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Dettagli...

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di Carlo D'Arrigo*

Papà Ti voglio bene

Non la festa del Papà ma la festa di Papà, perché Papà è unico, è uno solo ed è anche quello che ha plasmato, inventato, la nostra vita e il nostro eterno affetto. Per grandi o piccoli, la figura di papà è sempre lì pronta a rispondere ai bisogni dei figli, all’amore di chi ha messo al mondo. Pronto ad ogni chiamata come un telefono amico, un telefono di soccorso o, meglio, un telefono dell’amore sicuro. E se non è più accanto a noi rimane sempre nella memoria con un imprinting indelebile che ci orienterà sempre nella vita.
 
Nei paesi cattolici, i padri sono celebrati fin dal Medioevo il 19 marzo, giorno di San Giuseppe padre di Gesù. Un’usanza passata un po' di moda era mettere la letterina sotto il piatto di Papà per chiedere un regalino, ma ciò che i piccoli chiedevono, e tanti ancora chiedono, è Amore. Quell’amore con la A maiuscola che è memorizzato nel DNA di chi è padre e nel DNA dei figli. Il proprio Papà è sempre un eroe, è quello che sa tutto.
 
Papà e chi ci risolve qualunque problema perché Papà è un super-man. L’affetto di Papà non muore mai ma per amarlo veramente dobbiamo farlo fin quando è accanto a noi e farlo è molto semplice, basta dirgli TI VOGLIO BENE.
 
*Già docente di Fisica Acustica – Università di Messina
 

NOTIZIARIOEOLIE.IT

28 LUGLIO 2015

LE INTERVISTE DE "IL NOTIZIARIO". Eolie, controlli a tappeto sui locali che organizzano "concertini musicali" serali. E arrivano le prime multe. Parla Carlo D'Arrigo. Il commento

2 MARZO 2022

L’intervista del Notiziario al prof. Carlo D’Arrigo, la scienza del silenzio

Lipari, riaperto il ristorante-pizzeria "Lipari Re" con lo chef Leonardo Merlino...

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Riaperto il ristorante pizzeria "Liparo Re!"
Quest'anno, con una novità eccezionale: lo Chef liparoto Leonardo Merlino prenderà il timone della nostra cucina!
Immaginate di immergervi in un mondo di sapori autentici e innovativi, creati con passione e maestria da Chef Leonardo Merlino
Non perdete l'occasione di unirvi a noi per l'apertura il 06 marzo 2024 dalle 19:00 in poi.
Sarà un'esperienza culinaria indimenticabile, perfetta anche per un delizioso aperitivo invernale nell'ambiente accogliente e raffinato del "Liparo Re".
Preparatevi a deliziare il palato e a lasciarvi stupire dalle creazioni di Chef Leonardo.
Vi aspettiamo per una serata speciale, dove il gusto e la gioia si fondono in un'esperienza indimenticabile! Non mancare! 

 

La relatività democratica di Albert Einstein

L'espressione "tutto è relativo", che sovente sentiamo ripetere, trae origine dalla teoria della relatività di Albert Einstein che afferma che il tempo, lo spazio e la forza di gravità sono tutti relativi alla posizione e alla velocità dell'osservatore. In altre parole, ciò che una persona percepisce come tempo, spazio e gravità dipende dalla sua posizione e dal suo movimento rispetto ad altri oggetti.

 
Tuttavia, l'espressione "tutto è relativo" è interpretata in modo più generale, come affermazione che la percezione della realtà è soggettiva e dipende dalle esperienze, dalle convinzioni e dalle prospettive individuali.
 
Ciò significa che ciò che una persona percepisce come vero o importante può essere diverso da ciò che un'altra persona percepisce come tale. In sintesi, l'espressione "tutto è relativo" suggerisce che la realtà è soggettiva e dipende dalle aspettative individuali, dallo stato d’animo e dal contesto in cui è il soggetto. Per pseudo-analogia possiamo dire che la democrazia è una forma di relativismo che nega l'esistenza di verità assolute ma rimette tutto alla discussione per giungere ad una definizione condivisa. Il relativismo è, anche, una posizione filosofica che nega l'esistenza di verità assolute e mette criticamente in discussione la possibilità di giungere a una loro definizione assoluta e definitiva.
 
Allo stesso modo questo è il significato del sistema politico che chiamiamo democrazia e che possiamo opporre all'assolutismo politico e, cioè, alla dittatura. Democrazia è legiferare, e cioè determinare l'ordinamento sociale, non secondo ciò che può essere aprioristicamente meglio per gli individui soggetti all'ordinamento, ma secondo ciò che questi, o la loro maggioranza, ritiene possa essere meglio per loro. Albert Einstein non è stato solo un genio della fisica ma anche un ispiratore della politica.
 
Non di quella politicante che conosciamo ma di quella alta, visionaria, dei grandi personaggi che hanno “inventato” il XX secolo, come Delano Roosevelt, Gandhi, Martin Luther King e, ai giorni nostri, Aleksej Navalny. Quella politica che avrebbe dovuto realizzare un'autorità internazionale, condivisa e capace di mediare i conflitti. E ha fallito.
Aspirina, una storia dell’ottocento

Il 6 Marzo 1899 Heinrich Dreser, farmacologo della Bayer, depositava presso l’Ufficio Brevetti di Berlino l’Acido acetilsalicilico con il nome di Aspirina Bayer, indicandone le qualità terapeutiche di analgesico, antipiretico e anti-infiammatorio. Dopo più di 100 anni l’Aspirina è diventato un farmaco così celebre da annoverarsi tra le medicine più usate. Il nome Aspirina non è casuale: la “A” indica la presenza nella molecola dell’Acido Acetico e “Spir” sta ad indicare l’Acido Spiraico, ottenuto dalla pianta Spiraea Ulmaria, che è chimicamente uguale all’Acido Salicilico. Ippocrate, già 400 anni prima di Cristo, prescriveva decotti di foglie di salice contro il dolore e la febbre, ma l’uso è sicuramente precedente e viene ritrovato nella medicina empirica dei popoli di ogni parte del mondo. Nel 1763 il reverendo Edward McStone, in Inghilterra, scriveva al presidente della Royal Society of Medicine: “c’è un albero in Inghilterra la cui corteccia è molto efficace nella cura delle malattie che provocano da febbri intermittenti”.

 
L'acido acetilsalicilico (acronimo ASA), noto con il nome commerciale di Aspirina, è un farmaco anti-infiammatorio non steroideo (FANS, cioè non “cortisonico”) utilizzato per il trattamento del dolore e della febbre dovuti a varie cause. L'acido acetilsalicilico, oltre ad essere antinfiammatorio e antipiretico, è un forte antiaggregante e, cioè, inibisce l'aggregazione delle piastrine deputate alla coagulazione del sangue e a fermare la perdita di sangue nelle ferite (e quindi funzione emostastatica). La funzione antiaggregante previene la formazione di coaguli e, quindi, forme di ictus e infarto miocardico.
 
Dopo cento anni l’Aspirina si rivela ancora un grande farmaco. La sua storia, secolare e affascinante, è lontana dal concludersi. Ricercatori americani hanno segnalato la capacità dell’acido acetilsalicilico a inibire le metastasi di alcuni tumori e sarebbe oggi stupefacente scoprire che un farmaco estratto dal salice al tempo delle palafitte, si rivelasse efficace contro le grandi malattie del nostro tempo.
Nel febbraio 1847 nasceva Edison, l’uomo della “lampadina”

Thomas Alva Edison nasce nel febbraio del 1847 e dal suo laboratorio di Menlo Park (California) escono vere chicche di tecnologia. A lui va attribuita l’invenzione del Fonografo, del Microfono a carbone per trasformare la voce in segnali elettrici e sempre a lui stava per intestarsi anche l’invenzione della Trasmissione senza Fili, quella stessa idea che ha reso celebre Guglielmo Marconi.

 
Ma Marconi fu molto più preciso e capace di Edison tanto che ancor oggi Marconi è l’inventore indiscusso della Telegrafia senza Fili e della Radio. Ad Edison si riconosce, soprattutto, l’invenzione della lampadina. Thomas Edison aveva notevole disponibilità economica e tanta spregiudicatezza così da appropriarsi di invenzioni di altri per brevettarle come proprie. Era un imprenditore senza scrupoli.
 
L’invenzione più importante attribuita a Edison è la lampadina a filamento incandescente, quel bulbo di vetro fragile e trasparente che ha illuminato il mondo fino a qualche decennio addietro. Si decennio, perché oggi la lampada a filamento, dispendiosa e delicata, è andata in pensione a favore dei Led. Nel 1874 Henry Woodward, Canadese, depositò un brevetto su un qualcosa di simile alla lampadina elettrica ma il brevetto fù venduto a Edison che ne ottenne la licenza esclusiva. E ancora Matthew Evans, un’altro canadese, sviluppò un progetto di lampadina elettrica ben cinque anni prima del brevetto di Edison.
 
Nel 1854 Heinrich Goebel, tedesco emigrato in America, aveva inventato una lampada a bulbo di vetro, ma non era riuscito a rendere pubblica la sua invenzione per mancanza di fondi. E infine, ma tutt’altro che ultimo, va ricordato il torinese Alessandro Cruto che inventò e produsse una lampada con filamento migliore di quella di Edison e con una durata di 500 ore contro le 50 ore di quella di Thomas Edison.
 
Eppure i meriti di Cruto non furono riconosciuti e una sua fabbrica di lampadine sorta in Piemonte vicino Torino fu assorbita dalla Philips. Cruto morirà dimenticato da tutti nel 1908. Mentre i primi inventori avevano prodotto l’illuminazione elettrica in laboratorio, Edison la portò nelle case, con una produzione di massa di lampade e ideando un sistema per la produzione e la distribuzione dell’elettricità. Edison rimane, ancor oggi, l’inventore indiscusso della luce elettrica.
La TV fa 70, una storia da festeggiare

La Rai sta per festeggiare i primi settant’anni della Televisione italiana con un programma di Massimo Giletti e con ospiti pescati da altre reti come Amadeus e Fiorello, reduci dai record di Sanremo 2024, Carlo Conti, Antonella Clerici, Maria De Filippi, Paolo Bonolis ed Enrico Mentana. Nomi importanti e conosciutissimi che vediamo ogni giorno sul teleschermo. Ma ai “presentatori” citati si aggiungeranno altri colossi della TV come Bruno Vespa, Alberto Angela e Iva Zanicchi. Naturalmente saranno presenti gli inossidabili Pippo Baudo e Renzo Arbore. Ma la TV che conosciamo non è nata con i personaggi “relativamente” giovani che ho riportato. La storia della TV parte da lontano e affonda le radici a ben due secoli fa.

 
Si pensi che nell’immaginario collettivo di fine ottocento la storia della televisione è iniziata prima dell’invenzione della radio, è la preistoria di una vicenda difficile da ricostruire perché tocca diversi aspetti della vita e una miriade di singoli inventori che han dato vita a questo potente strumento di massa. L’importanza della televisione nel tessuto sociale può essere compreso attraverso un sottile indizio linguistico. Fino agli anni cinquanta “tele” (termine greco) significava soltanto “da lontano” mentre oggi esiste un’altro tele con cui si indica tutto ciò che ha a che fare con la televisione: i telespettatori, il teleschermo, il telegiornale.
 
A partire dagli anni trenta i significati di televisione iniziano a riferirsi tutti allo stesso ambito. Già nel 1909 la parola appare in italiano come traduzione dell’inglese “television”, per indicare la trasmissione e la ricezione a distanza di immagini in movimento. Avevamo importato la parola ma non ancora l’oggetto. Alla base dell’emissione delle immagini sta l’effetto fotoelettrico, già oggetto di ricerche da parte del fisico tedesco Hertz e poi interpretato da Einstein nel 1905, secondo la teoria quantistica. Attraverso questo è possibile rilevare la luce riflessa dagli oggetti illuminati, come una pellicola fotografica. E’ poi del 1897 l’invenzione del tubo a raggi catodici da parte di Braun, dispositivo che riproduce l’immagine e che sarà la base dei cinescopi con cui abbiamo guardato la televisione fino a qualche decennio fa.
 
Nel 1936 la Società Marconi-Emi costruisce la prima telecamera mobile e in Germania la televisione fa la sua apparizione alle Olimpiadi di Berlino, un vero trionfo per il regime di Hitler. Era il primo agosto del 1936 quando furono infatti trasmesse le Olimpiadi di Berlino, e il regime tedesco organizzò una diretta per un totale di 72 ore dei Giochi, permettendo così ai pochi possessori di un apparecchio ricevente ed ai frequentatori delle “sale pubbliche televisive” di seguire in tempo reale le gare. Per la Germania Nazista, le cui intenzioni erano quelle di utilizzare la TV per mostrare al mondo la grandezza e la superiorità della nazione e della razza ariana, i momenti iniziali di trasmissione si rivelarono una sorta di boomerang.
 
Le prime immagini andate in onda, infatti, mostravano l’atleta di colore statunitense, Jesse Owens, vincere la gara dei 100 metri, episodio questo che naturalmente ebbe un grande significato. Owens terminò i giochi dimostrando il valore del suo popolo vincendo ben 4 medaglie d’oro. Hitler, il Führer della “grande Germania”, si rifiuto di stringergli la mano perché non era di razza Ariana! Secondo uno degli scherzi della storia, la nascita della prima televisione nazista è da ricondurre a una decisione presa, nel 1935, dalla televisione inglese BBC (British Broadcasting Corporation) fondata il 18 ottobre 1922 nel Regno Unito. Chiaramente, dopo il successo tedesco, l’Inghilterra non poteva stare dietro al regime del Reich e diede tutto campo ai suoi tecnici per farsi “vedere” sugli schermi televisivi con programmi regolari. In Italia i primi esperimenti televisivi iniziano negli anni trenta grazie all’EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, antenata della RAI e unico ente incaricato dal regime fascista a “diffondere” via etere.
 
