idea della tortura. Ancora nel 1795 in una segreta del Forte S.Leo morì il famoso Conte di Cagliostro.

Un'altra differenza non da poco sta nella localizzazione delle carceri. Oggi si tende a situarle al di fuori del tessuto cittadino, mentre prima si trovavano al centro delle città , al centro della vita sociale della quale tutto sommato continuavano a fare parte mantenendo relazioni e contatti. Più che detenuti erano “tenuti” in maniera coatta rispetto alla vita di tutti i giorni. Attorno al 1530 una risistemazione del Palazzo Ducale a Venezia diede luogo alle segrete più tremende che si ricordino : i Pozzi e i Piombi,( per altro resta il ricordo della strabiliante fuga di Giacomo Casanova) dove , per le durissime condizioni in cui versavano i detenuti, prime che dalla morte si veniva solitamente colpiti dalla pazzia .Altro carcere famoso di quel tempo fu senz'altro Castel Sant'Angelo, edificio il cui scopo era destinato a motivazioni del tutto diverse. In quella costruzione ( Mausoleo di Adriano in epoca romana) furono imprigionati svariati papi ed antipapi e addirittura pare che il primo ad usarlo in tal modo fu Alberico II di Spoleto ( assoluto padrone di Roma dal 932 alla morte, avvenuta nel 954, periodo durante il quale ebbe il potere di nominare o “scaricare” diversi papi)), che vi imprigionò la dissoluta madre Marozia, che era pure stata amante di svariati pontefici.

Le prime nazioni ad usare il carcere come istituzione detentiva furono l'Olanda e l'Inghilterra, dove i detenuti erano costretti a lavorare, in genere per l'industria di manifattura tessile.

Fu allora che le galere divennero gestite dallo stato, mentre anche i reati contro la proprietà ed il vagabondaggio si andavano moltiplicando, rendendo necessario un generalizzato aumento delle pene.

Lo sviluppo del concetto di carcerazione si sviluppò in maniera diversa in nazioni diverse, prima che le varie istituzioni si adeguassero all'idea . Ci vollero secoli perchè il concetto secondo il quale il carcere era concepito come “custodia “ del reo cambiasse in quello di “rieducazione e risocializzazione”. In ogni caso la prima “house of correction”, nella quale tutto il tempo era rigidamente organizzato, nacque in Inghilterra nel 1557 , prima che intervenissero radicali mutamenti con l'illuminismo e la rivoluzione francese.

 

Dopo la pausa estiva, questo venerdì riprende vita la rubrica "Cenni "Storici". che avrà la solita cadenza settimanale.
Questa volta volta la pagina storica è dedicata a

I FARAONI NERI

A quanti milioni di “uomini neri” è toccato, nella storia, genuflettersi dinanzi “all'uomo bianco” e accettare la propria condizione di schiavitù e sottomissione? Chi non ricorda il famoso “zio Tom “ di Harriett Beecher Stowe? Nei tempi, il bianco ha cercato di esercitare comunque la sua supposta superiorità, considerata acquisita per legge divina, sugli altri uomini “diversi”. E' sempre stato così? Beh, direi proprio di si, anche se però, guardando bene, qualche rarissima eccezione c'è stata.

Una antica stele trovata presso la città di Karima nel Sudan racconta una storia particolare.

Narra infatti di come , intorno al 700 a.C., fosse toccato al faraone Tefnakht inginocchiarsi di fronte al re nubiano Piye e chiedergli clemenza. In quel periodo l'Egitto era in declino. Thutmosi III e Ramses II erano ormai un ricordo, e la gloria di Roma non aveva ancora cominciato a splendere.

Sia l'Egitto che la Nubia avevano alle spalle circa 2500 anni di splendore e la Nubia poteva vantare le più ricche miniere d'oro d'Africa.

Oggi tramite gli scavi archeologici e importanti riferimenti come “il libro dei morti”, ci è permesso di conoscere molto delle abitudini egizie , delle loro divinità e del culto dell'aldilà. Ma anche sulle tradizioni dei Kushiti (Nubiani) cominciamo a sapere qualcosa: che mummificavano i cadaveri, che avevano un parlamento di forma circolare, che usavano mattoni crudi, che solevano inumare assieme ai nobili anche schiavi vivi o animali sacri.

Era stato Thutmosi III a distruggere prima la capitale Kerma e poi anche la successiva, Napata, imponendo il culto di Amon.

Sette secoli dopo i Kushiti presero la loro vendetta.

Approfittando del declino di Tebe e della frammentazione in principati del territorio egiziano, riuscirono a riappropriarsi dell'l'indipendenza e conquistarono Tebe al comando del loro re Kashta.

E quando uno dei principi libici , Tefnakht appunto, tentò di ribellarsi, completarono l'invasione dell'Egitto unificandolo sotto la corona di Piye, figlio di Kashta.

Dopo secoli di sfruttamento e di razzie, i “faraoni neri”, che costituirono una vera e propria dinastia -la XXV-, regnarono per cento anni con una successione di ben cinque re nubiani, ma si guardarono bene dal ripagare gli egiziani con la stessa moneta e gli stessi modi che avevano subito . Al contrario cercarono di risollevare

l'Egitto militarmente e culturalmente, riuscendo a farlo risorgere dalla decadenza in cui era piombato. Anche religiosamente la Nubia era ormai uniformata al resto dell'Egitto sotto il culto di Amon e conservava le tradizioni egizie e costruiva le sue piramidi. Così accadde che vennero rivalutate Menfi ed Eliopoli e furono trascritti testi che rischiavano di andare altrimenti perduti.

In pratica , come si suol dire, i vincitori insegnarono nuovamente agli Egizi “a fare gli Egizi”.

Caratteristico l'emblema che i faraoni neri portavano sul capo: due cobra (urei) che simboleggiavano i due regni uniti “Egitto e Nubia”.

Nella dinastia nera , al contrario di quanto accadeva prima, la corona veniva tramandata non più tra padre e figlio, ma attraverso i fratelli. Le piramidi erano molto più inclinate e difficili da costruire, ed addirittura cercarono di modellare una intera montagna per darle la forma di un cobra (tentativo fallito).

I faraoni erano sempre stati puntuali nel compiere veri e propri eccidi sui vinti e sui prigionieri, e molti sono i rilievi che descrivono re che fanno strage di nemici.

Con i faraoni neri si instaura un'altra tradizione: quella della clemenza. Si scommise sulla riconciliazione e si evitò di giustiziare indiscriminatamente.

Il periodo “nero” finì con l'avvento degli Assiri che sconfissero definitivamente l'ultimo faraone Tanutamon. Di questo periodo resta all'Egitto una cospicua eredità di piramidi e templi, mentre i Kushiti si ritirarono nella loro terra d'origine, attorno alla loro capitale Meroe (ancora più a Sud di Napata). Si distinsero per l'abilità nella metallurgia (monili e gioielli) ed ebbero fecondi rapporti commerciali anche con i Romani. Naturalmente non smisero di costruire templi e piramidi e nella zona di Meroe è possibile ammirare il più folto gruppo di piramidi di tutto il Nilo (oltre 400).

La lingua di Meroe, che faceva uso di un proprio sistema di scrittura non geroglifico , a tutt'oggi non è stata decifrata, restando quindi un mistero ancora da risolvere.

L'ASSEDIO DI GRANADA

Il tentativo di conquista dell'Europa da parte del mondo islamico iniziò nel 711 quando una poderosa flotta occupò la città di Algesira e, sconfiggendo ogni resistenza, permise ai musulmani, favoriti anche dalla complicità di ebrei e ariani, di impadronirsi in poco tempo di città importanti come Cadice, Siviglia , Cordova e Toledo. Contemporaneamente , nel 717,con un movimento a tenaglia, dal lato orientale fu posto l'assedio a Costantinopoli, che si salvò solo per l'uso del famoso “fuoco greco”. Il progetto,neanche troppo nascosto, era quello di creare un anello di territori di fede musulmana tutto intorno al Mediterraneo destinato a divenire un mare islamico. A occidente l'invasione fu fermata da Carlo Martello che vinse la famosa battaglia di Poitiers nel 732 contro l'esercito arabo-berbero. Con tutto ciò il califfato di el-Andalus ebbe una lunga vita in Spagna, circa sette secoli, solo alla fine dei quali venne portato a termine il processo di riappropriazione di quei territori alla cristianità che prese il nome di “Reconquista”.

Furono lunghi anni di continui scontri, arretramenti ed avanzamenti di truppe, conquiste temporanee e sconfitte tutt'altro che decisive. Occorsero dunque secoli prima che si creassero le condizioni giuste per la vittoria cristiana. E queste furono essenzialmente due :anzitutto la divisione tra le varie dinastie arabe che non finivano di combattersi contendendosi un primato altamente divisivo ( gli Omayyadi successero agli Abbasidi che a loro volta furono scalzati dagli Almoravidi seguiti dagli Almohadi e così via) che indebolì estremamente la potenza araba impedendole di avere aiuti e rinforzi assolutamente indispensabili per resistere a lungo alla pressione della coalizione nemica. La seconda causa fu senz'altro la profonda convinzione religiosa dei due Re Ferdinando II d'Aragona e Isabella di Castiglia (soprannominati i “Re Cattolici”), decisi a completare a tutti i costi la Reconquista riunendo sotto il loro comando tutti gli Stati di Spagna e mettendo insieme un poderoso esercito. L'unione della forza della fede della Regina, capace di esaltare gli animi, unita alle indubbie capacità militari del suo consorte, non potevano dare scampo ai ”Mori”. In un periodo durato circa dieci anni, territorio dopo territorio, città dopo città, usando la metafora del melograno (chicco dopo chicco) alla fine dello splendore del Sultanato rimase solo l'imponente città di Granada a separare i Re dall'obbiettivo finale.

Granada era una città molto grande che si calcola avesse circa 200.000 abitanti (cifra enorme per l'epoca) ed era guidata da quel sultano (chiamato Boabdil dagli spagnoli) che era riuscito a perdere la faccia in un colpo solo sia verso i suoi (accettando un vassallaggio che avrebbe comportato l'apertura delle porte della città) , sia verso i nemici ( rimangiandosi la parola data).

Sapeva di non potere resistere per molto tempo soprattutto di fronte ad un esercito di circa 50.000 uomini composto da volontari provenienti da tutta Europa (addirittura c'erano anche contingenti di Svizzeri e Lanzichenecchi), e provvisto di armi formidabili che comprendevano numerose macchine d'assedio nonchè le più moderne artiglierie (leggera e pesante) e cannoni di vario tipo.

Granada poteva contare su circa 20.000 guerrieri, mura ben difese e svariate porte (di cui una deliberatamente aperta perchè fosse sbarrata dai corpi dei difensori (il che doveva, nelle intenzioni, demoralizzare i nemici). La tattica dei difensori era quella di effettuare svariate incursioni che dovevano provocare la reazione degli attaccanti impegnandoli in continui scontri cavallereschi di piccola entità ma che distraevano e tenevano occupati i campioni cristiani. Ma Ferdinando non si fece irretire in questi combattimenti nobili tipici degli scontri cavallereschi e, atteggiamento ormai rinascimentale, proibì ai suoi di accettarli anche a costo di mortificare l'allora corrente senso dell'onore. Addirittura un vasto incendio sviluppatosi accidentalmente nell'accampamento cristiano e che coinvolse la tenda della Regina (che dovette fuggire in camicia da notte ) propiziò una sortita

da parte dei Mori, ma anche qui il lungimirante Ferdinando, aspettandosi una azione di questo tipo, distolse le truppe dallo spegnimento delle fiamme e le dispose in assetto da guerra disperdendo e decimando i nemici. Isabella , addirittura, fece ricostruire il suo campo ,questa volta con mattoni, dando vita ad una vera e propria cittadella che ancora oggi esiste con il nome di Santa Fe. Il Sultano dovette piegarsi a trattare con i re Cattolici, che gli promisero condizioni favorevoli e la libertà di culto per i suoi sudditi, salvo ,ovviamente, rimangiarsi tutto quanto subito dopo, cacciando dalla Spagna ebrei e musulmani.

La Reconquista , lungi dall'essere un episodio bellico e religioso, costituisce uno degli eventi in assoluto più importanti del Medioevo. Castiglia e Aragona si rafforzarono a tal punto da spostare le loro mire in Europa (anche in Italia) e nel mondo (con la lungimiranza della Regina che accordò fiducia a Cristoforo Colombo aprendo le nuove rotte commerciali verso le Indie ed il Sud America, mentre la macchina bellica spagnola, sia per terra che per mare, divenne in assoluto una delle più formidabili di quei tempi.

P.S. : Con questa pagina "Cenni Storici" va momentaneamente in vacanza. Auguri di una buona estate a tutti.

"Il Notiziario" non si ferma perchè è sempre in...vacanza e augura al dottor Lelio Finocchiaro, nostro storico opinionista buone vacanze, cosi' come a tutti gli eoliani e agli amanti delle isole sparsi nel mondo (bl)

IL PARADISO PERDUTO

Praticamente tutti i popoli hanno nella loro memoria cognizione di un tempo assai lontano in cui

era possibile vivere felicemente e senza affanni e senza, addirittura, correre il rischio di morire.

Perciò il riferimento a mitiche “età dell'oro” inteso non come metallo ma come simbolo di assenza di bisogni, fa sì che il tempo in cui adesso viviamo sia visto come risultato del disfacimento lento ed inesorabile di un passato felice di cui in qualche modo non siamo più meritevoli.

E così vengono tramandati dalla motte dei tempi dei veri e propri “Avatar”della creazione iniziale, intendendo con questo la rappresentazione di un luogo virtuale ( ma anche di Dei) che possano incarnarla.

Non bisogna certo attendere la Genesi biblica per avere nozione dei primi “paradisi perduti”.

Infatti già nel 2500 a.C. Il “Poema di Gilgamesh”, scritto in caratteri cuneiformi ed in ambientazione sumerica, narra di immortalità smarrite, di alberi della vita, di subdoli serpenti, di luoghi pieni di fiumi e piante meravigliose verso cui si vorrebbe tornare ma di cui non si trova più la via.

Nel 2100 a.C. Il “Racconto di Enki” (che si svolge parallelamente a quello biblico) narra del Dilmun (nome mesopotamico con cui si indicava l'Eden) come un'oasi felice in cui non esistevano malattia e morte.

E' molto probabile che la storia del Giardino del'Eden , la cui stesura sembra sia cominciata intorno al X sec. a.C., sia stata completata nel V sec. a.C. quando gli ebrei furono deportati a Babilonia in Mesopotamia da Nabucodonosor, inglobandone diverse tradizioni.

Dove si trova il Paradiso? La questione , ovviamente mai risolta, ha suscitato il sapere e le ipotesi di una miriade di scrittore e storici. La Bibbia, in modo generico, afferma che il Paradiso si trova “verso Oriente”, e da molti è perciò situato in Mesopotamia o in Arabia Saudita. Ma c'è chi lo situa , stabilendo opportuni collegamenti , addirittura in Scandinavia (“Omero nel Baltico “ di Felice Vinci ). Secondo quanto riportato dalla Genesi, dopo aver creato l'uomo ,Dio avrebbe piantato un giardino nell'Eden, ponendovi due alberi , quello della conoscenza e quello della vita, proibendo all'uomo di cibarsene. Avendo quest'ultimo trasgredito, si arrivò alla cacciata dal Paradiso. L'Eden era rappresentato come attraversato da quattro fiumi, il Nilo (attorno all'Etiopia), il Pison (che attorniava l'India), il Tigri (nella terra Assira) e l'Eufrate (fiume principale di cui gli altri sarebbero stati affluenti). Sembra che il racconto della creazione dei primi umani in realtà derivi da due storie diverse che siano poi convogliate in una sola. Nella prima si leggerebbe che Dio avrebbe creato “un uomo e una femmina”, mentre nel secondo Eva deriverebbe da una costola di Adamo. Il divieto di cibarsi di alcuni alimenti è presente anche in narrazioni mesopotamiche di molto più antiche della Genesi , come “La leggenda di Adapa”, uomo saggio che , anche in questo caso, la trasgressione porta a divenire mortale. C'è da ricordare che la differenza netta tra bene e male al tempo della Genesi non era conosciuta, e lo stesso serpente non rappresenta Lucifero o Satana, anche se di lui viene data la descrizione di “astuto animale tentatore”. Anzi, in molte tradizioni orientali lo stesso viene rappresentato come simbolo dell'immortalità (probabilmente per la sua capacità di rinnovarsi cambiando pelle) e l'immagine del serpente che si morde la coda, ouroboros, indicherebbe l'infinito. Dante situa il Paradiso agli antipodi e lo raffigura come una foresta lussureggiante percorsa dal fiume Letè , che toglie il ricordo del male fatto, ed Eunoè, che rafforza quello del bene compiuto. Gli indù, come anche gli Iraniani, i Caldei, gli Assiri i Cinesi e persino gli antichi egiziani, hanno nelle loro tradizioni il ricordo di felici epoche del tutto assimilabili ai racconti biblici favoleggianti di mitiche età auree da cui il genere umano si sarebbe progressivamente allontanato perdendo il diritto e la speranza di poterle ricreare. E così il Giardino delle Esperidi, il regno di Crono e di Saturno, l'indiano monte Meru, il Kunlun cinese, l'Asgard norreno, il Janna maomettano, e l'Eden biblico, sono uniti da un passato stupefacente nella sua somiglianza e nella comune irrealizzabile speranza di un ritorno alle antiche origini, quasi potessero configurare un riavvicinamento a quei Dei a cui dobbiamo la vita e a cui aspireremmo di tornare per identificarci nuovamente in loro. La stessa perdita della longevità biblica (i patriarchi, secondo la bibbia, vivevano svariate centinaia di anni) sembra che siano il manifesto segnale di una immortalità che via via si è andata consumando mentre inesorabilmente l'uomo, aumentando e soddisfacendo la sua voglia di sapere, si allontana sempre più da una prima età felicissima, di cui resta solo un favoloso ricordo ingigantito dal passare del tempo.

TIAHUANACO

L'archeologia ha sempre avuto il fascino del mistero. Potere esaminare reperti che possono risalire anche a diverse migliaia di anni non può lasciare indifferenti scienza e fantasia.

Sapere che esistono ritrovamenti che possono ricollegarsi a vite tutte da scoprire costituisce un impulso potente sia per le menti accademiche che per quelle, per così dire, alternative.

Sappiamo tutti che i sotterranei dei musei sono pieni di manufatti che ancora oggi non trovano una spiegazione ufficiale, e questo dà ragione del fatto che esistono, a tutti gli effetti, approcci diversi . L'archeologia è una materia relativamente giovane (risale al XIX sec.), ed ancora oggi si stanno mettendo a punto i sistemi di ricerca, di scavo e di studio del materiale raccolto. E sempre più ci si appoggia a tecniche altamente sofisticate e moderne come le mappature dall'alto, le localizzazioni tramite Gps, i radar geomagnetici che fotografano il sottosuolo, e così via. Ma quello che effettivamente muove l'interesse è l'investigazione del materiale riportato alla luce, la sua interpretazione e la sua collocazione nella storia. Ogni anno si fanno nuove scoperte che danno vita a ipotesi più o meno attendibili, ma che spesso restano aggrappate al mistero costituendone parte integrale e attraente, come in un infinito ed enigmatico gioco poliziesco. Si potrebbero citare infiniti casi, come le pietre di Stonehenge, le Piramidi egiziane, i monoliti di Carnac, le statue dell'isola di Pasqua e tanti altri.

Sicuramente tra questi possiamo annoverare il sito archeologico di Tiahuanaco.

Questo sito si trova sulle rive del lago Titicaca (Titi, puma e Caca, riflesso d'oro), tra la Bolivia e il Perù, a circa 4000 metri di altezza, ed in effetti è il lago d'acqua dolce più alto del mondo, piuttosto difficile da raggiungere . Esso presenta le tracce di cinque città sovrapposte, in un area di 450000 metri quadrati. Le tracce parlano chiaro di porti sull'acqua , di banchine e di moli. Nei periodi di grande siccità sarebbe stato possibile toccare i tetti dei misteriosi palazzi sommersi (l'acqua è così pura e limpida che si può spingere lo sguardo fino a 60 metri di profondità, anche se adesso l'inquinamento la sta velocemente corrompendo ) . Sul fondo del lago sarebbero stati rinvenuti muri templi e strade lastricate. Sarebbe stata localizzata anche la famosa grotta ,così come tramandato da antiche leggende, in cui gli abitanti praticavano sacrifici umani che prevedevano la morte di bambini di cui sono state trovate le ossa. La datazione della città è praticamente impossibile. Anche gli Incas riportano che al loro tempo esistevano già solo rovine.Possiamo quindi, per ora, affidarci solo a leggende e tradizioni. Una leggenda orale racconta che Tiahuanaco sarebbe stata costruita in una sola notte da una antica razza di giganti mentre un'altra che sarebbero stati Dei venuti dal cielo su “piatti d'oro mossi da vibrazioni sonore”. Ricordiamo che anche la Bibbia, nella Genesi, fa riferimento ad antichi giganti chiamati “Efilim”. Straordinaria è la “Porta del Sol”, stupefacente monolite in andesite ,scolpito, di circa 10 tonnellate, che secondo alcuni sarebbe un portale per altre dimensioni. Sono tante le domande poste dai reperti di Tiahuanaco e ignorate dalla scienza ufficiale, che rendono affascinante la teoria di Zecharia Sitchin secondo cui sarebbero stati gli Anunnaki a fondare la città, considerandoli padri dell'umanità (sarebbe un mistero anche la provenienza dei pesci del lago , esistendo un solo emissario che dopo un tortuoso cammino si versa in acque salate). Del resto gli Aymaras, il,più antico popolo andino, sosteneva che i graffiti sulla pietra testimoniassero come si debba al Dio Viracocha, creatore dell'universo, la nascita di Tiahuanaco, prima ancora della terra e delle stelle. I reperti ripescati in fondo al lago, secondo alcuni, sarebbero in realtà stati gettati nelle acque come gesto rituale, essendo lo stesso considerato di origine sacra. Il ritrovamento di una piramide sepolta al di sotto di Tiahuanaco, rivelata dai radar geotermici e non ancora portata alla luce, può rappresentare un indizio del collegamento con continenti scomparsi, mentre stabilirebbe una continuità tra gli Annunaki e le altre Divinità del Sud America. L'archeologo austriaco Posnanski ha trovato ,sulla superficie delle gigantesche pietre levigate, dei fori che ancora oggi, con la moderna tecnologia, non sarebbe possibile realizzare se non con trapani di altissima precisione. Del resto gli animali scolpiti nella porta del sole raffigurano animali (toxodonti e lama con cinque unghie) ormai scomparsi alla fine del terziario. I sedimenti di acqua marina a quell'altezza sembrano dare credito alla teoria ( mai confermata) dell'archeologo austriaco Hoerbiger, il quale racconta di quattro Lune che anticamente ruotavano attorno alla Terra le quali , nel tempo, a distanza di diverse migliaia di anni l'una dall'altra, sarebbero precipitate sulla Terra, causando ogni volta paurose devastazioni. La terza luna, l'ultima a cadere (quella attuale sarebbe la quarta), avvicinandosi alla superficie terrestre avrebbe dato luogo ad un innalzamento permanente delle maree e, per la variazione della forza di gravità , a razze umane significativamente più grandi.

Bisogna considerare che le tradizioni di tutto il mondo ammettono che le arti sono state insegnate agli uomini da “Dei-Re-Giganti”. E tutte concordano sul fatto che erano Dei Giganteschi a intrattenersi con gli uomini per spiegare loro i segreti dell'agricoltura e della lavorazione dei metalli. I riferimenti a quella che veniva intesa come l'età dell'oro sono comuni a tutte le civiltà, e di essa sono rimasti confusi ricordi. La Grecia Antica narra di Saturno e delle lotte tra Dei e Giganti , nonché le imprese di Ercole e del Titano Prometeo. Gli Egiziani sarebbero stati civilizzati da antichi re-Dei, mentre i selvaggi del Pacifico sarebbero stati creati da antenati giganti buoni. E si potrebbe continuare.

In tal modo non è difficile immaginare che le rovine di Tiahuanaco possano rappresentare la fine di questa età dell'oro, duecento mila anni fa. E soprattutto, in mancanza di prove definitive, non possono che continuare ad esercitare sulla nostra fervida immaginazione quello che , a buon vedere, continua ad essere il”fascino del mistero”.

SATURNALIA E LUPERCALIA

Il senso religioso dei romani era molto diverso dal nostro. Più che una fede la religione veniva considerata un dovere morale. L'esistenza degli Dei non era messa in discussione, ma solo alla luce di patti chiari e reciproci. Nessun romano, singolarmente o con la famiglia e anche con tutta la città, prendeva alcuna decisione né intraprendeva alcuna impresa senza prima essersi consultato con i giusti Dei. Ma anche questo non poteva essere fatto così, semplicemente, ma solo attraverso una precisa sequela di riti e sacrifici che non ammetteva deroghe. I rituali erano precisi e dovevano essere eseguiti con tempi e modi inderogabili. E gli unici a conoscerne le modalità, essendone i depositari, erano i sacerdoti. Essi, spesso riuniti in appositi collegi, avevano il compito di presiedere e conservare, nonché tramandare, la purezza di ogni rito perchè risultasse efficace.

Durante l'anno, in ogni caso, alcune ricorrenze venivano celebrate da tutta la comunità, assumendo significati particolari e non mancando di essere dedicate a questo o a quell'altro Dio.

In pratica il cittadino romano riservava agli dei il culto che gli era dovuto ma, in cambio, si aspettava e quasi esigeva, che i suoi desideri venissero tenuti nel giusto conto.

Durante le feste, o quasi in tutte, veniva di solito abbandonato l'aspetto composto abituale, e venivano concesse libertà del tutto inaspettate.

Probabilmente la festa più attesa , celebrata alla fine di ogni Dicembre, erano “I Saturnalia”, ovviamente dedicati a Saturno, dio contadino che, cacciato dall'Olimpo da Giove, avrebbe trovato rifugio sul Campidoglio. La festa durava una settimana , ed in quei giorni si capovolgeva il mondo. Si chiudevano le scuole e i tribunali, ed era lecito giocare e ubriacarsi. Ma la cosa più stupefacente consisteva nell'inversione dei ruoli. I padroni servivano i servi a tavola e gli schiavi potevano comportarsi da uomini liberi indossando il berretto frigio (simbolo della libertà). Intanto nelle piazze e per le strade musici e saltimbanchi si scatenavano mentre gli spettacoli (spesso osceni ) si alternavano a scherzi pesanti. Era comune scambiarsi dei doni, e l'uso delle strenne natalizie discende da questa usanza.

IL 15 Febbraio, invece, i “Lupercali” ricordavano i mitici gemelli Romolo e Remo, figli di Marte e Rea Silvia,salvati dalla Lupa che avendo partorito da poco, li allattò salvandoli . La celebrazione avveniva nella grotta Lupercale, sul colle Palatino, dove gruppi di giovani seminudi sacrificavano alcune capre, bagnandosi col loro sangue che veniva poi asciugato con lana imbevuta di latte caprino (simbolo di morte e resurrezione). Dopo di ciò, coperti delle pelli degli animali uccisi correvano per le strade percuotendo con delle fruste sia il suolo sia il ventre delle donne che incontravano e che erano liete di offrilo per propiziarsi la fertilità.

Nel 44 a. C. fu proprio durante i Lupercalia che per ben tre volte venne offerto a Giulio Cesare il titolo di Re, che lui .però, si ostinò a rifiutare.

Queste sono solo due delle feste che amavano i Romani (a cui piaceva comunque divertirsi), ma altre ce n'erano, come ad esempio i “Floralia” , giochi organizzati ogni 28 marzo in onore della Dea Flora, protettrice dei germogli, che aveva carattere propiziatorio,e che si invocava soprattutto in occasione di carestie, la cui effettuazione, di carattere lascivo, avveniva tramite orgie pastorali a cui potevano partecipare anche le prostitute.

Molto famosa era la festività che dal latino Bacchanalia viene ricordata come i giorni del Baccanale.

Bacco era una divinità romana, il cui nome è derivato dall'appellativo greco Bàkkhos che indicava il Dio Dioniso nel momento della sua più alta esaltazione mistica. Era sinonimo di “urla” o “rumore”.

Col termine Baccanale veniva inteso sia il luogo dedicato al Dio Bacco (Dioniso per i Greci), sia una serie di riti orgiastici e misterici caratteristici del culto dionisiaco. Si trattava di una festa propiziatoria che prima di attecchire a Roma si era sviluppata nella Magna Grecia.

Il culto di Bacco, dio della vegetazione e del vino, dell'orgia e dell'ubriachezza intesa come superiore stato mentale, come quello di Dioniso in Grecia tramite le baccanti (inizialmente le sole iniziate), era un culto misterico e alle sue celebrazioni partecipavano satiri danzanti, menadi scarmigliate, Sileno e Pan. Il culto di Bacco finì con lo scontrarsi con la religione romana che in un primo tempo ne fece scomparire gli aspetti misterici e addirittura nel 186 a. C., per iniziativa di Marco Porcio Catone, convinse il Senato a distruggerne i templi e scioglierne il culto, in quanto durante i baccanali venivano compiute violenze sessuali, stupri e sodomie. Si ricorda che tali atti, secondo le leggi di Roma, erano vietati tra i cittadini romani, pur essendo ammessi nei confronti degli schiavi.