Nel 1939 le prove delle trasmissioni televisive furono rese ufficiali e i primi volti telegenici quali Vittorio Veltroni (padre di Walter Veltroni del PD), Isa Barzizza (stimata attrice morta nel 2023) e Nicolò Carosio (grande telecronista sportivo morto nel 1984) apparvero nelle case di pochi e fortunati italiani. Le aziende costruttrici vennero autorizzate dal regime a produrre ricevitori televisivi che vennero presentati a Milano alla Fiera della radio del 1939. Il secondo conflitto mondiale interrompe ogni velleità “televisiva” e di questa si parlerà solo a fine guerra, durante gli anni della ripresa. Il 3 gennaio 1954 anche in Italia inizia l’avventura televisiva e la RAI TV dà avvio alle normali e programmate trasmissioni televisive. Così riportava un pezzo dell’allora Direttore Generale della RAI Salvino Sernesi sul Radiocorriere del 3 gennaio 1954 “La televisione completerà il desiderio di conoscere cosa è insito nell’uomo moderno, renderà più completa la sua casa ma non modificherà quel bisogno sempre vivo dello spettacolo pubblico, teatrale, che risponde ad un’esigenza insopprimibile dell’animo umano”.
 
La televisione ha acquistato un valore culturale essenziale per la comprensione dell’Italia di oggi. Sin dal 1954 nascono programmi come “Arrivi e Partenze” e “Lascia o Raddoppia” condotti da Mike Bongiorno, “Un Due e Tre” con Tognazzi e Vianello, “l’Oggetto misterioso” condotto da Enzo Tortora e Silvio Noto. E poi vedremo Alice e Ellen Kessler con il Dada Umpa e il “Musichiere” di Mario Riva che farà sorridere tutti i sabati grandi e piccini. Il Festival di Sanremo va in diretta e Modugno da Volare passa al cinema e Rita Pavone insegnerà che si può cantare anche urlando, con grande soddisfazione dei giovani di allora e con tanta nostalgia degli attempati di oggi. Il vento degli anni ’60 investirà poi come un ciclone la nostra estate avvalendosi del piccolo schermo per fissare date, immagini e amori appena nati.
 
Nel 1976, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale, la TV di stato non ha più il monopolio delle trasmissioni. Si fanno avanti i privati e, con logica commerciale e sulla scorta di quanto avviene in altri Paesi, si avvia il pluralismo dell’informazione cui oggi assistiamo. Il 21 novembre 1996, quando Internet era ancora un privilegio per pochi, si svolse a New York il primo World Television Forum in cui si riunirono i principali rappresentanti del medium televisivo per discutere gli sviluppi della Tv nell’informazione, nella cultura e nell’intrattenimento globale. L’importanza fondamentale del mezzo televisivo per la democrazia, la libertà di informazione, lo sviluppo sociale e culturale e la pace nel mondo. I personaggi chiamati a "La Tv fa 70" sono tanti e la loro presenza, con l’immenso bagaglio socio-culturale, forniranno spunti non indifferenti sull'evoluzione del mezzo di informazione per eccellenza.
Intelligenza Artificiale, la grande bufala
 
Negli anni ’50-’60 si appellavano “cervelli elettronici” dispositivi che svolgevano, automaticamente, calcoli matematici e piccole procedure attuative. Naturalmente non esisteva alcun “cervello” se non sistemi automatici di calcolo, più o meno complessi. Oggi stiamo facendo lo stesso errore. Chiamiamo intelligenza artificiale sistemi sicuramenti ben più sofisticati di quelli di allora, e di quelli che si son succeduti, ma pur sempre apparecchiature automatiche costruite dalla mente dell’uomo, dall’intelligenza dell’uomo. Perché l’Intelligenza Artificiale non può esistere senza l’intelligenza creativa che la elabora, e senza il coinvolgimento di matematici, accademici, e altri specialisti.
Purtroppo la cultura di massa, a cui appartengono tanti film di fantascienza, ha reso popolare l’argomento sin dai lontani anni 60 del secolo scorso, ed anche prima. Interessante è ricordare un film di Alberto Sordi degli anni ’80 dove Caterina, un robot dalle fattezze femminili, sbriga meglio di una persona le faccende domestiche fino ad innamorarsi del suo padrone, proprio Alberto Sordi. Nel mondo ellenistico Erone di Alessandria (1° secolo dopo Cristo) aveva concepito gli Automi dalle sembianze di idoli religiosi per impressionare i fedeli che frequentavano il Tempio.
Se per Intelligenza Artificiale si intende una macchina con capacità apprenditiva, allora non è intelligenza artificiale ma solo macchina “learning” e cioè un sistema che impara automaticamente ma che è incapace di pensiero autonomo. E’ facile ingannare qualcuno se un qualcosa si comporta da umano, anche se non lo è. E, come un effetto cinematografico, quel qualcosa sembra umano solo perché un programma è così evoluto da farlo interagire con noi come se fosse umano. E’ questa intelligenza artificiale?
 
No, perché manca di emozioni e, soprattutto, manca la “coscienza”, la parte più importante, e cioè la facoltà immediata di avvertire, comprendere e valutare “moralmente” il proprio agire. L’intelligenza artificiale è una immensa banca dati, ben più grande di quel che mente umana possa contenere. Ma non immagina, non sbaglia e replica ciò che già esiste. È a nostra disposizione come un immenso deposito, dipende da cosa scegliamo prendere o lasciare.
I banditori della politica

"Viva l'Italia anti fascista!" E’ stato l’urlo propagandistico di uno spettatore inteso a conquistare il favore del pubblico della Scala di Milano e degli Spettatori televisivi. Il tutto per influire sulla psicologia collettiva, cioè per manipolare le masse. Ma questo è l’urlo di un dilettante della propaganda. Antesignano dell’arte della propaganda radiofonica fu, negli anni ’30, Joseph Goebbels, artefice dell’ascesa del nazismo in Germania. Ma la propaganda non è sparita con la fine di Goebbels, anzi le stesse strategie sono in atto dai politici dei giorni nostri. Ma attenzione, il politico di turno può propagandare tutte le sciocchezze che vuole non perché sia furbo ma solo perché sa che chi ascolta è più stupido di lui e non capisce che è manipolato. In altre parole “la massa non capisce”. Ma qual è la tecnica per convincere l’inesperto di turno? In fondo è semplice. Per prima cosa dare la colpa sempre alla stessa persona e riconoscergli tutte le colpe possibili, tanto la massa non capisce e crederà.

 

Lipari, i rossoblu nel campionato di 1° categoria sono ritornati alla vittoria.

Nella gara di recupero sul campo del Melas si sono imposti per 1 a 0 con il gol di Puglisi. Facendo un passo in avanti nella zona retrocessione. 

 
Ad esempio si può scegliere un politico, un ministro o il Presidente del consiglio. Esagerare qualunque evento come pericoloso per la società (…”è grave”, diceva sempre un personaggio politico dell’opposizione). Diffondere notizie e idee che denigrano l’avversario in grandi quantità e ad ogni intervento pubblico. Ripetere un concetto un numero infinito di volte ricordando che una bugia ripetuta “N” volte diventa verità. Convincere tutti a credere come gli altri: l’ha detto la televisione, quindi è vero. Cioè omologare l’informazione al pensiero unico. La propaganda deve limitarsi a un numero piccolo di idee e ripeterle instancabilmente. Presentarsi con voce stentorea, forte e convincente come quella, ad esempio, che usava Mussolini nei suoi folli discorsi. Signori Lettori, leggete e rileggete queste poche righe e riconoscerete le bugie che politici e pseudo-politici ci propinano attraverso i media. Anzi, individuerete nomi e cognomi di chi fa propaganda.

 

 

Sanremo, un farmaco senza controindicazioni

Cosa c’è di bello nel Festival di Sanremo? Nulla, mi ha detto un mio collega e ha aggiunto “non lo guardo”. E perché, vorrei dire io. Il Festival è uno show musicale con al centro la canzone, un po' di bassa politica e qualche sketch ironico. Un po' stupido e un po' carino. E’ uno spettacolo soft che comunica leggerezza alla nostra psiche, che fa emergere ricordi e immagini della nostra vita. E allora a che serve Sanremo? Ovviamente ad ascoltare stupidate a fine giornata, un momento in cui il cervello è un po' attento e un po' sopito. Seguivo il Festival da ragazzo, negli anni ’60 i miei si posizionavano davanti al televisore con tanto di tavola imbandita per cenare. Era quasi un rito, il Programma televisivo era uno solo e c’era poco da scegliere. In fondo l’Italia è cresciuta con questo spettacolo banale, spensierato, stupidino e carino.

 
Le canzoni, però, erano sicuramente di “maggiore spessore”. C’era Mina, Morandi, Celentano, i Pooh, Gino Paoli e tanta musica orecchiabile. Non si parlava mai di politica. E allora evitiamo di far fatica per scartare i racconti di Sinistra e interpretare le evoluzioni della Destra. Per cinque serate pensiamo solo alla musica, anzi facciamo tanta “musicoterapia” che stimola il nostro corpo in ogni senso. La musica ci dà sostegno psicologico, previene e stimola l'individuo a trovare armonia. La musica incide a livello organico, influenza la circolazione, l'attività respiratoria, i movimenti intestinali, la concentrazione e la diffusione di endorfine nel cervello. Tende, persino, a portare benefici nei pazienti colpiti da demenza. Perbacco! Tutto questo fa Sanremo? No, ma ci permette di stare davanti alla TV senza pensare e ci accompagna a letto serenamente. Buonanotte.

 

Arriva Sanremo, fra musica e pseudo-politica

La missione storica e suprema della musica è usare la bellezza dei suoni e dei ritmi per parlare al cuore e innalzare gli spiriti. Le canzoni, i ritmi musicali, sin dai loro esordi nel medioevo, sono stati chiamati ad assolvere a queste semplici necessità dell’uomo. Una canzone può produrre in chi l’ascolta uno stato d’animo speciale o un richiamo alla memoria di un vissuto. Nei tempi, l’idea di musica e di espressione artistica è cambiata. Allora un artista era meno egocentrico e metteva da parte se stesso a servizio della funzione spirituale della musica.

 
Studiava per capire come comunicare il suo stato d’animo e ispirare l’ascoltatore e migliorare i valori sociali. Giuseppe Verdi nel 1874 venne nominato senatore del Regno, le sue composizioni avevano spesso riferimento sociale ma non era certo un testimonial politico. Verdi divenne un simbolo nella lotta per l'Unità d'Italia, simpatizzò con il movimento risorgimentale e partecipò per breve tempo anche alla vita politica. La sua triade operistica, (Rigoletto, Il Trovatore e La traviata) fu colpita dalla censura ma, successivamente, raggiunse grande popolarità e mostrò il suo spessore artistico. L’opera di Wagner è stata utilizzata per esprimere idee politiche e culturali nell'ambito del nazionalismo tedesco.
 
Wagner ha creato una cultura tedesca “unificante e indipendente”, cui si riferiva spesso Hitler, ma per Wagner la musica era solo cibo per lo spirito. Purtroppo la politica accompagna ogni manifestazione popolare, dai Carri di carnevale al Festival di Sanremo. E vogliamo togliere i riferimenti politici dalla trasmissione più seguita dell’anno? Non credo sia possibile, anche se in un’intervista Amadeus, presentatore, ha detto “La politica resti fuori dal Festival”. Ad esempio, e senza andare lontani, nel Sanremo 2023 l’influencer Fedez per deridere il viceministro Bignami ha mostrato una sua foto vestito da Hitler. E poi i monologhi di Benigni, il richiamo sulla politica di Putin ora osannato a sinistra poi a destra.
 
E tutto passa attraverso i microfoni del Festival e il motivo è uno solo: è una manifestazione che, tanto per dare un numero, nel 2023 è stata vista da 13 milioni di persone. Sanremo è la piazza più grande d’Italia e va sfruttata….anche per “cantare” e non la salveremo mai dall’ingerenza politica.

Come si è arrivati alla barbarie nazista

Con un pezzo a mia firma già pubblicato su queste pagine, commemoravo le vittime della Shoah e la liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, il più grande campo di concentramento partorito dalla perversa mente nazista. Ma come si è arrivati a tanta ferocia? E’ come chiedersi come si è arrivati al regime nazista con a capo un depravato come Hitler. Tanti studiosi si sono interrogati sul come un’austriaco trentenne senza mestiere, e privo di qualsiasi esperienza politica, abbia esercitato un influsso tanto drammatico sui destini di uomini e nazioni e scatenare una guerra così tragica.

In effetti Hitler fu il prodotto di una società sconvolta da ogni crisi di valori, da quello politico a quello economico a quello sociale e soprattutto dagli obblighi dei trattati di Versailles che, a seguito della sconfitta della guerra 1915-1918, obbligavano la Germania a cedere territori al Belgio, alla Cecoslovacchia e alla Polonia. Ma sorge un altro interrogativo: è possibile che le altre Nazioni non abbiano fatto nulla? Possibile che non ci siano state reazioni da parte degli altri Governi europei? Questo inevitabile quesito contribuisce a riflettere sull’ascesa di Adolf Hitler. Certo, gli altri Stati hanno fatto tentativi per bloccare il Fuhrer (Hitler, il Capo) ma sono stati deboli e senza risultato.

Interessante è il comportamento italiano che dalla fine della prima guerra al 1939 modifica lentamente le sue alleanze da quelle con il Regno Unito e la Francia a quella con la Germania, sebbene su quest’ultima Mussolini ebbe dubbi fino alla dichiarazione di guerra del 10 giugno ’40. In effetti Hitler ammira Mussolini e i suoi metodi dittatoriali sin dalla sua nomina a cancelliere della Germania del 30 gennaio 1933. Il nazismo, infatti, fù fin da principio razzista mentre il fascismo italiano inglobò le teorie razziste e antisemite nel 1938. Il nazismo sorge sulla scorta delle idee immonde che Hitler aveva espresso nel “Mein Kampf” (la mia battaglia), libro scritto durante la sua prigionia subita a seguito della sommossa di Monaco, tentativo fallito del colpo di stato da lui capeggiato nel 1923.

Egli sosteneva che bisognava lavare l’onta di Versailles e ricostruire una grande Germania dando al popolo tedesco lo “spazio vitale” strappando i territori ai popoli inferiori confinanti (gli Slavi). Inoltre l’imperialismo tedesco doveva avere una funzione antisovietica e antibolscevica e proteggere il popolo tedesco che era la stirpe eletta perché erede della razza ariana, una superiorità irreale e fantasiosa. Naturalmente era scontata l’indiscriminata obbedienza al Fuhrer, “grande artefice dei cambiamenti”. Il razzismo traeva spunto da una distorta interpretazione delle teorie evoluzionistiche di Darwin teorizzando l’esistenza di una razza superiore e conquistatrice, appunto quella ariana, progressivamente inquinatasi per la commistione con le razze “inferiori”. Per gli Ebrei si era aperta una guerra tutta specifica.

Gli ebrei tedeschi furono accusati di scarso patriottismo e di essere profittatori. Furono indicati come la causa della sconfitta della prima guerra mondiale perché i nazisti pensavano, nientemeno, che avessero finanziato, grazie ai loro ingenti capitali, gli eserciti nemici del Reich. I Tedeschi erano infatti convinti che finita la guerra, gli ebrei sarebbero diventati i nuovi padroni della Germania. Così nasce il “totalitarismo”, quella forma di potere assoluto, che pretende di trasformare ogni singolo in nome di un’ideologia omnicomprensiva, di pervaderla attraverso l’uso combinato del terrore e della propaganda (sic! un’idea ancor oggi attuale). Naturalmente Hitler non agì da solo ma fu coadiuvato da una organizzata banda di criminali che credeva ed eseguiva coralmente le sue perverse idee.

Primo fra tutti Joseph Goebbels, genio della propaganda e maestro della menzogna che organizza i comunicati radiofonici con cui si inneggia continuamente al prestigio della Germania esaltandola anche quando le vittorie erano a scapito di Popoli pacifici. Possiamo poi mettere Hermann Goering, il numero due del regime. Megalomane, corrotto dal potere e schiavo della morfina. Come ministro dell’aviazione fallisce clamorosamente con la sua Luftwaffe, l’aviazione di regime. E dopo abbiamo Heinrich Himmler, il capo delle terribili SS, il più potente capobanda del Führer. E’ il burocrate dello sterminio, progetta i campi di concentramento e realizza con spietata efficienza l'assassinio di milioni di ebrei.

Seguono, poi, Rudolf Hess, il servo sciocco, cui però non vengono mai conferiti grandi poteri e Albert Speer l’architetto del Reich, il regista dei trionfi hitleriani. E infine, ma non è l’ultimo, Karl Doenitz, l'ammiraglio della Marina tedesca, gelido stratega e successore di Hitler dopo il suo suicidio. Doenitz è stato il curatore fallimentare delle rovine del Reich e costretto alla chiusura delle ostilità con gli alleati. Ma alla fine di queste brevi osservazioni sulla nascita dell’odio nazista una considerazione è d’obbligo: cosa c’entra tutto quanto analizzato con la guerra contro il Genere Umano?

Una risposta logica è difficile da dare e può trovare una spiegazione solo nella cattiveria, nella malvagità e nell’inganno di genesi memoria e che affonda una spiegazione nell’interpretazione delle sacre scritture.

Ventidue gennaio 1944 inizia la liberazione dal gioco nazi-fascista

Ottant’anni fa, il 22 gennaio 1944, avveniva lo sbarco Anglo-Americano sulla spiaggia di Anzio, nel Lazio. L’evento ha rappresentato il primo segno tangibile della liberazione dell’Italia, e dell’Europa, dalla barbarie nazi-fascista. La rievocazione dell’evento è sempre attuale per trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di pace e di democrazia, soprattutto alla luce degli odierni scenari di guerra. Il 22 gennaio 1944 le forze alleate sbarcarono ad Anzio, a 62 km da Roma, con l’obiettivo di eludere le difese tedesche e puntare verso Roma. Lo sbarco di Anzio, noto come Operazione Shingle, è ricordato come una delle fasi più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale sul territorio italiano.

E’ rievocato come un successo dagli storici perché ha dato il via alla fine del conflitto. L’impresa ha provocato gravi perdite da ambo le parti. Trenta mila giovani vite americane e 12.000 inglesi venivano a mancare all’appello, e venticinquemila i tedeschi fatti morire da quel criminale di Adolf Hitler, pur sapendo che la guerra era ormai persa. Una curiosità, tra le forze alleate perse la vita Eric Fletcher Waters padre di Roger Waters cantautore inglese e noto come il maggiore autore dei Pink Floyd.

L'episodio ispirò quest'ultimo a creare le canzoni dell'album "The Wall" (il Muro) che richiamava quel muro simbolo della guerra fredda che dal 1947 ha separato il Vecchio continente, e il mondo intero, dalla Terra Sovietica. Quel muro, anche materiale, costruito nel 1961 e che sarebbe stato abbattuto soltanto il 9 novembre 1989. Purtroppo quel muro fra i popoli rivive ancor oggi e produce odio e morti richiamando alla vergogna il genere umano.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

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Allarme, c’è la destra-destra

Ma che ne sanno di fascismo quei personaggi che ogni giorno attraverso il teleschermo, e con voce stentoria di stile fascista, gridano all’antifascismo? E’ mia opinione che chi grida ha solo imparato a gridare e non sa nulla, cioè è ignorante! E perché lo fanno? Non hanno altri argomenti e sanno che chi ascolta sa meno di loro. Vi assicuro amici lettori, la “massa” non sa. Ad esempio se chiedo (come faccio tante volte) chi erano gli Alleati oppure cos’era il Fascismo, sapete qual è la risposta? Uno sguardo implorante accompagnato da un balbettio! Però si ripete che c’è il fascismo. A proposito, cerco il fascismo come “cerco la Titina (ricordate la canzone) ma non lo trovo”. Semplicemente perché il fascismo è morto e sepolto, non c’è più e non ci sono nemmeno le condizioni perché si ripresenti. La società è cambiata, i problemi sono altri.

Ad esempio, a Milano la Casa del Pane, che ogni giorno sfama tremila famiglie, sta per essere sfrattata dal Comune. I motivi credo che siano legati al contratto di affitto, ma il Comune è impassibile davanti a tremila famiglie che hanno fame. Questi sono i veri problemi. La “Titina” non c’è più! Capito? Ma certi commentatori parlano di destra-destra, inneggiano a una realtà che vive solo nella loro fantasia. Anch’io potrei dire sinistra-sinistra, ma so che sto dicendo una stupidaggine. E poi, in realtà, non è proprio così perché c’è dell’altro.

Questi giornalisti-commentatori sanno di rivolgersi ad un pubblico che non sa e a cui puoi somministrare qualunque cavolata. Tutto fa brodo! Ricordate, i più attempati, la pubblicità di Carosello di un noto dado per Brodo? Ma ciò che mi ha portato a scrivere queste poche parole non è criticare l’ignoranza di chi grida all’antifascismo ma, evidenziare, che il non sapere, l’ignoranza, è tanto pericolosa da farti fare figure barbine, grette, meschine.

Questo vale per tutti, per chi grida dal teleschermo e per chi ascolta. La scuola dell’obbligo funziona male, ma male funzionano anche le superiori e i corsi accademici. E soprattutto funziona male la buona creanza.

W i nonni
I nonni sono la memoria storica dei nipoti, a loro va ogni riconoscenza e rispetto per il lavoro che hanno fatto e per quanto fanno e faranno nel loro ruolo “istituzionale” di anziani. Hanno vissuto, hanno lavorato e acquisito conoscenza di vita quando i nipoti non c’erano.

Hanno conosciuto le persone e il mondo e sono pronti a dare ai giovani tutta la loro esperienza. Sospesi tra passato e futuro, i nonni custodiscono la tradizione e, sempre più frequentemente, i bambini mentre mamma e papà sono impegnati al lavoro.

Custodiscono gioie e dolori, hanno visto legarsi sentimentalmente i nostri genitori che, magari, dopo la grande gioia della nascita dei nipoti li hanno visti separarsi come accade sempre più spesso. Sono gli angeli custodi della formazione dei giovani.

Festeggiarli il 2 ottobre, non è una scelta a caso, infatti è questo il giorno in cui la Chiesa celebra gli angeli, e i nonni sono angeli. Ciò di cui i bambini hanno più bisogno sono gli elementi essenziali che i nonni offrono incondizionatamente. Essi danno amore, pazienza, umorismo, ironia e lezioni di vita. Amiamo i nonni fin quando la vita ci dà il privilegio di poterlo fare.

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Perché Sanremo è Sanremo?

Inizio con una curiosità: la prima edizione del Festival musicale si tenne nel Salone delle feste del Casinò Municipale di Sanremo dove il pubblico era seduto intorno ai tavoli del vecchio Cafè Chantant e i cantanti si esibivano tra l’andirivieni dei camerieri, e tutto si fece per ridar vita al locale Cafè. Ma la prima organizzazione si deve a un musicista del tempo, un certo Aldo Valleroni compositore e musicista jazz “represso”, represso perchè vissuto nel ventennio fascista (ricordiamo che durante il fascismo il Jazz era vietato), e che ha potuto esprimere il suo talento solo a fine Seconda Guerra, con l’avvento della Repubblica democratica.

Per capire chi è questo personaggio basti ricordare che ha scritto la canzone “Una rotonda sul mare” portata al successo da Fred Bongusto nel 1964. Ma torniamo indietro. Sono il 1948 e 1949 che vedono le prime due edizioni del Festival della Canzone Italiana che si tengono alla Capannina di Viareggio, dove più tardi si esibirà anche Mina. Sono questi due eventi di fine guerra che danno il via al futuro Festival di Sanremo. E allora andiamo all’inizio quando Nunzio Filogamo annuncia: “Signore e Signori, benvenuti al Casinò di Sanremo per un’eccezionale serata organizzata dalla Rai, una serata della canzone con l’orchestra di Cinico Angelini, storico direttore di Orchestra dell’EIAR antenata della Rai. Con queste parole il 29 gennaio 1951 si apre il primo festival della canzone italiana a Sanremo.

E un tripudio di allegria e rinascita, non solo musicale. Nel 1953, due anni dopo, cambia tutto. Spariscono i tavolini della sala Cafè e si decide di far accedere gli ospiti solo se muniti di invito o regolare biglietto che inizia con 500 lire per arrivare a 4.000 lire dopo qualche anno, qualcosa come 100 euro di oggi. La stampa si interessa al fenomeno Sanremese, a cui partecipano ormai sempre più concorrenti. Inizia l’ascesa della manifestazione. All’inizio i cantanti in gara sono solo tre, che eseguono tutte le venti canzoni selezionate. La televisione ancora non c’è, a trasmettere l’evento è la radio ad onde medie, con una ricezione spesso disturbata, (la modulazione di frequenza ancora non c’era) ed è proprio il pubblico radiofonico a decretarne il successo. Ricordo Nilla Pizzi, di origine messinese, che nel ’51 vince il Festival con la canzone Grazie dei Fior. La si cantava per strada, la si sentiva più e più volte alla radio. Nel ’52 vince ancora Nilla Pizzi con Vola colomba. E poi, con gli anni, si esibiscono tutti i nomi che conosciamo e che, in buona parte, cantano ancora oggi al Festival internazionale di Sanremo.

Dal 1955 la Rai trasmette l’evento in TV, e ha inizio il successo di una manifestazione che è arrivata fino a oggi, scrivendo la storia della musica italiana. Nel dopoguerra, canzoni come Grazie dei fiori e Vola colomba erano l’immagine di un’Italia che stava per risorgere. Nel 1958 arriva Mr Volare, come ribattezzarono Domenico Modugno oltre oceano, e dal palco del Festival parte una delle melodie più celebri della storia della musica italiana “Nel blu dipinto di blu (per via del ritornello). Modugno sul palco cantava a braccia aperte dando l’impressione di un redentore, e la sua melodia era liberatoria e incuteva ottimismo. Ancor oggi ricordo la scena. Non ho l’età di Gigliola Cinquetti nel 1964 e Zingara nel ’69 di Iva Zanicchi, descriveranno un paese che voleva tornare a godersi la vita.

Con “Chi non lavora non fa l’amore”, Adriano Celentano nel 1971 racconterà il boom economico che, purtroppo, si avvia nella fase di discesa. Memorabili restano le molteplici edizioni condotte da Pippo Baudo e Mike Bongiorno che legheranno i loro nomi alla manifestazione. “Volare” segnerà l’anticipo del boom economico. La canzone accompagnò infatti la svolta degli Anni ’50, quando il nostro Paese girò pagina, perdendosi "nel blu dipinto di blu" del nuovo benessere. Il Paese cominciò a crescere del 6% l’anno e il reddito degli italiani raddoppiò rivoluzionando i costumi. Si andava in discoteca, in pizzeria, si cantava e c’era tanta serenità. Nel blu dipinto di blu segnò l’inizio di una nuova era per la canzone italiana, influenzata dal nascente rock e dallo swing. Con Adriano Celentano arrivava il rock’n’roll e una nuova categoria sociale, fino a quel momento poco considerata, i giovani. Ma è anche la volta della nascente e grandissima Mina con le sue “Mille bolle blu”.