LA PORPORA FENICIA

I Fenici sono passati alla storia per essere stati, probabilmente, i migliori mercanti di sempre.

Presenti nel Mediterraneo da molto tempo prima, tra il tra il V e il IV sec. a. C. erano comunemente considerati affaristi astuti e senza scrupoli. Le loro navi viaggiavano su tutte le rotte allora conosciute comprando e vendendo qualunque tipo di merce,

e le loro città , come Tiro, Sidone, Biblo ,si garantivano una ricca sopravvivenza con gli ingenti ricavi di tali commerci. ed erano concentrate in quelle terre che ora chiamiamo Libano e Siria. I Fenici erano intesi anche come Cananei, delle terre di Canan, ed a loro si deve l'invenzione del primo alfabeto fonetico di 22 lettere, in seguito adottato anche dagli ebrei. Fu verso il 350 a.C. che la loro civiltà ebbe termine essenzialmente per opera di Alessandro Magno che conquistò Tiro (e ricordiamo che la leggenda racconta che fu una donna di Tiro , Didone, che con un esercito di donne cretesi in fuga , nell' 800 a. C., raggiunse l'Africa fondando Cartagine). Le loro terre abbondavano di alberi di cedro (che mancavano completamente, ad esempio, in Egitto) coi quali costruivano le loro navi piccole e veloci (inventarono le “triremi”)., mentre Plinio il Vecchio attribuisce a loro l'invenzione del vetro.

La loro fama immortale resta tutt'ora, però, legata al commercio della porpora. Naturalmente i colori sono da sempre componenti caratteristici delle cose che li possiedono.

La fisica ci spiega che quando la luce colpisce un oggetto, alcuni colori vengono assorbiti mentre altri vengono riflessi. I nostri occhi percepiscono solo questi ultimi. E ogni colore ha, naturalmente, la propria lunghezza d'onda.

In realtà i colori hanno assunto nel tempo significati e importanza diversi. Questo spiega perchè alcuni colori vengono adottati per scopi che vanno dall'impiego rituale all'identificazione di ruoli , congreghe, stati, per finire al semplice (ma non tanto ) bisogno di soddisfazione estetica.

Nella storia forse mai, però, si è giunti ad identificare un colore con un popolo come è accaduto con la “Porpora Fenicia”.

Essa si abbinò strettamente ai panni dai vividi colori e dalla qualità insuperabile. Molti miti sono associati alla cultura della porpora. I Greci, ad esempio, sostenevano che fosse stato Eracle ad inventare tale tintura per il re fenicio di Tiro Phoenix, il quale, estasiato da tale bellezza avrebbe decretato che solo re e sovrani avrebbero potuto adornarsene. Omero stesso elogiava le donne di Sidone per questo colore.

In realtà il colore , anche se normalmente riferito al “Rosso Porpora”, era ottenuto in sfumature diverse che andavano dall'arancio al viola . La porpora veniva estratta con procedimenti lunghi e laboriosi, dalle mucose di un mollusco, il murice. Da una particole specie di murice si otteneva anche il colore porpora “blu reale”. Purtroppo la quantità di liquido che si poteva ricavare da un singolo murice era assolutamente irrisoria e per poterne ottenere in quantità sufficiente a sopperire alla enorme richiesta occorreva procurarsi decine di migliaia di molluschi . Dopo la raccolta venivano mantenuti in acqua di mare per ottenerne la quantità desiderata, e poi venivano triturati fini ad ottenere un impasto vischioso che si lasciava in acqua riscaldata per diversi giorni. Così si separava il colore, ed a seconda della percentuale di acqua e del tempo di immersione si ottenevano tinture di diverse gradazioni e i tessuti, lana o seta ,che le assorbivano , qualità importante, non sbiadivano facilmente risultando pressocchè indelebili ed anzi migliorando col tempo. Inoltre laddove si volevano ottenere dei colori più chiari, veniva aggiunta urina o miele. Pare che le stoffe più pregiate fossero quelle che subivano successive immersioni nel liquido colorante. Gli stabilimenti per la produzione della porpora erano situati vicino al mare ma fuori dalle città perchè erano contraddistinti da un olezzo insopportabile. L'enorme lavoro richiesto giustificava l'alto prezzo delle stoffe così ottenute, che potevano essere acquistate solo da chi disponeva di grandi quantità di denaro. Come i re e i sovrani, appunto, ma non solo, anche nelle gerarchie ecclesiastiche risultavano molto gradite (non a caso ancora oggi vescovi e cardinali vengono chiamati con l'appellativo di “porporati”).Il prezzo della porpora giunse a tali livelli da essere paragonabile all'oro e all'argento e addirittura la porpora giunse ad essere usata come merce più cara dell'equivalente in peso di tali metalli. Quando per forza di cose fu difficile reperire la quantità di murici che potesse soddisfare la sempre crescente richiesta, i fenici in un primo tempo cercarono di importarla da altre zone sia nel Mediterraneo che nel Mar Rosso, e in seguito preferirono fondare delle colonie oltremare direttamente nelle località più adatte allo scopo.

In ogni caso anche se col progresso si è riusciti a produrre tinture più economiche, ed anche se i fenici ormai hanno esaurito il loro tempo, la porpora di Tiro e quella “blu reale” continuano ad essere ricercate come simbolo della regalità e di status sociale. In effetti il colore particolare assunse nel tempo anche simbolicamente significati che andavano abbinati al sangue (forza vitale) e al sacrificio. I senatori romani si distinguevano per i ricami purpurei delle loro toghe.

In pratica il colore evocava particolari meriti economici e spirituali.

La manifattura della porpora continuò a fiorire anche dopo che i fenici, sottomessi prima dai Greci nel IV sec a.C. e successivamente dai Romani, pian piano finirono con lo scomparire. C'è da dire che i Romani misero a punto un proprio procedimento per l'allevamento artificiale del murice. Anche l'impero romano d'Oriente, col tempo, dovette rinunciare alla produzione di porpora per l'alto costo che si rivelò essere eccessivo per essere sostenuto.

E' comunque fantastico che un popolo con un passato pieno di ingegno e creatività , venga oggi ricordato essenzialmente per la lavorazione di un colorante, la porpora, a prima vista molto meno importante, ma che tanti desideri, denari ,vanità ed esibizionismi riuscì a muovere per tanto tempo in tutto il mondo.

 

CONFUCIO

( l'uomo nobile della Cina)

Sono personalmente convinto che la storia cinese e lo studio della sua civiltà abbia ancora molto da insegnarci. Il confucianesimo , e cioè il complesso di pensieri e filosofie derivate dalla elaborazione delle riflessioni di K'ung -fu-tzu o Kongfuz da cui Confucio (o Maestro Kong) non è un credo religioso, come qualcuno potrebbe pensare, bensì un'attenzione profonda sull'uomo e sulla società.

Per dare a noi Occidentali un'idea dell'importanza che ebbe in Cina Confucio, possiamo paragonarla a quella che nella storia della filosofia greca ebbe Socrate. L'influenza della dottrina di Confucio, fondatore della scuola Ru, si estese a tutto l'Oriente e quindi anche al Giappone, alla Corea al Vietnam. Il pensiero di Confucio, come detto, non cercava nè aveva bisogno di mediatori religiosi.

Si concentrava, invece, essenzialmente sull'uomo e sulla società. La sua era una visione profondamente etica della vita, che ricercava l'armonia della relazione tra gli uomini e la comprensione delle necessità del prossimo.

Confucio nacque circa 2500 anni fa, intorno al 550 a. C. nella provincia dello Shandong (la data esatta non è conosciuta) in un periodo in cui la Cina era governata dalla dinastia degli Zhou, che aveva sconfitto quella degli Shang e viene considerata l'epoca modello del buon governo. Quando la capitale degli Zhou Occidentali venne spostata più a est, inizio' il periodo cosiddetto degli Zhou Orientali e gli anni successivi si divisero nel Periodo delle Primavere e degli autunni dal 770 al 463 a. C.(quello in cui visse Confucio) e in quello successivo degli Stati combattenti Era di famiglia povera (perse il padre in giovane età) e si dedicò completamente allo studio. Il concetto del potere in Cina era oltremodo semplice e intuitivo. Chi governava era come se avesse ricevuto un “Mandato dal Cielo” che lo rendeva autorevole. In caso dovesse in qualche modo perdere, però, la sua virtù morale, rendeva legittimo il suo rovesciamento e chi lo attuava diveniva a tutti gli effetti sovrano legittimo. Tutti i cambiamenti di potere , da quel momento in poi, poggiarono su questo tipo di base ideologica. Furono molti i governanti ad accogliere Confucio e ad ascoltare i suoi insegnamenti, ma nessuno gli affidò incarichi stabili, cosa che lo convinse a dedicarsi all'insegnamento, diventando il primo maestro della Cina. La sua filosofia venne raccolta in in un testo (I Dialoghi) dai suoi discepoli (oltre tremila) dopo la sua morte. Ben 70 di questi, da lui ritenuti eminenti ,divennero importanti uomini di governo. La visione di Confucio era rivolta verso la società ideale dell'antica dinastia Zhou, e aspirava a realizzare una armonia sociale retta dall'etica e che quindi non ci fosse bisogno alcuno delle leggi. Fondamentale è il concetto base che ritroviamo in alcune sue frasi tramandate dai suoi discepoli (lui non scrisse mai nulla) :

“ Per mettere il mondo in ordine, dobbiamo mettere la nazione in ordine. Per mettere la nazione in ordine, dobbiamo mettere la famiglia in ordine. Per mettere la famiglia in ordine, dobbiamo coltivare la nostra vita personale. Per coltivare la nostra vita personale, dobbiamo prima mettere a posto i nostri cuori.”

Oppure:

“ Mi chiedi perchè compro riso e fiori? Compro il riso per vivere e i fiori per avere una ragione per cui vivere”.

Il suo insegnamento, convinto com'era che tra gli uomini non vi fossero particolari differenze, era diretto a tutti, a prescindere dalla classe sociale o dal censo.

La ricerca dell'armonia sociale escludeva, per sua stessa natura, l'insegnamento della guerra, delle gesta militari e perfino della religione

Lo scopo dei suoi discorsi doveva essenzialmente servire a preparare una classe governante o diplomatica che potesse creare l'armonia sociale, e ciò venne ampiamente riconosciuto, visto che i suoi discepoli furono ricercati per il loro ruolo di consiglieri. In pratica era la costante ricerca del cosiddetto “junzi”, che significava “aristocrazia”, intendendo con questo la supremazia dell'uomo moralmente nobile , che doveva arrivare a perseguire il bene comune al di là delle convenienze personali e mediante comportamenti esemplari. In realtà vagheggiava un ritorno al periodo della dinastia Zhou, che veniva considerato come il modello di Stato che più si avvicinava al suo ideale di perfezione.

La strada per realizzare il suo progetto era il Dao (Sentiero) che si poteva percorrere attraverso il “Xiao”

(amore filiale e culto degli antenati), il “Ren” (umanità), e cioè la virtù base che consiste nell'avere il massimo rispetto verso gli altri uomini, e il “Li”, che comprende tutti i riti cerimoniali e le forme convenzionali che costituiscono le relazioni tra gli uomini (o comportamento “corretto”).

Era solito affermare che lui non svelava alcuna verità a chi non avesse voglia di scoprirle, e la conclusione a cui arrivò fu che ci sono solo due tipi di persone che non cambiano mai: quelle che sono straordinariamente intelligenti e quelle che sono straordinariamente stupide.

 

I ROTOLI DEL MAR MORTO E I CODICI DI NAG HAMMADI

Nel 325 d. C. Costantino il grande convocò il famoso Concilio di Nicea nel quale si stabilì quali scritti dovessero far parte della Bibbia Cristiana , che così assunse il suo aspetto definitivo comprendendo l'Antico Testamento e cioè le scritture antecedenti all'avvento di Gesù (46 libri), e il Nuovo Testamento (27 libri), che invece lo descrive . Tralasciando il fatto che esistono differenze tra la Bibbia Cristiana, quella ortodossa, quella ebraica , quella protestante, ecc, che accolgono o rifiutano determinate scritture, all'atto del Concilio di Nicea Costantino intimò che tutti gli scritti non compresi nella Bibbia cristiana dovessero andare distrutti e di loro non rimanere traccia.

Ovviamente gli ordini dell'imperatore non potevano essere discussi, pena spiacevoli conseguenze,

e quindi per per secoli gli unici riferimenti storici vennero a coincidere con quelli religiosi dei vangeli canonici.

Ma un po' per caso e un po' per la ricerca che nel campo archeologico non si interrompe mai, negli anni tra il 1945 e il 1947 si verificarono due scoperte che dovevano illuminare di nuova luce (ponendo anche nuovi interrogativi) tempi ormai lontani di diverse centinaia di anni.

Le scoperte avvennero per caso, in maniera non molto dissimile tra loro, anche se in posti diversi.

A Qumran , sulla sponda orientale del Mar Morto, un pastorello inseguendo una capra che gli era sfuggita scoprì per caso in una grotta dei frammenti di manoscritti redatti in lingue antiche diverse (greco, ebraico e aramaico) e la successiva investigazione individuò altre dieci grotte simili portando alla luce un totale di circa 900 documenti che oggi si trovano divisi tra Il Museo d'Israele , istituzioni statunitensi e in qualche caso in mano a collezionisti privati.

Nel caso di Nag Hammadi (Alto Egitto) , successe che due contadini, scavando in un cimitero, trovarono una giara che conteneva 13 codici in ottimo stato di conservazione.

E' sicuramente curiosa la coincidenza temporale delle due scoperte però, a parte la straordinaria rilevanza storica dei reperti, in realtà le similitudini finiscono qui.

I rotoli del Mar Morto, scritti quasi tutti su pergamena, a parte qualche papiro , rivestono una fondamentale importanza perchè contengono le copie più antiche dei libri biblici consentendoci di avere una testimonianza diretta sulla fine del tardo giudaismo, risalendo ad un periodo datato tra il 150 a. C. e il 70 d.C. I testi sono definiti “apocrifi” in quanto non compresi nel canone, anche se alcuni sono accettati dalla bibbia greca dei Settanta. Fino alla scoperta dei manoscritti del Mar morto,le copie più antiche della della Bibbia ebraica risalivano al IX sec. , mentre così si è potuto avere riferimenti risalenti al II sec a.C.

La maggioranza degli storici , anche per le notazioni di personaggi come Giuseppe Flavio e Plinio il Vecchio, attribuisce i rotoli all'antica setta ebraica degli Esseni (anche Gesù sarebbe un esseno), comunità pacifica di poche centinaia di persone che viveva presso Qumran. Altri nutrono dei dubbi in quanto in nessun rotolo compare il nome “esseno”, e anzi notano come in ebraico la parola esseno non esista nemmeno. Recentemente sono stati scoperti 33 scheletri nei pressi di Qumran la cui datazione è analoga a quella dei rotoli e che sarebbero riferibili a soli uomini , il che ha fatto nascere l'ipotesi che si possa trattare di componenti di una comunità monastica dedita all'ascetismo che custodiva il segreto e la tradizione degli esseni, essendo esseni essi stessi.

i ritrovamenti di Qumran hanno permesso di gettare luce sulla lingua e sulla cultura religiosa ebraica del periodo entro il quale si situa la vita di Gesù e la formazione dei vangeli

A Nag Hammadi i codici ritrovati (oggi tutti al Museo copto del Cairo) rappresenterebbero tutt'altra cosa. Il loro valore storico dipende essenzialmente dal fatto che sono praticamente integri , costituendo di per sé una cosa molto rara, in secondo luogo perche' sarebbero riferiti ad una setta cristiana detta “gnostica”.Si stima che i testi di Nag Hammadi risalgano al IV sec. e sono scritti in

copto (lingua egizia scritta con caratteri greci). Anch'essi furono nascosti per evitare la distruzione da parte della autorità di allora.

Si tratta in definitiva di opere giudicate eretiche in quanto permettono la disamina diretta di testi gnostici non accettati dai Padri della Chiesa.. Sono testi che dal punto di vista dottrinale trattano argomenti diversi, come trattati teologici e filosofici, lettere, atti degli apostoli, orazioni, ecc... e non raccontano episodi della vita di Gesù, bensì parlano di rivelazioni che lo stesso avrebbe fatto ai suoi discepoli, come accade nel Vangelo di Tommaso o in quello di Maria (Maddalena).

I concetti gnostici sembrano prevalere su quelli cristiani, e perciò rifiutati decisamente da importanti personalità cristiane come Sant'Ireneo e Sant'Ippolito. Gli gnostici del resto avevano un concetto dualistico della vita (quasi come il binomio platonico mondo sensibile/idee ) e rifiutando martirio e resurrezione attribuivano a un Dio inferiore (demiurgo) la creazione della materia.

 

LA BATTGLIA DEI LAGHI GHIACCIATI

Pensando agli Ordini Cavallereschi che si impegnarono e lottarono per lungo tempo durante le Crociate, inevitabilmente il pensiero corre alle fantastiche avventure dei Cavalieri del Tempio, quelli che più hanno colpito la nostra fantasia e che restano tutt'ora avvolti da un intramontabile fascino di eroismo e mistero.

Sbaglieremmo, però ,a credere che siano stati i soli a dare la vita in nome di quegli stessi ideali legati alla fede e alla Cristianità . Furono molti , come gli Ospitalieri, i Cavalieri dell'Ordine di Malta, i Cavalieri del Santo Sepolcro, ed altri ancora. Un posto particolare, però meritano quelli che passarono alla storia come i Cavalieri Teutonici.

Questo ordine, caratterizzato da una croce nera su campo bianco, svolse inizialmente con particolare dedizione il suo compito come forza permanentemente armata in Terra Santa, proteggendo strade insediamenti e castelli, ma in realtà divenne famoso non tanto per le sue gesta lungo le coste del Mediterraneo, bensì per quelle sulle terre ben più fredde del Mar Baltico.

Era il 1228 quando Re Andrea d'Ungheria chiese a Hermann von Salza, Gran Maestro dell'Ordine, un intervento in aiuto contro le incursioni delle popolazioni pagane confinanti. Questo diede l'idea ai Teutonici, poco entusiasti dei preparativi della Sesta Crociata da parte di Federico II , e col benestare sia dell'imperatore come del Papa, di iniziare una guerra di conquista mirante alla cristianizzazione dei territori pagani abitati dai Prussi in conflitto permanente col duca polacco Conrad di Masovia. E così iniziò una nuova crociata , nordica questa volta, con gli stessi scopi dichiarati delle altre. I territori conquistati vennero riconosciuti come appartenenti all'Ordine, ed il Gran Maestro divenne ben presto come una specie di “Re” all'interno dell'Ordine stesso. Il principio applicato in Terra Santa si applicò anche sul Baltico, e cominciarono quindi, mentre in Terra Santa crollavano uno dopo l'altro, a sorgere castelli guarnigioni e monasteri con il compito di presidiare il territorio per un controllo capillare.

Il primo Ordine cattolico-militare nato nella Regione si chiamò Ordine Livone, anch'esso , come del resto capitava anche alle truppe svedesi e danesi , attirato dalla città di Novgorod e dalle sue ricchezze.

C'è da dire che dal 1223 praticamente tutta quella zona di territorio era stata sottomessa dai mongoli guidati da Gengis Khan, i quali, dal punto di vista religioso erano oltremodo tolleranti.

Il controllo di Novgorod si estendeva dagli Urali al Baltico, e per i suoi commerci (era anche capolinea della via della Seta) faceva uso delle estese vie d'acqua presenti.

Il capo della milizia di Novgorod era il cosiddetto “Knez”, che si circondava di una guardia personale costituita dai più intrepidi guerrieri a disposizione, indipendentemente dal grado nobiliare, che aveva nome “druzhina”. La grande fortuna di Novgorod consistette nel trovare un Knez eccezionalmente valoroso, che inizialmente sconfisse gli svedesi nella battaglia della Neva (conquistandosi il soprannome di Nevskij) e quindi si preparò a respingere un contingente di cavalieri teutonici supportati da aiuti danesi ed estoni.

Dopo avere reagito al primo impeto nemico, si rese conto che non sarebbe stato possibile resistere a lungo e che fosse necessario sferrare al nemico un colpo decisivo. Dopo avere stretto alleanze con tribù mongole che gli fornirono un notevole contributo di validissimi arcieri, avendo scelto con cura quel particolare periodo dell'anno che rendeva fangoso e scivoloso il terreno e ghiacciati i fiumi, si avventurò in missioni di provocazione, riuscendo a farsi inseguire verso un lago ghiacciato (il Peipus) che forniva solo passaggi stretti ed obbligati. Quando i cavalieri Teutonici videro che gli inseguiti si erano fermati, pensando di averli ormai in pugno ordinarono la carica.

Invece di travolgere il nemico col suo impeto, come di solito, invece la cavalleria si trovò a dovere controllare i destrieri appesantiti da armi e corazze che andavano scivolando sui loro zoccoli impreparati, mentre nugoli di frecce li decimavano facilmente.

Fu una disfatta. Quella battaglia che avrebbe probabilmente avuto un esito diverso se si fosse svolta in campo aperto, fu decisa dall'intelligenza tattica di uno dei contendenti.

Nevskij riuscì a mantenere l'indipendenza di Novgorod pagando un pesante tributo ai mongoli, ma così ottenne che il lago Peipus potesse rimanere quale confine ideale tra il territorio cattolico e l'oriente russo-ortodosso.

L'episodio della disfatta teutonica ispirò film e letteratura e , anche in assenza di un vero e proprio riscontro storico, è rimasta scolpita nella memoria l'immagine resa dal grande regista Eisenstein nel film “Alexandre Nevskij” ,del 1938 ,che rappresenta la fine dei cavalieri teutonici mentre a cavallo e impacciati dalle ingombranti e pesanti armature, affogano a causa del ghiaccio che si spezza sotto di loro non potendo così trovare alcuna via di scampo.

IL SIMPOSIO

Noi che siamo abituati a trascorrere piacevolmente il nostro tempo libero con gli amici davanti ad un aperitivo o la sera in trattoria, pensiamo forse che gli antichi greci o romani non avessero le stesse possibilità anche in assenza di bar o di fornite cantine?

Tutt'altro. Anzi la ricerca del modo più gradevole di stare insieme per loro era una maniera elegante e sofisticata che coinvolgeva diverse virtù tutte tendenti ad unire il piacere dello stare insieme con una elevazione della mente.

Il Simposio (detto anche Convivio) , che letteralmente vuole dire “bere insieme”, era una piacevole e diffusa usanza della polis greca, riservata ad una partecipazione esclusivamente maschile il cui numero poteva variare da tre (numero delle Grazie ) a nove (numero delle Muse), anche se poi di eccezioni se ne facevano, e la stanza deputata all'incontro normalmente non era troppo grande per permettere che i commensali potessero discutere agevolmente tra di loro (non esistevano conversazioni a due ma erano sempre corali). In ogni caso il luogo doveva essere bandito alle donne sposate e ai bambini mentre la disposizione dei triclini era fatta a ferro di cavallo in modo tale che le teste degli ospiti fossero orientate verso il centro e quindi il più vicino possibile tra loro.

Vi era il “simposiarca”, generalmente il padrone di casa ma a volte estratto a sorte, che badava alla qualità delle libagioni per evitare eccessive ubriacature (bisognava infatti essere abbastanza svegli e disinvolti per potere godere appieno degli intrattenimenti proposti).

I partecipanti parlavano di tutto, di politica, di amore, di filosofia, ma intonavano anche canti (detti appunto conviviali), suonavano, danzavano, ascoltavano suonatori di Cetra, Lyra (strumento a corda) e Aulos (strumento a fiato), facevano giochi collettivi, recitavano poesie, godevano della compiacente compagnia di giovani e ragazze, che ballavano e sedevano insieme agli ospiti.

Nelle intenzioni, nel simposio si intendeva esaltare tutti quei valori che rendono nobile l'uomo.

Famoso è il Komos, la baldoria che segue il simposio, perfettamente descritto da Platone nel suo dialogo omonimo, che narra dell'ubriacatura di Alcibiade (per la cronaca Alcibiade si dice fosse amico e amante di Platone e che ,lui molto bello, facesse la corte a Socrate, molto brutto , che resistette alle sue avances)

All'inizio della festa si solevano fare tre brindisi con vino non diluito, in onore di Dioniso e si cantava il “peana”dedicato ad Apollo e Artemide,(e si tramanda che durante la battaglia di Salamina l'esplosione di questo canto impressionò a tal punto il nemico persiano, da fare associare da allora il peana al significato di “canto della vittoria”) Da quel momento in poi il vino era controllato dal simposiarca nella sua diluizione e nella sua quantità.

Normalmente il simposio veniva tenuto dopo il tramonto, ma si ricorda il poeta Alceo che invitava a bere sempre e in qualunque ora del giorno.

Le giovani donne convocate per l'occasione, le uniche ammesse e che potevano recitare, danzare o cantare, si chiamavano etere (una specie di escort ante-litteram).

Il vino, dono di Dioniso, aveva una importanza rituale. Lo stato di ebbrezza veniva controllato perchè ubriacarsi, in realtà ,veniva considerata una usanza barbara. Veniva continuamente rifornito dai coppieri che tenevano pieno il “cratere” (grande recipiente) da cui veniva attinto tramite il “cantaro” (tazza con manici).

Il vino , servito ghiacciato, era accompagnato da quelli che ora chiameremmo “stuzzichini”, e cioè olive, frutta secca, formaggio e cose del genere , a differenza del “banchetto” dove si servivano delle vere e proprie pietanze.

Fra gli enigmi e gli indovinelli, era in uso specialmente un gioco, il ”Kottabos” ,che consisteva nel colpire da sdraiati un bersaglio (dei piattelli posti in equlibrio precario che bisognava far cadere con le ultime gocce di vino del bicchiere), mentre si invocava il nome della persona di cui si sollecitavano i favori.

Il Simposio è uno dei dialoghi di Platone più famosi, ma è anche l'unico che , in senso stretto, più che una conversazione ha l'andamento di una gara oratoria tra gli invitati dove ciascuno espone il proprio concetto sull'Amore.

Durante il convivio generalmente si poteva fare uso di acqua per lavarsi le mani, ma anche di profumi, unguenti, e di fiori , foglie di edera e di alloro per adornarsi.

Il simposio che poteva durare anche molte ore, spesso continuava anche dopo , con la “baldoria” notturna (Komos) per le strade.

Presso gli Etruschi al Simposio erano ammesse anche le donne, cosa molto criticata dai Greci.

Il banchetto conviviale, considerato a tutti gli effetti una vera e propria palestra di sapienza, diede origine ad un fortunato genere letterario, iniziato da Platone e Senofonte:

Si ha di conseguenza una conoscenza abbastanza precisa delle forme oratorie adoperate dai poeti simposiali, mentre, purtroppo, non si ha modo di conoscere la musica che le accompagnava e che erano forme assolutamente centrali della tradizione lirica greca,ma che si affidavano ad una tradizione puramente orale non essendo ancora disponibile una tecnica di scrittura musicale.

Domenica 12 maggio p.v. alle ore 19,00, presso lo Stand V 172, al padiglione OVAL di Torino, presenterò il libro Briciole di Storia II.

L' EGITTO E LA FINE DEI FARAONI

La splendida età dei faraoni, iniziata all'incirca verso il 3000 a.C. e terminata con la dinastia tolemaica il 30 a.C., racconta di una storia affascinante che illuminò il mondo pre-cristiano per sontuosità , organizzazione sociale, civile e religiosa. Il regno dei faraoni resta quello che seppe durare più a lungo e che ci ha lasciato un'enorme quantità di resti e manufatti archeologici, ancora in buona parte da scoprire ed interpretare. Comunemente si ritiene che il primo faraone sia stato Narmer, nel 2920 a.C., però c'è da dire che quelli che chiamiamo egiziani derivano da popolazioni sud africane che nel 5000 a.C. occuparono la valle del Nilo in fuga da territori invivibili per la mancanza d'acqua e per i lunghi periodi di siccità, attratti dal fiume sacro nonostante le frequenti esondazioni. In realtà a comandare questa gente variamente assortita, fu naturalmente colui che meglio seppe interpretare e sfruttare il mutevole umore del Nilo,riuscendo a riunire sotto un unico comando egiziani del nord e del sud essenzialmente per le sue qualità di “ingegnere idraulico”. Fu chiamato “Re Scorpione “(per un'antica tavoletta in cui aveva questa forma), prefigurando una sorta di faraone predinastico. E così lungo le sponde del lunghissimo fiume, (si stima possa essere il più lungo del mondo con i suoi 6855 Km) , nacque e si sviluppò quella civiltà e quell'impero che durò più del doppio rispetto a quello Romano.