Sebbene sia convinzione diffusa che il Festival sia seguito solo da un pubblico tradizionale, un po' avanti con gli anni, Sanremo fa registrare da anni grandi numeri anche sul digitale e sui social network, con milioni di interazioni su Facebook, Instagram e su RaiPlay. "Perché Sanremo è Sanremo" anche in streaming. Oggi “Sanremo” è diventato un prodotto commerciale da migliaia di euro. Si pensi che la Rai approfitta del gran numero di ascolti della trasmissione per inserire le pubblicità più onerose. Odiato e criticato, nel bene e nel male, Sanremo oggi è aspettato da grandi e piccini. E dire che all’inizio nessuno l’aveva preso sul serio.
*già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

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E’ morta “La Bersagliera”

Luigina, detta Gina, Lollobrigida nasce in provincia di Roma, a Subiaco il quattro luglio del 1927, in pieno periodo fascista. Il padre è un benestante costruttore di mobili e Gina vive in una famiglia agiata che la coccola fino al primo decennio di vita, e fino allo scoppio della seconda guerra che, purtroppo, farà crollare il benessere della famiglia. Dopo il conflitto la Lollobrigida, grazie alla sua prorompente bellezza, si dà da fare come modella e attrice di fotoromanzi, allora tanto richiesti. Il cinema era per pochi, la televisione non esisteva e bastavano poche foto, più o meno colorate, per fare compagnia a casalinghe e ragazze sognatrici. Ma la sua carriera esplode negli anni ’50 - ’60 quando registi come Pietro Germi, Luigi Comencini, Vittorio De Sica, Zampa e Carlo Lizzani la coinvolgono in film di spessore come il Gobbo di Notre Dame, Totò e le Donne, La donna del Fiume e Pane Amore e Fantasia.

E l’elenco può continuare con i riconoscimenti che la “Lollo” ebbe numerosi. Era un’attrice di carattere e dalla grande personalità molto amata dal pubblico italiano. Il suo bellissimo volto ha conquistato il cuore di tanti italiani che l’ammiravano al cinema e poi anche in televisione. Ben sette David di Donatello ma, soprattutto, richiestissima nei programmi televisivi in Italia e all’Estero. La sua partecipazione nei film faceva registrare il tutto esaurito nelle sale cinematografiche. Ma è Pane Amore e Fantasia, il film di Luigi Comencini a consacrarla definitivamente. Il film è la storia del maresciallo, interpretato da Vittorio De Sica, donnaiolo attempato che dirige la locale stazione dei carabinieri di un paesino della provincia romana, che si innamora pazzamente della “Bersagliera” una popolana dal carattere forte, la Lollobrigida appunto.

La Gina nazionale farà sognare per oltre sessant’anni il pubblico italiano. Interpretazione e fascino, un mix che dal dopo guerra ad oggi ha conquistato il nostro Paese e anche il mondo di Hollywood, al quale la Lollo però non volle mai partecipare. Negli ultimi anni si era dedicata all’arte e alla fotografia partecipando a mostre ed eventi. Gina Lollobrigida, insieme a Sophia Loren, ha rappresentato per anni un’icona del cinema italiano dando lustro a se stessa e, soprattutto, ai migliori Italiani.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

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Il caso Memo Remigi, cantante confidenziale dei miei anni

“Per ora fucilateli, poi ne parliamo” (da Totò, I Due Colonnelli). E qual cosa di simile è accaduto a Memo Remigi, cantante dei miei tempi, “reo” di aver toccato il posteriore della collega di studio Jessica Morlacchi durante una trasmissione televisiva della Rai. Ha fatto male? Si, sicuramente. Non perché il gesto sia così offensivo, in fondo va catalogato come una goliardata, ma perché nei tempi attuali si è creato un clima di attenzione a “rovinare i rapporti umani”, un clima di amplificazione del nulla, un clima di bugie sopra bugie.

In fin dei conti quel clima di odio verso tutto e tutti che affiora, di tanto in tanto, da una o dall’altra parte politica. Fino a due o tre decenni addietro la molestia sessuale era ben altro, e quella si era grave e poteva veramente trasformare il futuro di un soggetto. Oggi si procede con un semplice processo mediatico, attraverso uno schermo tutto colorato che racconta le cose inutili come importanti. Si magnifica sempre più un fatto, con un crescendo di “feedback” incontrollato. E’ un inseguirsi a chi la spara più grossa, più pesante, a chi riesce di più a far parlare di se bucando il video.

Memo Remigi, in gran forma, ha l’età di ottantaquattro anni e quel gesto è solo un ritorno di gioventù, un ricordo di quando ad una “toccata della natica”, seguiva un rimprovero e poi un sorriso. Perché è del sorriso che ha bisogna la gente, sempre e comunque. L’odio lasciamolo ai politicanti che di questo strumento fanno bandiera nelle loro lotte alla faccia della gente che soffre.

Nell’intervista di Massimo Giletti, a Non è L’Arena, Memo così si esprime “Quando ho sentito l’annuncio, mi sono sentito male. Ho avuto dei problemi di salute. Una botta così non me la sarei aspettata. In 50 anni di carriera, anche io sono stato conduttore. In ogni programma avevo un senso di collaborazione e amicizia con il gruppo di lavoro”.

Io son tornato ad ascoltare Memo Remigi con il mio HiFi, ricordando e rivalututando la sua signorilità. Un cantante crooner (confidenziale) che ha fatto sognare e “innamorare” intere generazioni dagli anni ’60 a oggi, come Fred Bongusto o Bruno Martino. Per Memo “E’ strano sentirsi innamorati a Milano”, oggi aggiungerei che è strano sentirsi innamorati in ogni dove. C’è il rischio di essere fucilati!

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

 

Due dicembre 1942, Fermi “accende” l’era atomica.

Enrico Fermi, Fisico e inventore della pila atomica, aveva iniziato i suoi esperimenti a Roma nell’Istituto Universitario di Fisica di via Panisperna con i suoi collaboratori, ricordati oggi come i “Ragazzi di via Panisperna”. Costretto a lasciare l’Italia nel 1938, in seguito all’approvazione delle leggi razziali perché sua moglie Laura Capon era di origini ebraiche, Fermi era arrivato negli Stati Uniti approfittando del viaggio a Stoccolma, dove nel dicembre del 1938 gli era stato conferito il Nobel per la Fisica per le sue ricerche sul nucleo dell’atomo. Nel laboratorio di Chicago aveva trovato collaboratori di primo piano, con i quali riuscì a completare la costruzione del primo reattore nucleare. Un risultato che segnava alla fisica la via per la produzione di energia atomica. Il primo reattore nucleare della storia era stato costruito in segreto sotto le tribune di un campo sportivo abbandonato dell’università di Chicago.

Era il 2 dicembre 1942. Fermi era ben consapevole che il suo esperimento avrebbe potuto essere pericoloso. Per questo realizzò a tappe quella che definì una “pila grezza di mattoni e travi in legno”, fermandosi di volta in volta, per monitorare che il livello delle radiazioni corrispondesse ai suoi calcoli. Le sue ricerche, e poi quelle del Progetto Manhattan varato dal Presidente Roosevelt che portarono alla bomba atomica e allo sgancio di queste su Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945, hanno fatto discutere e perfino generato diffidenza nella scienza. E’ al lavoro di Fermi che si deve l’apertura della strada che porta a nuove forme di energia, sicure e rispettose dell’ambiente, come quella basata sulla fusione nucleare, che riproduce i processi che avvengono nel cuore delle stelle.

E’ interessante ricordare come il Fascismo salutò Fermi, i suoi studi e, di fatto, la nascita dell’era atomica. Proprio quando, nel 1938, il fascismo inizia il suo lento declino, anche gli aiuti economici alla scuola di via Panisperna vengono negati. Ecco come rispondeva il Duce, già nel 1934, a una richiesta di contributi di Fermi: “Le rimetto questa doglianza consegnatami da S. E. Marconi, Presidente del Cnr (Consiglio Nazionale Ricerche) e dell’Accademia d’Italia. Credo che gli si possono dare 570.000 lire dal fondo delle spese impreviste e non un soldo di più. Supposto che questo Consiglio debba ancora funzionare”.

Gli Scienziati del C.N.R. non erano di perfetta fede fascista! E per fortuna, altrimenti “l’atomica” sarebbe nata in Italia, con tutte le conseguenze che possono immaginarsi per la conclusione della seconda guerra. La ricerca di nuove forme di energia è oggi possibile grazie agli esperimenti pionieristici di Fermi. E la sua ‘pila’ non ha solo permesso di dimostrare che è possibile utilizzare l’energia nucleare ma ha anche consentito di comprendere la struttura più intima della materia e delle forze che governano l’Universo.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

Dividi et Impera

“La Difesa della Razza” è stata la rivista edita durante il periodo fascista che ha disonorato il Popolo italiano. Era curata dal MinCulPop, Ministero della Cultura Popolare, con lo scopo di divulgare una (falsa) dottrina scientifica che giustificasse agli occhi della Gente l’antisemitismo e, di conseguenza, l’anti socializzazione fra gli Italiani e gli Ebrei. Il rotocalco, nato il 5 agosto ’38 chiuse le pubblicazioni il 5 aprile 1943, a pochi giorni dalla caduta del Fascismo.

La Difesa della Razza proponeva resoconti infondati e idee prive di alcun riferimento scientifico, sostenenti la superiorità della razza ariana, alla quale gli Italiani sarebbero dovuti appartenere secondo le fantasie del Regime. Inoltre diffondeva presunti timori da contaminazioni biologiche qualora gli italiani si fossero riprodotti con le Razze “inferiori”. Erano Razze inferiori le Genti con le quali l'Italia imperiale era venuta in quell'epoca a contatto come, ad esempio, quelle delle Terre africane occupate. Una follia, scritta e stampata da un branco di criminali che imitava le devianze Germaniche dominate da Adolf Hitler.

“Dividi et Impera”, Dividi e Conquista, un motto latino che significa che la divisione, la discordia fra la gente giova a chi vuol dominarli. La discriminazione si concretizza quando un soggetto è trattato in modo diverso, oppure è escluso da un lavoro o da un servizio sanitario o dall’uso di un servizio pubblico sulla base della tendenza sessuale, del colore della pelle, della lingua, della religione e di ogni altra condizione sociale o personale. Nonostante la scienza oggi abbia dimostrato l’assenza di differenze tra gli esseri umani, i pregiudizi razziali e, comunque, differenziali, sono difficili da cancellare. In Italia, e nel mondo libero, sono state varate norme che vietano la discriminazione. Ma è così?

Forse no, a giudicare da fatti recenti. L’emergenza covid (costruita o no) ha stimolato un rappresentante della sinistra, il Ministro Speranza, a scrivere nel suo libro “Perché guariremo” (ritirato prontamente dal commercio) che sulla pandemia si sarebbe potuto costruire una nuova Egemonia Culturale, di sinistra ovviamente. Lockdown, isolamento, allontanamento dal lavoro, discriminazione. Erano cose necessarie? Per i soloni si, per tanti specialisti della medicina no.

Una cosa è certa: non si fa politica su un’epidemia! Non andava dimenticato che il nemico era il virus e che non si poteva utilizzare la lotta alla pandemia per ragioni pseudopolitiche. Chiaramente non confronto le discriminazioni del ventennio con quanto accaduto oggi, ma la logica del “Dividi et Impera” esiste anche oggi e continuerà a vivere nella mente dell’Uomo.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

“Legata Ad Un Granello Di Sabbia”, la mia infanzia.

Confidenziale, viso dolce, l’amico della porta accanto: era questo il modo di porgersi di Nico Fidenco, cantante crooner, confidenziale, degli anni ’60. Ed era questo il modo in cui lo desideravano i giovani “sani” di quei tempi. Sani perché vivevano una vita semplice, una coca-cola, un panino e, al massimo, una sigaretta. Niente droga, niente violenza nei luoghi pubblici ma solo il piacere di stare insieme ascoltando una canzone. Nico Fidenco lo si ascoltava nei Juke Box, macchine sonore arrivate dall’America negli anni ’50 che riempivano di musica i bar e le balere. Una canzone 50 lire, tre canzoni cento lire. Era raro entrare in un ritrovo e non sentire un Juke Box riempire il locale con la sua potente voce. Anzi, gli amplificatori dei Juke Box era forti e ricchi di toni bassi e di tutte le sfumature sonore che difficilmente si trovavano nelle radio di casa di allora.

E allora si andava al Bar proprio per metterci cento lire e trascorre quei venti minuti di piccola felicità. Nico Fidenco, nato Domenico Colarossi a Roma nel 1933, aveva 89 anni e da anni non lo si vedeva più in TV. L’ultima intervista a Fidenco risale al luglio 1993 e, ovviamente, trattava la sua carriera che già allora contava trentatrè anni dal 1960 quando Franco Migliacci, paroliere e produttore, lo presentò alla RCA italiana per incidere il suo primo successo, “What A Sky” che accompagnava il film I Delfini.

Da allora un crescendo con tante canzoni che oggi emozionano chi ha vissuto quegli anni. “Legata ad un granello di sabbia” resterà sempre a ricordarci la sua voce ma la produzione musicale si fa ricordare anche per “Ti voglio far provare come nasce un amore” e tante colonne sonore che accompagnavano, con la sua suadente voce, film come “La ragazza con la valigia” con Claudia Cardinale, “Il mondo di Suzie Wong” dal film omonimo e “Moon River” con Audrey Hepburn. Un gentlemen capitato, quasi per caso, nel mondo delle sette note in un periodo in cui il Rock si faceva prepotentemente strada. Ciao Nico, accompagnato dalla tua voce ho imparato tante volte “Come nasce un Amore”.

*già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

Ancora una volta ho rimasto solo… anzi no…Bastarda

Era il 1963 quando Don Backy, un cantautore del Clan Celentano, cantava “Ancora una volta ho rimasto solo” introducendo un clamoroso errore grammaticale. Ma Don Backy chiamò licenza poetica questo errore. E poi la canzona era ironica, scherzosa, quasi banale e nessuno ci fece caso. Tanto più che a molti piaceva, compreso me che la canticchiavo a scuola. Dopo 60 anni si vorrebbe far passare l’epiteto “Bastarda”, rivolto al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni dallo scrittore Roberto Saviano per “licenza poetica”. E no, non ci sto! E poi non posso canticchiare “bastarda di qua e bastarda di là”, non fa rima. Bando alle ciance, l’aggettivo Bastarda è, e rimane, un insulto gravissimo, ancor più quando rivolto alla seconda carica dello Stato.

E’ vero che cafonaggine e ignoranza vanno oggi a braccetto, ma qui si va oltre ogni limite. Saviano usa gli stessi metodi di cui accusa provocatori e seminatori di odio. E l’assurdo è che non si renda conto che, attraverso la violenza del linguaggio, devia dai normali modi del vivere sociale e provoca seminando odio. Ma mi permetto allargare il discorso: apprezzo La Meloni, l’ho votata, e osservo che ha iniziato bene la sua opera di Presidente del Consiglio. Mi identifico nelle sue gesta e l’aggettivo Bastarda (o) è rivolto anche a me, cosa che lo “scrittore” Saviano non potrà mai capire. E visto che Saviano non capisce che “bastarda” è un insulto, Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale” ha titolato “Saviano Bastardo”. Ha fatto bene, ha fatto male, non lo so. Io provengo da un mondo in cui la parola bastarda mi avrebbe fatto meritare due scappellotti, dai miei genitori o dai miei insegnanti.

Saviano (sotto processo per diffamazione al Presidente Meloni e a Salvini) è stato invece ricevuto con tutti gli onori nella trasmissione Piazza Pulita edita dalla La7, da un conduttore super chic anche lui. E dire che Saviano è stato un moralizzatore pubblicando diversi manoscritti contro la Mafia. Un moralizzatore che predica l’odio, uno scrittore che ha smarrito il senso del reale per abbracciare l’ideazione della sinistra progressista e dei radical chic, rotolandosi nel fango. Ogni cafonata è buona per denigrare la politica di destra che, al di là delle parole, sta cominciando a dare aiuto alla povera gente.

*già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

 

DUBITO QUINDI SO

Diceva Giulio Andreotti, “se vuoi dire una perfetta bugia devi dire tante mezze verità”. Tante volte abbiamo sentito informazioni che sembrano vere, ma non ci accorgiamo che ci vien detta solo una parte della cosiddetta verità perché, se ci viene fornita la notizia intera, ci accorgiamo che il significato è diverso. Così sono tante delle informazioni su internet. L'uso di piattaforme digitali per condividere cose che riteniamo vere, quando potrebbero non esserlo, può avere un potente effetto a catena, influenzando la gente a vederle come fatti reali. Oggi il “potere” si impone con mezzi non convenzionali come la propaganda e la macchina della disinformazione.

Questa, un tempo relegata solo a giornali e manifesti, oggi si avvantaggia del mezzo radio – televisivo e del vasto mondo della Rete e dei Social network. Sarebbe riduttivo credere che le fake-news (notizie false) siano nate oggi, perché da sempre i poteri hanno fatto uso del “falso”. Certo non viviamo più in un regime totalitario come quello di Mussolini, di Hitler o Stalin, ma in qualche modo anche noi percepiamo un “potere” che si mostra con una sommatoria di notizie che si rincorrono sui social o che vengono trasmesse in tv e radio. Peraltro, oggi, anche le guerre si combattono con la disinformazione. Durante la seconda guerra mondiale, i mezzi di informazione erano limitati a qualche quotidiano e alla radio dell’EIAR (antenata della Rai) che, quotidianamente, raccontavano le Vittorie dell’Asse Nazi-Fascista quando, invece, i nostri poveri soldati morivano in quantità. Al contrario la verità si poteva ascoltare solo da Radio Londra che raccontava le Sconfitte dell’Asse.

Un’enorme bufala ci viene dalla gestione della pandemia che, con il forte lavaggio del cervello fatto per quasi tre anni a “reti unificate”, ha condotto le persone a pensare che dallo stato di emergenza non si possa più uscire. E’ di questo governo la riammissione dei medici non vaccinati negli ospedali, ma tanti governatori locali, e persino gente comune, non accetta questa soluzione. La mancata vaccinazione non porta ad essere portatori di infezione, come spiegano tanti specialisti liberi e non di partito o politicizzati. Peraltro la casa farmaceutica produttrice del vaccino, la Pfizer, avrebbe ammesso che il suo vaccino contro il Covid non è stato testato per evitare la trasmissione dell’infezione. Inoltre, oggi, l’aggressività del virus è scemata e l’infezione è una malattia curabile come mostrato i tanti specialisti che hanno salvato, e salvano, decine di migliaia di persone. Ma c’è un’altra fake news, quella della terapia raccomandata dal ministero della salute: la cosiddetta “tachipirina e vigile attesa”! Nessuno si è accorto che dire Vigile Attesa è come dire non Curarti!

E’ una prescrizione curiosa, perché nessuno quando sta male non pensa subito a consultare il medio, a prendere un antinfiammatorio o qualche altra diavoleria. Rimanere in vigile attesa significa non curarti, è come scrivere “vigile attesa = non curare”. E la fuorviante informazione, televisiva ha indotto tanta gente a non fare nulla, lasciando che la patologia si aggravasse con effetti nefasti. E in ultimo, ciliegina sulla torta, la disinformazione sugli atti del nostro nuovo governo. Si estrapola una frase o il disposto di un atto scritto in fretta e in attesa di revisione e, con lunghi e estenuanti talkshow si parla del “nulla” tentando di dimostrare, solo per questo, l’incapacità dei nuovi governanti. Così la cassa di risonanza della televisione riesce a convincere che il nero è bianco e il bianco è nero. E tutti ci credono. Ma c’è un modo per salvarsi da tanto falso: porre il dubbio su ogni cosa che sentiamo, in attesa di poter confrontare più informazioni. Il dubbio, infatti, è alla base della conoscenza, della ricerca e della vera scienza.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

Ricordate la centrale nucleare di Chernobyl ?... è in Ucraina. Chernobyl è la città ucraina che ospita la centrale nucleare che nel 1986 creò il più grande incidente nucleare della Storia.

Da due giorni la città è al centro della guerra scatenata in Ucraina dall’Unione Sovietica. La centrale è in territorio ucraino e, al momento, è osservata speciale delle forze di Mosca unitamente ai tecnici dello stesso presidente ucraino Zelensky. Proprio quest’ultimo ha scritto in un tweet "I nostri militari stanno mettendo a rischio la loro vita per evitare che la tragedia del 1986 si possa ripetere. Ciò che sta accadendo è una dichiarazione di guerra contro l'intera Europa". 

Da giorni si inseguono voci di un presunto danneggiamento del sarcofago che custodisce le scorie radioattive, di personale ucraino tenuto in ostaggio e di un aumento sospetto dei livelli di radioattività nell’area. Chiaramente voci su voci, ipotesi e nulla di certo, come tutte le notizie che arrivano dai teatri di guerra.

L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) ha chiesto la massima attenzione per evitare azioni che possano mettere a rischio gli impianti nucleari e il Ministro russo per la Difesa ha fatto sapere che i propri paracadutisti stanno lavorando con gli

ucraini per garantire la sicurezza delle strutture: ci sarebbe da esclamare “perbacco!”. Infatti se il sarcofago che raccoglie i resti del reattore numero (4) di Chernobyl si lesionasse tornerebbe l’incubo vissuto nel 1986 quando si ebbe la “ricaduta radioattiva” che colpì larghe fasce europee fino a lambire il nostro nord Italia.

E’ evidente che un danneggiamento non conviene a nessuno ed è necessario far capire questo anche a chi di guerra conosce solo il cannone e l’invasione dei territori. L’emissione radioattiva o “fallout” non conosce né frontiere né filo spinato e non conviene proprio a nessuno, tanto meno ai russi che ci stanno attaccati.

E’ probabile che “l’occupazione” dell’area dell’ex centrale nucleare da parte dei Russi sia solo a scopo dimostrativo e per scatenare terrore. E dobbiamo credere che sia così, almeno per rasserenare noi stessi. Io, come nato nel ’46, sono un prodotto del dopoguerra e non avrei mai pensato di vedere un nuovo conflitto nel cuore dell’Europa dopo 76 anni.

E’ proprio vero che la storia non insegna nulla, sopposto che chi sa solo premere il grilletto abbia mai letto un libro di storia.

*Fisico, Consulente di Acustica del Comune di Lipari carlodarrigo47@gmail.com

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foto di Rino Natoli

Aereo militare alle 5,30 sorvola le Isole Eolie

Alessandro Volta, italiano di vera scienza

Di Alessandro Volta cade proprio ora la ricorrenza della sua nascita avvenuta a Como il 18 febbraio 1745. Il nome potrebbe significare poco, ma è proprio a Volta che si rifanno tutte le misure in campo elettrico. Chi non ha mai sentito dire “quanti Volts ha questa pila” o, ancora, quanti Volts ha una data lampadina. Beh, il termine Volts è proprio in onore al personaggio citato. Volta può veramente essere definito Scienziato, ben distante dall’assordante frastuono degli odierni personaggi televisivi che di scienziati hanno solo il nome. Sicuramente Alessandro Volta fu uno dei più famosi Fisici della storia: visse tra il Settecento e l’Ottocento, inventò e perfezionò la pila elettrochimica e scoprì caratteristiche e potenzialità del metano, ancora oggi uno dei gas più utilizzati per le attività umane.

Volta fu uno studioso e un inventore molto prolifico e si applicò soprattutto allo studio dei fenomeni elettrici, mettendo in discussione parte delle teorie e delle conoscenze sull’argomento del suo tempo. Il nome di Alessandro Volta è legato per sempre a quello dell’elettricità, che ha tra le sue unità di misura il “volt” (V), in onore a una persona che più contribuì al suo sviluppo nel diciannovesimo secolo.

Volta fu interessato alla ricerca pratica e, partendo dagli studi di diversi contemporanei, realizzò tante invenzioni che permisero di sfruttare i fenomeni elettrici. Ottenne una cattedra presso l’Università di Pavia nel 1778 e in quegli anni inventò il condensatore, che separando cariche elettriche negative e positive serviva per accumulare energia elettrica. Chissà quante volte abbiamo sentito dire proprio la parola “condensatore”. Ma è fra il 1799 e il 1800 che Alessandro Volta realizzò l’invenzione che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo: la Pila. Non fu una trovata improvvisa ma derivò dagli anni di studi e osservazioni precedenti, soprattutto sull’elettricità animale e sulle relative teorie di un altro italiano, Luigi Galvani, che sosteneva come gli animali, tra cui l’uomo, fossero attraversati da un “fluido elettrico” e che questa elettricità intrinseca fosse prodotta dal cervello e poi portata dai nervi ai muscoli dove veniva immagazzinata.

E, guarda caso, ancora oggi utilizziamo questi concetti, allora elementari, per mettere in pratica tecniche diagnostiche e terapeutiche. La pila di Alessandro Volta fu il primo sistema per generare elettricità con una corrente costante nel tempo. Il nome deriva dal fatto che tanti dischi metallici erano impilati uno sull’altro. Ogni disco creava un piccolo potenziale tra il metallo e una sorta di liquido elettrochimico con cui era a contatto. Volta comunicò la sua invenzione alla Royal Society di Londra (un po' come il nostro CNR, ma sicuramente piu’ prestigioso) il 20 marzo 1800, “accendendo” da quel momento il mondo dell’elettricità. Tra i tanti riconoscimenti che ricevette a seguito della sua invenzione ce ne furono anche di politici, come la nomina a senatore del Regno d’Italia da parte di Napoleone nel 1809. Alessandro Volta continuò a vivere a Como dove morì il 5 marzo 1827 a 82 anni, dopo essere stato uno dei più importanti protagonisti della storia sull’elettricità. E’ anche grazie a lui se potete leggere questo articolo sul vostro smartphone o PC.

 

 

Giorgio Parisi, Nobel italiano

Dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande la curiosità di Giorgio Parisi non si è mai posta limiti nel tentativo di mettere ordine nel disordine dei numeri e delle cose. Con Giorgio Parisi l’Italia ha il suo ventiduesimo Nobel, esperto di Fisica Teorica e nella comprensione dei sistemi fisici complessi. Ad oggi i Nobel italiani sono stati ventuno. Dei giorni nostri ricordiamo, nel 1986, Rita Levi Montalcini che, unitamente allo statunitense Stanley Cohen, ebbe il Nobel per la Fisiologia. E andando indietro troviamo Mario Capecchi nel 2007 sempre per la Medicina, Renato Dulbecco nel 1975 per lo studio delle cellule tumorali, Emilio Segre nel 1938 ed Enrico Fermi nel 1959 che, con le loro ricerche, aprirono il mondo dell’energia atomica. E nel 1909 non si può dimenticare Guglielmo Marconi che, pur senza laurea specialistica né in Fisica né in Ingegneria, ebbe l’altissimo riconoscimento. A Marconi, autodidatta, si deve il mondo delle comunicazioni in cui siamo immersi.