La vita dell'egiziano si svolgeva in modo sincrono al Nilo (che poiché dava la vita era considerato un Dio), scavando canali di irrigazione, allontanandosi al momento delle piene (che impararono a calcolare e prevedere), e coltivando le terre così ricche di humus nei mesi in cui le acque si ritiravano . La terra forniva tutto ciò di cui avevano bisogno ed il Nilo era una magnifica via di comunicazione. Le dinastie che si susseguirono per ben tremila anni furono XXXI, seguite da una dinastia “macedone” con Alessandro Magno e da quella Tolemaica che si concluse con la morte di Cleopatra. Tutti ricordiamo la meraviglia dei monumenti colossali (perchè dovevano rendere l'idea della grandezza del re) realizzati dagli scultori e dagli architetti egiziani. Su tutte la magnificenza delle Piramidi, per la costruzione delle quali si sono usati tanti cubi di pietra da bastare a circondare tutta la Francia. Dal punto di vista militare non erano molto aggressivi, e badavano essenzialmente a difendere i loro confini, ma naturalmente le guerre non mancarono e famose sono rimaste quelle contro i terribili Hyksos (di tutt'altra pasta). I faraoni, considerati dal popolo come dei veri e propri intermediari con le divinità, badavano più a celebrare se stessi, con enormi statue e templi sempre più maestosi, che dovevano testimoniare nel tempo la loro grandiosità, per la costruzione delle quali venivano impiegati decine di migliaia di lavoratori che prestavano la loro opera,(come del resto succedeva anche per i guerrieri), solo nel tempo dell'anno che non li vedeva occupati a coltivare le terre lasciate libere dalle acque del Nilo. Erano abili artigiani. Gli Hyksos inizialmente li batterono perchè facevano uso dei carri da guerra, ma in poco tempo gli egiziani sostituirono le ruote piene con quelle a raggi, costruendo carri più leggeri e manovrabili. Altre importanti battaglie le sostennero contro “il popolo del mare” che vinsero rinforzando la flotta con navi veloci e leggere. In falegnameria usavano, in mancanza di chiodi, pioli ed incastri, mentre inventarono una specie di trapano ad “archetto”. L'invenzione della scrittura veniva da loro attribuita al Dio Thot, ed in ogni caso i geroglifici (segni sacri incisi), restarono un mistero fino a quando Napoleone durante la sua campagna d'Egitto (1798-1801) scoprì una stele risalente all'epoca tolemaica (detta di Rosetta), scritta in tre lingue (geroglifico, greco e demotico) il che permise allo studioso Champollion di poterla tradurre. Napoleone era molto attratto dalla civiltà egiziana, tanto da desiderare, cosa che per altro fece, di dormire una notte all'interno di una piramide. Se vogliamo, l'unica interruzione nella sequenza della dinastie bianche d'Egitto, fu nel periodo 747-656, quando ben cinque faraoni Nubiani (detti Faraoni Neri), riuscirono a mantenere il potere costituendo la XXV dinastia.

Nei costumi erano molto liberi. Non davano importanza alla nudità dei corpi, ma curavano con estrema attenzione il trucco del viso, usando cosmetici e creme specifici per occhi ,guance e capelli. Profumi ed essenze venivano adoperati in quantità, anche per odorare la casa, ed avevano l'abitudine di lavarsi spesso. L'alimentazione era varia (si conoscono gli ingredienti più usati, anche se non esattamente il modo di cucinarli), e bevevano birra, che consideravano sacra essendo dono di Rha, e che usavano anche nei riti funebri ed in medicina.

Il “Libro dei morti” fornisce un'idea ben precisa del loro aldilà, e della cura che ponevano nei riti e nell'accompagnamento dei morti nonché nell'arredo funerario, e si calcola siano stati svariati milioni gli egiziani sottoposti a mummificazione.

L'oreficeria Egiziana di quei tempi era veramente stupefacente,e conoscevano la tecnica dello sbalzo e della filigrana. Quasi tutti i gioielli erano dedicati ad un dio, con teste di animali e ornamenti simbolici.

Sono numerosi i personaggi che hanno entusiasmato tutti coloro che, anche superficialmente, hanno dato un'occhiata al mondo dei faraoni, pieno di ricordi storici antichissimi, di misteriose evocazioni

esoteriche e di enigmi da risolvere. Basti ricordare il faraone forse più grande di tutti, Ramses II, e Nefertiti, la donna più bella di tutto l'Egitto, e Akhenaton, che provò ad introdurre il monoteismo (in questo seguito, pare, da Mosè,) e Tutankamon, il faraone giovinetto la cui tomba è stata scoperta integra (fatto del tutto eccezionale) e che costituisce una della poche tombe, senz'altro la più ricca, ancora intatta prima che i ladri di reperti potessero depredarla (cosa che per altro i tombaroli usavano fare spesso)

E come dimenticare Cleopatra, la cui vita avventurosa, tra amori e guerre, è forse la più nota di tutte. Probabilmente un po' arricchita da elementi fantasiosi dovuti a libri e cinema, è senza dubbio una storia che continua ad affascinare (gli storici oggi mettono in dubbio anche la storia dell'aspide che l'avrebbe uccisa), e comunque l'ultima di una serie di dinastie che avrebbero, con lei, segnato il trapasso dell'Egitto a protettorato romano.

La Bibbia chiama il re d'Egitto col nome di FARA—O (da cui il termine Faraone).

Il numero di reperti fornito dagli scavi in è sicuramente impressionante, e si calcola che siano ,in tutto il mondo, oltre 500 i musei che dedicano una “sezione importante “ alla mostra di oggetti egizi.

La definitiva scomparsa del culto faraonico si ebbe quando , nel 537, l'ultimo tempio dedicato ad Iside, custodito dagli ultimi sacerdoti che sapevano leggere i geroglifici, e che si trovava nella piccola isola di File, sul Nilo, venne chiuso dall'imperatore Giustiniano e trasformato in chiesa cristiana.

IL CASTELLO MEDIOEVALE

Non abbiamo mai visto bambini, e così è stato anche per noi quando lo eravamo, giocare con pupazzi rappresentanti Romolo e Remo, o Ettore ed Achille o Cesare e Cleopatra. Al contrario abbiamo tutti combattuto con lance e spade contro draghi e cavalieri, in difesa di principesse minacciate da maghi e streghe. IL nostro immaginario non è mai andato a prima del medioevo, quasi fosse più antico dell'antico. Ed il mondo delle favole , inevitabilmente ,aveva al centro, sempre, un fiabesco castello , alto e turrito.

In realtà il castello è sempre stato l'emblema tipico del Medioevo, anche se è sempre esistito, sin da tempi remoti. Quando si parla di una rete di fortificazioni sparse in punti opportuni per la difesa di un territorio, si usa il termine di “incastellamento” (disposizione programmata).

Certo la forma , la consistenza e lo scopo del castello via via sono andati cambiando nel tempo.

In pratica una volta si costruivano fortificazioni, in terra o in legno, con lo scopo dichiarato della difesa, ma anche del controllo e del monitoraggio del territorio , occupato da guarnigioni per fermare un ipotetico nemico o per fungere da allarme e raccolta. di altre truppe. Una motivazione essenzialmente militare, dunque. Per sua natura tali insediamenti privilegiavano luoghi alti o vicini a fonti di acqua.

E' dal X sec. , però , che il processo di costruzione , improvvisamente, prende una accelerazione vistosa e in tutta l'Europa Occidentale si viene a creare una fitta rete di castelli (l'Incastellamento, appunto), dovuto essenzialmente al progressivo dissolversi dell'Impero carolingio sostituito da una miriade di potentati locali, sovente in lotta tra di loro. E' una esternazione del potere signorile, ma non solo, è anche una protezione per i contadini e per i prodotti artigianali e agricoli messi continuamente in pericolo dalle scorrerie dei Vichinghi da Ovest, dei Saraceni da Sud e degli Ungari da est. Motivo per cui accanto ai castelli sorse anche una rete di torri di avvistamento deputate ad avvertire la popolazione in caso di attacco.

Il castello finì per contenere non solo il signore di turno, ma anche locali per le provviste,grandi cucine, armerie ben dotate, alloggi per la truppa , per la Chiesa e per la servitù, vasti cortili di lavoro e stanze eleganti per la vita della corte e per ricevere gli ospiti importanti. Tutto senza dimenticare lo scopo principale della sua esistenza :la difesa. Ampie mura, alte di solito più di 10 metri, due o tre cinte poderose fatte di mattoni (generalmente al Nord) o di pietra lavorata (come era possibile trovare al sud). Per non parlare degli ampi fossati che lo circondavano , spesso pieni d'acqua e che permettevano l'attraversamento solo mediante una invenzione tipica di quel periodo : il ponte levatoio. I muri stessi erano poi dotati di feritoie per proteggere i guerrieri che si muovevano lungo i bastioni e per consentire il lancio di frecce, pietre ,olio bollente e cose simili. La torre lignea della motta, con l'abbandono dell'uso del legno, prese il nome di Torrione, mentre la Torre più grande, (anche 15metri di altezza), ultimo baluardo, prese il nome di Mastio. L'aspetto fiabesco dei castelli è probabilmente dovuto ad una influenza architettonica orientale. I crociati , al di là del Mediterraneo, costruirono una quarantina di castelli,il più famoso e probabilmente anche il più grande e inaccessibile era chiamato “il Krak dei Cavalieri “, che fu l'ultimo a cadere prima della definitiva sconfitta.

Era naturale che la popolazione si raggruppasse attorno al Castello, a cui prestava i propri servizi e da cui riceveva protezione.

Naturalmente i castelli differivano tra loro per forme e dimensioni, ma alcune caratteristiche li accomunavano tutti.

La prima cosa che incontrava chi si avvicinava ad un castello era il fossato, (pieno o no di acqua), direttamente sopra c'erano le possenti mura di cinta agli angoli delle quali, e accanto alle uscite, si ergevano alte torri di difesa. I vasti cortili interni accoglievano le scuderie, il corpo di guardia, il personale domestico e, all'occorrenza, la gente del villaggio.

Al centro c'era il torrione, appannaggio del signore, di solito diviso in piani. Nel primo si trovava la cucina e la dispensa, nel secondo gli appartamenti privati, nel terzo e quarto le stanze dei figli e dei servitori. Lo scopo dei castelli era essenzialmente quello di offrire protezione e difesa da un attacco nemico, il che imponeva anche dei particolari accorgimenti come i “buttatoi ”, “ “le protezioni per le feritoie “ la collocazione delle macchine da guerra. Questo il motivo per cui le scale, nei castelli, avevano un andamento sempre in senso orario, in modo che gli eventuali assalitori, che usavano tenere la spada nella mano destra, venissero ostacolati dal brandirla per la presenza del pilone centrale di pietra.

La fine dell'utilità del Castello coincise con l'avvento della scoperta della polvere pirica nel XV sec

Anche mura estremamente robuste non poterono resistere alla violenza distruttiva dei nuovi cannoni. Inoltre nel Rinascimento si smette di costruire castelli (quelli già esistenti vengono adibiti a dimore signorili) in quanto le varie monarchie tendono a fare scomparire i piccoli centri di potere locale.

In ogni caso restano esempi in tutta Europa di Castelli splendidi, come il Castello di Sirmione, l'Alcazar di Segovia, il Castel del Monte ad Andria o quello di Neuschanstein in Baviera, e tanti altri.

Vi è stato un tentativo di recupero del patrimonio architettonico neogotico nel XIX sec. E molto si deve all'abilità dell'architetto Viollet Le Duc che, in Francia, curò splendidamente la riedificazione di Castelli famosi, come quello di Carcassonne, di Pierrefonds e di Abbadia in Aquitania, meta continua di turisti che , visitandoli, possono, per un po', dimenticare il presente ed immergersi nell'atmosfera di un Medioevo immaginario e fiabesco.

IL BARONE DI MUNCHHAUSEN

“ Le avventure del Barone di Munchhausen” è un libro pubblicato nel 1786 in Germania, scritto (ma forse copiato) da Gottfried August Burger dove si narrano le gesta di un personaggio letterario pieno di fantasia, emerito bugiardo e magnifico millantatore, protagonista di imprese incredibili raccontate con sfrontata naturalezza.

Il libro riscosse un immediato ed enorme successo in tutta Europa, collezionando ristampe su ristampe,e provocando l'ira e lo sdegno della persona in carne ed ossa a cui erano ispirate.

Carl Friederich Hyeronimus von Munchhausen, nato a Borderwerder in Germania nel 1720 perse il padre, colonnello di cavalleria, a soli quattro anni, ma ,sotto la protezione del duca di Wolfenbuttel, iniziò al suo seguito una promettente carriera militare , distinguendosi per coraggio e lealtà nella guerra tra i Russi e i Turchi. Partecipò anche alla guerra della Russia contro la Svezia (1740) quando aveva già il grado di luogotenente. Per sua sfortuna, gli sconvolgimenti dovuti alla morte della zarina Anna fecero cadere in disgrazia il Duca, e di conseguenza anche l'avvenire militare di Munchhausen si interruppe bruscamente. Da allora si dedicò interamente alla scuderia reggimentale col grado di capitano e al suo massimo interesse, la caccia.

Uomo divertente e di spirito, aveva come consuetudine di tenere simpatici intrattenimenti nei quali si divertiva a raccontare incredibili avventure di cui lui stesso si dichiarava protagonista, spacciando per vere quelle che erano solo delle enormi panzanate. In zona era chiamato “il barone fanfarone”. Alla fine dei conti passava il tempo inventando mirabolanti avventure e non facendo male a nessuno. E' probabile che ai suoi festini abbia partecipato un certo Rudolf Raspe, imbroglioncello da quattro soldi che passava il tempo entrando e uscendo di galera e che, trovandosi a Londra per evitare il carcere, ebbe l'idea di pubblicare una raccolta delle avventure ascoltate, probabilmente aggiungendo pure qualcosa di suo. Lo stesso potrebbe dirsi di Burger , che in fondo ha solo tradotto lo scritto di Raspe, forse rivedendolo a sua volta, riscuotendo un enorme successo in Germania.

La versione più nota delle “Avventure” si deve a Karl Immermann, che nel 1838 pubblicò un'opera in quattro volumi, ma occorre precisare che diversi autori attinsero a queste storie , sia perchè di successo e quindi garantivano un ritorno economico, sia perchè, dopo tutto, rappresentavano una tipologia letteraria che non meritava di essere dispersa. Tra l'altro ne fu curata un'edizione ripulita adattandola a “lettura per l'infanzia”.

In effetti molte delle storie narrate si basano su episodi tratti da storie popolari che esistevano da molti secoli. Sta di fatto che le edizioni del libro furono veramente tante (oltre cento) ed ebbero calorosa accoglienza anche in Russia (venne tradotto pure in esperanto), ma per tutto l'Ottocento e il Novecento una notevole schiera di autori continuò a prendere spunto dalle Avventure del Barone ( come Carl Haensel, Paul Scheerbarts e altri). Per non parlare di fumetti e film molto graditi ad un pubblico di ragazzi, divertiti nel vedere il loro eroe attraversare il campo nemico a cavallo di una palla di cannone, tirarsi fuori da un pantano tirandosi per i capelli, arrivare sulla Luna arrampicandosi su una pianta di fagiolo e cose del genere, riuscendo sempre ad evitare la falce della morte che inutilmente continuava ad inseguirlo. Anche gli altri personaggi delle sue storie non scherzavano : chi aveva la vista più potente di un telescopio, chi possedeva un soffio più potente del vento, chi era più forte dei giganti, e così via.

Insomma la storia del Barone di Munchhausen ha divertito intere generazioni e ha reso ricchi quelli che ne hanno scritto, ma ,paradossalmente, hanno reso amara l'ultima parte della vita proprio della persona che le aveva ispirate , quando l'appellativo di “fanfarone” distrusse la sua reputazione davanti alla gente e ai suoi stessi concittadini di Borderwerder, rendendolo ridicolo e discreditandolo definitivamente. Morì ultrasettantenne, poco dopo dopo avere impalmato una ragazza diciassettenne. La città di Konisberg gli ha dedicato una statua.

Addirittura la medicina gli ha prestato attenzione, chiamando “Sindrome di Munchhausen” quella patologia per cui un paziente denuncia disturbi fittizi per ottenere l'attenzione degli altri.

Non si contano le trasposizioni cinematografiche delle Avventure del Barone, che sono svariate decine e riguardano addirittura i primi tentativi di filmografia. Si può dire che il cinema , quello in bianco e nero e muto, sia nato con il Barone. Come dimenticare infatti il pur ingenuo cortometraggio del 1911 ad opera di Georges Méliès (considerato l'inventore del cinema insieme ai fratelli Lumiére), tratto dal testo tradotto dal libro di Burger nientemeno che da Théophile Gautier.

“Le avventure del Barone di Munchhausen sono il tipico esempio di una storia i cui contenuti hanno ampiamente travalicato la vera vita e l'importanza dell'uomo che li ha ispirati. Un uomo a cui, in fondo, piaceva solo divertirsi e stupire e che finì per morire da “barone fanfarone”.

 

MASANIELLO

Tommaso Aniello d'Amalfi, noto come “Masaniello (crasi dei due nomi) , nasce nel 1620 a Napoli.

E' bene precisare che in quel periodo Napoli era una città disordinata e popolosa (solo Parigi, in Europa, poteva vantare un più alto numero di abitanti), con un intricato reticolo di stradine e viuzze dove una popolazione povera e disperata, schiacciata da pesanti gabelle e dall'impossibilità di partecipare alla vita amministrativa della città, cercava di tirare avanti alla meno peggio. Insieme a tutto il meridione, anche la città faceva parte dei territori sottomessi alla corona spagnola di Filippo IV, re molto amato dai napoletani che invece odiavano il vicerè Duca D'Arcos . La potenza spagnola era peraltro già fortemente in declino a causa dei numerosi e costosissimi conflitti in cui era a vario titolo coinvolta. E motivo per il quale imponeva esosi tributi che soffocavano popolo e plebe. In questa cornice un pescatore di umili origini , trasformandosi in una specie di “capopopolo”,fu capace di innescare una ribellione di massa che rischiò di far traballare il dominio spagnolo.

L'insofferenza di Masaniello per il governo cittadino (maturata anche per la prigionia dovuta ai suoi reati da contrabbandiere), esplose allorchè venne introdotta una nuova tassa sulla frutta, di cui il popolo faceva largo uso, non potendosi ovviamente permettere cibi più costosi. Fu così che , approfittando della sua eloquenza trascinatrice, il 7 luglio 1647 guidò al mercato la rivolta dei “lazzari” del popolino che si rifiutarono di pagare la nuova imposta. In breve tempo , al grido “Viva il Re di Spagna, mora il malgoverno”, furono assaltate le case di nobili e patrizi, nonché il palazzo delle imposte, mentre le celle delle prigioni, svuotate dai malcapitati che ospitavano, furono riempite con le mogli e i parenti dei nobili e dei notabili cittadini. Masaniello venne nominato “Capitano generale del fedelissimo popolo napoletano”. Sembra che nella realtà Masaniello fosse manovrato da un certo Genoino, agitatore politico da lui conosciuto in galera e che fosse quello che gli dettava l'agenda della ribellione. Certo che le autorità furono costrette a trattare con lui, (che il 10 luglio riuscì a a scampare ad un attentato) e addirittura a riceverlo pubblicamente insieme alla moglie. Dispose anche esecuzioni sommarie, e riuscì ad annullare le decisioni del Vicerè, dimostrando perfino notevoli capacità militari. E' l'11 luglio quando Masaniello può chiaramente dire di essere il padrone di Napoli. Un'ascesa repentina e imprevedibile. A questo punto, però, accade qualcosa. Improvvisamente Masaniello inizia a dare segni di squilibrio mentale,teme per la propria vita, smette di mangiare se i cibi non sono preparati da un suo parente,comincia a bere smodatamente, intima a chi lo avvicina di radersi i capelli (teme travestimenti femminili), ordina diverse esecuzioni. Insomma comincia a vedere complotti dappertutto. E con tutta probabilità diviene causa della sua sfortuna.

E' solo il 16 Luglio quando, dopo aver cercato di far presa sulla folla con un discorso che avrebbe dovuto rendere conto dei suoi comportamenti, all'interno della Basilica del Carmine viene raggiunto da cinque colpi di archibugio (si dice favoriti dallo stesso Genoino ansioso di sostituirlo alla testa del popolo e che poco dopo ricevette una promozione all'Ordine Forense). Dal suo corpo venne tagliata la testa e il tutto gettato tra i rifiuti. Riapparvero immediatamente le gabelle da poco cancellate e ci fu chi ,rimpiangendolo, recuperò la salma ricomponendola ed ottenendo che gli venissero celebrate solenni esequie a cui assistettero migliaia di napoletani. Tanto veloce la sua ascesa, tanto repentina la sua fine. Masaniello resta un mito per aver saputo infiammare gli animi dei suoi compaesani ed avere in qualche modo contribuito a cambiare la storia di Napoli. Infatti i moti di ribellione continuarono anche dopo la sua morte, e mentre la rivolta del 1627 in fondo non metteva in discussione la sovranità spagnola, in seguito si trasformò in una lotta per l'indipendenza che si concluse con Enrico II di Guisa a capo della nuova nata Repubblica Napoletana. La sua figura fu equiparata a quella di Oliviero Cromwell (fondatore della prima ed unica repubblica inglese), e venne evocata in famose opere teatrali come “La muta di Portici”. In realtà il personaggio a cui più realisticamente può essere accostato, in fondo, è quello di “Che Guevara”.

Come lui, grazie alla sua figura carismatica, riuscì a sollevare e farsi seguire da un popolo oppresso e desideroso di rivalsa, come lui fu tradito da coloro che credeva amici e di cui si era fidato, e come lui è, infine, entrato a pieno titolo nel mito.

 

I COPTI

Non è mai facile per un popolo, nè potrebbe esserlo, disfarsi di abitudini millenarie o dimenticare tradizioni che per secoli lo hanno contraddistinto. L'Egitto, terra di una delle civiltà senz'altro più antiche e affascinanti di tutta la storia, è stato teatro di quell'impero faraonico che tra piramidi e mummie ci ha lasciato un immenso patrimonio ancora ricco di misteri . Ebbene, dopo essere stato conquistato dai Romani e fino a quando non furono gli arabi , nel VII sec . d.C. , a invaderlo, fu pienamente cristiano. Oggi di quei cristiani ne resta una esigua minoranza (i Copti, appunto) che costituisce , forse, appena il 10% della popolazione. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la cristianità copta non rappresenta una rottura con il proprio passato, bensì addirittura mostra un legame ancestrale con la cultura millenaria che l'ha preceduta. La tradizione vuole che sia stato san Marco a cristianizzare l'Egitto nel I sec. , probabilmente ad Alessandria, diffondendosi in tutta la valle del Nilo e venendo accettata non come qualcosa di totalmente nuovo, bensì come una naturale prosecuzione delle antiche credenze faraoniche , essendo molte fra loro le similitudini (come il comune concetto di morte e resurrezione , come gli evidenti parallelismi tra la storia di Gesù e quella di Horus, nonché tra i Dieci Comandamenti ed il Libro dei Morti).

ll capo della chiesa copta è il Patriarca di Alessandria , che loro chiamano Papa. Il distacco dalla Chiesa latina si verificò all'indomani del Concilio di Calcedonia nel 451, non accettando la disposizione secondo cui Cristo sarebbe stato allo stesso tempo Dio e Uomo. Dalla Chiesa Copta ebbe origine la Chiesa monofisita etiopica ( che riconosce la sola natura divina di Cristo) che si rese indipendente dal patriarca di Alessandria. Presso i Copti il culto dei Santi non è permesso, e durante l'anno festeggiano sette sante feste maggiori e sette sante feste minori. Il loro calendario parte dal 284 d.C. (anno della peggiore persecuzione da parte di Diocleziano). La liturgia Copta presenta divergenze con quella Cristiana ortodossa, ma la cosa più interessante è riscontrare le affinità con la storia religiosa degli antichi faraoni. La stessa parola "copto" in realtà significherebbe "egiziano", derivando dalla parola greca "Aegyptos" che a sua volta deriverebbe dall'egiziano " Hakkaptah" (dimora dello spirito di Ptah), nome dell'antica capitale Menfi. Poichè all'epoca della conquista araba gli egiziani erano cristiani, col termine copto si indico' genericamente, allora come adesso, la popolazione cristiana. A dimostrazione che il cristianesimo si era radicato in tutto l'Egitto , basta ricordare che fu nel sud di questo vasto territorio che furono ritrovati importanti testi in lingua copta come "il Vangelo di Giovanni". Molte comunque sono le analogie tra le credenze copte e la religione faraonica. Gli Dei egizi erano differenti rappresentazioni di una singola divinità, il che spiegherebbe la facile accettazione del concetto di Trinità e della conseguente forma a tre punte della croce copta. Anche nella religione egiziana il dio Osiride sperimenta sia la morte che la resurrezione , mentre il figlio Horus assiste al passaggio delle anime nell'aldilà (famosa, nel Libro dei morti la pesatura del cuore che, se appesantito da peccati, viene respinto). In pratica nella religione egiziana è il Padre che muore e risorge, mentre nel cristianesimo a farlo è il Figlio, il che cambia poco nella sostanza . E' comunque il figlio, Horus , che permette ai meritevoli il passaggio dalla vita alla morte (e sappiamo con quanta cura gli egiziani preparavano tale viaggio, circondandosi di quei preziosi corredi che abbellivano le loro tombe),permettendone in definitiva la possibile resurrezione . Osiride inoltre si identifica nel pane e nella birra, perchè il suo corpo, dopo la morte si trasforma in alimento e l'ingestione di tali alimenti precede di secoli i rituali cristiani dell'eucaristia.

Sia nella concezione egizia come in quella cristiana, il superamento della morte conduce ad un'altra vita fatta di gioie sconosciute. Fu senz'altro per questo significato di "vita" , che accomuna le due tradizioni religiose, che il simbolo della croce copta deriva dall' ankh egiziano, il cui significato può riferirsi al concetto della "gioia di vivere" nel regno ultraterreno.

Attualmente i Copti hanno nominato il loro Papa numero 118, che è stato eletto da un bambino, simbolo di innocenza , tirando a sorte perchè guidato, così si crede, dalla mano di Dio.

I Copti, che si rifanno alla dottrina di Cirillo di Alessandria, credono quindi che Dio abbia una unica natura in quanto sostengono che altrimenti, nel caso della doppia natura ( di uomo e di Dio) , la trinità diventerebbe una "tetra-unità ". I Copti, nonostante la religione islamica permetta ufficialmente alle "religioni del libro" (cristiani, ebrei e zoroastriani), di professare con libertà la propria religione, sono stati in realtà oggetto di molte discriminazioni, con la proibizione della conversione dall'islam al cristianesimo e del matrimonio di donne musulmane con cristiani. La religione copta ortodossa si differenzia da quella copto cristiana, essenzialmente etiope, per la convergenza di quest'ultima con la religione romana, voluta dal Negus Hailè Selassiè e che ha trovato una certa espansione addirittura in Giamaica, propagandata anche dalla musica reggae di Bob Marley. Caratteristico è il trasferimento dei colori della bandiera etiope (rosso, giallo, verde,) nell'abbigliamento tipico nazionale.

 

BARBA BAFFI E CAPELLI

Al giorno d'oggi ognuno può decidere di portare la barba un po' come gli pare, lunga o corta o seguendo i dettami di fragili mode. O di non portarla affatto.

Ma in realtà la storia della barba coincide con la storia stessa dell'uomo.

La definizione esatta di questo attributo sarebbe “ Carattere sessuale secondario maschile”, ma nel tempo il suo uso ha cambiato spesso forma e significato associandosi comunque, in ogni caso, ad un forte valore simbolico. Portare la barba non significa semplicemente averla, ma prendersene cura , pettinarla , spazzolarla e profumarla. I Babilonesi la tenevano in tale considerazione da usare dei pettini appositi e degli oli particolari. Gli Egiziani, al contrario, usavano radersi per motivi igienici, ma facevano uso di barbe finte (rinvenute nelle tombe). Per i Greci era simbolo di potere e virilità almeno fino all'arrivo di Alessandro Magno. Il grande macedone, infatti, abituato a guardare ogni cosa in ottica bellica, considerava la barba un pericolo ed un appiglio per un eventuale nemico a cui non si doveva fornire alcun vantaggio. Presso i Romani la barba non era gradita, ed era in uso la cosiddetta “depositio barbae”, la rasatura che indicava il passaggio all'età adulta.

Nell'Antico Testamento si ricorda Sansone, che legava ai capelli la sua forza che spariva ,se tagliati,

Nell'islam la barba veniva portata per rendersi il più simili possibile al profeta Maometto, mentre per gli ebrei tagliarsi la barba costituiva un sacrilegio. Le tribù germaniche del nord tenevano molto al loro aspetto barbuto, cui attribuivano,virilità e bellezza, tanto da costringere gli schiavi a radersi e portare capelli tagliati, tanto per marcare la differenza.

Successivamente per i Merovingi, noti anche come i sovrani “ lungo-chiomati”, il loro stesso status dipendeva dal portare lunghe capigliature. Al contrario Carlo Magno, per distinguersi dai “Re fannulloni” adottò l'uso dei capelli corti, favorendo l'uso dei baffi .

Addirittura la barba , al di là della tradizione, col medioevo ebbe a piegarsi a leggi e divieti.

Il cristianesimo si diffonde ed il Papa si occupa anche di questioni come l'uso della barba. Infatti, per evitare confusioni di genere, e per evidenziare nettamente la differenza tra sessi che poteva essere indotta dalla lunghezza dei capelli, ne impone il taglio. E' il 1073 quando Papa Gregorio VII vieta capelli lunghi barba e baffi , soprattutto al clero minacciato addirittura di scomunica. Nel 1066 è Guglielmo il Conquistatore che promulga un editto che vieta la barba ai sudditi inglesi. E' tempo di fantasia e dal VI secolo compaiono i baffi alla cinese , troppo scomodi per durare a lungo.

All'epoca delle Crociate la barba perde un pò importanza e fa la sua apparizione la variante con pizzetto, per scomparire del tutto , prima di tornare in auge nel XIII sec. Filippo il Bello, il sovrano che diede la caccia e mise al rogo i Cavalieri Templari, amava la barba, e di conseguenza tutta la sua corte lo seguiva in questa scelta ma, non appena morì misero mano ai rasoi. In pratica sino a tutto il Quattrocento la Francia non ebbe più barbe alla sua corte. Nel 700, poi, l'uso di parrucche e ciprie non permise l'uso della barba.

Andando avanti nel tempo la barba , soprattutto se folta e fluente, cominciò ad essere associata ad un immagine di saggezza e cultura. Infatti con l'età la barba tende inevitabilmente a divenire bianca, cosa che fu considerata sinonimo di vita vissuta e di esperienza. Pensate che anche laddove era proibito portare la barba, lo era concesso agli uomini ritenuti colti e saggi.

Nel Rinascimento è tutto un fiorire di “barbe importanti”. Praticamente tutti i geni e gli artisti di quel periodo sono raffigurati con vistose barbe. Sapreste immaginarvi Leonardo da Vinci senza la sua proverbiale barba? E Michelangelo ? E Tiziano? E Donatello? Il bello è che con il consolidarsi dell'uso della barba, parallelamente si sviluppò un importante mercato di prodotti per la sua cura. Nascono così prodotti specifici, come vari tipi di creme o cere , ferri caldi che arricciano baffi o strisce che li piegano e così via..In Inghilterra nasce il pizzetto appuntito detto, appunto, “all'inglese”. Non solo Aristotele al suo tempo,, ma anche la maggior parte dei filosofi ,degli storici e dei pensatori dell'era moderna non hanno saputo fare a meno di barba e baffi. Pensate alle barbe di Darwin, Marx, Engels, Freud, ai fluenti capelli di Newton, ai baffi di Nietzsche e di Einstein.

Negli eserciti, mentre gli ufficiali si compiacevano di adornare il loro viso con barba e baffi, alla truppa è sempre stato vietato portarli , anche se in taluni casi il divieto aveva una sua giustificazione ( come il permettere di indossare le maschere antigas in perfetta aderenza).

Oggi la barba può assumere anche valenze politiche , come nei rivoltosi “barbudos” cubani che la portavano giurando di non tagliarla prima della vittoria finale , o addirittura negative , come nel caso dei “barboni”, indicati come “senza tetto”.

Mentre una volta ,in definitiva, era la tradizione , o la religione, o la cultura del periodo a dettare regole e stili, oggi che portare la barba può essere considerato un fenomeno di massa, si è ritornati all'antico significato per cui chi decide di portarla più o meno inconsciamente cerca di associarsi ai saggi e ai colti, o a quella immagine di forza fisica propria dei guerrieri dell'antichità , nonche' ai ribelli di ogni epoca.

 

L'ANNO MILLE

Nell'era cristiana il numero mille ha da sempre evocato vecchie paure e simbologie strane..

Sono passati appena due millenni da quando Gesù cominciò a raccontare la sua storia, eppure ogni volta, all'approssimarsi di ogni millennio, il popolo cristiano ha immaginato che allo scadere della mezzanotte di quei due giorni dovesse accadere chissà quale cataclisma. In realtà il motivo di tutto questo, senza dubbio molto enfatizzato dalla storia successiva , affonda le sue radici su due fatti essenziali. Il primo dovuto al fatto che la Bibbia preannuncia il ritorno di Cristo (Parusia) il che ,per altro, poteva essere rassicurante in quanto avrebbe dato inizio ad un periodo di pace e tranquillità. Però il ritorno stesso da molti veniva visto coincidente alla fine del mondo, il che incuteva, come normale, molti timori.

Nulla in confronto alla seconda motivazione che trae origine dalla lettura dell'Apocalisse di San Giovanni, dove chiaramente si annuncia che “dopo mille anni” Satana si sarebbe risvegliato e con le sue armate avrebbe dichiarato guerra all'uomo e a Dio, per cui si avrebbe avuto lo scontro finale tra il bene e il male ( “ Armageddon”, dal nome del luogo in cui si sarebbe svolta la battaglia) a cui sarebbe susseguito il Giudizio Universale .Non si aveva paura del ritorno di Cristo, ma di quello che sarebbe potuto accadere dopo, quando tutte le anime sarebbero state giudicate meritevoli di salvezza o meno . Non la morte spaventava, quindi, ma il Giudizio.

Ora, anche se bisogna riconoscere che a quei tempi la fede era qualcosa di totalizzante e quindi era lecito, dato che a Dio era possibile ogni cosa, che ogni cosa potesse accadere, era assolutamente privo di senso affidarsi a date e giorni di calendario. E questo perchè, anzitutto, non c'era né calendario, né un modo univoco di contare il tempo, quindi, in pratica, erano veramente pochi quelli che potevano sapere di trovarsi alla fine del 999. L'era cristiana, introdotta da Dionigi il Piccolo nel VI sec. era adoperata , in quel periodo, solo da Inghilterra, Germania e Francia, mentre il primo documento pontificio recante una data calcolata con l'era cristiana risale al 968, poco prima della fine del millennio.

Occorre precisare che le date, allora, venivano usate esclusivamente da notai e scribi, e i riferimenti erano assai vari, come l'anno di regno di un imperatore, di un papa o di un re.

Tale sistema, del resto, è ancora in uso nei documenti pontifici, in cui tale indicazione è tuttora affiancata alla data dell'era cristiana. Del resto fu molto lungo il periodo in cui alcuni facevano partire l'anno con il concepimento di Gesù (25 marzo) mentre altri con la sua nascita (25 dicembre).

Non contenti, visto che nell'anno Mille non accadde assolutamente niente di diverso dal solito (le solite guerre, le solite malattie, le solite calamità naturali), molti pensarono di spostare le proprie paure dalla data dell'incarnazione di Cristo a quella della sua morte, cioè al 1033. Del resto non erano pochi a credere che il Diavolo fosse già venuto e risiedesse in Vaticano, con riferimento a Gerberto d'Aurillac ( Silvestro II), “il papa dell'anno Mille”, noto mago e alchimista. .

E poi, la data più importante a cui facevano riferimento i cristiani era la Pasqua, giorno in cui cominciava l'anno, celebrando la morte di Gesù (data certa) e la sua resurrezione, invece della nascita (data controversa).Ma oltre ai giorni anche l'ora era soggettiva. Ad esempio, l'inizio del giorno, nella liturgia cristiana, comincia col tramonto del giorno prima, (per i romani iniziava all'alba).

L'univocità della “mezzanotte “ si ebbe solo in seguito , con l'avvento degli orologi meccanici (nel XVI sec).

Ovviamente nell'anno 2000 si conosce la data della mezzanotte, i riferimenti temporali si sono uniformati ad un unico calendario e gli orologi spaccano il secondo, ma nell'epoca di Internet e di Netflix non sono più tanti disposti a credere ad un Giudizio annunciato, anzi le paure maggiori sono state riservate al fatto che si temeva che i computer, per il cambio di data, potessero mal funzionare. Però c'è stata gente , comunque, che si è rifugiata in luoghi ritenuti sicuri (ad esempio in alta montagna) , come accadde per la fine del monto annunciata dai Maya. Ma a loro non è stato riservato niente più che un trafiletto nei giornali, fra le “curiosità”.

 

PROSTITUZIONE SACRA

La prostituzione, benchè ritenuta cosa riprovevole e da limitare se non addirittura da eliminare, comunemente definita “il mestiere più antico del mondo”,è stata un costume diverso a seconda dei tempi e dei luoghi. Del resto è ancora così. Nel passato è successo che chi praticava la prostituzione doveva indossare abbigliamenti tali da essere facilmente identificato . La morale perbenista e le indicazioni religiose hanno per lo più condannato tali atteggiamenti, soprattutto con l'avvento del Cristianesimo. Per prostituzione sacra , invece, si intende un rituale sessuale che viene a svolgersi all'interno di un culto religioso (si parla anche di prostituzione del tempio) con la finalità di propiziazione della fertilità o anche inteso come “ matrimonio divino”.

Tali usanze pare che venissero adottate in tempi antichi specie nel vicino Oriente ,e soprattutto tra i babilonesi, i fenici e gli assiri, ma anche altrove, (come a Corinto ed a Erice, in Sicilia, o a Locri, nella Magna Grecia).

Alcuni preferiscono la forma “sessualità sacra”, nel caso non intervenga nessuna forma di pagamento, anche se ciò avveniva raramente, in quanto occorreva incrementare le entrate del tempio di cui si faceva parte. Anche nel Deuteronomio si parla di prostituzione sacra, ma solo come divieto per gli ebrei di partecipare a questa pratica. In Mesopotamia la dea dell'amore si chiamava Ishtar (corrispondente ad Afrodite), e per il fedele unirsi carnalmente alla sacerdotessa del tempio veniva considerato atto propizio alla fertilità e quindi al benessere della società stessa.

Le protagoniste del rito erano sovente fanciulle vergini di buona famiglia, o schiave , che si univano a perfetti sconosciuti.

La prostituzione sacra veniva praticata in santuari o templi denominati anche “Case del Cielo”, ampiamente descritte dallo storico greco Erodoto.

Alla luce di quanto lui racconta, un'usanza babilonese imponeva a ogni donna , almeno una volta nella vita, di avere un rapporto intimo all'interno del tempio, con uno sconosciuto di passaggio. L'uomo usava gettare delle monete in grembo alla prescelta, la quale non poteva in alcun modo rifiutarsi. Capitava che le più belle assolvessero rapidamente a quest'obbligo, mentre altre rischiavano di rimanere nel tempio anche anni.

Si usava distinguere tra prostituzione “temporanea” (ad esempio per il tempo necessario a procurarsi una dote) , e prostituzione permanente.

Sembra che i re sumeri prendessero parte al rito sessuale all'interno del tempio della dea della fertilità , Ishtar , una volta l'anno durante le festività primaverili.

In Grecia vi era l'usanza, dopo una vittoria, di far dono di fanciulle al tempio di Corinto, dove lavoravano come prostitute, insieme alle altre centinaia che vi si trovavano d'abitudine.

Ila prostituzione sacra non era riservata solo alle donne ,perchè anche sacerdoti uomini (detti kadesh) erano chiamati a praticarla. Nella Bibbia, nel ripudio dei riti stranieri viene inserito anche quello verso questo tipo di prostituzione, preludio alla condanna totale verso l'omosessualità che divenne caratteristica per tutto il giudaismo.

Si deve a Costantino I se tutte la Case del Cielo vennero chiuse e se la prostituzione sacra venne abolita definitivamente, insieme alla venerazione delle varie dee dell'amore.

Testimonianze di prostituzione sacra coinvolgono anche la Siria, l'Egitto e la Mecca. Tali consuetudini vennero abbandonate con l'avvento delle religioni monoteiste.

In India e Indonesia la prostituzione templare delle Deva Dasi (prostitute danzanti, chiamate baiadere dagli esploratori portoghesi), è stata vietata solo nel 1950.

Anche le popolazioni dell'America centro meridionale avevano tipiche abitudini all'interno di culti religiosi in cui dominavano i simboli fallici. Si praticava una prostituzione sacra di tipo omosessuale, ed avevano un Dio (Xochipilli) che proteggeva sia gli omosessuali che i prostituti maschili .I re, anche quelli eterosessuali, solevano avere rapporti omo come pratica religiosa.

Ai giovani che venivano instradati a questo compito, inoltre, venivano fatti indossare abiti femminili .

E' ovvio che ai Conquistadores, inorriditi, simili comportamenti di pratica religiosa dovessero risultare inaccettabili, e cercarono di soffocare l'inclinazione verso le varie forma di omosessualità, pedofilia, pederastia ed efebofilia. Per farlo usarono i metodi più sbrigativi e crudeli di cui erano abituati a fare uso: tortura, morte sul rogo e decapitazione di massa.

GLI ANTIPAPI

Con la parola “antipapa” si intende colui che la Chiesa, o meglio parte di essa ,elegge Papa seguendo procedure ritenute non canoniche.

Può sembrare strano, ma poteva (e può) capitare che una parte di vescovi e cardinali, non ritenendosi soddisfatta della gestione politica o religiosa del Papa regolarmente eletto, scelga di nominarne un altro, che naturalmente finisce con l'avere una struttura, una sede e dei fedeli propri, alla stregua di uno dei partiti politici moderni. Insomma, due Chiese in competizione l'una contro l'altra che dicono di servire la medesima religione.

La Chiesa ha sempre considerato gli Antipapi come degli scismatici, o addirittura degli eretici.

Bisogna risalire al III sec. per trovare il primo caso di un antipapa. Infatti, mentre era in carica papa Callisto I, per protesta venne anche eletto un altro Papa col nome di Ippolito, che trovò la morte dopo essere stato confinato in una miniera sarda dall'amministrazione imperiale romana.

Non bisogna credere che l'elezione di un papa abbia dei risvolti esclusivamente religiosi o dottrinali, perchè in realtà ogni fazione politica europea, in caso di elezione , faceva pressione perchè venisse eletto un Papa di proprio gradimento che accogliesse le proprie richieste essendo nel Medioevo fondamentale l'appoggio papale soprattutto in occasione di guerre e alleanze, allora piuttosto frequenti quanto estremamente temporanee. Un esempio famoso di questo comportamento risale al 1377, al ritorno del Papa a Roma dalla così detta“cattività avignonese”. Alla sua morte ,infatti, prelati, cardinali e vescovi, in massima parte francesi, cercarono di imporre un uomo di loro fiducia. Quando invece venne eletto Urbano VI, si riunirono fuori Roma eleggendo un nuovo Papa che prese il nome di Clemente VII che dopo poco ristabilì la sede della Chiesa ad Avignone, sostenendo non valida l'elezione di Urbano VI. In pratica ci furono contemporaneamente fedeli di “obbedienza avignonese “ e fedeli di “obbedienza romana” (Scisma d'Occidente). Occorre sottolineare che a quei tempi, nonostante credenti e stati si schierassero per l'uno o per l'altro, non si aveva la netta percezione di chi fosse vero papa e chi no. Solo col tempo uno dei due si sarebbe legittimato. A volte gli antipapi sono stati addirittura più di due allorchè fazioni diverse (come al tempo delle investiture), finivano per eleggere l'uomo che sentivano più vicino ai loro interessi.

Lo scandalo delle elezioni multiple contribuì decisamente all'affermarsi del protestantesimo.

Da ricordare l'episodio verificatosi nel 1409,quando due papi ( Gregorio XII in carica a Roma e Benedetto XIII in carica ad Avignone) si incontrarono a Pisa per dimettersi onde procedere ad una elezione unitaria, ma invece accadde che una fazione dissenziente si riunì ed elesse Alessandro V, col risultato che i Papi divennero tre. Fu con l'elezione di Martino V nel 1417 che la Chiesa tornò ad essere unificata sotto un unico pontefice (operazione favorita dall'imperatore Sigismondo). Questo fu possibile perchè nel concomitante Concilio di Costanza si stabilì che le decisioni prese potessero essere adottate indipendentemente dal volere papale. Questo tanto è vero che Papa Eugenio II, per evitare che si stabilisse una consuetudine di superiorità del Concilio rispetto al Papa (Conciliarismo),arrivò al punto di sciogliere il successivo concilio di Basilea del 1437. Scorrendo l'elenco dei Papi e degli Antipapi, si nota come alcuni nomi siano ripetuti, ma bisogna precisare che i nomi degli Antipapi non sono riconosciuti dalla Chiesa cattolica e che quindi non fanno comunque parte dell'elenco ufficiale dei Papi, come se non fossero mai esistiti.

Se da un punto di vista formale dal 1449 non ci sono stati più antipapi, non bisogna dimenticare che esistono quelli che sotto il nome di “sedevacantisti”,per lungo tempo chiamati “barbaristi” dal nome del loro padre Noel Barbara, sostengono che tutti i Papi susseguenti a Pio XII (1939 -58) sarebbero illegittimi per non aver rispettato il vincolo di “condanna del modernismo”, stabilito nel Concilio Vaticano II (1962). Questo ha dato il via alla nascita di numerose Chiese ampiamente minoritarie i cui Papi, sovente, hanno assunto il nome di Pietro (probabilmente in ossequio alla ben nota profezia di Malachia che profetizza come sia “Petrus Romanus” il nome del Papa destinato a chiudere definitivamente la successione papale) e che, a loro volta, considerano antipapi quelli eletti dai conclavi postconciliari. Anche le associazioni dette “Conclaviste” giudicano illegittimi i Papi successivi al Concilio Vaticano II e ritengono che bisognerebbe riunire il conclave e procedere alla elezione di un nuovo Papa.

Qualcuno si è divertito a contare quanti siano i pretendenti contemporanei al soglio pontificio, e pare che siano molto numerosi (più di quaranta), così che sicuramente siamo in grado di potere indicare alcune delle Chiese e dei Papi

più noti a cui fanno riferimento (ovviamente tutti passibili di scomunica) :

-Manuel Alfonso Corral, deceduto nel 2011, autoproclamatosi Papa della scismatica Chiesa Cattolica Palmariana col nome di Pietro II.

-Clemente Dominguez Gomez, autoproclamatosi presbitero col nome di Gregorio XVII e deceduto nel 2005. Sostenne di avere assistito a presunte apparizioni della Madonna. Palmariano.

-Michel Collin, della Chiesa degli Apostoli dell'Amore Infinito, morto nel 1974. Anche lui avrebbe avuto delle visioni mistiche

-Gino Frediani, morto nel 1984, autoproclamatosi papa della Chiesa Novella Universale del Sacro Cuore di Gesù, col nome di Emanuel I. Avrebbe avuto numerose visioni di profeti dell'Antico Testamento.

-Sergio Maria Jesus Hernandez, papa col nome di Gregorio XVIII, dimessosi nel 2016. Anche lui Palmariano.

Attualmente la più consistente “Chiesa alternativa “è quella Palmariana, con sede in Spagna.

E questi sono solo alcuni. Si potrebbe continuare, ma si ribadisce che dalla Chiesa ufficiale sono tutti da considerare come gruppi scismatici ed in alcuni casi eretici.

In questo contesto, anche se non arrivò a proclamarsi Papa, è da ricordare il caso di Monsignor Lefebvre, francese e tradizionalista, che fece molto scalpore perchè si oppose alle decisioni del Concilio Vaticano II, fino al punto di fondare la “Fraternita Sociale san Pio X” ,cosa che lo portò prima ad una condanna e poi alla scomunica nel 1988.

QUANDO GLI ARABI PROVARONO A CONQUISTARE IL MONDO

Nel VII sec. dopo Cristo due grandi imperi economici e militari continuavano da un secolo a scontrarsi ,sicuri della loro forza e incuranti di ciò che accadeva nel resto del mondo. Si trattava dei Bizantini e dei Persiani ( storici avversari dei Romani). Nel 614 i Sasanidi (Persiani) riuscirono a conquistare Gerusalemme e a trarne un vistoso bottino, e nel 626 arrivarono ad assediare Costantinopoli, ma la riscossa del 628 porto' il bizantino Eraclio a conquistare addirittura Ctesifonte ,capitale persiana. Nonostante la vittoria ,dopo le lunghe battaglie l'impero bizantino non versava in condizioni migliori di quello che restava dell'impero Sasanide. E ci fu chi seppe approfittare di questo momento di debolezza. Nel 570 alla Mecca era nato Maometto, da una famiglia di mercanti , e dopo 25 anni si era sposato con una ricca vedova da cui ebbe sei figli. Dal 610, però , l'arcangelo Gabriele gli sarebbe apparso a più riprese trasmettendogli ogni volta alcune parti (sure) di quello che sarebbe in seguito divenuto il Corano, libro sacro musulmano. Maometto predicò una fede monoteista che riconosceva un unico Dio, Allah, di cui si proclamava ultimo profeta biblico. Già mentre era in vita la penisola arabica si convertì alla fede islamica, rinnegando le fedi politeiste, e alla sua morte (632) venne eletto il primo Califfo della storia dell'Islam : Abu Bakr

Fu alla morte di quest'ultimo che , con il suo successore Omar ebbe inizio, nel 634, la inarrestabile e repentina espansione dell'Islam. Nel giro di pochi anni Omar conquistò la Siria e la Palestina, debellò una volta per tutte i Sasanidi e sottomise Egitto e Libia. Quando fu assassinato (644) , Othman, terzo Califfo, occupò l'Algeria, prima di essere, anche lui, vittima di una congiura. I Califfi Omayyadi, dopo il quarto Califfo Alì, continuarono le guerre di annessione, conquistando Afghanistan e Uzbekistan,e arrivando a scontrarsi anche con l'impero Cinese.

Fu nel 711 che l'esercito arabo, nel frattempo divenuto padrone anche delle acque del Mediterraneo dopo aver preso possesso dei cantieri navali di Alessandria d'Egitto, sbarcò a Gibilterra, impadronendosi di tutta la Penisola Iberica. Nonostante la loro fulminante cavalcata fosse interrotta da Carlo Martello che li sconfisse nella celebre battaglia di Poitiers (vicino Parigi) del 732, il dominio degli arabi su quelle terre durerà per oltre 700 anni, quando fu completata la “reconquista” spagnola nel 1492. Nel frattempo la dinastia Omayyade fu sostituita da quella Abbaside che spostò più ad oriente la capitale, da Damasco a Baghdad. In ogni caso nel 827 gli arabi conquistarono la Sicilia, restandovi fino a quando non vennero scacciati dalle truppe normanne di Roberto il Guiscardo nel 1091.

Dopo vari scontri con l'impero Moghul (fondato in India da Babur , discendente di Tamerlano) il potere dei califfi venne assunto nel XIII sec. dai Mamelucchi (soldati di origine servile-mamelucco vuol dire “schiavo”). Questi dovettero fronteggiare l'avanzata travolgente dei Turchi convertiti all'Islam, che giunsero a conquistare Serbia e Bulgaria, dando origine, così ,al cosiddetto Impero Ottomano il quale, nel 1453, guidato da Maometto II, conquistò Costantinopoli (la Nuova Roma), ponendo fine all'impero romano d'Oriente. Maometto II, detto anche “il Conquistatore”, accarezzò il sogno di ricreare la grandezza dell'impero romano e la fama dei Cesari conquistando anche la Prima Roma , attraverso l'invasione dei Balcani (fermato da Vlad III di Valacchia). In realtà la conquista armata si accompagnò ad una espansione dell'Islam come fede, che si allargò con velocità impressionante sia verso l'Africa che verso est raggiungendo l'India , l'Indonesia e le Filippine.

Il ritiro dell'Impero Ottomano dall'Europa iniziò all'indomani della sconfitta subita nella famosa battaglia di Lepanto del 1571, dando luogo agli stati indipendenti di Grecia, Romania e Bulgaria.

Una diversa occupazione, di tipo essenzialmente religioso, interessò da allora tutta l'Europa ed oggi si calcola che il 10% circa della popolazione europea sia musulmana.

Come tutto ciò sia potuto accadere,ed in un tempo così breve, è stato e continua ad essere materia di studio e di attenta osservazione da parte di numerosi storici. All'inizio sicuramente la sottovalutazione del pericolo che poteva derivare dalle tribù della penisola arabica , estremamente divise e che invece si riunirono attorno ad una stessa fede. Importante fu la presenza di abili condottieri militari che seppero, anche in condizione di inferiorità numerica, sfruttare le debolezze di eserciti avversari stanchi e demotivati. Influirono sicuramente i periodi di crisi di Imperi come quello bizantino e Sasanide, ma quello che determinò una tale evoluzione dipese essenzialmente dal fatto che molte popolazioni trovarono decisamente “più conveniente” la conversione all'Islam. Bisogna tenere presente che in molte zone erano praticate le eresie monofisite (che negavano la natura umana in Gesù) e nestoriane (che invece ne sostenevano la separazione delle due nature, umana e divina) entrambe perseguite con decisione da Bisanzio, e che sempre a Bisanzio dovevano gravosi tributi. A costoro l'islam offrì (oltre a tasse più miti) la possibilità di esercitare liberamente la propria fede, pur che accettassero la superiorità dell'Islam, in quanto non pagani da convertire necessariamente, ma “gente del Libro” che faceva uso delle stesse sacre scritture ispirate dallo stesso Dio, pur se corrotte dalla manipolazione umana. In tal modo fu vantaggioso convertirsi, potendo così avere la possibilità di entrare a far parte dell'amministrazione califfale. Etnie differenti, dunque, contribuirono, con la stessa lingua, l'arabo, e con lo stesso libro di riferimento, il Corano, a creare una unità che andava ingrandendosi man mano che aumentava l'espansione territoriale. Una grande crisi si verificò nel 661 quando Alì,cugino di Maometto, si ribellò alla dinastia Omayyade rappresentata dal Califfo Uthman. Dopo che entrambi vennero assassinati si produsse quella scissione che si protrae ancora ai nostri tempi, tra Sunniti (che riconoscono la Sunna, gli scritti con le azioni e le parole del Profeta) e Sciiti (che non riconoscono l'autorità califfale, ma solo Alì come successore legittimo di Maometto).

LE SORGENTI DEL NILO

Probabilmente nessun fiume, per quanto lungo e imponente, ha mai esercitato il fascino del Nilo.

Lo stresso Egitto, con la sua storia millenaria, con tutta probabilità non sarebbe esistito senza questo corso d'acqua che , quasi come una ininterrotta oasi, si stende per migliaia di chilometri in mezzo al deserto, consentendo lo svilupparsi stesso della vita. Gli abitanti della “valle del Nilo” erano consapevoli di questo e per loro, da sempre, l'acqua del fiume è stata considerata sacra, mentre lo stesso Nilo è stato assimilato ad una vera e propria divinità. L'andamento delle abitudini egiziane si sviluppò seguendo gli umori del Dio Nilo, e le città furono fondate lungo il suo corso, sino all'ampio delta sul Mediterraneo (composto da cinque sbocchi, ognuno prendente nome dalla città vicina -come ad esempio Rosetta dove fu rinvenuta la famosa stele ).

Il Nilo , la cui lunghezza (stimata in 6853 Km.) rivaleggia con quella del Rio delle Amazzoni, ha sempre affascinato per il mistero di cui era circondato, tanto che per millenni è rimasta sconosciuta la sua stessa origine, pur costantemente ricercata. Solo recenti studi sui sedimenti profondi della sua foce hanno permesso di metterli in relazione con quelli provenienti dagli affluenti etiopici, permettendo di stabilire che il percorso del fiume risalirebbe a diversi milioni di anni, riuscendo nel tempo a scavarsi gole profonde, formando enormi laghi , attraversando diverse cataratte e superando altissime cascate.

Da sempre la scoperta delle sorgenti del Nilo ha interessato tutti popoli della zona , e non solo..

La difficoltà di percorrere a ritroso la corrente del fiume ha sempre costituito un formidabile ostacolo per coloro che, pur con coraggio e desiderio di avventura, hanno cercato di arrivare sino alle sue mitiche sorgenti. In realtà il terreno , ora arido ora paludoso, le foreste e le montagne inaccessibili, la malaria sempre in agguato, le popolazioni non sempre amiche, gli animali grandi e piccoli, dai leoni alle zanzare,in aggiunta alla mancanza di attrezzature adeguate, resero per tanto tempo impossibile l'impresa, aumentandone il mistero e il desiderio di svelarlo.

In realtà il Nilo, se vogliamo, ha due diversi punti di origine, Il Nilo propriamente detto, infatti, cioè quelli sahariano, parte da Kartoum, capitale del Sudan per dirigersi verso, il Mediterraneo, ma porta con sè le acque di due altri fiumi, che proprio in quel punto si uniscono. Si tratta del Nilo Azzurro che reca le grandi acque provenienti dall'Etiopia e dal lago Tana , e del più lungo Nilo Bianco, che invece giunge tumultuosamente in Sudan dopo avere attraversato il Burundi e l'Uganda.

Stiamo parlando di migliaia di chilometri che solo uomini coraggiosi e un po' pazzi potevano pensare di percorrere a piedi o in battello (dove era possibile).

Gli antichi faraoni ci provarono, e spedizioni inviate a Sud, ebbero solo il risultato di riportare in Egitto esclusivamente esemplari di, come vennero definiti, uomini piccoli e neri.