E poi altri scienziati che qui ricordiamo almeno come numero. Il premio Nobel nasce con Alfred Bernhard Nobel, chimico svedese (Stoccolma 1833-1896), ricordato per l’invenzione della dinamite che, purtroppo, diede vita a strumenti di morte. Dai brevetti e dalle finalizzazioni industriali, Nobel ricavò una grande fortuna e, alla sua morte, destinò il suo patrimonio a una fondazione con lo scopo di distribuire ogni anno cinque premi a chi avesse reso i maggiori benefici all’umanità nei campi della chimica, della medicina o della fisiologia, della letteratura, della fisica e della difesa delle relazioni amichevoli tra i popoli. Così è dal 1901 che a Stoccolma ogni 10 dicembre si assegna l’ambito premio.

Chi riceve il Nobel è, o dovrebbe essere, uno scienziato, magari non da teleschermo, non da talk show e nemmeno da lista elettorale, ma sicuramente da tavolino e da laboratorio. Nonostante i suoi 21 personaggi da Nobel, l’Italia non brilla per la ricerca e, ovviamente, nemmeno per i Nobel. La pandemia ci ha fatto scoprire che esistono gli scienziati, di tutti i tipi e di tutti i Canali “televisivi”. Certo, ci siamo accorti che la ricerca scientifica è importante e che persino i ricercatori italiani sono bravi, almeno quando non sono semplici “scienziati” di partito, come purtroppo è avvenuto e si reitera.

In verità non è facile valutare quanto siano bravi, la televisione inganna, quando non trasmette volutamente l’inganno. Certamente l’impegno che i nostri scienziati profondano è maggiore di quanto ci si può aspettare dai loro bassi stipendi e dall’1,4 per cento del Pil (prodotto interno lordo) che è l’investimento destinato alla ricerca in Italia. Da noi esistono scienziati di serie A e di serie B. I primi fanno sempre carriera e, come oggi avviene, appaiono tante e tante volte in TV, i secondi mirano al Nobel stando in disparte. Anzi, non sono chiamati ad esprimere le loro idee perché il loro pensiero potrebbe contrastare con il pensiero unico. Gli scienziati italici, oltre ad essere sottopagati, sono infatti mortificati e ignorati salvo non comparire all’improvviso con un riconoscimento internazionale, come avvenuto a Giorgio Parisi. Chissà se invece di partorire i “green pass” i nostri scienziati inizieranno a produrre per mettersi seriamente in luce, non la luce del teleschermo ma dei bisogni dell’umanità, in modo umile e senza desiderio di apparire. Non ci resta che aspettare il prossimo Nobel nostrano.

 

(Non voleva essere chiamato Maestro)

Lassù avrai trovato il tuo Centro di Gravità Permanente perché “Sei un Essere speciale” e la tua arte rimane sempre, anche fra gli Angeli, perché è “Immortale”. Addio alle tue poesie, al racconto della tua vita che facevi tra le parole delle canzoni, delle tristezze, degli amori mai appaganti e mai appagati. L’espressione dura, quasi sempre severa, ma raffinata e gentile verso tutti i suoi ammiratori, i suoi fans, i suoi ascoltatori.

Raffinata come la sua voce, mai urlata, anzi calda e curata in tutti i suoi fonemi, la voce che aveva imparato sin da metà degli anni sessanta quando aveva inciso due singoli per la rivista la Nuova enigmistica. Questa testata, infatti, in quel periodo proponeva come allegati dischi di canzoni celebri interpretate da cantanti sconosciuti.

Ma proprio da quel momento Battiato inizia a farsi conoscere perché è il 1965 quando il cantautore Beppe Cardile porta a Sanremo la sua canzone “L’amore è partito”. Ed è da quel momento che Giorgio Gaber scopre Battiato e si propone di portarlo al successo, e c’è riuscito. Senza fare la sua biografia si può dire che dal 1970 inizia l’ascesa del Maestro Battiato, compositore, cantante, regista e soprattutto scrittore di poesie tradotte in musica.

Pochi cantautori hanno composto la colonna sonora di una intera vita, Battiato l’ha fatto, sia per la sua generazione che per quelle che verranno.

I brani che ricordo con maggiore piacere sono Centro di Gravità Permanente e sul Ponte sventola Bandiera Bianca. Ma la sua produzione è enorme. Dalle canzoni ballabili come “Cuccurucucu” a quelle romantiche come “La Cura” o “E ti vengo a cercare” fino a quelle impegnate come “Povera Patria” dove con poche parole scrive l’infamia di chi governa “Povera patria schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos'è il pudore…”, parole che potrebbero andar bene anche oggi.

La sua musica e i suoi testi rimarranno immortali nel tempo e, ci auguriamo, sempre attuali. Della sua vita privata si sa poco. Tanto conosciuto quanto riservato, era trincerato nel sua casa di Milo ai piedi dell’Etna. Per Lui la casa era una sorta di eremo dove componeva, per poi uscire solo per le sue esibizioni. Forse oggi Franco Battiato direbbe, "arrivederci gente, ci troviamo a suo tempo dall’altra parte". Vogliamo ricordarTi così, semplice e grande. Ciao grande Maestro.

 

Un DPCM approvato in piena notte

Ormai sappiamo che i DPCM arrivano di notte, un po’ come la befana. L’ultima notizia che registriamo con stupore è il DPCM (Decreto Presidente Consiglio dei Ministri) approvato dopo la mezzanotte del 31 marzo, in un’aula pressoché deserta. Senza girarci troppo attorno diciamo che è stata abrogata la cosiddetta Legge gravitazionale che il Parlamentare Isaac Newton, del Partito Sudtirolo Volkspartei e già Presidente della Royal Society di Londra, aveva varato nei governi precedenti. Molto precedenti. Come si potrà capire si tratta di un fatto gravissimo. Peraltro l’abrogazione è avvenuta con l’assenza di chi questa Legge l’aveva, a suo tempo, voluta e sperimentata.

Se i decreti attuativi non saranno fermati in tempo, con giuste barricate, gli effetti saranno dirompenti e, come è accaduto per altre norme, tutto potrebbe restare in aria, diciamo sospeso in aria. Naturalmente il Senatore Newton ha presentato un’interpellanza parlamentare urgente per conoscere i motivi che hanno indotto il Governo a modificare una legge in vigore da sempre. In particolare il Senatore Newton desidera che non vengano discusse le altre leggi, le cosiddette tre leggi di Newton, da Lui già fatte approvare nei tempi passati e che si sono rivelate utili e precise. Peraltro qualunque modifica ad una di queste tre leggi, dopo un anno di lockdown, condurrebbe ad un ulteriore peggioramento del modo di vivere su questa sventurata terra. Si spera che l’interpellanza sia discussa rapidamente affinché le Forze citate, sia di destra sia di sinistra, non siano stravolte con un semplice DPCM come, ormai, avviene da oltre un anno.

 

Spengo i LED e m’illumino di LEC

In poco più di 140 anni il Mondo ha cambiato luce. Si è passati gradualmente dalla lampadina elettrica, nata rendendo incandescente un filamento di carbonio, a quelle a gas neon, alle lampade a risparmio energetico (a gas compatte) a quelle a LED (Light-Emitting Diode o Diodo ad Emissione di Luce), osannate negli ultimi dieci anni per la loro strepitosa efficienza e flessibilità d’uso. Adesso è un ulteriore passo avanti, è nato il LEC. Un percorso estremamente veloce dalla lampadina del 1879 di Thomas Alva Edison a oggi. Il 1° Settembre 2012, è entrato in vigore in tutta Europa il divieto di vendita delle lampadine a incandescenza, e conseguentemente il mercato iniziò a distribuire in lungo e in largo le nuove lampade a Led che, seppure con un costo iniziale superiore, compensavano la maggior spesa d’acquisto con la maggiore durata e un buon risparmio nei consumi.

La tecnologia LED fu premiata nei ricercatori giapponesi Isamu Akasaki, Hiroshi Amano e Shuji Nakamura con il Nobel per la Fisica nel 2014. Ma l’evoluzione non si ferma, e anche i LED si rivelarono ulteriormente migliorabile. Si cari lettori, stanno per arrivare i LEC (acronimo di Light-emitting Electrochemical Cell), un dispositivo optoelettronico allo stato solido che produce luce da una corrente elettrica (elettroluminescenza) basato su celle elettrochimiche che emettono una luce ancora più intensa e più efficiente dei LED. La rivista Nature Communications, una pubblicazione inglese che si occupa di nanotecnologie, ha descritto questo nuovo sistema illuminante come “straordinario”. Gli studiosi che hanno messo a punto i sistemi LEC (delle Università svedesi di Umeå e Linköping), hanno dichiarato che questi nuovi componenti luminosi sono stati realizzati con tecniche di stampa e colorazione low cost, simili a quelle impiegate per stampare la carta.

Se con l’avvento dei LED i consumi di energia per l’illuminazione si erano fortemente abbassati, figuriamoci con i LEC! Il nuovo sistema, oltre ad essere capace di fornire energia luminosa a basso costo, contribuirà a migliorare ulteriormente l’efficienza o “rendimento”. Sarà inoltre possibile realizzare forme illuminanti ben lontane dai lampadari e dalle applique fin oggi utilizzati. Potremo avere, ad esempio, il tetto della stanza interamente liscio e senza fronzoli che si illumina in tutta la sua superficie come un tetto trasparente che lascia passare la luce del sole. Si tratta di una tecnologia che permette di realizzare dispositivi con la capacità di emettere luce un po’ come avviene in certi recenti schermi televisivi chiamati OLED, Organic Light-Emitting Diode. Ma al contrario degli Oled i Lec emetteranno luce bianca ad altissima luminosità. Importante è non credere che questo sia il traguardo finale, perché il futuro riserverà ancora altre sorprese.

 

Ma quanti scienziati c’erano nel passato

Con i pezzi pubblicati in questi ultimi tempi ho rievocato i “sapienti” vissuti intorno all’800. Perché tirar fuori scienziati di due secoli fa? Il 1800 e il 1900 hanno rappresentato, il passaggio dal medioevo scientifico ai nostri giorni. Sicuramente il Medioevo fu un’epoca ricca di scoperte e di straordinari progressi tecnologici. Spesso realizzati da ecclesiastici, perché era il Cristianesimo a dare slancio agli studi. La forza motrice dell’acqua, la carrucola, l’impiego delle leve, gli ingranaggi di legno, la fucina per plasmare il ferro, e tutto ciò che è possibile apprendere semplicemente con un po’ di osservazione. L’Umanità poi, forte di quelle esperienze, ha affrontato i congegni più complicati. Allora i progressi avvenivano nei monasteri dove i religiosi erano dediti a inventare congegni per alleviare la fatica dell’uomo. Il mondo antico, di età precedente al periodo citato, fu inventivo solo per la tecnologia militare e le macchine per l’assedio. Ad esempio, per l’uso liturgico i monaci perfezionarono l’organo a canne, già presente nientemeno all’epoca di Carlo Magno. Per misurare il tempo furono costruiti orologi da torre, con annessa campana e campanile per comunicare l’orario. Le pitture medievali mostrano persone con abiti eleganti e colorati, con cappelli dalle fogge più strane che rappresentano le persone, almeno quelle nobili, contente del loro vivere. Naturalmente tutto ciò accanto a gente che non aveva di che mangiare. Il mondo non si è mai contraddetto. Certo i testi scritti nel Medioevo si mostrano seri e dediti solo ad argomenti solenni come il diritto, la teologia e la filosofia, escludendo quella che oggi chiamiamo tecnologia. Sicuramente è stato il Cristianesimo a creare la civiltà di oggi. Ricordiamo che i registri della popolazione erano custoditi nella parrocchie e il Parroco era, di fatto, l’autorità del paese. Senza il culto della religione non avremmo imparato a scrivere e leggere. E allora quando e come è avvenuto il grande salto? Lo start al progresso cui siamo abituati è sicuramente conseguente alla prima rivoluzione industriale, all’invenzione della macchina a vapore di Denis Papin, resa fruibile dagli studi di James Watt. Con la macchina a vapore è possibile, per la prima volta, sostituire la forza animale con un mezzo meccanico e, da allora, le navi a carbone iniziano a solcare i mari, anche in assenza di vento e di schiavi rematori. Ma il grande passo si ha con la scoperta dell’elettricità, e qui mi riallaccio agli scienziati ultimi rievocati e a quelli che saranno richiamati nei prossimi pezzi.

 

 

Un britannico veramente interessante, James Clerk Maxwell

James Clerk Maxwell, un altro britannico protagonista della fisica. Il lavoro che lo ha reso immortale è la teoria che unifica i fenomeni elettrici e magnetici. Nel 1864 James Clerk Maxwell pubblica la teoria dell’elettromagnetismo che dimostra che l’Elettricità, il Magnetismo e la Luce sono tutte manifestazioni dello stesso fenomeno: il campo elettromagnetico. Dopo la prima grande unificazione della Fisica classica per mano di Newton, questa è riconosciuta dalla comunità scientifica come la seconda unificazione dei fenomeni fisici. Maxwell rese omogenei i lavori su elettricità e magnetismo di Michael Faraday, Andrè Marie Ampere e altri del periodo, in un insieme di quattro equazioni differenziali note come equazioni di Maxwell (…perdonate la cattiva parola “equazioni differenziali”).