Però il famoso geografo alessandrino Claudio Tolomeo , già nel II sec. d.C. scriveva che il Nilo si muoveva dall'Equatore al Mediterraneo, partendo dai “Monti della Luna” (l'attuale Ruwenzori), dopo avere attraversato due grandi laghi. In effetti nel 1860 la teoria venne confermata ed ampliata da due esploratori di nome Burton e Speke, che constatarono come il fiume uscisse dal lago Vittoria per riversarsi nel lago Alberto, da cui proseguiva per diventare il Nilo propriamente detto.

Molti forse non sanno che diverse spedizioni tendenti a identificare la posizione delle sorgenti del Nilo furono organizzate dai Romani da un personaggio per molti versi insospettabile: Nerone. Tra il 62 e il 67 d.C., infatti , gruppi di soldati comandati da diversi centurioni risalirono il Nilo, alla ricerca anche delle principali vie carovaniere. Notizie di queste spedizioni ci vengono da Seneca e da Plinio, che allora chiamavano Etiopia tutte le terre a sud dell'Egitto. Anche i Greci erano a conoscenza di queste notizie, e dobbiamo ad un mercante greco di nome Diogene (i Greci sostenevano d'altronde che ogni fiume avesse un Dio collegato di sesso maschile, padre delle Naiadi) l'attribuzione del nome di “Monti della Luna” a quelle alture da cui pensava che nascesse il Nilo, quello di “Laghi della Luna” ai laghi Vittoria e Natron , e infine di “Altopiani della Luna” a quei territori che oggi corrispondono al Parco di Serengeti. Solo nel 1934 venne stabilito con precisione il reticolo dei corsi d'acqua, grandi e piccoli, che si compongono in materia vorticosa e complicata sino a dare origine alle sorgenti tanto ricercate E fu il tedesco Burckhart Waldecker ad indicare il fiume Kagera come il ramo sorgentizio del Nilo.

Però non si può parlare delle sorgenti del Nilo senza ricordare quello che fu ,probabilmente, uno dei più grandi esploratori di tutti i tempi : il dottor David Livingstone. Nato nel 1813 in Scozia, si appassionò ai misteri di terre sconosciute animato da spirito essenzialmente missionario, e fu il primo uomo ad attraversare il deserto di Kalahari, Nel 1852 viaggiò lungo lo Zambesi e descrisse le famose cascate ,chiamate “fumo tonante” dagli indigeni, larghe circa 1700 metri e che fanno un salto di ben120. Il suo nome è e sarà sempre collegato, però, alla sua ricerca delle sorgenti del Nilo, per la quale partì nel 1858 non dando più notizie di sé. Si seppe in seguito che venne afflitto dalla malaria che causò la morte della moglie Mary. Il New York Herald, nel 1871, incaricò il giornalista Henry Morton Stanley di cercarlo, e costui, dopo una ricerca durata ben tre anni lo ritrovò nei pressi del lago Tanganika, quando pronunciò quella frase rimasta famosa ,tipico monumento all'aplomb anglosassone: “Doctor Livingstone, I presume?”. Nel 1873 Livingstone morì mentre proseguiva le sue esplorazioni (inizialmente insieme a Stanley), vinto dalle fatiche e dalla dissenteria.

Gli indigeni, che lo amavano anche per il suo impegno contro la tratta degli schiavi, non volevano privarsi del corpo di Livingstone, ma quando furono costretti a farlo per consentirne la sepoltura a Londra nell'abbazia di Westminster, scrissero sulla sua bara (fatta con la corteccia del sacro albero di mobola sotto cui era sepolto): “Potete pure prendere il suo corpo, ma il suo cuore apparterrà per sempre all'Africa”.

NOME E COGNOME

Molte sono le cose che ,spesso inconsapevolmente, abbiamo ereditato dal Medioevo. E sovente si tratta di abitudini a cui ci siamo talmente assuefatti che ci sembra di averne sempre fatto uso, che non potrebbero in alcun modo essere diverse e che così sia naturale e spontaneo. Questo accade per molte cose, alcune delle quali tanto ovvie che probabilmente non ci hanno mai incuriosito. Ad esempio il nostro nome e il nostro cognome.

Eppure si tratta, a tutti gli effetti, di una invenzione medioevale.

Il binomio nome-cognome non è altro che il sistema di identificazione certa di una persona tra le tante ,

necessità peraltro avvertita da sempre. Sembra che già qualche secolo prima di Cristo in Cina si sia tentato un metodo di riconoscimento del genere, e solo dal 221 a. C. , quando si introdusse il sistema feudale, fu concesso anche agli uomini comuni di avere un cognome, cosa sino ad allora riservata alla classe aristocratica. Nell'antica Grecia si precisava “figlio di”, mentre il suffisso “son” aveva lo stesso significato nelle popolazioni nordiche (Gustafsson era “figlio di Gustaf”). Gli ebrei facevano uso della parola “bar” (bar Joseph era “figlio di Joseph”) e gli arabi quella di “ibn” (ibn Muhammad era inteso “figlio” di Muhammad).

Nell'antichità latina il cittadino romano veniva individuato da tre nomi : il Prenomen (che veniva prima, ed era scelto dai genitori), il Nomen che identificava la gens di appartenenza, ( gens Claudia, gens Giulia ecc...), ed infine il Cognomen (cum nomen) per identificare le varie famiglie all'interno di uno stesso ceppo (spesso di trattava di una specie di soprannome). Gli schiavi avevano solo il nomen anche se, una volta liberati, potevano assumere il cognomen dell'ex padrone. Raramente si aggiungeva un quarto nome diversificativo (Agnomen). Per fare un esempio, Publio Cornelio Scipione Africano, altri non era che il Publio della gens Cornelia, del ceppo Scipione con sopranome Africano. Verso il V sec. la differenza tra nomen e cognomen si va affievolendo, entrando nell'uso il cosiddetto “Signum “ (come ad esempio “Augustus” o “Caesar”, nomi non ereditati). Oggi il nostro nome corrisponde al prenomen dei latini, mentre il nostro cognome al loro nomen.

I problemi divennero grandi quando, tra il X e l'XI secolo il numero degli abitanti aumentò talmente da rendere difficile la distinzione tra gli individui essendo insufficiente la possibilità di formare nuove combinazioni. Fu allora che nacque il cosiddetto “Cognome Moderno”, che poteva trarre origine dai nomi dei genitori, come anche dal luogo di provenienza, da un soprannome, dal mestiere o dalla professione. Inizialmente furono le famiglie più abbienti a far uso dei cognomi (più interessate a fattori dinastici e di successione ereditaria), ma nel 1564 col Concilio di Trento viene introdotto per i parroci l'obbligo di tenere un registro dei battesimi ( per evitare matrimoni tra consanguinei) e il secondo nome o il soprannome diventano ereditari. Insieme ai parroci erano i notai, che scrivevano gli atti pubblici, a certificare i cognomi, ma per arrivare ad un uso codificato e generazionale si dovrà attendere la creazione dell'Anagrafe Statale nel XIX sec.

In pratica il cognome poteva derivare da scelte diverse , come nomignoli (Biondi, Bassi, Forti,ecc...), o mestieri (Barbieri, Fabbri ,Mugnai, ecc...), o dalla provenienza (dal Colle, dal Monte), o da gesta compiute (Coriolano per la presa della città di Coriolo) , da particolarità fisiche (Nasone, intuitivo,) o da abitudini (Caligola soleva indossare i sandali militari chiamati caligae).

Quindi ogni cognome porta con sè una sua particolare storia.

Per conservare l'importanza di un cognome degno di molto onore, normalmente trasmesso per via paterna, in caso di mancanza di discendenza maschile si è permesso anche alle donne di trasmetterlo alla propria figliolanza, e questa è la spiegazione per cui alcune famiglie aristocratiche hanno ancora oggi un doppio cognome.

Quando al momento del battesimo il padre del bambino risultava già deceduto, veniva usato l'avverbio latino “quondam” che corrisponde al nostro “fu”. Perciò il figlio di un “fu” Pietro, diviene Quondampietro, mentre l'uso del solo quondam fa riferimento in genere ad un trovatello.

In una comunità faceva comodo identificare una persona col nome o col mestiere del padre, mentre una persona usa a viaggiare molto veniva preferibilmente indicata col luogo di provenienza (come da Tolentino, o da Verona).

Insomma se dobbiamo al Medioevo la scoperta di cose meravigliose come il cannocchiale, gli occhiali, le cattedrali, la stampa, la polvere da sparo e tante altre ancora, insieme a tutte queste non dobbiamo dimenticare di metterci anche i cognomi che oggi usiamo con tanta naturalezza (anche se in futuro non è detto che non si venga tutti assimilati a dei numeri).

Oggi, in Italia, si conta la bellezza di ben 350mila cognomi, un vero record, numero estremamente più grande del ben più ristretto elenco dei nomi, che si stima siano solo 7mila.

IL VIAGGIO DI DARWIN (a bordo del Beagle)

Charles Darwin (1809-1882) pubblicò le sue teorie rivoluzionarie sull'Origine della Specie nel corso del XIX sec. sconvolgendo le consolidate sicurezze della comunità scientifica di quel tempo. Le sue ricerche sulla teoria dell'evoluzione e sulla selezione naturale costrinsero a ripensare la posizione dell'uomo nell'universo e addirittura il suo rapporto con Dio. E' facile intuire come intere fasce di studiosi ed accademici non accettarono facilmente le sue intuizioni che mettevano a dura prova le convinzioni fideistiche su cui sino allora si erano interamente basate. Però c'è da dire che i suoi studi difficilmente avrebbero partorito le felici conclusioni a cui ebbe a giungere se , per qualche motivo, non avesse deciso di intraprendere il viaggio per mare a bordo dell' HMS Beagle. Il vascello, di soli 27 metri, non era quanto di meglio per un osservatore naturalista quale egli era, ed oltretutto soffriva enormemente il mal di mare, ma era un'occasione che non voleva assolutamente perdere. Inizialmente lo scopo di quel viaggio come naturalista non pagato era di fare compagnia al capitano FitzRoy, dato che il comandante precedente Pringle Stokes si era suicidato dopo due anni di navigazione proprio per la depressione indotta dal non avere nessuno all'altezza con cui parlare. Presto imparò, comunque, che un uomo colto a bordo di una nave non solo non è ritenuto molto utile, ma addirittura può dare fastidio. Tra l'altro la sua passione per la collezione di campioni da studiare lo fece considerare l'esperto scientifico del viaggio, ruolo che il medico di bordo reclamava con forza, tanto che, giunti in Brasile, per il disappunto decise di non continuare nella spedizione. Il viaggio durò per ben cinque anni, ma il giovane Darwin era tanto entusiasmato dalle sue osservazioni, da superare con facilità anche la notizia che la fidanzata stava ormai per sposare un altro. La rotta seguita dal Beagle era quanto mai diversificata, e così toccando le Isole di Capo Verde, il Brasile, il Cile, l'Argentina, le Galapagos, il SudAfrica e l'Australia, Darwin ebbe modo di studiare animali e piante esotiche che altrimenti non avrebbe mai potuto conoscere. Le sue osservazioni e la sua collezione di campioni prelevati un po' dovunque avrebbero portato a risultati concreti solo dopo il suo ritorno in patria (dove tra l'altro era atteso con grande interesse per tutto il materiale che era riuscito ad inviare ), ma il germoglio della sua grande intuizione cominciava già a crescere e ad impossessarsi di lui. Come prima cosa notò che tre indigeni della Terra del Fuoco prelevati qualche anno prima per essere mostrati come curiosità, riportati nella terra d'origine non riuscivano più ad adattarsi e riunirsi alla loro gente. Tanto li aveva cambiati la variazione di aspetto e di abitudini. Ma fu alle Galapagos che Darwin trovò la reale ispirazione per la sua teoria evolutiva. Anzitutto notò che le tartarughe giganti, specie di rettili preistorici che non temevano l'uomo, differivano da isola ad isola per il disegno del carapace, segno che si erano sviluppate indipendentemente con varianti legate strettamente al territorio . Successivamente, esaminando varie specie di fringuelli, rilevò che pur derivando da una specie originaria, avevano maturato differenti caratteristiche tipiche dei diversi ambienti in cui si erano adattati. E questo fu fondamentale per suggerirgli la teoria della selezione naturale. In Brasile,poi, ebbe la fortuna di osservare i resti di un “Megaterio”, bradipo che si credeva estinto e che invece risultò essere a metà della strada evolutiva verso l'armadillo (il che gli suggerì la “legge della successione dei tipi” ), demolendo la teoria dello zoologo francese Cuvier secondo la quale sulla Terra avvenivano periodicamente catastrofi che causavano l'estinzione delle specie viventi.. Tra l'altro l'assistere a terremoti ed eruzioni vulcaniche gli confermò come interi paesaggi terrestri potessero cambiare aspetto anche in un solo giorno. Da queste e da tante osservazione simili ne derivò la convinzione che una stessa specie poteva sviluppare abitudini e comportamenti anche molto diversi se influenzati da ambienti differenti.

L'evoluzione, in definitiva, veniva spiegata in termini di “Legge Naturale”, senza bisogno di interventi mistici o soprannaturali. In sostanza gli individui capaci di sviluppare i più vantaggiosi mutamenti sarebbero stati i più favoriti nella lotta per la vita e , inoltre,avrebbero potuto trasmettere le loro caratteristiche ai rispettivi discendenti. Potete immaginare le polemiche che questo modo di vedere e concepire l'uomo, rendendolo sempre meno “il centro dell'Universo”, suscitarono nel mondo “creazionista” di allora, quando fideisticamente si pensava che tutto derivasse da un atto divino e immutabile. E' divertente ricordare la frase che sfuggì alla moglie del vescovo di Manchester che, leggendo l'Origine della specie ebbe a dire : Allora discendiamo dalla scimmia?.. Speriamo che la cosa non si sappia...

Darwin aveva un atteggiamento agnostico che lo portava a dire che era impossibile trovare nella scienza conferma o smentita delle tradizionali convinzioni religiose e negava totalmente ogni intenzione (causa finale) della natura.

Per comprendere appieno la natura dell'uomo e dello scienziato, basta considerare che Charles Darwin deve necessariamente essere annoverato tra quegli scienziati che in qualche modo hanno dato il più grande contributo agli uomini per conoscere maggiormente se stessi e il mondo in cui viviamo. Come hanno fatto Archimede, Galileo, Copernico e pochi altri.

Darwin, che in vita ebbe successo e riconoscimenti, è morto nel 1882 ed è sepolto nell'Abbazia di Westminster a Londra, a pochi metri da Isaac Newton.

LE SPIE DI ANNIBALE

E' con vero piacere che spesso, per concederci qualche ora di svago ,decidiamo di andare al cinema per vedere un film di azione e di intrighi, o leggere un libro dove misteriosi segreti vengono contesi dalla famigerata CIA o dal KGB. Si tratta di lotte silenziose condotte non da eserciti ma da pochi uomini addestrati per il possesso di informazioni che possono consentire la supremazia di una fazione sull'altra . E questo non succede solo tra nazioni, ma anche tra multinazionali e industrie di ogni livello. In una parola si tratta di “spionaggio” . Avere le giuste conoscenze sugli avversari di turno può volere dire la supremazia, sia in campo militare come in campo industriale.

E se film e libri forniscono un'immagine eroica e romanzata di tecnologie avanzate e di eroi disposti a rischiare la vita per ciò che credono giusto, ciò non vuol dire che certi sistemi non vengano spietatamente adottati anche nella realtà, qualunque siano i metodi e i mezzi impiegati.

Non è sempre stato così. Una volta si badava solo a combattere faccia a faccia , mentre ricorrere ad inganni e furberie veniva considerato disdicevole. Pensate che quando i barbari di Brenno assediarono l'Urbe (era il 390 a.C.), i romani assediati in Campidoglio ebbero bisogno dell'aiuto dello oche per svegliarsi dal loro sonno. Nonostante il pericolo non avevano posto nemmeno sentinelle di guardia! I Romani erano ingenuamente eroici, ed erano convinti che bastasse combattere con coraggio e sprezzo della vita per vincere le battaglie. Non era così, e lo impararono a proprie spese proprio da uno dei loro più acerrimi nemici : Annibale di Cartagine.

Il celebre generale cartaginese già dal III se. a. C. può a tutti gli effetti considerarsi come l'inventore delle tecniche di spionaggio. Pensate che ancora prima di attraversare le Alpi con 26.000 uomini e 37 elefanti poteva fare affidamento su una organizzata rete di informatori sparsa in territorio italiano che gli consentì di evitare le truppe romane poste al suo inseguimento e sbarcate a Marsiglia, nonché di accettare o evitare il contatto col nemico a seconda della particolare convenienza, sapendone in anticipo la consistenza in uomini e armamenti, e studiando il terreno adatto. Annibale era tanto convinto della convenienza di “spiare”, che adottando svariati travestimenti era uso aggirarsi tra le proprie truppe per sentirne gli umori e le tensioni.

I Romani erano degli ingenui, ma sicuramente non erano degli sciocchi. Imparavano subito e miglioravano ciò che imparavano. L'informazione divenne così un fondamentale ingrediente di ogni lotta , politica o militare che fosse. Svetonio, nel I sec. d.C., narra di come già cento anni prima Giulio Cesare, per evitare che occhi indiscreti leggessero i suoi messaggi, avesse inventato un codice a sostituzione monoalfabetica passato alla storia come “codice di Cesare”, che pur essendo molto semplice , dato l'alto tasso di analfabetismo del tempo era pressocchè sicuro.

Prova ne fu che , durante l'assedio di Alesia (52 a.C.) quando i Galli arrivarono in soccorso di Vercingetorige, trovarono le truppe romane perfettamente dispiegate e in grado di resistere contemporaneamente sia al loro attacco che ad eventuali sortite dalla città. Questo perchè i Romani erano a conoscenza del pericolo imminente mentre i Galli avevano dimenticato di “informarsi” in tempo. L'organizzazione di intelligence si andò sempre più organizzando , e i “frumentari” , piccoli commercianti che per il loro continuo movimento venivano a conoscenza di dettagliate notizie sul potenziale nemico, si affiancarono agli “speculatores”, che facevano opera di ricognizione limitata sul campo.

Naturalmente , come era prevedibile, lo “spiare” era considerata una pratica immorale, e nel Medioevo quando si riusciva a catturare una spia non si pensava due volte a metterla a morte. Però, quando conveniva, …..si era disposti a chiudere un occhio.

Nel tempo i vari governi si andarono dotando di apposite strutture di spionaggio e di controspionaggio. Queste attività si interruppero quando cadde l'impero romano d'occidente, per riprendere in modo organizzato (con qualche eccezione come durante l'Inquisizione spagnola o con l'istituzione del Consiglio dei Dieci nella Repubblica Veneziana) nel Cinquecento, quando in Inghilterra nacque il primo vero e proprio “Servizio segreto”, con vaste reti di spie e informatori disseminate un po' dovunque. Inutile dire che ogni guerra , ed in quel periodo certo non ne mancavano, esaltava il ruolo della spia che ogni volta ne riceveva nuova propulsione. E' così che nacquero uffici specializzati nella criptazione e nella decrittazione (chi non ricorda il caso di “Enigma” nella seconda guerra mondiale), e adesso siamo pieni di congegni elettronici che ci seguono dappertutto, che informano di dove siamo e cosa facciamo, di cosa mangiamo e come ci vestiamo, mentre satelliti (non a caso chiamati “spia”), ci controllano o ci minacciano (secondo i punti di vista). Alcune spie ebbero in passato, come del resto anche adesso, l'onore di passare alla storia e divenire celebri e conosciute in tutto il mondo , a partire da Giuda sino a , tanto per citarne solo alcune, Vasilij Mitrokhin, Richard Sorge, Mata Hari, Kim Philby, Edward Snowden, ecc... L'informazione è divenuta la cosa più importante del mondo, e la vogliamo sempre più completa e puntuale, al punto che non è esagerato dire che ogni atto della nostra vita dipende da essa, nella speranza che nessuno, usandola, decida di manipolarci a suo piacimento.

Chissà se, tanto tempo fa, il nostro Annibale avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere .

LA MALEDIZIONE DEI CAGOTS

In ogni tempo sono esistiti gli emarginati, i reietti, gli intoccabili. E non parlo di singoli uomini, bensì di interi popoli ed etnie. Un po' come a tutt'oggi alcune caste indiane. Eretici, streghe, ebrei hanno tutti condiviso una storia di demonizzazione e persecuzione addirittura secolare ma ,se vogliamo, c'è stato qualcuno a cui è stata riservato , se possibile, un trattamento ancora peggiore: la condanna all'oblio. E' questo il caso dei dimenticati Cagots, altrimenti noti come “la razza maledetta”. Questo popolo, insediato su una vasta area a cavallo dei Pirenei venne discriminato ed oppresso da assurde e crudeli leggi locali ed ancora ai nostri giorni non se ne è compreso appieno il motivo. Alcuni storici pensano che il loro nucleo iniziale derivi da superstiti musulmani sopravvissuti alla battaglia di Poitiers (732), mentre altri pensano che derivino dai superstiti dei Visigoti sconfitti dai Franchi nel 507 e come tali eretici ariani (che negavano la natura divina di Cristo). Ovviamente c'è chi sostiene che in quel periodo del medioevo le regioni quali i paesi baschi, la Guascogna l'Aragona e la Navarra, data la natura impervia del territorio, abbiano accolto banditi, fuggitivi, diseredati e soprattutto lebbrosi. I Cagots venivano anche detti Chrestians che appunto voleva dire lebbroso. Il clima di isteria collettiva dell'epoca tendeva, del resto, ad accusare di complotto e cospirazione, secondo l'occasione, ebrei, lebbrosi e quanti altri, per legittimare le violenze nei loro confronti (questo accadde anche in occasione della peste).

Anche i Cagots erano costretti a portare un segno distintivo rosso a forma di zampa d'oca, similmente alle prostitute (contrassegno giallo) e agli ebrei (stella di Davide), per poterli riconoscere ed evitare.

Perfino la Chiesa si accanì contro di loro, costringendoli ad entrare negli edifici sacri da porte basse che li obbligavano ad inginocchiarsi e ad usare apposite acquasantiere per evitare contaminazioni.

L'ostia, poi, veniva loro porta all'estremità di un bastone. IL nome Ca-Goti poteva derivare ,secondo alcuni, da “ cani Goti”, poiché tutte le parole che finivano in “oti” , come Visigoti, Ostrogoti, Goti, Ugonotti, erano fortemente invise all'epoca. Essi non avevano diritto nemmeno ad un patronimico, e durante il battesimo venivano indicati solo col nome e col marchio d'infamia. Come gli ebrei erano esclusi da molte professioni ma erano abili costruttori in legno e pietra. Stranamente, da quando l'Ordine Cluniacense ( fondato nel 910) divenne il più potente d'Europa, aumentò la discriminazione verso i Cagots nonostante il fabbisogno di mano d'opera. Questo si attribuisce alla lotta tra le confraternite ,soprattutto tra i Fils du Pere Soubise e gli Enfants de Maitre Jacques, quando i primi furono preferiti nella costruzione degli edifici sacri lungo la via verso Santiago di Compostela che , all'inizio, non aveva alcuna valenza religiosa ma costituiva un viaggio iniziatico verso il confine della terra conosciuta, fino all'oceano (il mare celtico dei morti). Les Enfants cambiarono successivamente nome in Enfants di Salomone, che vennero sciolti da Filippo il Bello per il loro collegamento con i Templari . Qualche loro ultima traccia si ha durante la Rivoluzione francese,chiamati questa volta Gavots (più esattamente Compagnons du Devoir de Libertè).

Nel 1314 a Parigi , inoltre, si diffusero quelle che presero il nome di “Corti dei miracoli”, che ospitavano reietti di ogni tipo (li cita anche Victor Hugo in Notre dame de Paris) e pare che parlassero l'argot (la lingua segreta).

L'aspetto dei Cagots, inoltre, non invitava certo alla socializzazione. Infatti erano descritti come afflitti da deformità ripugnanti che andavano dal gozzo al nanismo, dai piedi palmati alla mancanza di lobi alle orecchie. Si pensa che il colore rossastro che caratterizzava la loro pelle possa attribuirsi a forme di psoriasi e le malformazioni all'obbligo di sposarsi tra consanguinei.

I primi a spendersi in difesa della malversazioni contro i Cagots furono , nel XVI sec. , papa Leone X e l'imperatore Carlo V, ma certo non bastava un decreto per far sparire in un attimo pregiudizi secolari. Occorreva del tempo, e solo oggi possiamo dire con certezza che non esistono più discendenti diretti della razza maledetta. Pian piano l'integrazione si compì interamente solo con la Rivoluzione francese.

Naturalmente non mancarono anche risvolti esoterici e ai Cagots fu attribuita l'eredità di antiche conoscenze segrete dovute al fatto che spesso erano costretti ad abitare in oscure e profonde grotte, nonché l'uso di vari culti di origine pagana legati alla fertilità . Leggi specifiche contro i Cagots erano comunque state emanate in varie regioni , dalla Navarra alla Linguadoca, e restarono in vigore dal XV al XVII sec.

Conobbero anche l'orrore del campo di concentramento nazista di Gurs in Francia, espressamente ricercati ed imprigionati con il preciso scopo di essere “studiati” in quanto possibili discendenti del popolo Cataro e quindi a conoscenza di notizie sul Santo Graal.

Erano cristiani emarginati e rappresentavano la somma tutte le paure e le angosce del tempo, a cui si poteva attribuire ogni male e contro cui era facile scagliarsi. Oggi solo in pochi ne ricordano ancora l'esistenza, quasi a volere cancellare con l'oblio il rimorso e la colpa.

 

CULTURA MEDIOEVALE

Nel periodo di estrema globalizzazione nel quale siamo oggi immersi, può apparire strano che le radici profonde del sapere comune affondino in quel Medioevo che da tanti ancora , a torto, viene considerato come un periodo “buio” della nostra storia.

Viceversa è proprio nel periodo “di mezzo” che nascono , fioriscono e in qualche modo , interagiscono centri di cultura indipendenti che daranno origine a quei luoghi deputati all'insegnamento e alla speculazione chiamati in seguito , semplicemente , “Università”.

L'Università più antica comunemente riconosciuta è quella di Nalanda, in India, sorta come luogo di preghiera di monaci buddisti nel Vsec. a.C. e in un secondo tempo trasformatasi in ateneo con oltre 10.000 studenti.

Le contende il titolo di Università più antica del mondo quella all'interno delle mura della medina di Fes (Marocco), costruita nel 859 per volere di una donna, Fatima El Fihria, che a questo scopo destinò i proventi di una ingente eredità. Anche questa università sarebbe nata come luogo di culto, per poi estendere le materie allo studio di politica e filosofia.

All'incirca dall'anno Mille in poi è interessante lo sviluppo contemporaneo di Università europee ed islamiche, da non considerare necessariamente in competizione le une con le altre, ma protagoniste di uno scambio culturale profondo, quasi osmotico, che al di là delle naturali differenze teologiche e rituali portarono alla diffusione di fondamentali nozioni soprattutto nel campo della matematica, dell'astronomia ,della filosofia e della medicina.

Per quanto concerne il mondo islamico la più antica università è quella di Al-Azhar (La Luminosa), al Cairo, inizialmente ismaelita e divenuta sunnita dopo la conquista di Saladino. Guidata da un Rettore nominato a vita, fu la prima a praticare l' insegnamento di materie scientifiche e ad ammettere anche le donne anche se in corsi ed aule separate. Poteva essere frequentata solo da studenti di fede islamica

In Europa probabilmente tocca a Bologna la palma di più antica Università europea fondata nel 1088 da associazioni libere e laiche i cui professori erano stipendiati dal Comune di Bologna. Tra i suoi più famosi iscritti figurano personaggi come Dante, Petrarca, Tasso, mentre la sua reputazione attirò studiosi da ogni parte d'Europa. Quasi contemporanea è la fondazione dell'Università di Parigi, detta Sorbona, nata come centro di studi teologici e che conobbe la sua maggiore fama nel periodo rinascimentale . Tra i suoi Rettori può annoverare anche Armand Jean Du Plessis , più noto come “Cardinale Richelieu”. Venne chiusa durante la rivoluzione francese, quando le fu dato il nome di Tempio della Ragione. Dal 1806 Napoleone vi istituì la sede di cinque facoltà (Scienze, Lettere, Diritto, Teologia Cattolica e Medicina).

Nelle Università islamiche, inizialmente collocate presso qualunque moschea, (mentre solo in un secondo tempo furono costruite moschee espressamente dedicate all'insegnamento), ogni materia veniva discussa in apposite aule (mandrase) destinate col tempo a trasformarsi in edifici indipendenti .

Nelle Università medioevali, rifacendosi alla sacralità del numero sette (come le sette Virtù o i sette vizi capitali o i sette pianeti)), le materie di insegnamento venivano raccolte in quelle che presero il nome di “Arti liberali “ ( destinate a “uomini liberi”), divise in arti del trivio (o della parola) che comprendevano la grammatica, la retorica e la logica ,e in arti del quadrivio (o tecniche) che invece raggruppavano l'aritmetica, la geometria, l'astrologia (che si identificava con l'astronomia) e la musica.

La grande importanza della trasmissione trasversale della cultura tra Università , pur se teologicamente diverse, ha un fondamentale esempio nell'opera di uno dei più grandi filosofi arabi del XII sec. di nome Abu I-Walid Muhammad ibn Ahmad Rushd, più semplicemente noto come

Averroè. Si deve a lui, ricordato come giurista e per una approfondita “enciclopedia medica”, se il medioevo ha potuto riscoprire il pensiero aristotelico . Infatti Averroè , che studiava nella Cordova in cui era nato, dedicò alla monumentale opera di Aristotele un lavoro di traduzione e

commento, anche entrando in contrasto con altri pensatori arabi, come Al-Ghazali, facendo tornare attuale il pensiero del filosofo di Stagira che gli studiosi cristiani avevano completamente dimenticato, e facendosi conoscere nella stessa cristianità per trattati come “L'incoerenza dell'incoerenza “. Anche ad altri studiosi arabi la cultura europea deve moltissimo, come ad esempio Avicenna, che descrisse la natura della scienza medica ed influenzò menti importanti come quella di Tommaso d'Aquino.

Man mano che il sapere si amplia e che si diffonde, aumentano le Università medioevali in Europa, assumendo sempre più una precisa specializzazione, come Parigi per la teologia, Bologna per la giurisprudenza , Padova per la medicina e così via. Questo aspetto è meno evidente nei centri culturali islamici per la loro natura essenzialmente religiosa, ma ciò non impedisce che nozioni destinate ad influenzare profondamente il tempo a venire siano arrivate in Europa attraverso gli arabi, ma a volte partendo addirittura da più lontano, come i numeri che a torto continuiamo a chiamare arabi ma che provengono dalla lontana India. E come lo “zero” che giunse in Europa alla fine del XII sec.

Senza dimenticare che è proprio nelle Università che ebbero inizio le cosiddette “tecniche sperimentali”, come lo studio diretto del corpo umano.

GLI EUNUCHI

La parola “eunuco” deriva dall'unione di due termini greci (eunè ed echo) che letteralmente significano “letto” e “custode”. Quindi, semplicemente, coloro che custodiscono il letto (coniugale). Questa interpretazione, non legata al tipo di operazione subita, bensì al ruolo sociale che ne derivava, è stata da sempre la più diffusa ed ancora oggi è la prima che viene in mente a chi la usa o a chi la sente. Ma in realtà vuole intendere anche molte altre cose.

Per eunuchi si indicano quegli uomini che da tempo immemore sono stati sottoposti ad interventi di castrazione in età prepuberale o puberale (perciò prescindendo dalla volontà dell'interessato) in modo tale da farli divenire incapaci di procreare. Tale pratica è stata molto comune in molti corti sovrane orientali, come quelle cinesi, ottomane e musulmane. Ma non solo. La prima testimonianza di questo tipo di castrazione risale addirittura al tempo dei Sumeri, che l'avrebbero praticata nella città di Lagash. Le motivazioni per cui si affermò questa usanza sono molteplici. Innanzitutto la necessità per il sovrano di avere la certezza della sua progenie in modo che si prolungasse la sua dinastia, per cui le sue donne (fossero mogli , amanti o concubine) dovevano vivere appartate in apposite dimore, per altro lussuose, chiamate Harem, e dovevano avere rapporti solo con altre donne o con uomini resi , appunto, incapaci di atti sessuali. Questo portò all'instaurarsi di un rapporto di tale fiducia tra il sovrano e l'eunuco, che spesso a quest'ultimo furono affidati compiti di particolare responsabilità nell'amministrazione statale. Inoltre, non avendo possibilità di avere una figliolanza, non si correva il rischio che potessero tramare per favorire un loro discendente.

Per quanto riguarda la Cina , fu durante la dinastia Han (dal 206 a. C. al 220 d.C.) che , evirando un selezionato gruppo di prigionieri, si diede inizio alla cultura dell'eunuco. Durante la dinastia Ming si calcola che gli eunuchi arrivassero ad essere ben 70.000, alcuni dei quali divennero famosi, come il leggendario Zheng He, che fu a capo di ben sette spedizioni marinare.

Negli Harem regnava una vera e propria gerarchia formata da tre livelli, l'imperatrice, le consorti ufficiali e le concubine, e le uniche altre presenze permesse erano appunto gli eunuchi.

In ogni caso questi ultimi erano forse più fortunati delle donne dell'Harem (che pare che durante la dinastia Ming (1368-1644) raggiungessero lo stupefacente numero di 20.000), le quali, in caso di morte dell'imperatore erano destinate ad essere sepolte con lui, e spesso ancora vive.

L'evirazione veniva effettuata con un taglio di pene e testicoli tramite coltello. Coloro che non sopravvivevano venivano sepolti insieme ai genitali amputati perchè si presentassero “completi” agli Dei dell'aldilà.

Nel 1996 , all'età di 94 anni, è morto l'ultimo eunuco della città proibita di Pechino.

Nell'antica Roma si cominciò a fare distinzione tra castrazione prepuberale, in seguito alla quale venivano dal corpo assunte forme più morbide e la voce restava aggraziata, e castrazione in età puberale,dove le forme invece mantenevano una massa muscolare sviluppata e, in caso di asportazione dei soli testicoli, poteva ancora esserci un 'erezione, costituendo i cosiddetti “spadones”, ricercati dalle agiate matrone che non correvano così il pericolo di gravidanze indesiderate . Ricordiamo che i sacerdoti della Dea Cibele erano tenuti ad evirarsi da soli durante cerimonie orgiastiche. Celebre eunuco fu Sporo, amante di Nerone che addirittura lo sposò (con tanto di dote e di velo nunziale), dopo che lui stesso ne aveva voluto la castrazione.

L'Impero Ottomano distingueva due tipi di eunuco. Quelli di pelle nera, a cui venivano asportati pene e testicoli, e quelli di pelle bianca, a cui si asportavano solo i secondi. Erano quelli bianchi che venivano impiegati nell'amministrazione statale. Le razzie piratesche nel Mediterraneo portavano continuamente linfa vitale agli Harem dei califfi che apprezzavano particolarmente le donne occidentali. Spesso gli eunuchi erano oggetto di rapporti di natura omosessuale con gli stessi nobili da cui dipendevano . Ed esisteva anche un vero proprio mercato degli eunuchi , il cui valore dipendeva dalle sue doti fisiche ed intellettuali.

Interessante è l'uso dell'evirazione sacrale, e si ricorda l'autoevirazione dell'imperatore Eliogabalo che desiderava essere egli stesso sacerdote di Cibele. Con il Cristianesimo si cominciò a dare enorme importanza al valore della castità, e si ricorda come il padre della Chiesa Origene preferì evirarsi piuttosto che cedere, a quanto pare , alla tentazione offerta dalle studentesse a cui teneva lezioni. Addirittura, nel III sec. lungo il Giordano un certo Valesio fondò una setta di fanatici che oltre ad evirare se stessi addirittura assaliva estranei e passanti mutilandoli per salvarli dal peccato. Anche per contrastare questo tipo di inclinazioni nel IX sec. Il Papato introdusse l'uso, presto abbandonato, della

palpazione dei testicoli ( “sedia gestatoria”). In ogni caso in diversi templi dedicati a Dee importanti come Afrodite, Ishtar e Agarbatis potevano officiare solo eunuchi.

Durante il periodo di el -Andalus (Spagna islamica), i musulmani si affidavano per l'operazione di evirazione agli Ebrei di Pechina e di Verdun , in virtù delle loro conoscenze mediche.

A volte, naturalmente, l'evirazione costituiva un metodo di punizione o di vendetta. Ad esempio era adottata, insieme allo schiacciamento, contro gli schiavi ribelli, mentre tutti ricordiamo come il filosofo Abelardo sia stato evirato dal tutore di Eloisa nel XII sec.,colpevole solo di averla amata.

Non ostante le proibizioni ancora oggi la cultura della castrazione sopravvive in alcune sacche africane ed in India e si accompagna ad alcune forme rituali quali la circoncisione e l'infibulazione.

Non può passare sotto silenzio il fatto che la Chiesa non permetteva alle donne di esibirsi in teatro (mulier taceat in ecclesia) e che quindi sino all'inizio del XIX sec., quando venne dichiarata illegale, la pratica della castrazione veniva perseguita con lo scopo di procurare quelle che venivano chiamate “voci bianche” e che per le loro caratteristiche potevano facilmente sostenere parti femminili nelle opere. Rimane famoso il “bianco cantore” Carlo Broschi detto Farinelli, il più celebre tra i “musici “dell'epoca , che raggiunse un successo ragguardevole di pubblico e di critica. Fortuna che non arrise ai circa 100.000 ragazzi castrati in due secoli di evirazioni a scopo artistico.

 

L'UOMO SELVATICO

La storia dell'uomo ci narra tutto quanto ha da sempre contribuito a renderlo quello che è.

In pratica noi rappresentiamo la somma di tutti gli avvenimenti che nel tempo si sono succeduti, fornendoci quella esperienza e quel sapere senza i quali non saremmo come siamo.

E' pur vero, però. che se la mente razionale di oggi fa riferimento, per descriverci, a fatti ed episodi

ben precisi , realmente accaduti e di conseguenza facilmente analizzabili, è anche innegabile che non si può trascurare il fatto che nella nostra memoria persistono innumerevoli ricordi che tramandano, come visti attraverso una lente deformante, riti e credenze di un passato non ancora del tutto dimenticato . E di questo mondo di tradizioni fanno parte anche miti e leggende che affondano la loro spiegazione in tempi lontani di cui cerchiamo di indagare le origini per cercare , in fondo, di capire meglio noi stessi.

Quando l'uomo cominciò a comprendere di fare parte di una specie superiore, quando cioè iniziò a differenziare ambiti come la”natura” e “la cultura” ,cercò istintivamente di scrollarsi di dosso l'immagine di animale primordiale, legato ai boschi e irrimediabilmente “selvaggio”.

Quindi l'uomo che era, quello “selvatico”, quello che viveva nella foresta e abitava nelle grotte ,era un'idea da allontanare in quanto sempre più diversa da ciò che stava progressivamente diventando.

La sua raffigurazione, però, lungi dallo scomparire completamente, sopravvisse nel folklore , nelle leggende e nei proverbi, nonchè nei riti connessi, come ad esempio il Carnevale, dove assumeva le sembianze di una maschera o di una allegoria.

L'uomo selvatico resta confinato in un immaginario bucolico che lo avvicina agli animali e per questo

viene rappresentato come figura primordiale , provvista di nodoso bastone, nuda e coperta di peli, da cui rifuggire non ostante la sua natura essenzialmente gentile.

Da precisare che comunque si tratta di un archetipo che è presente in diverse tradizioni popolari caratteristiche di zone montane. Sarebbe lui a conservare le primitive nozioni, relative all'agricoltura, di produzione di formaggi , burro e miele, ed ad averle trasmesse all'uomo dei villaggi.

Caratteristico delle zone dell'arco alpino, ad esso è possibile far risalire un comune filo di connessione che lo lega a personaggi come il mongolo Alma, il cinese Ging Sung, il tibetano Yeti , il nord americano Bigfoot o Sasquatch ed altri ancora, mentre obbiettive similitudini lo avvicinerebbero ai Fauni Romani , ai satiri ellenici, ai nani e agli elfi. In molti di questi casi, però, ,si tratterebbe di ibridi uomo-animale, mentre sembra più calzante l'accostamento con la figura dell'eremita, barbuto e anche lui provvisto di bastone, alla ricerca di solitudine in boschi e montagne. Esiste anche una “donna selvatica” e addirittura interi gruppi familiari. A volte (raramente) è rappresentato con volto demoniaco e pauroso, ma più spesso come mentalmente inferiore (tipo “scemo del villaggio”). Il mito racconta che rida quando piove (perchè sa che verrà il bel tempo), e che pianga quando c'è il Sole (perchè sa che dopo pioverà) .Sempre nel Nord Italia esiste una vera e propria iconografia, fatta di incisioni e sculture, come a Sacco in Valgerola, a Tirano (Sondrio) e a Bressanone. Notevole è l'Homo ligneo trecentesco di Thyers, Puy de Dome. Sue rappresentazioni sono spesso presenti nell'araldica e di lui si è occupata anche la letteratura, come nel Dittamondo di Fazio degli Uberti ( XIV sec.), o nell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (XV sec.). Addirittura si trova rappresentato tra le guglie del Duomo di Milano. In ogni caso si considera depositario di antiche sapienze e la sua follia splenderebbe di saggezza profetica simile a quella degli Dei. Fulcanelli (famoso alchimista del XX sec.) lo vede simile al buffone dei tarocchi e lo avvicina, in quanto eremita con cui condivide l'uso del bastone, a san Giacomo apostolo, protettore degli alchimisti.

La sua figura è ben rappresentata in storie che si snodano dal folle Orlando dell'Ariosto a numerosi racconti del ciclo arturiano che ne parlano accanto a cavalieri come sir Galvano e a Parsifal (anche Chretien de Troyes lo nomina nella sua saga di Iwain), in cui assume le sembianze ora di contadino, ora di traghettatore ma quasi sempre di barbuto eremita pronto ad intervenire in aiuto.

Ancora oggi possiamo cogliere le sue sembianze , ad esempio, nei Mamutones sardi, che si mostrano mascherati e coperti di pelli . La sua partecipazione a feste e balli in cui usava percuotere gentilmente con rami di betulla le giovani donne per propiziarne la fertilità ad alcuni, poi, ricorda i Lupercalia romani , che erano festività dedicate a Fauno, protettore delle greggi . Inoltre possiamo scorgere il suo volto in numerosi cornicioni e portoni di palazzi del nord Italia.

Le origini di questo mito si possono fare risalire al dio ellenico Pan, mezzo uomo e mezzo caprone, restando uomo timido e schivo che non temeva nulla tranne il vento, che quando soffiava ne causava la scomparsa. L'accostamento tra l'uomo selvatico che si rintana nei boschi restando depositario di conoscenze bucoliche che si riserva di trasmettere all'uomo, con quello della figura dell'eremita che nel bosco cerca la solitudine e la meditazione, vale fino ad un certo punto. Infatti, anche se suggestivo, il parallelo non regge in quanto, con un gioco di parole che ne rende il senso, l'uomo selvatico sarebbe il sapiente “del bosco”, mentre l'eremita sarebbe il sapiente “nel bosco”, che sceglie in maniera volontaria la sua condizione.

 

GLI SCRIBI

Con la parola scriba si indica quella categoria di persone che hanno legato in passato la loro attività e , perchè no, la loro vita, alla scrittura ,inizialmente per necessità ed in un secondo tempo con lo scopo principale di tramandare ai posteri quei libri e quelle conoscenze di cui altrimenti oggi non si avrebbe traccia. La figura dello scriba (che successivamente prese il nome anche di amanuense, intendendo colui che usava la mano per scrivere) nasce quando nasce la scrittura, evento che si fa risalire ad oltre 3000 anni prima di Cristo, ad opera dei Sumeri, in Mesopotamia. All'inizio si faceva uso di tavolette di argilla che venivano incise e poi cotte per renderle stabili. Successivamente , con l'avvento della scrittura cuneiforme e sillabica, si determinò meglio il ruolo dello scriba, che assunse via via una importanza sempre più fondamentale. Le antiche civiltà mesopotamiche, egiziane ed ebraiche istituirono delle vere e proprie scuole (Case della vita) dove gli scribi imparavano il mestiere in un apprendistato che durava diversi anni.

Gli scribi giunsero a formare una casta di persone che in un certo qual modo godevano di potere particolare e di privilegi esclusivi. Gli argomenti delle scritture, inizialmente di carattere commerciale, in seguito si estesero riportando testi religiosi ,storici e giuridici . Sono stati anche copiati testi in forma bilingue (sumero/accadica) che sono serviti ad aiutare la comprensione di queste lingue. In Egitto erano protetti dal potente dio Thot e si trattava di persone provenienti, almeno all'inizio, da famiglie nobili e aristocratiche. Con l'avvento del Cristianesimo la professione di amanuense venne praticata nelle abbazie e nei conventi benedettini fedeli alla regola monacale che imponeva “ora et labora” (prega e opera), e solo dopo, nel XII sec., e quindi prima dell'introduzione della stampa, si ricorse a veri e propri professionisti che esercitavano a pagamento. E' ovvio che gli studiosi preferirono questo tipo di testi ,piuttosto che quelli fatti da specialisti della materia, in quanto questi ultimi avevano la deprecabile abitudine di apportare correzioni in linea con le loro idee. I copisti monaci ,che si dedicavano alla copiatura di testi sacri, lavoravano in stanze a favore di luce che si chiamavano “scriptoria”, ed il loro compito era di una complessità veramente notevole. Anzitutto dovevano leggere, spesso tradurre e interpretare correttamente l'opera da copiare, il che non era sempre facile, potendosi trattare di testi antichi, incompleti o di non immediata comprensione. Come secondo requisito occorreva una padronanza completa del latino anche riguardo ad opere scritte in lingue straniere. Naturalmente anche sfrondato da qualche inevitabile imprecisione o errore di traduzione, il risultato di questo lavoro resta di fondamentale importanza per la conoscenza della vita e della cultura di tutta un'epoca. Il foglio di scrittura, prima di arrivare nelle mani del copista passava per quelle dei novizi che stendendo le linee guida permettevano una scrittura allineata e diritta. Lo scriba faceva uso di svariati strumenti, che andavano dal calamo (di canna) sino alla penna d'oca, la cui punta veniva resa appuntita mediante l'uso di un apposito coltello che serviva anche a cancellare eventuali errori o sbavature. Per non parlare del lungo lavoro di taglio, tenditura ed essiccazione delle pelli di animali che fornirono la pergamena quando essa cominciò a sostituire i fogli di papiro.

La pergamena veniva poi ritagliata nella misura scelta e adatta al libro che si intendeva copiare.

Una volta assolte tutte le necessità preliminari cominciava il lavoro di riporto propriamente detto,che consisteva nel tracciare lettere chiare e ben leggibili in inchiostro nero. Si usava anche l'inchiostro rosso, che però veniva riservato ai titoli e ai richiami (che indicavano la parola con cui iniziava il foglio seguente, non essendo in uso la numerazione della pagina). Alla fine i vari fogli , sovrapposti, venivano cuciti insieme e solo dopo rilegati e spesso, a seconda l'importanza del libro, abbelliti con copertine artisticamente decorate. Altre due figure affiancavano strettamente il copista (scriptor), ed erano il corrector ed il miniator (dal minio che veniva usato per ottenere il colore rosso). Sovente i testi medioevali sono completati lungo i margini da disegni di libera fantasia,opera degli stessi copisti ma anche di successivi utilizzatori . In tal modo i libri finiti sono ricchi di scene con strane figure di animali, preti ,donne e piante per lo più inventate ed in pose inconsuete. Da non credere che il mestiere di scriba fosse esente da pericoli mortali. Tutti ricordiamo il famoso libro di Umberto Eco “il nome della rosa”, che racconta di un libro che avvelenava chi voleva consultarlo. In realtà gli inchiostri di quel periodo contenevano veleni insospettati (come l'arsenico o il cinabro) e la pura operazione di inumidire il dito con la lingua per sfogliare le pagine o di bagnare con la saliva la punta della penna potevano risultare fatali.

Si annetteva tale importanza al lavoro dei copisti che nei conventi i monaci, per usufruire appieno della luce del giorno, godevano di speciali dispense dalle ore di meditazione.

Inutile dire che le copie ottenute erano poche e destinate per lo più alle biblioteche ecclesiastiche.

Solo nobili e ricchi poterono permettersi di pagare per avere biblioteche personali,ed in tal caso ci tenevano a possedere edizioni particolarmente belle e finemente miniate.

A volte poteva succedere che un testo, per motivi vari, perdesse d'interesse, ed in tal caso, per non sprecare pergamena, si provvedeva a cancellare quanto scritto provvedendo a scriverci sopra nuovamente e dando origine a quelli che presero il nome di “palinsesti” (scritti di nuovo).

Per secoli dunque, sia la scrittura che la lettura sono stati appannaggio di classi elitarie per le quali rappresentarono non solo una forma di cultura ma, inevitabilmente , anche una forma di potere, potendo scegliere arbitrariamente se e quando concedere agli altri parte del proprio sapere.

Tutto ciò ebbe termine con l'invenzione della stampa nel 1455, che infatti all'inizio fu vivacemente contrastata soprattutto dalla Chiesa che non ammettendo altre voci oltre alla propria cercò, dando inizio ad una battaglia destinata ad essere perdente, di impedirne e contrastarne la diffusione con metodi inquisitori come “ l'imprimatur” (autorizzazione alla pubblicazione come forma di censura preventiva) nel 1515 o come la creazione, da parte di papa Paolo IV. “dell'indice dei libri proibiti” nel 1559.

NOI E L'UNIVERSO

Quali sono le origini dell'Universo?

Probabilmente si tratta di una domanda fra le più più antiche che l'uomo si sia mai posto ,e forse non ne esiste un'altra che porti con sé un maggior numero di implicazioni teologiche, scientifiche e filosofiche. Il fatto è che rispondere a questo quesito porterebbe a potere finalmente soddisfare il nostro atavico desiderio di sapere da dove veniamo, perchè viviamo, e dove andiamo. Il problema , naturalmente, è enorme, e vi è chi lo risolve con la fede e chi cerca soluzioni nella razionalità della scienza.

I primi a proporre congetture sull'inizio dell'Universo furono, intorno al VI sec. a.C. i filosofi presocratici (Talete, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, Empedocle, ) che si rifacevano ad un elemento fisico da cui tutto avrebbe avuto origine. E chiamarono in causa i principi essenziali del fuoco, dell'acqua, dell'aria e della terra. Aristotele, in più, introdusse la necessità di un motore che desse inizio al meccanismo, un'entità esterna, un principio superiore (un dio ?). All'universo diedero forme diverse, e secondo Anassimandro era cilindrico, secondo Talete galleggiante sull'acqua , secondo Anassimene piatto e racchiuso dalla cupola celeste , e così via. Pitagora, a cui si deve l'introduzione della parola Cosmo (dal greco Kosmos, “ordine”) mise in relazione numeri e musica, ipotizzando una stretta connessione tra Universo e musica (l'Universo musicale), teoria condivisa anche da Platone e da Tolomeo. Lo studio dei movimenti dei corpi celesti, da Copernico a Keplero a Newton, ha dimostrato che l'Universo può essere studiato grazie all'indagine razionale. Newton , che era credente, teorizzò che tutte le forze fisiche a cui si doveva il moto dei corpi celesti altro non erano che un'emanazione divina. Da tale visione deterministica conseguiva che l'universo, una volta messo in moto, poteva proseguire da solo senza più interventi superiori. Fino al Settecento occorreva affidarsi interamente a filosofi e a concezioni fideistiche (religioni). Da quel secolo in poi, però, è la scienza che comincia ,in misura sempre maggiore ,ad occuparsi dei misteri dell'Universo. In realtà due erano le teorie che si contrapponevano. La prima, quella detta fideistica, prevede che l'Universo sia sempre esistito e che sempre esisterà. Questo pone però il problema non da poco che, in mancanza di una Creazione, non può esservi nemmeno un Creatore. Però la scienza, dimostrando che l'Universo non è statico ma in espansione, ha fatto si che un inizio diventasse possibile, e chi poteva dare la spinta a questo “inizio”, se non un essere superiore? La teoria cristiana, come narra la Genesi, prevede che l'Universo sia stato creato “ab nihil” , cioè dal nulla, il che , tralasciando le facili osservazioni di chi fa notare che se c'era il Nulla, allora non doveva esserci nemmeno Dio, contraddice anche la famosa legge di Lavoisier secondo la quale nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, concetto del resto chiaro anche a Lucrezio che nel suo “de rerum natura” dice testualmente “ex nihilo nihil”, cioè dql nulla può venire solo il nulla. Nel Settecento le domande cominciarono ad essere diverse e più articolate. Leibniz (scopritore delle “funzioni”, degli ”integrali” e della prima calcolatrice meccanica capace di operare moltiplicazioni e divisioni) sosteneva che il mondo, essendo stato creato da un Dio perfetto dovesse necessariamente essere il migliore possibile, e poneva la domanda “perchè vi è qualcosa piuttosto che il nulla?” Lui stesso si rispondeva affermando che se qualcosa esiste è perchè c'è una ragione per la sua esistenza anche se noi non siamo capaci di individuarla (“principio di ragion sufficiente”). L'altra visione, detta “ateistica”, si andò affermando via via parallelamente al progredire dell'osservazione scientifica tramite lo studio delle leggi fondamentali della natura. Escludendo, quindi, qualunque intervento di natura metafisica. Alcuni scienziati sostengono che dato l'incessante progresso della conoscenza razionale, sarebbe solo questione di tempo avere quelle risposte che adesso non siamo in grado di fornire. Ma per altri le cose non sarebbero così semplici, ammettendo che la scienza moderna ha diversi limiti, come il principio di indeterminazione o il teorema di incompletezza. Del resto , ammettendo che l'Universo abbia avuto un inizio e sapendo che la velocità della luce ha un valore finito, per quanto si parli di tempi enormemente lunghi, anche l'Universo avrebbe un confine, che ,inevitabilmente, costituisce un limite anche alla nostra conoscenza.

Interessante è la teoria del “principio antropico”, secondo il quale il Cosmo è così com'è proprio per permetterci di comprenderlo. Infatti le quattro leggi fondamentali dell'Universo (la legge gravitazionale, forza debole ma presente ovunque, la legge elettromagnetica, per cui cariche uguali si respingono e cariche diverse si attraggono, la legge nucleare debole ,responsabile della radioattività , e la legge nucleare forte, 100,000 volte più grande di quella debole,che permette a protoni neutroni e quark di stare insieme nel nucleo ), hanno stranamente valori che non ammettono variazioni, anche se pur minime. In pratica , se le costanti delle leggi naturali non fossero quelle che sono l'Universo così com'è non potrebbe esistere e l'Uomo non potrebbe studiarlo. Anzi, non esisterebbe nemmeno .E' come se fossero così proprio per permettere all'uomo di esistere e di osservarlo. Einstein, notando come in medicina i vari specialisti (cardiologi, oculisti,ecc..) descrivono perfettamente il sistema oggetto della loro specializzazione ma, singolarmente considerati, non danno l'idea “dell'uomo” nella sua interezza, ne derivò che anche le quattro leggi fondamentali dell'Universo, prese una alla volta, non forniscono l'idea dell'Universo ma che occorresse trovare una formula che le comprendesse tutte , per avere la giusta visione complessiva. E la chiamò la formula “del tutto”.Naturalmente l'universo, in tal modo, viene inteso come un organismo unico. Le leggi fondamentali, insomma, avrebbero lo scopo di regolare il legame “antropico” tra l'Universo ed il suo osservatore : l'uomo.

Oggi la teoria comunemente accettata dalla comunità scientifica per quanto riguarda la nascita dell'Universo è quella della singolarità iniziale cosiddetta del “Big Bang”, che occorre descrivere con qualche sommario ma necessario dettaglio.

La teoria del “Big Bang” ipotizza che all'inizio tutta la massa dell'Universo fosse raccolta in un punto in cui densità e temperatura tendevano all'infinito.

Ovviamente in quel punto e in quel momento non esisteva lo spazio, né il tempo, né le leggi della natura. (Chiedere cosa c'era prima, essendo “prima” un concetto temporale, non avrebbe nessun senso).

Questa singolarità rappresenta il momento iniziale dell'espansione dell'Universo, ed è anche il momento che coincide con la comparsa dello spazio/tempo e delle leggi fondamentali della natura.

La materia, a causa di una energia chiamata non a caso “ energia oscura”, letteralmente “esplode” (immaginate la superficie di un palloncino che viene gradatamente gonfiato) e viene scagliata con quella forza inaudita che dura tutt'oggi. Misurando le distanze tra i vari corpi celesti, si desume che esse sono in allontanamento reciproco dimostrando come l'Universo si stia continuamente dilatando.

Einstein ha dimostrato, però, che lo spazio ed il tempo non sono uguali dappertutto ma dipendono dall'osservatore. Se si verificano due eventi A e B, un osservatore tra di loro penserà che si siano verificati contemporaneamente, ma un altro osservatore vicino al punto A, penserà che l'evento A si sia verificato prima. Ed avranno ragione entrambi. In realtà non esiste un tempo unico. E' famoso l'esempio dei due gemelli uno dei quali viaggia su una navicella a velocità sostenuta, mentre l'altro rimane a Terra. Al ritorno dal viaggio il gemello sulla terra scoprirà di essere invecchiato molto di più di quello che ha viaggiato. E' la velocità che è responsabile di tutto ciò, e il tempo scorre in base alla posizione e alla velocità dell'osservatore. D'altra parte Einstein scoprì che lo spazio/tempo non è lineare ma curvo. Infatti quando un oggetto che si muove nello spazio si avvicina ad un oggetto di massa molto superiore ne viene attratto, come se cadesse dentro ad un buco, per la forza di gravità. Allora lo spazio s'incurva, e siccome è collegato al tempo, anche il tempo s'incurva. E questo ci dice che il trascorrere del tempo è più lento in presenza di alte gravità, e più veloce in presenza di basse gravità. Questo concetto ha portato ad una rilettura delle pagine della Genesi che indicano in “sei giorni” la creazione dell'Universo, affermazione spesso discussa perchè ritenuta ridicola. Il discorso ,però, cambia se si contrappone il concetto di giorno sulla Terra, e cioè le canoniche 24 ore, al significato del giorno al momento del Big Bang. Infatti dato che all'inizio tutta la massa era concentrata in un punto, la velocità , e quindi il tempo, scorrevano molto più lentamente, e si è calcolato che un giorno terrestre corrisponderebbe a 80000 milioni di anni all'inizio, e così 40000 milioni di anni per il secondo giorno, 20000milioni per il terzo e così via, man mano che la velocità e le distanze aumentavano.