Le “equazioni di Maxwell“, come sono chiamate oggi dai ricercatori, riassumono tutti i fenomeni osservati fra 1700 e 1800 tra cariche elettriche e campi magnetici, ma prevedono anche come un'onda elettromagnetica si propaghi, con buona approssimazione, alla velocità di 300.000 km al secondo, la velocità della Luce. Sulla base delle sue equazioni, Maxwell identificò la luce come una forma di onda elettromagnetica, esattamente come le onde radio o televisive. L’importanza delle equazioni di Maxwell non si esaurisce sul piano storico e teorico. Le “equazioni” hanno anche un carattere predittivo che apre, a fine 800, alla successiva rilevazione sperimentale dell’esistenza delle Onde Elettromagnetiche, prima di allora sconosciute.

Sono due gli studiosi che fanno tesoro delle equazioni di Maxwell, Heinrich Rudolf Hertz -di cui si parlerà- e, successivamente, Guglielmo Marconi con l’invenzione della telegrafia senza fili e della radio. E dire che tutti gli scienziati che hanno fatto grande il Regno Unito hanno sempre lavorato con pochissimi fondi, spesso rimettendoci di tasca propria e mettendo in campo intelligenza e genialità. E allora la ricerca andava avanti senza scomodare economicamente altri Paesi, come avviene oggi con i Fondi europei. Infatti con la Brexit -per parlarne ancora- la Scienza Britannica perderà l’accesso a buona parte dei flussi di finanziamento del programma Horizon, il Programma europeo che finanzia la ricerca nei Paesi membri. Ma sicuramente gli Inglesi sapranno farne a meno.

 

Michael Faraday, lo scienziato che rilegava libri

Michael Faraday, un altro scienziato Britannico classe 1791. Mi si può chiedere: ma i Britannici non finiscono mai? ce ne ancora qualcuno da spulciare. Hanno sempre dimostrato di essere superiori, si veda la grande furbata che hanno dimostrato con la Brexit! A proposito, a fronte dei gufi, la quotazione della Sterlina non va certo male, anzi! Ma non mi faccio distrarre dalla pseudo-politica e torno a Faraday, raccontando un passo simpatico del giovane prodigio. A tredici anni la famiglia, peraltro poverissima, lo mandò a rilegare libri, ma Faraday non si limitava a rilegare i libri, ma anche li leggeva. La sua mente fu attratta da argomenti di chimica ed elettricità. Per questo fu notato da un cliente della libreria che lo finanziò per frequentare il primo anno delle lezioni del chimico Humphry Davy presso la Royal Institution di Londra.

L’ordinamento universitario di allora era ben diverso da oggi. Di Davy si è parlato su queste pagine il 26 gennaio. Un articolo sulla nascente elettricità, edito sull’Enciclopedia Britannica lo colpisce tanto da convincerlo a dedicare la sua vita alla Scienza. Si rivolge a Davy per un posto di lavoro, e questo lo prende con sé come assistente di laboratorio. L’abilità di Michael Faraday fa si che ben presto superi il “maestro”. La fama di Faraday si sparge in gran fretta, procurandogli numerosi incarichi da parte dell’industria chimica. In particolare si occupò di “ioni o particelle” in soluzione scoprendo le leggi che governano l’elettrolisi, cioè il passaggio di elettricità nei liquidi. E’ il risultato scientifico che lo fa entrare nella Storia. Ricordate quando il vostro medico vi prescrive l’elettroforesi per valutare la quantità di proteine nel sangue? Beh, in quella prescrizione c’è un po’ di…Faraday! Dal punto di vista fisico Faraday fu il primo a sviluppare l’idea dei campi elettrici e magnetici. Il fatto curioso è che non avendo sufficienti nozioni di matematica per trattare teoricamente i problemi di campo, nel suo monumentale lavoro, "Ricerche sperimentali sull’elettricità", non inserì neppure un’equazione.

Ma le sue osservazioni erano così giuste e importanti che un grande fisico dell’Ottocento, James Clerk Maxwell (di cui si parlerà in un prossimo pezzo), le usò come base per le sue famose equazioni che descrivono appunto il campo elettromagnetico. Si può dire che dopo l’elettrochimica i suoi interessi furono rivolti all’elettricità. La scoperta più significativa è il fenomeno dell’induzione elettromagnetica, una scoperta ancor oggi applicata in tutti i fenomeni che impiegano l’elettricità.

Dai generatori di corrente ai motori elettrici, al semplice campanello che suona a casa nostra, e l’elenco non può che essere infinito. E’ il caso ricordare che un fenomeno fisico o chimico, per essere scientifico, prima ancora di essere spiegabile deve essere riproducibile, e le scoperte di Faraday le riproduciamo da due secoli. Per chiudere non mi resta che dire “al prossimo Britannico”, ma non esagererò.

 

SEMPRE PIU’ POVERI, SEMPRE PIU’ RICCHI

“Perché a chiunque ha sarà dato, e sarà nell’abbondanza, ma a chiunque non ha sarà tolto anche ciò che ha”. E’ questa la prima lettura (interpretazione) del Vangelo secondo Matteo. Nel 1968, il sociologo americano Robert C. Merton, padre del Nobel per l’economia pensò di riferirsi a questo passo del Vangelo secondo Matteo. L’Economista parlò di Effetto San Matteo per definire e studiare il fenomeno secondo il quale certi vantaggi iniziali tendono ad accumularsi, creando nel tempo un divario sempre maggiore tra chi ha meno e chi ha di più in termini di denaro e prestigio. Tale realtà è poi validata dal cosiddetto Rapporto Oxfam 2019 che recita come nel mondo 26 ultramiliardari possiedono più risorse della metà più povera del pianeta, e in Italia il 5% più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero della popolazione. Gli “Effetti di Matteo”, quando operano senza un intervento correttivo, in genere producono crescente divario tra chi ha di più e chi ha meno.

L’effetto è analogo all’accumulo di interesse composto in matematica. In questi tempi è opinione diffusa che i poveri siano in qualche modo responsabili della propria condizione, che se la siano cercata per mancanza di istruzione e voglia di lavorare. Di fatto questo è un meccanismo mentale che la gente attua per non sentirsi in colpa e legittimare il loro disinteresse. Spesso la povertà, infatti, non ha nulla a che fare con le doti e le abilità degli individui, ma si tratta semplicemente di una mancanza di denaro per mancanza di lavoro. Senza andar lontani, il cosiddetto reddito di cittadinanza aveva il fine di abolire (…ridurre) la povertà, ma non è andata così. Purtroppo quando sei poveri ti “avviti su te stesso” e pensi solo a come mangiare domani. Siamo in un’epoca in cui la politica è interessata a combattere, per proprio interesse, i sintomi della povertà piuttosto che curarne le ragioni profonde. In Italia oltre una persona su quattro è a rischio povertà assoluta, e i poveri sono oltre cinque milioni. A fronte di questi numeri allarmanti, nel nostro Paese i poveri sono stati persino disumanizzati e trasformati dai politici, sia di destra sia di sinistra, in un problema di decoro urbano.

Nel 2017 l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti aveva emesso un provvedimento che puniva gli ultimi con sanzioni disumane, e in nome di un presunto “decoro” e di una presunta sicurezza, aveva emanato il daspo urbano allontanando dalle strade, dalle stazioni e persino dalle soglie delle Chiese i senzatetto e i mendicanti. I sindaci hanno addirittura emanato ordinanze derivate dal decreto Minniti, come quelle anti clochard vietando di dar da loro da mangiare e portare generi di assoluta necessità. Nel 1929 il mondo, e in specie l’America, si trovò in mezzo alla catastrofe economica conosciuta come la “grande depressione”. Milioni di persone persero il lavoro e in molti patirono la fame. I Governanti obbligarono gli allevatori a disfarsi di migliaia di litri di latte e di milioni di capi di bestiame. Perché questi sprechi quando questi prodotti sarebbero stati preziosi per i poveri? Semplice, era difficile venderli per trarne profitto, furono considerati senza valore e quindi eliminati. Tanti morirono di fame e tutto questo accadde negli Stati Uniti. All’inizio della grande depressione il possente sistema economico di quel paese tagliò le gambe a chi aveva il reddito più basso. Anziché dare la priorità ai bisogni di tutti i cittadini, il sistema economico considerò quei bisogni di secondaria importanza rispetto al meccanismo del profitto. Oggi l’economia mondiale si è ripresa e molti ora sembrano più ricchi e più sicuri che mai. Nonostante tutta l’abbondanza che esiste, però, i poveri hanno poche opportunità di migliorare la loro condizione. Probabilmente chi ha tanto non può capire chi ha poco. Totò, il grande comico, quando percepiva il compenso per una sua interpretazione, cambiava i soldi in tanti biglietti da 10.000 lire che andava a metterli sotto le porte delle famiglie più povere.

La verità è che nessun sistema economico di matrice umana riuscirà a soddisfare in modo adeguato i bisogni dell’umanità. L’aiuto al povero può arrivare solo da chi vive la povertà ma, purtroppo, al Governo non ci saranno mai poveri. Anzi, la “grande economia Europea” sta stritolando ancora di più chi è già povero e i Paesi già poveri. Una pubblicità di panettoni recita “a Natale c’è sempre un lusso che puoi permetterti…”, ci permetteremo il lusso di festeggiare la pace e la serenità lasciando la fantasia contorta dei Governanti europei a contare la loro ricchezza.

 

Morto Fred Bongusto, le sue canzoni vivranno nella mente di tutti noi.


Desidero riportare un post semplice e tanto espressivo trovato su Facebook, “Ha fatto pomiciare, fidanzare e sposare un’intera generazione, la nostra”. E’ questo vale sicuramente anche per chi scrive. Un grande cantante con l’amore nel cuore; non fingeva, era proprio come le sue parole. Ho avuto l’onore di conoscerlo nel 2006 quando venne a trovarmi per problemi di udito e desiderava tarare i suoi ear-monitor sulla curva residuale di percezione delle sue orecchie. Desiderava e voleva ancora cantare, e soprattutto voleva trasmettere il pathos confidenziale, profondamente umano, che gli era proprio.

Non l’avevo mai visto prima di persona ma ero innamorato delle sue canzoni. Figlio inconsapevole di altri artisti melodici come Natalino Otto, Little Tony, Tony Dallara e Johnny Dorelli, Fred Bongusto cantò l’amore fino alla fine della sua carriera nel 2013. Conosciutissimo per “Una rotonda sul mare” esordi nel 1962 con Bella Bellissima con cui iniziò la corsa verso un successo fatto di simpatia e, soprattutto, di una voce calda e sensuale. Adesso Fred Bongusto appartiene alla storia della musica italiana. Ci lascia un patrimonio di successi che continueremo a cantare e che ci aiuterà a ricordarlo per sempre. In rete Peppino di Capri lo ricorda come “Una persona sempre a caccia di ironie; tra noi c'era quella sottile competizione che ci legava, una competizione simpatica e generosa”.

Bongusto era la vera voce del night, una voce originale e una timbrica unica. Un animo nobile che acchiappava i sentimenti più importanti. Ciao Fred, ti porterò nel cuore come i più cari amici.

 

La radio diventa digitale, dalla FM alla DAB

Sino agli anni quaranta la trasmissione di voci e musica attraverso la radio avviene mediante la codifica chiamata “modulazione di ampiezza” o AM acronimo inglese di “amplitude modulation”. Con parole semplici con la modulazione di ampiezza, AM, il segnale sonoro fa variare “l’ampiezza” dell’onda elettromagnetica da diffondere nell’etere facendo sì che questa diventi più o meno grande in relazione alla potenza del suono da trasmettere, e che questo cambiamento sia più o meno veloce in relazione alla tonalità da trasmettere, e cioè toni gravi o acuti. E’nel 1935 che l’ingegnere americano Edwin Howard Armstrong inventa la modulazione di frequenza, FM, una tecnica che invece di far variare l’ampiezza dell’onda da trasmettere fa variare la sua frequenza, sempre in funzione del segnale sonoro da trasportare nell’etere.

La FM introduce un considerevole miglioramento rispetto alla AM sia per immunità ai disturbi, cui è invece soggetta la AM, sia per l’elevata fedeltà della trasmissione. La radio a modulazione di frequenza ci ha accompagnato fino ai giorni nostri regalandoci suoni e musica in casa e in auto. Le trasmissioni si sono moltiplicate occupando tutta la gamma di ricezione da 88 a 108 MHz, come possiamo osservare guardando il display della nostra autoradio. Oggi anche l’FM sta per andare in pensione per essere sostituita dalla DAB, Digital Audio Broadcasting. E’ un passo epocale che cambierà il modo di ascoltare la radio. I programmi si moltiplicheranno grazie alla grande disponibilità di canali concessi dalla codificazione digitale, la diffusione dei segnali sul territorio sarà capillare senza zone “d’ombra” e con la possibilità di ascoltare la radio, senza interruzione, anche in galleria. La Norvegia è stato il primo paese al mondo, nel 2017, ad effettuare il cosiddetto "switch off" della radio FM. Il Governo italiano, con un emendamento alla legge di bilancio 2018, ha proposto che al più presto tutti gli apparecchi radiofonici abbiano la contemporanea possibilità di ricevere i programmi analogici FM e quelli digitali DAB.

Dal 1 gennaio 2020 in Italia potranno essere vendute solo radio con doppio sistema, analogico-digitale. In vista di ciò, a partire dal 1 giugno 2019 i negozi di elettronica, e i portali internet, non hanno più acquistato ricevitori radio senza il doppio sistema, in modo da smaltire le scorte dei magazzini. Naturalmente la decisione del Governo non prevede, al momento, lo spegnimento delle reti analogiche FM che continueranno a diffondere i loro tradizionali programmi. La radio analogica ci farà compagnia nelle nostre auto ancora per qualche tempo.