D'altra parte la scienza ha scoperto l'esistenza di una materia oscura (che per la sua gravità tende a far restringere l'Universo) e di una energia oscura che invece tende a farlo espandere.

In realtà non si sa ancora bene che cosa siano (per questo sono dette oscure), ma si è accertato che occupano ben il 96 per cento di tutto lo spazio universale. 

Le teorie sulla fine dell'Universo sono molte, ma le più accreditate sono tre.

IL BIG CRUNCH, secondo il quale la fase di espansione si fermerebbe a causa della forza di gravità della materia ordinaria e di quella oscura, dando inizio ad una fase di contrazione che riporterebbe i corpi celesti al punto iniziale causandone il collasso ,appunto il Big Crunch. Un'altra teoria , chiamata “dell'Universo oscillante”, ipotizza che ciò dia inizio ad un nuovo Big Bang, ad un nuovo Universo, e via così all'infinito.

IL BIG FREEZE (il grande freddo) prevede , invece, che l'espansione continui indefinitamente,che le varie galassie saranno tanto lontane l'una dall'altra da non riuscire più a “vedersi” , e che le stelle consumeranno tutte le loro riserve energetiche, divenendo delle nane nere, buie e fredde.

IL BIG RIP (il grande strappo) sostiene che mentre l'energia oscura resta praticamente invariata , a causa dell'espansione la forza di gravità progressivamente va riducendosi, arrivando al punto da non riuscire più a tenere insieme galassie, stelle e pianeti, mentre gli atomi finirebbero per separarsi nei loro componenti , rimanendo solo i fotoni ( senza gravità).

Detto questo, la domanda rimane : che scopo ha l'Universo? E qual'è la sua intenzionalità?

Beh.... Lo scopo , come abbiamo visto dalla caratteristiche delle leggi fondamentali, potrebbe essere quello di creare le condizioni adatte alla vita, però è lecito andare anche oltre. Sappiamo che miliardi di anni ci hanno portato ad essere quello che siamo, ma sappiamo che ,pur tra altri miliardi di anni, la Terra sparirà, la forza del Sole si esaurirà e le Galassie stesse smetteranno di esistere. E allora? Considerazioni di questo tipo non possono non dare luogo a speculazioni di carattere filosofico e teologico tendenti comunque a cercare una risposta per le domande di sempre:

Qual'è l'intenzionalità della vita? A cosa serve vivere?

La scienza è ancora giovane ed ha molte cose ancora da scoprire. Questo non vuol dire che potrà sciogliere tutti i misteri. Molti interrogativi sono destinati a rimanere senza risposta, ma la ricerca continuerà a sondare l'infinitamente grande e l'nfinitamente piccolo, restando ancora per molto , o forse per sempre,in competizione con la fede che, per quanto la riguarda, i suoi dubbi li ha già risolti .

LA SCUOLA SALERNITANA

Non è mai auspicabile avere bisogno di cure mediche, ma pensate come era difficile curarsi nel Medioevo, quando una semplice ferita non conosceva antibiotici ed una caduta da cavallo voleva significare rimanere storpi per sempre,. e così via discorrendo. Quelli che ormai per noi sono per definizione piccoli malanni, dall'influenza alla febbriciattola ,dalla tosse al mal di schiena, curabili oggi con facilità e in poco tempo, allora costituivano impedimenti seri che potevano aggravarsi in mancanza di specifiche cure. Certo una situazione del genere spiega perchè fosse abitudine comune, a quei tempi, sperare più nell'intervento divino che non in inutili cure o in improbabili dottori.

In realtà però, dobbiamo proprio a questo bistrattato periodo le prime istituzioni mediche d'Europa, nel XI sec. , che cominciarono a prefigurare la nascita delle Università vere e proprie.

E in quest'ottica fondamentale si sarebbe rivelato il contributo fornito dal meridione italiano.

Un'antica leggenda tramanda che quattro maestri medici, un arabo, un ebreo, un greco ed un salernitano, si sarebbero incontrati, in una data incerta, per fondare quella che sarebbe passata alla storia come “La Scuola Salernitana”. Sembrerebbe invece che essa possa risalire addirittura alla scuola filosofica che nel VI sec. a. C. era stata fondata da Pitagora a Crotone. Se non restano scritti di questa attività ciò è dovuto al fatto che inizialmente, facendo riferimento alle conoscenze di Ippocrate e Galeno, gli insegnamenti erano trasmessi solo per via orale. Salerno era un crocevia importante per l'incontro di mercanti (soprattutto arabi ed ebrei) che portavano conoscenze nuove dall'Africa e dal Medio Oriente. Fino al XIII sec. la Scuola Salernitana costituì il maggior punto di riferimento per la medicina europea, esperienza che fu in seguito esportata costituendo il fulcro dell' Università di Parigi, dove il primo docente della facoltà di medicina riportò da Salerno i metodi e le pratiche di insegnamento. Tre furono, sin dall'inizio, le basi curative: la dietetica, la farmacologia e la chirurgia. L'alimentazione corretta era giudicata indispensabile per una vita sana, ed ancor più in caso di malattia. Quando l'equilibrio dei quattro umori fondamentali (sangue, flemma,bile gialla e bile nera) per qualche motivo subivano un'alterazione si ricorreva all'uso di elementi del mondo vegetale,animale o minerale, allo stato semplice o in composizione tra loro. Famosi sono in tal senso i ricettari e gli erbari che da Salerno si diffondono in tutta Europa, copiati ed adattati (celebre è il “Canone di Avicenna”). Risalgono a questo periodo i repertori di droghe e sostanze classificate a seconda del loro uso ed indicazione specifica. Molte sostanze e rimedi di allora conservano tutt'oggi la loro validità, come ad esempio, una su tutte, la corteccia di salice che contenendo l'acido salicilico anticipò di molto l'uso dell'aspirina. Nel caso in cui anche la terapia farmaceutica non risultava sufficiente, si doveva ricorrere alla chirurgia, laddove la figura del medico e del chirurgo erano solitamente accentrate in un'unica persona. La separazione tra le due ,soprattutto dal XII sec. , comportò una vera e propria subalternità del chirurgo al “fisico “ (medico vero e proprio). Le due specializzazioni hanno percorso strade diverse e indipendenti, ma ancora Federico II imponeva che per essere medici occorresse saper praticare la chirurgia. Stupefacente come alcune tecniche, come la trapanazione cranica, la riduzione delle fratture e l'uso delle “gessature” (anche se fatte con albume d'uovo) risalgano addirittura a metodi in uso nell'antica Roma. Il salasso come metodo di eliminazione di sangue impuro, contrariamente a quanto si può immaginare, era di solito sconsigliato, mentre esisteva già l'anestesia (pur se altamente pericolosa), che si otteneva imbevendo una spugna con una miscela di oppio, belladonna e giusquiamo.

Nemmeno le donne, anche se in numero non elevato, erano escluse da questi studi , in quanto la scuola Salernitana comprendeva alcune realtà ecclesiastiche e quindi anche monasteri femminili. Addirittura Luigi IX di Francia (detto il Santo), portò con sé in Terra santa durante la settima crociata, come medico personale,una donna che si chiamava Hersende. Naturalmente risale ad allora, in mancanza di adeguati mezzi diagnostici, l'uso di giudicare la densità dell'urina al tatto e di provarne l'acidità mediante l'assaggio. E' di quel periodo la nascita di norme per la corretta condotta medica. Accanto a insegnamenti dottrinali, infatti, si raccomanda al terapeuta un comportamento tale da ispirare fiducia al malato e alla sua famiglia, di rassicurazione per l'infermo e di chiarezza sulla diagnosi, sostenendolo nella sua sofferenza.

La stranezza è che, nonostante nel XII sec. la scuola Salernitana diventi anche maestra di filosofia, accompagnando agli studi medici anche lo studio delle opere , da poco riscoperte in latino, di Aristotele, non riesca a diventare una vera e propria Università, facendosi in questo superare da altre città europee come Bologna e Parigi. La facoltà di Medicina di Salerno, non all'interno di un complesso più articolato e compatto, comincia così il suo lento declino e pur vantando personalità come Silvatico (medico personale di Roberto d'Angiò), Gioacchino Murat la chiude definitivamente nel 1812, quando dell'antico splendore ormai resta veramente ben poco.

MA QUANTO E' LUNGO IL MEDIOEVO?

Spesso, semplificando, si suole dividere in quattro parti il nostro vissuto storico-sociale.

Le grandi età così individuate sarebbero quella antica o classica, quella medioevale, quella moderna e quella contemporanea. Naturalmente, però, non è facile attribuire date precise di inizio e fine di tali periodi, anche perchè epoche mediamente molto lunghe hanno avuto, come è naturale, percorsi diversi in luoghi diversi. E così, quando si vuol fare di tutta l'erba un fascio attribuendo facili etichette, si finisce col mettere insieme un po' ogni cosa senza i dovuti distinguo.

Il termine Medioevo, intendendo con questo quel periodo “di mezzo “ che separa due età ritenute culturalmente elevate, come appunto l'antica sapienza classica prima e la sua riscoperta rinascimentale dopo, fu coniato nel XVII sec. da Georg Horn nella sua “Historia Medii Aevi”, e contribuì a definire meglio i contorni di un periodo per molti avvertito come “buio” e quasi in perenne attesa di aprirsi alla luce della ragione del Rinascimento.

Oggi, dato per scontato il fatto che l'inizio del Medioevo determina una decisa crasi tra il periodo “classico” e quello “barbarico”, la maggioranza degli storici fanno iniziare il Medioevo all'atto della caduta dell'impero romano, con la deposizione di Romolo Augusto (detto Augustolo per la giovane età), avvenuta nel 476, simbolicamente efficace nella sua rappresentazione del trapasso di potere dalle mani di un romano, a quelle di un “barbaro” (Odoacre). Per altro, visto che comunque di convenzioni si tratta, vi sono altri storici che hanno inteso individuare altre date che ,secondo loro, rappresentano meglio l'inizio medioevale. In ogni caso la tesi Rinascimentale che il periodo a loro precedente fosse oscuro, in fondo nasconde l'evidente esigenza di magnificare il proprio, il che non può essere vero in assoluto, perchè così facendo dovremmo considerare oscuri geni incontrastati come Dante e Petrarca, Leonardo e Raffaello e tanti altri (almeno con riguardo alla loro data di nascita).

Alcuni amano considerare come inizio del Medioevo l'anno di incoronazione di Carlo Magno (800), altri ancora lo fanno coincidere con il sacco di Roma del 410 ad opera del barbaro Alarico, o con la fine dell'unità cristiana con l'invasione araba del VII sec. , o ancora con la calata dei Longobardi o con l'anno 1000. Si ribadisce che si tratta sempre e comunque di convenzioni strettamente legate all'importanza che lo storico di turno annette a determinati avvenimenti.

Da tenere conto, inoltre, che con la datazione più comunemente accettata si definisce un periodo estremamente lungo (oltre mille anni), che è stato necessario suddividere a sua volta in altri periodi più piccoli e caratterizzati differentemente:

ALTO MEDIOEVO, durato sino al X sec. che contraddistingue l'età delle invasioni (da parte di Slavi, Arabi,Normanni, ecc...), contribuendo a spostare verso Nord il baricentro politico europeo.

BASSO MEDIOEVO (detto anche tardo medioevo), in riferimento a XIV e XV sec., che parte dalla peste nera e che comprende il periodo delle signorie e dei castelli, con il consolidamento delle monarchie nazionali europee.

MEDIO MEDIOEVO (pieno medioevo), che riguarda i sec. dall' XI al XIII ,caratterizzati dalle lotte tra Papato ed Impero e dalla crescita del sistema dei Comuni.

Lo stesso discorso vale anche, capovolgendo i termini , per quanto riguarda la fine del Medioevo, che da nazioni diverse viene considerata diversamente a seconda, ad esempio, della nascita delle monarchie nazionali. Naturalmente il Medioevo finisce con l'inizio del 400 con quello, anch'esso individuato per convenzione ,che prese il nome di Umanesimo (e forse è opportuno ricordare che l'Umanesimo, precedendo e collegandosi direttamente al Rinascimento, torna alla lettura dei classici antichi e rivaluta l'uomo considerandolo padrone del proprio destino, non più succubo della Chiesa e della religione).

E così la fine di questo periodo di mezzo tanto bistrattato, anche se oggi è in atto, fortunatamente , un processo di rilettura e rivalutazione, da alcuni viene posto nel 1453, anno della fine della Guerra dei cent'anni, della caduta di Costantinopoli provocata dai turchi Ottomani nonchè dell'invenzione della stampa, come anche nel 1492, data in cui si completò il processo di “Reconquista” spagnola e furono scoperte le Americhe, o ancora con la Riforma Protestante di Martin Lutero del 1517 o la rivoluzione eliocentrica copernicana avvenuta nel 1543 .

Riassumendo, la Rinascita dell'arte e della conoscenza fu possibile per un nuovo modo di intendere l'uomo, la vita e l'Universo tramite l' Umanesimo, che del Rinascimento può essere considerato il motore, derivandolo dalle antiche civiltà romana e greca assunte come riferimento della perfezione definitiva.

Da queste considerazioni risulta evidente che il periodo passato alla storia come “oscuro Medioevo”, e

che fu così bollato dagli illuministi che cominciarono, da un certo momento in poi, a riporre la loro fede nella luce della ragione, non ha possibilità alcuna di difesa contro accuse che lo riguardarono molto dopo che il suo tempo si era esaurito. L'unico modo per potergli fare giustizia è quello di giudicarlo senza pregiudizi per quello che è effettivamente stato, e cioè un periodo che pur dovendo fare a meno di scienza e tecnica ha saputo esprimere personalità di valore assoluto che hanno comunque gettato le fondamenta del loro e nostro futuro, ed anche di quel Rinascimento che di quell'esperienza non avrebbe naturalmente potuto fare a meno.

 

VAMPIRI !!!

Nel 1816 a villa Diodati sul lago di Ginevra, costretti in casa da una forte tempesta e forse un po' per gioco o un po' per noia, cinque particolarissimi personaggi decisero di cimentarsi in una prova letteraria a base di fantasmi. Si trattava, nientemeno, di Lord Byron ,famosissimo poeta inglese,Percy Shelley, poeta che famoso lo sarebbe diventato di lì a poco , John Polidori, segretario di Byron, e due donne, Mary Godwin, amante e futura moglie di Shelley, e di Claire Clermont, amante di Byron. Fu incredibile il risultato di questo esperimento. Mary Shelley si ispirò ad un sogno spaventoso scrivendo il celeberrimo “Frankenstein” , Percy Shelley scrisse un racconto in cui compariva una “lamia”, mentre Polidori scrisse il libro che , primo in assoluto, era intitolato“Il vampiro”, che l'editore pubblicò inizialmente col nome di Byron per motivi pubblicitari (suscitandone per altro le ire) Nasce così l'immagine del vampiro, plasmato sul modello di Lord Byron, bello, nobile e libertino. E questo ancora prima che Bram Stoker scrivesse “Dracula” il più famoso libro sui vampiri di tutti i tempi.

In realtà il vampiro con mantello e marsina è solo una immagine letteraria, il che non toglie che i vampiri, anche se chiamati in cento nomi diversi , abbiano di fatto popolato da sempre gli incubi di tutti i popoli condizionandone spesso addirittura i comportamenti e alimentando comuni ataviche paure.

L'idea del Vampiro da' fiato a tutte le implicazioni religiose e rituali del rapporto complicato tra la vita e la morte, o meglio tra i vivi e i morti. Il termine vampiro si può fare risalire ad una derivazione serba, ma ci sono addirittura tavolette babilonesi conservate al British Museum ,che raffigurano esseri vampireschi (gli etimmè). La stessa Lilith da demone assiro fu recepita (come la figlia Lilu) nella tradizione ebraica come succhiatrice di sangue di bambini . La tradizione greco-romana ci parla delle “Lamie” orrendi mostri che si presentavano sotto le sembianze di donne affascinanti. E sempre a Roma si credeva all'esistenza delle Strix (strigoi rumeni) uccelli che bevevano sangue col becco adunco. Simili alla Lamie sono le “Empuse” classiche. In Portogallo erano tristemente famose le “Bruxas”. Ma la vera paura ancestrale non è verso i Vampiri propriamente detti, bensì verso ciò che rappresentano,e cioè il tentativo della morte di ghermirti e portarti con sé. Alcune culture (come quelle slave o cinesi) ritengono che l'uomo abbia più anime e mentre una si libera con la morte, le altre tenterebbero di tornare in vita dando luogo ai “revenants” (ritornanti) cercando di prolungare la loro esistenza tramite il sangue dei vivi. Nel tempo si sono inventati (e adoperati ) diversi sistemi per liberarsi di coloro che si credeva potessero essere vampiri. E con tale scopo si adoperò l'aglio, il fuoco, la decapitazione ,un paletto di legno nel cuore, la croce (superstizione religiosa che non poteva non innescarsi in tali comportamenti) ed altre piacevolezze del genere. Il legame tra la vita e la morte era in tutti i casi rappresentato dal sangue, inteso come linfa vitale (il vampiro acquistava vita rubando sangue ai vivi, mentre i vivi, nel darlo, cominciavano in qualche modo a morire), e questo atteggiamento era presente presso i Cartaginesi, i Vichinghi, o presso gli Aztechi che mangiando il cuore dei nemici erano convinti di prenderne l'anima. Insomma i Vampiri sono sempre esistiti. A volte non occorreva nemmeno essere morti .E' sconvolgente il caso della contessa Erzbeth Bathory, che convinta che la sua pelle non sarebbe invecchiata se bagnata dal sangue, arrivò al punto di assumere un numero impressionante di giovani domestiche che puntualmente dissanguava per bagnarsi del loro sangue. Quando, era ormai il1810, fu scoperta, nelle segrete della sua abitazione furono trovati i resti di ben 610 vittime. Nel tempo la cronaca riporta di casi di isteria che portarono diversi individui a commettere omicidi con lo scopo preciso di bere sangue. Un esempio? Nel XX sec. Joseph Vacher in Francia giunse a sgozzare ben ottanta persone. Di questi esempi se ne potrebbero fare molti, certo che la frenesia popolare giunse in alcuni casi ad eccessi che portarono a piantare indiscriminatamente paletti di legno nei cadaveri e alcune persone furono perseguite perchè accusate di vampirismo.

Mentre nelle culture occidentali il vampiro è tramandato nella forma umana che aveva in vita, nelle tradizioni africane il vampiro assumerebbe la forma di streghe che sotto l'aspetto di pipistrelli causerebbero la diffusione della peste, mentre terribili ed estremamente varie sono le forme che possono assumere nelle tradizioni orientali, dove si passa, solo per citarne alcune, dai chon-chon cileni , provvisti di teste volanti, ai polong malesi, piccoli come la punta di un dito, che entrano nel corpo delle vittime facendole impazzire.

Spesso il Vampiro è stato identificato con il Diavolo. Comunque è strano che anche in pieno “illuminismo” questi fenomeni fossero così rilevanti, coinvolgendo gente di assoluto livello come Voltaire che nel suo “Dizionario filosofico” fa intendere come i vampiri esistano veramente, ma anche Goethe e Baudelaire fanno lo stesso . Il bacio viene considerato come un morso affettuoso e anzi, all'origine del bacio ci sarebbe l'impulso a mordere.

Alcuni scienziati hanno posto il vampirismo in relazione ad una rara malattia ematica , la “Porfiria” ,a cui viene attribuita anche l'insofferenza all'esposizione della luce solare.

Sembra che si credesse che i Vampiri fossero più “gonfi” degli umani e che perciò si dovesse “bucarli”. E sembra anche che da questa credenza sia derivato quel metodo di esecuzione che passò alla storia come “impalatura”. Principe assoluto di questo sistema di morte è stato è stato Vlad III , figlio di Dracul II, da cui il nome Dracula e soprannominato Tepes -l'impalatore- (Drac in rumeno vuol dire Diavolo). Nonostante sia vissuto in un periodo in cui tortura e morte erano all'ordine del giorno, riuscì a surclassare tutti quanti per crudeltà ed efferatezza. Figurarsi che all'arrivo delle truppe di Maometto II gli fece trovare, debitamente impalati, ben ottomila prigionieri ottomani. Disgustato, Maometto fece marcia indietro. Tanto per capire il tipo, poiché gli si faceva notare che nel regno vi erano molti poveri, organizzò un banchetto per i mendicanti, alla fine del quale li fece uccidere tutti. Modo spiccio per eliminare la povertà. E noi pensiamo al reddito di cittadinanza!

 

I QUATTRO GRANDI PROFETI

Il sentimento religioso può trovare la sua motivazione fondamentale in una serie di credenze che vanno dalla comprensione del perchè le cose accadono sino a configurare gli scopi ultimi dell'Universo. Ogni religione si appoggia fondamentalmente su una o più entità superiori che hanno lasciato ai propri credenti una serie di regole comportamentali trasmesse da persone che ne hanno diffuso la parola. Queste persone vengono comunemente indicate come “Profeti”.

Per profeta (dal greco antico profètes) si intende colui che parla per “conto di”, o “al posto di” .

Sono delle personalità essenzialmente religiose, caratteristiche di fedi diverse che si assumono il compito di trasmettere alle genti la volontà di Dio, affermandone il volere e spesso predicendo il futuro. L'Antico Testamento è pieno di profeti grandi o minori. L'Islam riconosce Maometto come l'ultimo profeta di questa religione. Nel Cristianesimo ufficialmente i profeti non esistono, anche se talvolta questo ruolo è affidato ai Santi. Alcuni profeti cristiani moderni (mormoni, avventisti, ecc...) hanno anche inteso esercitare una valenza politica mossa da un intento etico (come sostiene Max Weber). In ogni caso il sorgere di una figura profetica coincide con un periodo di diffuso disagio e sempre come opposizione al RE (inteso come potere dominante). Nel MedioEvo la comparsa di un profeta spesso ha significato la nascita di un movimento eretico.

Anche le quattro fedi più diffuse nel mondo sono tutte rappresentate da un Profeta importante, che si è assunto il compito di diffondere la “verità rivelata”, cioè quella che viene raccontata da Dio ad un uomo prescelto come suo ambasciatore che la trasmette e la divulga.

Alla luce di quanto detto si possono storicamente individuare, in stretto ordine cronologico, quelli che a buon diritto possono essere definiti “I QUATTRO GRANDI PROFETI”.

MOSE' (religione ebraica, una delle più antiche,attualmente praticata da circa 15 milioni di credenti). Vissuto circa 1200 anni prima di Cristo, dalla Bibbia viene indicato come colui che avrebbe affrancato il popolo ebreo dalla schiavitù egiziana, ed il primo ad abbracciare una idea monoteista, probabilmente in coincidenza con la breve avventura in tal senso del faraone Akhenaton. A lui Dio avrebbe affidato il compito di guidare la sua gente alla ricerca della terra promessa, con un viaggio durato ben quarant'anni, e sempre a lui avrebbe consegnato le “Tavole della legge” nonché i precetti raccolti nella Torah. Gli storici sono concordi nell'ammettere la reale esistenza di Mosè, ma sono piuttosto scettici sul fatto che abbia potuto realmente compiere tutto quanto gli viene attribuito dalla Bibbia, unico documento di riferimento (essenzialmente religioso) . Gli ebrei non fanno proselitismo, semmai cercano di offrire un modello di vita perseguibile.

BUDDHA (religione indù, probabilmente la più antica in assoluto, praticata da circa 1 Miliardo di persone). Il principe Siddharta, circa quattrocento anni prima di Cristo, sarebbe uscito per la prima volta dal suo palazzo a 29 anni, scoprendo che esistevano il dolore, la malattia e la morte. Fu l'incontro con un mendicante ,che in realtà era l'incarnazione del Dio Brahma, a fargli scegliere di percorrere un sentiero di meditazione e ascetismo ( in quel periodo c'era un movimento che privilegiava questi comportamenti - i cosiddetti “rinuncianti”- )superato il quale ,riconoscendone la inutilità, tornò al mondo ed affrontò il demone Mara (e fu chiamato per questo Buddha “il risvegliato”). La sua predicazione sostiene che la sofferenza può essere debellata solo liberandosi dall'attaccamento alle cose, e che occorre trasmettere la dottrina con esempi di altruismo, generosità e pazienza.

GESU' (religione cristiana, la più diffusa al mondo, che conta circa 2,2 miliardi di fedeli). Circa 2000 anni or sono la Palestina era in grande travaglio. Si trovava sotto il dominio romano e molti erano i predicatori che inneggiavano alla libertà (spesso intesa solo con la cacciata dell'invasore). In questo scenario giunse Cristo (l'Unto). Della sua vita non si sa molto, e il poco che si conosce lo si deve a qualche Vangelo apocrifo e alle notizie che fornisce lo storico (ebreo) Giuseppe Flavio. Il compiere miracoli non fu una sua esclusiva prerogativa, in quanto essi erano attribuiti anche ad altri predicatori dell'epoca. Era sicuramente molto colto (a 12 anni intrattenne i dottori del Tempio). Oggi è appurato che nacque tra il 7 e il 4 a.C., e fu a causa sua che Erode commise la “strage degli innocenti” nel vano tentativo di sbarazzarsene. Fu crocifisso ( metodo di supplizio romano) sul Golgota dopo avere cacciato i Mercanti dal Tempio (avvenimento considerato realmente accaduto). La costituzione e l'organizzazione del “cristianesimo “, in realtà, sono quasi interamente dovute all'opera di Paolo di Tarso (San Paolo), mentre gli scritti della nuova religione (Vangeli) sono stati raggruppati nel Nuovo Testamento, scegliendoli tra la trentina allora esistenti e condannando alla distruzione tutti gli altri (definiti apocrifi), per opera dell'imperatore Costantino nel Concilio di Nicea del 325 d.C, quando il Cristianesimo divenne religione di Stato.

- MAOMETTO (religione islamica, oggi praticata da circa 1,6 miliardi di seguaci).

5 secoli dopo la nascita di Gesù in Arabia le divinità erano almeno 300 ,tutte in qualche modo dipendenti dal creatore del mondo Allah. Fu alla Mecca che nacque Maometto, in una delle tribù arabe più ricche, in competizione con le altre per motivi di interesse economico .Maometto fu allevato per fare il mercante, ma una notte gli sarebbe apparso l'Arcangelo Gabriele, che gli rivelò che Allah era l'unico Dio e che lui sarebbe stato il suo profeta. L'ultimo. Così ebbe origine il Corano, libro sacro dell'Islam, dettato da Allah a Maometto tramite l'Arcangelo Gabriele, che insieme alla Sunnah (regole comportamentali spesso trasmesse per via orale), costituisce il complesso delle credenze islamiche . Islam vuol dire “sottomesso a Dio”, mentre musulmano “colui che compie la volontà di Dio”. I musulmani si vantano di avere una fonte più precisa di quelle cristiane ed ebree, in quanto il loro credo, contrariamente alla Bibbia, sarebbe stato scritto in pochi anni (40) e da una sola persona. 

La sua predicazione portò Maometto a dovere subire inizialmente la lotta delle altre tribù che lo costrinse a rifugiarsi a Medina prima di potere tornare, dopo otto anni, alla Mecca. L'Islam oggi è una religione monoteista in cui non si fa distinzione alcuna tra professione religiosa e vita civile.

Ovviamente esistono moltissime altre religioni in cui si suddividono i vari culti.

Curiosamente, da recenti indagini demoscopiche risulterebbe che il terzo gruppo al mondo per numero, dato tra l'altro in costante ascesa, sarebbe quello, dopo cristiani e islamici, rappresentato da atei e agnostici (che non vantano alcun profeta), numero considerato per difetto data la difficoltà, in alcune parti del mondo , di potere esprimere liberamente il proprio parere sull'argomento.