 

Ma chi si accorge dei cambiamenti?

Chi gestisce la cosa pubblica nel nostro Paese mostra sempre più difficoltà a calarsi nelle necessità della gente. Oggi, il politicante o politico di una certa fazione (ogni lettore ci metta pure ciò che vuole, sx o dx, anche se è facile capire a cosa mi riferisco) sembra scollato dal mondo reale o, almeno, lontano dal mondo della gente di cui dovrebbe interessarsi. Lontano dalle necessità dei singoli parlando stancamente di Italia e mai di Italiani.

Negli interminabili talk-show televisivi i personaggi pubblici sembrano voler dire “…ma come, ce la metteremo tutta e poi vi abbiamo sfamati col reddito di cittadinanza, c’è quota 100, ridurremo il cuneo fiscale e vedrete cosa faremo ancora!”. Si parla sempre al futuro perché fino a quel momento non si è fatto nulla. Purtroppo non funziona così e le necessità, spesso impellenti, hanno fatto aprire gli occhi anche a chi sembrava sonnecchiare su questi pseudo governanti. Nel 1950, Giorgio La Pira sindaco di Firenze, profondo cattolico e dedito veramente alla povera gente, pubblicava un saggio dal titolo “L’attesa della povera gente”.

A partire dalle premesse dell’etica cristiana la Pira compie una analisi della situazione economica italiana del dopoguerra iniziando dal problema della disoccupazione e concludendo con indicazioni per la politica economica e sociale del governo che, probabilmente, sarebbero ancora applicabili. Il messaggio è chiaro e semplice. La gente non va accompagnata al seggio e poi disprezzata perché “non sa votare” (cioè non vota come vuole qualcuno), come si dice in qualche rete televisiva. Più che mai la gente ha bisogno di aiuto, in tutti i sensi, morale – materiale – economico.

La grande Europa, nata nel dopoguerra dalle “ceneri nazifasciste”, deve ancora concretizzare la vera “Unione Europea” sociale e non nazifascista. Europa che, a tutt’oggi, non esiste. Unione Europea come sognata da Gaetano Martino, medico e grande politico messinese, che l’ha preconizzata e fortemente voluta. L’UE va ricostruita, estirpando quel rimasuglio di “ceneri” cui spesso ci si ispira al di la delle Alpi, anche se ci si rifiuta di credere che ciò avvenga. Chi non conosce la storia è costretto a riviverla.

Ci si insulta fascisti  senza conoscere il significato di tale termine. Si rievocano fatti e personaggi senza aver letto un rigo dei racconti di quell’epoca. Siamo circondati da bande di ignoranti che si fanno insultare Onorevoli. Gaetano Martino oggi avrebbe tanto da dire e da insegnarci, putroppo.

 

L’ha detto la televisione

Un qualunque prodotto non ha mercato se non appare in televisione. Questo può essere il caffè, l’acqua miracolosa che fa fare plin plin o qualunque altra diavoleria. Si dice, infatti, che la pubblicità è l’anima del commercio. Cioè la pubblicità fa “conoscere” un dato prodotto, e fin qui va tutto bene. Ciò che non va bene è che la gente non è solo informata ma è “influenzata” dal prodotto che vede. La pubblicità non solo informa ma modifica l’idea di chi la vede, spesso in modo acritico.

Questo è un fatto acquisito sia dai venditori sia da politici e politicanti, perché anche questi utilizzano il mezzo televisivo per vendere la propria immagine e le proprie malfatte. Cioè il nulla, perché il politicante (se preferite chiamatelo politico) solitamente offre “il nulla”. Dietro di lui (notare la l minuscola, sic!) si nasconde spesso incapacità e scorrettezza. Chi dice no al taglio dei parlamentari, soprattutto se il denaro risparmiato va a favore dei più deboli? Nessuno, certamente. Ma dove va a finire questo gruzzolo risparmiato? A coprire il debito pubblico, direbbe l’uomo di governo! cioè un buco nero senza fine e continuamente rivalutato perché frutto di un meccanismo perverso. Ma in televisione si è detto che andava alle fasce deboli, cioè a chi non aveva i soldi per comprare il pane. Purtroppo si fa una promessa e, subito dopo, si smentisce.

Si sa, il Governo ha bisogno di tanti soldi e ogni piccola entrata è utile. Ricordate le raccolte di denaro per i terremotati o quelle per le patologie più gravi? Tanti scandali e niente soldi a destinazione. E poi le intenzioni di voto. Se un politico-politicante in un talk show riesce elegantemente a raccontare balle, l’indomani il suo credito sale. Le indagini di mercato, pardon di voto, si spostano verso il venditore di fumo, esattamente come l’acqua minerale che fa fare plin plin. Ma in questo caso non fa andare in bagno ma lascia nei guai chi ne ha già tanti.

E ancora tutto ciò può essere quasi accettabile, ciò che non va è la totale acriticità di chi guarda, ascolta e sposta le sue intenzioni di voto a seconda di chi appare ultimo in televisione. Non ho fatto e non faccio nomi, ma ho timore di andare a votare perché c’è il rischio di omologare un governo, come quello in carica caduto dall’alto, il cui fine prestabilito è impoverire la classe media e media-povera. Esattamente come avvenuto in questi ultimi otto anni, dall’autunno 2011 ad oggi con un Governo caduto dall’alto, anzi da fuori confini.

 

Cambiamenti climatici? Dove sono?

Cambiamenti climatici? probabilmente Giulio Verne avrebbe detto di più e, quantomeno, ci avrebbe fatto sorridere. Nel mondo in cui chi “buca il video” ha ragione, incompetenti e ciarlatani cercano visibilità per delega di chi ha interesse all’allarmismo. Il clima non è il mio campo di interesse scientifico ma, come fa la gente che sa di non sapere, mi informo attraverso la miriade di mezzi a disposizione. A fronte della gridata e minacciosa accusa al Mondo intero da parte della piccola (…ha 16 anni) Greta Thunberg un miriade di Scienziati, sicuramente di chiara fama, smentiscono lo stato di emergenza raccontato, purtroppo, in luoghi istituzionali. Da quanto emerge dai loro racconti, i cambiamenti climatici ci sono sempre stati e vanno osservati sui lunghi periodi e cioè migliaia di anni, e non da una stagione all’altra. Legare un aumento di temperatura allo scioglimento dei ghiacci che avviene da poco tempo (il mondo ha milioni e milioni di anni) dimostra di essere miopi e, come spesso accade, di non conoscere l’argomento. Un vecchio detto recita “chi non sa insegna, chi non sa insegnare fa politica”. E’ ciò che sta avvenendo, ad esempio, in questi giorni con l’assegnazione di Ministeri delicati a persone che non si sono mai interessati di quei argomenti e che dovranno semplicemente far da portavoce ai preparati funzionari già presenti negli uffici ministeriali. La Rete riporta decine di Scienziati di tutto il mondo che hanno indirizzano al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, una lettera contro l’allarmismo climatico. Questa dichiarazione, pubblicata in un momento in cui il clima è in vetta alle preoccupazioni mondiali, ha lo scopo di far “raffreddare” l’urgenza perché non esiste alcuna crisi esistenziale del pianeta. Spicca in questa storia il disinteresse manifestato da Trump durante l’incontro “climatico”. Due italiani, Nobel per la Fisica Antonio Zichichi e Carlo Rubbia, hanno smentito che i cambiamenti climatici siano legati al modo di vivere sul pianeta. Probabilmente invece di impegnarci ad un presunto degrado della Terra converrebbe aiutare chi non è in grado di vivere e mangiare dignitosamente su questa Terra.

 

Non chiamiamola bella stagione

E’ tradizione che “bella stagione” sia sinonimo di estate e di alte temperature. Ma è veramente bella se il caldo ci avvilisce con tante meteoropatie correlate a condizioni atmosferiche, temperature, umidità e pressione spesso impossibili? Molti dicono di si, salvo rifuggiarsi sotto il climatizzatore che rimette tutti i “parametri” a posto. Si dice, comunemente, che dal freddo è facile proteggersi indossando vestiti pesanti mentre dal caldo non è possibile far nulla, anche a pelle nuda. E allora perché la chiamiamo bella stagione? Un motivo si trova nella libertà che hanno i giovani nel muoversi liberamenti scevri da impegni di studio e negli adulti che vanno in ferie per il semplice fatto che con il caldo…è difficile essere attivi e produrre. Ma forse il motivo più interessante va ricercato fra i problemi che poneva un tempo la cosiddetta brutta stagione. Fino a cento e più anni addietro le case erano costruite in maniera meno performante, con infissi a bassa tenuta che lasciavano passare aria (fredda) e sovente anche la pioggia. Il tetto, poi, era spesso di cattiva e improvvisata fattura e non sempre a perfetta tenuta alle intemperie. Era quindi facile che in presenza di un temporale la casa si…allagasse. E poi le case erano prive di riscaldamento che, solo nei momenti di maggior freddo, veniva improvvisato con brace o stufe a legna che raramente facevano stare al calduccio come oggi. E allora l’inverno era si una brutta stagione. Oggi, che sentiamo la necessità di “condizionarci” dappertutto, sarebbe opportuno rivisitare il significato di bella stagione sostituendo l’aggettivo “bella” con “calda”. Estate si ma a condizione, anzi condizionata.

 

Accoccolarsi al rumore “bianco” del mare

I suoni improvvisi svegliano il nostro cervello e possono interrompere il sonno. Con i suoni che aumentano gradualmente non si ha, solitamente, il risveglio. Lo squillo del telefono ci sveglia, il rumore di un ruscello o di una debole pioggia o del mare sulla battigia ci accompagnano al sonno. E’ il rumore “bianco” che ci rasserena e ci porta nelle braccia di Morfeo, il Dio dei sogni della mitologia greca. Senza scendere troppo in dettagli, i suoni sono composti in generale da un'ampia gamma di frequenze: dalle più alte (gli acuti) alle più basse, ciascuna di queste lo rende più o meno gradevole al nostro orecchio. I suoni prodotti sfruttando la sommatoria di tutte le frequenze udibili sono chiamati bianchi perché questo colore rappresenta, sullo spettro visivo, l’unione di tutte le possibili frequenze visibili, tutti i colori. Ma perché questi suoni ci fanno addormentare? Il rumore bianco annulla tutti gli altri rumori, li “maschera” e il nostro cervello non li avverte più. La nostra mente presta poca attenzione a ciò che è monotono e ripetitivo, mentre si attiva per un rumore improvviso o irregolare. E' come se questi passassero in secondo piano, permettendoci così di rilassarci. Il rumore bianco si trova in natura come lo scorrere di un torrente, lo stormire delle foglie o, meglio ancora, l’infrangersi delle onde del mare. Un rumore bianco “pronto all’uso” si può scaricare gratuitamente dalla rete, basta digitare whitenoise e scegliere quello che ci piace di più. Ma perché perdersi il piacere di “Accoccolarsi ad ascoltare il mare…senza fiatare” e magari ad “inventare un nuovo amore” come diceva una vecchia canzone di Claudio Baglioni? E dove se non nelle nostre belle Isole?
 

6 e 9 agosto 1945, l’inferno scende sulla Terra

“Mai più la guerra". Da settantatreanni si rinnova il ricordo di Hiroshima e Nagasaki, due momenti della più grande bestialità umana. Ma perché l’atomica contro il Giappone? morto il presidente americano Delano Roosevelt nell’aprile ‘45 e la resa senza condizioni del Reich tedesco, Harry Truman, successore di Roosevelt, fece un calcolo su quanto la guerra contro il Giappone -ancora in conflitto- sarebbe potuta durare. Le previsioni dicevano un anno se combattuta con mezzi “normali” e con grande numero di morti americani, invece l'ordigno a fissione nucleare, da poco creato grazie al potente progetto Americano “Manhattan”, avrebbe messo in ginocchio il Giappone costringendolo alla resa immediata. Già dal ’44 gli americani bombardavano sistematicamente i Nipponici con l’apporto di grandi portaerei e giganteschi ‘bombardieri’, delle vere e proprie fortezze volanti. L’attacco via terra e via mare nel territorio giapponese era previsto per l’estate del ‘45, ma il Giappone non sembrava affatto sul punto di arrendersi. Al contrario, i kamikaze continuavano a farsi esplodere sulle navi americane. Il presidente Truman decise quindi l’utilizzo della bomba atomica contro il Giappone.

L’obiettivo era quello di rendere più breve una guerra lunga e complessa, ma l’America voleva anche dimostrare agli alleati -ed in particolare ai sovietici- la propria potenza. Il 6 agosto del 1945 la prima bomba è sganciata su Hiroshima, e dopo tre giorni un’altra è lasciata cadere su Nagasaki. Oltre all’immenso numero di morti nell’immediato e alla devastazione di entrambe le città, c’era l’effetto a lungo termine delle radiazioni. Con la resa dell’imperatore Hirohito del 2 settembre 1945 si chiudeva la Seconda guerra mondiale. Ma l’atomica, nei suoi primi piani strategici, non era prevista contro il Giappone. Churchill, primo Ministro inglese, già nel 1944 voleva lanciare l’atomica su Berlino in risposta ai feroci attacchi del Reich germanico con le bombe volanti di Von Braun, lo scienziato tedesco che inventò le micidiali bombe V2. Ma il Progetto americano Manhattan non era ancora pronto e gli Alleati passarono ai bombardamenti a tappeto con bombe convenzionali sulle città del Reich. La ferocia americana contro quella tedesca tanto da convincere nell’aprile ‘45 Hitler, e i suoi stretti collaboratori, al suicidio liberando l’Europa dall’inferno in cui l’avevano fatta piombare.

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