LE SETTE

Dobbiamo ammetterlo. La parola “Setta”, inevitabilmente, suscita in noi una sorta di avversione e di paura. Suscita il timore di riti segreti e inconfessabili, spesso associati a pratiche demoniache e peccaminose. In realtà il significato negativo associato alla parola è qualcosa che si è costruito nel tempo. Il termine viene fatto derivare dal latino “secare” , intendendo “tagliare” o “separare”, indicando la decisione di alcune persone di allontanarsi dalla via ortodossa per seguirne altre minoritarie, oppure,secondo alcuni, dal verbo “sequor” (seguire) che caratterizza quei gruppi che scelgono di seguire una dottrina religiosa, filosofica o politica che per i propri aspetti dottrinali si discosta da quelli comunemente affermati e diffusi (nonché il “seguire “ gli insegnamenti di una determinata personalità carismatica). Naturalmente le Sette non sono mai state accettate da quelle comunità precostituite che in esse hanno scorto qualcosa che poteva mettere in discussione la loro autorità, e da questo , man mano, derivò il significato negativo associato alla parola. Un po' quello che successe con la parola eresia (scelta), inizialmente innocua e che poi servì unicamente a designare le “scelte sbagliate”. Spesso le Sette operano all'interno di una religione, come si è verificato per il movimento valdese, considerato inizialmente eretico e solo in un secondo tempo identificato come Chiesa, come accadde, del resto, a quelle che oramai vengono definite Chiese Evangeliche. Nel tempo,a seconda dei diversi periodi storici, la nascita di una setta ha comportato spesso scontri ,a volte anche violenti, con minacce, intimidazioni e persecuzioni da parte del gruppo dominante. Alcuni hanno proposto di usare in luogo del termine setta quello di “culto”, ottenendo però scarsi risultati, in quanto i due termini finirono per essere equiparati (negli Stati Uniti presero il nome di cult-like). Interessante è la distinzione , in campo religioso,tra Setta e Chiesa. Infatti potrebbe capitare che un movimento che nascesse oggi,e guardato con sospetto e preoccupazione, potrebbe prendere dopo un adeguato lasso di tempo, la dimensione di Chiesa. Non dimentichiamo che anche i cristiani, come detto negli Atti degli Apostoli, inizialmente venivano chiamati da romani ed ebrei “setta dei nazareni”. Questo passaggio può avvenire contestualmente all'affermarsi di una importanza culturale e sociale del gruppo stesso. In pratica si tende a diventare “Chiesa”quando un movimento all'inizio di importanza marginale, si espande a tal punto da acquisire maggiore credibilità. Seguendo questo concetto, ne consegue che tutte le Chiese attuali sono state delle Sette nelle loro fasi iniziali (come, ad esempio, la Chiesa Avventista o la Chiesa Mormone). Naturalmente la differenza essenziale tra setta e chiesa sta anche nel fatto che in una chiesa “si nasce”, mentre ad una setta “si aderisce”. In ogni caso, normalmente, le sette , anche quelle non religiose, si affermano come gruppi che sorgono attorno alla figura di una personalità carismatica

(spesso chiamata “guru”). I seguaci delle sette sono gente generalmente appartenente al ceto medio, insoddisfatte delle risposte ottenute dalla religione tradizionale, o in cerca di emozioni nuove e differenti messaggi spirituali. La necessità di trovare una guida importante e la consapevolezza di rendersi partecipi di un progetto ritenuto fondamentale sovente li porta al completo asservimento.

I guru normalmente non sono soggetti a critiche e comandano in modo assoluto. Certo non è da dire che tutte le sette debbano per forza essere negative o pericolose, anche se in generale sono di difficile classificazione in quanto si muovono da quelle di tipo esoterico a quelle di tipo ufologico oppure olistico e molto altro ancora, ma il percorso che fanno compiere all'adepto, più o meno, è sempre lo stesso. La persona che si avvicina alla setta è immediatamente accettata nel gruppo e la si fa sentire importante, come parte di un tutto, ma i passi successivi portano inevitabilmente a farla sentire sempre meno padrona delle proprie decisioni, dei propri affetti e dei propri beni. In effetti si compie una vera e propria cessione della “volontà” e si giunge a obbedire ciecamente agli ordini del leader, potenzialmente capaci di arrivare anche a gesti estremi.

Come si diceva pur apparendo a volte strane, le sette non sono necessariamente pericolose, ma purtroppo non sempre è così. Infatti alcune sette, celebri per essere salite alla ribalta della cronaca, si sono poste come alternativa alla cristianità, finendo per rientrare nel novero di quelle meglio note come “Sette Sataniche”. C'è da dire, per la verità, che i culti dedicati a Satana ci sono sempre stati, ma la Chiesa di Satana moderna è stata fondata da un certo Anton La Vey, che ha addirittura pubblicato la cosiddetta “Bibbia Satanica”. Purtroppo molte di queste sono state causa di morti, omicidi e deviazioni di tipo sessuale. A volte i decessi sono state causati anche da sette non sataniche, come la Setta del Tempio solare, causa del decesso (omicidio di massa indotto) di sedici persone nel 1995 in Francia. In linea di massima l'aderire ad una setta satanica comporta il rinunciare alla propria cristianità , rinnegare la propria fede e ribattezzarsi nel nome del Diavolo.

Nel 1990 a Tijuana, nel Messico, dodici persone del “Tempio di Mezzogiorno” furono avvelenate durante una seduta spiritica, mentre a Waco, nel Texas, 84 persone “Davidiane” si diedero fuoco per sfuggire alle forze di polizia. Di accadimenti simili se ne potrebbero citare parecchi, ma il più cruento fu sicuramente quello successo nel 1978 a Jonestown (Guyana), quando ben 913 persone facenti parte della setta “Tempio del Popolo” furono convinte dal loro guru Jim Jones a bere del veleno. In realtà si trattò di un vero e proprio omicidio, perchè alcuni che si erano rifiutati di bere furono uccisi con armi da fuoco. Solitamente due possono essere le vie percorse da una Setta ,o vengono accettate come vere e proprie filosofie di culto,ovvero tendono all'autodistruzione.

I movimenti “non religiosi” si basano su principi e teorie psicoterapeutiche o politiche ed economiche, e sono prive di una vera e propria divinità di riferimento (psico-sette) , come Scientology, negli USA .Quelli “religiosi”, complessivamente più numerosi, possono essere di tipo profetico, messianico, millenarista, apocalittico ed altro ancora. Infine i movimenti “magici e occultisti” (fra cui anche quelli satanici), si basano su concetti di magia bianca e nera, di esoterismo e spiritismo. Sovente si tratta di manifestazioni che riconducono a forme di neo-paganesimo e neo-stregoneria, mentre gli eccessi rituali sarebbero dovuti a fenomeni di isteria collettiva.

 

CARLO MARTELLO E LA BATTAGLIA DI POITIERS

Cerchiamo, con l'immaginazione, di portarci nell'Europa occidentale del 730. La Spagna si trovava nelle mani di arabi e berberi che, dopo la grande vittoria del Guadalete nel 711 e la morte del visigoto Rodrigo, poterono assumere il dominio di tutta la penisola iberica. A Nord dei Pirenei, invece, c'era l'Aquitania, nominalmente sotto la sovranità franca, ed i regni merovingi di Austrasia e Neustria, rivali tra loro. Occorre descrivere meglio le circostanze che determinarono l'invasione islamica della Francia. Oddone d'Aquitania guardava con sospetto la crescente importanza di Carlo Martello, maestro di palazzo della Austrasia (che aveva anche riunito alla Neustria) , e giunti in battaglia fu da lui sconfitto a Soisson nel 719. Parallelamente, in territorio spagnolo, Uzman Abi Nessa, (chiamato Munuza dai cristiani) wali (governatore) della Cerdagna, desiderava sganciarsi da Cordova, capitale di El-Andalus. Venne quasi naturale per i due stringere un'alleanza contro i loro nemici, e Oddone giunse al punto di costringere la figlia Lampagia a sposare Munuza. In quel momento le incursioni arabe in Aquitania, pur se condotte non con lo spirito di conquista ma con quello più modesto di cercare bottino, avevano comunque comportato la formazione di alcuni capisaldi arabi a Narbonne e a Carcassonne. Ed in un'occasione era stato lo stesso Oddone a respingere un violento attacco contro Tolosa. L'idea di creare una specie di territorio cuscinetto tra arabi e franchi poteva sembrare quindi vantaggiosa.

Ma la realtà fu diversa, perchè l'alleanza non fu vista di buon occhio da Metz (capitale di Austrasia) e nemmeno da Cordova e mentre Carlo Martello invadeva l'Aquitania costringendo Oddone all'obbedienza, l'emiro di Cordova al-Ghafiqi attaccava Munuza ritenendolo un traditore, sconfiggendolo ed inviando la sua testa in salamoia a Damasco (la povera Lampagia finì i suoi giorni nell'harem del califfo). Naturalmente, senza più la presenza di territori cuscinetti a dividerli, arabi e franchi si trovarono a diretto contatto e fu così che nel 732 l'esercito arabo omayyadi (si calcola 30000 uomini) attraversò i Pirenei e, passando per Roncisvalle, si addentrò in Aquitania. Le milizie aquitane non erano in grado di sostenere un tale assalto, anche perchè l'intento dell'esercito invasore non era più quello di limitarsi a fare bottino, bensì quello di conquistare nuovi territori, ed infatti i soldati erano accompagnati anche dalle loro famiglie, forse per completare il sogno di Damasco di creare una sorta di anello islamico attorno al Mediterraneo, fino a circondare l'odiata Costantinopoli che continuava a resistergli. Oddone non poteva che chiamare in aiuto Carlo Martello che, resosi conto della gravità della situazione, accorse con il suo esercito e i due si incontrarono a Tours. Gli eserciti si scontrarono a Poitiers e la battaglia durò ben sette giorni, tra attacchi e ritirate, schermaglie ed affondi decisi, ed ebbe la sua conclusione quando finalmente Carlo Martello riuscì ad attirare il nemico in un territorio meno adatto alla cavalleria pesante araba, e contemporaneamente Oddone attaccava il campo avversario inducendo molti guerrieri nemici ad abbandonare la lotta per salvare beni e famiglie. La morte di al Ghafiqi diede il suggello finale allo scontro.

Alcuni storici sostengono che se la battaglia di Poitiers avesse avuto un esito diverso, ora nelle nostre scuole studieremmo il Corano. In ogni caso le cose non finirono allora in terra di Francia, perchè Carlo Martello riguadagnò le città perdute, favorito sia da una guerra intestina tra arabi e berberi in territorio spagnolo, sia da una rivolta in Iraq che estromise gli omayyadi a favore degli abbasidi , con conseguente trasferimento della capitale a Baghdad.

Interessante il fatto che nella “cronaca mozarabe”, scritto del 754, i vincitori cristiani vengano per la prima volta definiti europenses “Europei”, liberandosi da quella dipendenza dalla concettualità “romana”, oramai anacronistica.

Dopo Carlo Martello, il figlio Pipino spodesta l'ultimo re merovingio Childerico II, divenendo re dei Franchi, mentre il nipote, Carlo Magno, merita una trattazione a parte.

Per l'esattezza i tentativi arabi non finirono completamente, ed ebbero momenti di recrudescenza come nel 740 quando venne sferrato un attacco di notevole potenza, ma ormai, per l'instabilità stessa di El-Andalus, non riuscirono nel loro intento .Il processo di cacciata degli arabi dalla penisola iberica fu molto lungo (duro' ben 750 anni) e si concluse quando “I re cattolici” Fernando d'Aragona e Isabella di Castiglia, nel1492, completarono quella che passò alla storia come “La Reconquista”.

La fama di Carlo Martello, al di là dei meriti di re e combattente, configurandosi ai posteri come salvatore della cristianità, resta comunque legata ad una impresa che per la sua portata storica può essere considerata uno dei primi tentativi di edificazione europea.

STRANI CODICI MEDIOEVALI

Per “Codici” si intendono quelle scritture che ,dopo l'abbandono dell'uso del papiro, vennero effettuate su pelli animali, composte a strati , che diedero origine ai concetti di foglio e pagina, e assemblati e rilegati in modo non dissimile da quello che avviene oggi. In più erano spesso abbelliti da miniature e disegni di alta qualità. I Codici erano redatti da scribi che ne facevano qualche copia, in modo tale che librerie e monasteri ne fossero provvisti, con l'aggiunta per quei collezionisti che amavano possedere opere particolari e che avevano la possibilità di poterselo permettere. Questo, ovviamente, prima dell'avvento della stampa. Solo nel Basso Medioevo i libri vennero commissionati ad appositi artigiani per motivo di studio o per uso professionale,mentre la nobiltà richiedeva che i libri fossero di lusso (libri cortesi).

I Codici medioevali erano spesso chiarificatori di un argomento o di una storia, contenevano insegnamenti teologici, teorie mediche e filosofiche, storie eroiche, e non mancavano opere di sfrenata fantasia.

Molti di questi sono diventati famosi perchè facenti parte di un gruppo denominato “MARGINALIA”. Si tratta di libri sui cui margini l'autore stesso, ma anche i successivi lettori, hanno inteso mettere in evidenza un determinato passo descritto all'interno, apponendo ,in riferimento ,delle note o dei disegni che contribuivano ad arricchire, non sempre in maniera comprensibile, quelle che altrimenti sarebbero rimaste pagine pressoche' anonime.

Nel tempo, in verità, si è raccolto un notevole bagaglio di note e soprattutto disegni veramente interessanti, che oltre a completare le opere in cui si trovano, forniscono uno spaccato del tempo in cui sono stati fatti e informazioni su testo e autori. Tipico di ciò, ad esempio, il codice medico di Arderne, del XIV sec., in cui l'autore, valente medico, ci offre una serie di disegni che illustrano gli argomenti trattati ed è possibile vedere flebotomi, arti scarnificati, glutei e uomini nudi e cose del genere . Certo però che se nel caso di Arderne lo scopo dei disegni appare chiaro, in tante altre occasioni non si può dire altrettanto, perchè si tratta spesso di fantasie, prese in giro, derisioni. E così si assiste ad immagini di cavalieri che combattono contro lumache, esseri metà uomini e metà animali, prelati ignudi , scimmie che suonano e così via. Per non parlare dei Bestiari, libri con fini miniature che rappresentavano un mondo popolato da esseri fantastici, stupendi e del tutto falsi. Alcuni dei codici medioevali meritano una menzione particolare. Il primo è senz'altro il “ CODICE VOYNICH”. Questo manoscritto illustrato, che con datazione al carbonio è stato fatto risalire al XV sec, è tutt'ora definito come “il manoscritto più misterioso del mondo”. Reca immagini di vegetali non riconoscibili e la lingua usata non fa riferimento ad alcun alfabeto noto. Solo dalle illustrazioni si possono ipotizzare gli argomenti di cui tratta (botanica, astronomia, biologia...).

Il nome è dovuto al libraio che lo scoprì, acquistandolo, presso il collegio gesuita di Villa Mondragone nel 1952 e che all'interno reperì una lettera del 1665 di Rodolfo II di Boemia che lo inviava a Roma per la traduzione. Il libro, non ostante diverse interpretazioni destituite di ogni validità, resta ancora un mistero, il che ha avuto il potere di ispirare libri e film in cui gli vengono attribuiti particolari poteri occulti (in uno addirittura viene considerato coma una mappa per trovare il giardino dell'Eden). Potrebbe trattarsi, ma anche questa è un'ipotesi non provata, di un testo scritto in una specie di antico latino “cifrato”. Ma non ostante l'intervento di moderni metodi e l'impiego di speciali algoritmi, il mistero continua.

Una storia a parte, e senza dubbio affascinante, è quella del “CODICE GIGAS” il più grande manoscritto medioevale di tutti i tempi (gigas vuol dire gigante) oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Svezia. Pensate che pesa circa 75 Kg. ,misura 92 cm. di lunghezza , 50 di larghezza e 22 di spessore, con copertine di legno foderate in pelle. Una leggenda racconta che un monaco benedettino boemo, condannato ad essere murato vivo per indegnità, promise di scrivere in una notte il più grande codice mai realizzato, pur di ottenere la salvezza . Per far questo si rivolse al Diavolo che lo aiutò a compiere il progetto in cambio della sua anima. L'altro nome con cui è conosciuto: “Bibbia del diavolo”, non deriva però da questa storia, bensì da una grande immagine a tutta pagina del Diavolo provvisto debitamente di baffi, artigli e corna. Il Codex Gigas contiene una versione della Vulgata, opere di Giuseppe Flavio, le Etimologie di Isidoro di Siviglia ed altro ancora, nonché schizzi di medicina ed alchimia. Per molti anni è stato annoverato tra le meraviglie del mondo.

Per opinione unanime il Codice più bello e prezioso dell'intero medioevo sarebbe il “ Roman d'Alexandre” , noto come Bodley 264 e conservato ad Oxford, manoscritto artisticamente miniato che narra le storie di un condottiero (Alessandro Magno) e di un viaggiatore (Marco Polo), finendo per costituire un dettagliato affresco della società di quel tempo ( la sua scrittura, cominciata nel 1338 è stata completata nel 1410),attraverso l'affascinante e immaginifica corsa “verso l'Oriente”.

Generazioni di lettori e studiosi sono stati conquistati dall'eleganza della scrittura e dalle rappresentazioni (miniature) che decorano i margini delle sue pagine

In ogni caso bisogna sempre accertarsi della autenticità dei manoscritti di cui si ha notizia, per evitare di commettere, anche in buona fede, errori incredibili. Uno dei casi più eclatanti riguarda senz'altro il “NECRONOMICON”. Questo testo racconterebbe di uno yemenita folle, certo Al-azif, morto a Damasco nell'VIII sec. che avrebbe raccolto in un volume maledetto norme e precetti di magia nera, con le procedure per evocare i morti e i diavoli. In realtà, però è soltanto uno “pseudobiblium”, e cioè una vera e propria invenzione di cui si parla e si narra come se fosse vera , di cui si danno precise informazioni e a cui si attinge ogni qualvolta occorre alimentare cupe ragioni di misteri irrisolti e irrisolvibili. La verità è che si tratta di una ben orchestrata fantasia del genio della fantascienza H.P.Lovecraft (1890-1937), che immaginò un libro di tal fatta, costruendogli attorno un passato e dei riferimenti talmente credibili da essere reputati assolutamente reali da un numero enorme di suoi colleghi, al punto che storie con lo stesso titolo vennero scritte veramente, mentre si sparse la voce che copie del manoscritto fossero reperibili presso varie importanti librerie nel mondo. Si giunse al punto che quando lo stesso Lovecraft confessò di avere inventato tutto per dare credibilità ai suoi romanzi, non venne creduto, e si preferì continuare a ritenere che il Necronomicon fosse una realtà inscindibile con la storia di quelle opere che descrivono tanto bene il mondo dell'Horror e del soprannaturale, e che tanto fanno comodo a certa filmografia.

RUNE

E' uso comune e deprecabile riferirsi alle tribù continentali europee antiche riunendole nella denominazione comune di “Barbari”. E' sicuro che Celti, Ostrogoti, Vandali, Eruli e Longobardi furono coloro che misero a ferro e a fuoco la “civile” Roma ponendo fine al suo secolare potere, ma ciò non deve far dimenticare il loro notevole contributo alla cultura ed alla unificazione europea. Bisogna distinguere tra i Longobardi, che quando scesero in Italia erano già cristianizzati e parlanti l'alfabeto latino, dalle altre tribù che rimasero al di là delle Alpi e usavano uno strumento di scrittura originale, chiamato “runico”. Le Rune (segni incisi su pietra o legno) oltre che per la scrittura venivano usate per scopi magici e divinatori. Tenendo presente che il Nord Europa è stato l'ultimo ad essere cristianizzato, è abbastanza cospicuo il materiale letterario giunto sino a noi, che tramanda la mitologia nordica e le sue saghe (tra cui ricordiamo le due Edde islandesi, quella in prosa e quella poetica)

Le Rune (dal norreno Rùn, mistero o segreto, ma anche bisbigliare, sussurrare) ancora oggi vengono considerate uno strumento di crescita spirituale per il riferimento al divino. Sono anche un oracolo a cui affidarsi, ed il cui responso va interpretato opportunamente. Spesso si associano, impropriamente , ai Tarocchi. Anticamente tavolette con incise Rune si usava lanciarle su di un lenzuolo bianco, e successivamente venivano scelte e interpretate dal sacerdote o dal capo famiglia. Ogni Runa ha significati esoterici ben precisi e ad ognuna è abbinata una divinità nordica. Il primo documento storico che cita le Runa è di Tacito , nel I sec. Vi sono almeno tre versioni principali dell'alfabeto runico (dette “futhark”), e cioè il futhark antico con 24 caratteri, quello anglosassone con 39 caratteri e quello scandinavo , o giovane, di soli 16 caratteri. Ogni simbolo fa riferimento ad un valore fonetico (per questo si dice anche alfabeto segnico), così ad esempio la prima Runa, Fehu, ha valore di “effe” ,col significato di bestiame, quindi associata a ricchezza e fortuna economica. Non sono certe le origini delle rune, ma oggi si propende per una derivazione dalla colonizzazione greca dell'Italia meridionale, e quindi dall'etrusco, in particolare dalla città di Cuma. L'alfabeto runico ha avuto utilizzi moderni, come nel romanticismo scandinavo nel XVIII sec. , nell'occultismo del XIX e nell'etenismo (forma neo-pagana del XX ). L'esoterismo runico nella Germania e nell'Austria del XIV-XV sec. si deve essenzialmente a Guido von List, occultista mistico che creò le cosiddette rune armane che giocarono un forte ruolo nel simbolismo nazista e nella creazione del SS-Ehrenrin (anello con la testa di morto) e nel simbolo della organizzazione delle famigerate SS. Le Rune furono usate anticamente solo per iscrizioni, mentre per la conservazione della cultura, prima essenzialmente orale, con l'avvento del cristianesimo si fece uso del manoscritto e dell'alfabeto latino. L'accostamento delle Rune a riti magici e divinatori ne fece, agli occhi del cristianesimo, una procedura pagana assolutamente da reprimere.

Una caratteristica comune a tutti i futhark è l'assenza di segni curvilinei e orizzontali, questo perchè venivano incise su pietra con coltelli o punteruoli, o su legno in modo perpendicolare alle venature. Le Rune possono facilmente trovarsi in diverse migliaia di stele incise sparse nei paesi scandinavi e in Gran Bretagna. L'iscrizione più lunga consta di 800 caratteri e narra un argomento mitologico.

Sempre secondo la mitologia si narra che il dio Odino dopo essere rimasto appeso a testa in giù per nove giorni e nove notti alla sua lancia infissa nel Yggdrasil, il frassino cosmico che rappresenta l'Universo, quando sotto di lui apparvero le Rune se ne appropriò conquistando conoscenza e potere. In seguito fece dono di tale conoscenza alla dea Freya, che gli insegnò in cambio la magia sciamana del Seidr. Fu Heimdallr, figlio di Odino, che infine trasmise le Rune al genere umano, anche se Odino resta comunque il dio delle Rune per antonomasia.

Per completezza occorre dire che vi sono alcuni storici che fanno risalire le origini delle Rune alle ipotesi greca o a quella romana, ma si tratta di teorie minoritarie.

Le Rune Celtiche sembrano con certezza risalire a prima del I sec., in quanto in quel periodo avrebbero senz'altro più facilmente adottato l'alfabeto latino, mentre bisogna tenere anche conto che a sopravvivere all'usura del tempo sono state solo le iscrizioni in pietra,mentre quelle in legno, sicuramente la maggior parte, sono andate perdute.

Furono i monaci cristiani a trascrivere le saghe che per secoli erano state trasmesse solo per via orale ma, cercando di interpretare un mondo che non conoscevano e non capivano, spesso tali versioni risultarono meno veritiere delle saghe dei “re di Norvegia” a cui facevano riferimento, adattandole alla propria religione che cercavano di affermare in tutta la Scandinavia.

 

L'ESERCITO DI TERRACOTTA

 

La Cina nel II sec a. C. era ben diversa da quella che oggi conosciamo. Era divisa in sei regni da centinaia di anni in continua lotta tra di loro, senza che nessuno riuscisse a primeggiare. Nel 259 a.C. , però, nacque Ying Zheng primogenito del re di Qin (uno dei sei regni), e le cose cambiarono in fretta. Con grande abilità strategico-militare (ed aiutato anche da qualche calamità naturale), infatti, non solo riuscì a conquistare tutti gli altri cinque regni, ma addirittura si proclamò imperatore della Cina, il primo in assoluto. Si autodenominò Qin Shi Huang (letteralmente “primo imperatore della dinastia Qin”) ed era un tipo del tutto particolare, aveva grande considerazione di sé stesso ed ambiva all'immortalità. La sua ferocia in battaglia è indimenticata. Pensate che non faceva prigionieri e che le promozioni e i premi per i suoi soldati dipendevano dal numero di teste dei nemici che riuscivano a raccogliere. Chi non ne portava nemmeno una era a rischio esecuzione. Pensava in grande ma, come un Dio, voleva vivere per sempre e fu perciò che fece costruire un enorme mausoleo a testimonianza della sua grandezza a soli 30 Km. da XiAn (la prima capitale della Cina), in una località chiamata Litong. Fu sempre lui a fare iniziare i lavori per la Grande Muraglia Cinese ( che stime recenti dicono sia lunga oltre 8000 Km.). Per la costruzione del suo mausoleo pare che sia stato necessario il lavoro di 700.000 persone, e rappresenta una vera e propria città, con caverne e camminamenti, mentre la tomba dell'imperatore, sepolta sotto una collina di circa 50 metri, non è stata ancora portata alla luce. Dentro il Mausoleo l'imperatore mise tutto ciò che poteva servirgli dopo la morte Secondo alcune leggende e antiche scritture, il soffitto del Mausoleo (che resta a tutt'oggi un mistero) sarebbe fatto di rame e perle, onde raffigurare il cielo e le stelle, mentre in basso in due fiumi che rappresenterebbero il Fiume Azzurro e il Fiume Giallo che scorrono verso il mare,il mercurio liquido avrebbe preso il posto dell'acqua.

In quel periodo si credeva che il mercurio desse l'immortalità ed è quasi una beffa che l'imperatore, che ne assumeva giornalmente una dose, ,a soli 39 anni morisse per avvelenamento di quello stesso mercurio che avrebbe dovuto regalargli la vita eterna. In ogni caso nel mausoleo lui mise tutto ciò che poteva servirgli ad essere il primo anche nell' Aldilà.

Nel 1974, dopo un lungo periodo di siccità, molti presero a scavare pozzi alla ricerca di acqua, e fu così, per puro caso, che un contadino di nome Yang Zhifa scoprì delle fosse sepolcrali che contenevano statue in terracotta, e fu per merito degli scavi susseguenti a questa scoperta che venne rinvenuto il Mausoleo. Per soddisfare il suo ego ipertrofico Qi Shi Huang aveva sentito il bisogno di portare con sé anche dopo la morte il simbolo più evidente del suo potere: l'esercito che gli aveva permesso di riunificare tutta la Cina. Quale simbolo migliore per rappresentare la sua grandezza , anche se solo simbolicamente, se non uno stuolo di ben 8000 statue di terracotta, con diciotto carri da guerra e cento cavalli, che rappresentavano, in ordine di battaglia, soldati, cavalli, carri, armi, il tutto a grandezza naturale?

Dalle posizioni dei guerrieri, delle mani e dai corpi, si possono dedurre molte delle tecniche di combattimento adottate a quei tempi. Le battaglie venivano compiute a piedi (l'uso dei cavalli in battaglia fu posteriore e adattato per combattere le tribù nomadi esperte cavallerizze). Molte armi, alcune ancora affilate, testimoniano la cura militare di quell'esercito, anche se parecchie sono state trafugate dalla successiva dinastia Han.

Nessuna statua è uguale ad un'altra, e le armature mostrano una grande varietà di decorazioni.

L'intero esercito è posto a guardia della tomba dell'imperatore. Si narra anche di numerose statue rappresentanti le centinaia di concubine della corte, ma queste ancora non sono state riportate alla luce.

Una interessante teoria molto recente avanza l'ipotesi che le statue di terracotte possano essere state ispirate da analoghe di tipo “ellenico”, portate in Asia a seguito delle conquiste di Alessandro Magno, ed alcuni arrivano a sostenere che potrebbero essere stati dei “greci” a realizzare le prime.

In ogni caso Qi Shi Huang ebbe il merito di uniformare, in tutto il suo impero, la scrittura, i pesi e le misure, la moneta e perfino gli assi dei carri.

Come molti altri dopo di lui, fece bruciare tutti i libri che parlavano di un passato in cui non era presente, perchè tutto doveva cominciare da lui .

Dopo la sua morte(nel 210 a.C.) la sua dinastia sopravvisse per poco, e già nel 202 a.C. La nuova dinastia Han riuscì ad imporre il suo potere mantenendolo per circa quattro secoli.

Il Mausoleo di Qi Shi Huang contiene favolose ricchezze materiali e storiche, ma giace ancora a 50 metri di profondità, dove l'imperatore dorme indisturbato da oltre due mila anni. Le autorità cinesi, però sono molto caute nel programmare ulteriori scavi, nel timore che, non disponendo delle necessarie tecniche, si possa arrecare danno ai reperti, come successe ai primi cavalieri rinvenuti che, non adeguatamente protetti, persero definitivamente tutti i pigmenti colorati che evaporarono . Ma ogni anno che passa si consolidano nuove tecniche di scavo e conservazione, perciò è naturale che , prima o poi, quando le autorità cinesi si sentiranno sufficientemente garantite, potrà essere svelato il mistero legato al mausoleo più opulento di tutta la Cina.

Un altro motivo di cautela è dato dalla probabile presenza di mercurio in grande quantità nelle profondità della collina che ospita il mausoleo, ed aprendo la tomba si rischierebbe di far esplodere una vera e propria bomba tossica dalla conseguenze imprevedibili.

Il sito archeologico di XiAn è considerato uno dei più importanti del mondo ed è patrimonio dell'umanità.

 

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