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Categoria: Opinioni

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di Carlo D'Arrigo*

TEMA: Il Fascismo

Se il professore di Italiano mi avesse posto questo Tema al liceo, non avrei avuto problemi. Non perché sia bravo, anzi non lo sono per niente, ma perché in questo ultimo mese i libri editi sul fascismo sono stati tanti.

Tanti libri scritti da Storici e da Giornalisti che di storia hanno fatto virtù. Andate in Libreria e vedete che i testi che parlano di fascismo si sono improvvisamente moltiplicati.

I motivi significativi che hanno condotto a tanta proliferazione editoriale sono due. Il primo è legato alla memoria della Marcia su Roma organizzata dal nascente Regime il 28 ottobre 1922 (cento anni adesso), il secondo è dato dalla necessità di infangare l’attuale Governo che si dichiara di destra, e quindi pseudo-fascista, ma che di fascismo non ha nulla.

Non credo sia facile improvvisarsi su un tema, ormai lontano dalla nostra vita, dicendo cose giuste. Certo, chi ha letto più di me può scrivere tanto. Mi autostimo un profondo ignorante (sul Tema, naturalmente), le mie conoscenze sul Fascismo (quello vero e non quello sbandierato a mò di insulti da insulsi personaggi che appaiono in tv) si fermano ai libri di Renzo De Felice, di Arrigo Petacco e, ultimo, Aldo Cazzullo che ho finito proprio ora di leggere.

Oltre ai sempre validi filmati di RaiStoria. Certo è poca cosa, direbbe qualche solone che ne sa meno di me, ma è quanto basta per avere un’idea nitida di quel passato turbolento, discriminatorio, prevaricante, antiproletario e chi più ne ha più ne metta. E, soprattutto, le mie conoscenze bastano per distinguere il vero dal falso o, addirittura, dall’inesistente.

Intanto perché tutti quelli che ne parlano sono nati in piena Repubblica, bel lontani da quel 25 aprile del ’45 che decretò la fine di questo regime ma, soprattutto, perché chi parla di fascismo lo fa come grimaldello per colpire, per insultare, sapendo e nella convinzione che la gente comune non sappia nulla di fascismo.

E ha ragione, perché se chiedo all’uomo della strada cosa sia stato il fascismo a malapena riuscirà a bisbigliare il nome Mussolini. E poi si ferma, provare per credere. E allora perché chi sta all’opposizione dell’attuale governo ripete sempre che Fratelli di Italia e che la Meloni e tutti i suoi seguaci sono fascisti? Semplice, perché son poveri di idee e hanno poco da controbattere.

E allora dire “fascista” va bene per tutto, dalla legge contro lo sbarco dei migranti, alla modifica del reddito di cittadinanza alla norma sul caro-bollette. “Tutto Fa Brodo”, come recitava un Carosello che pubblicizzava il brodo Lombardi (che non esiste più).

Ma l’aspetto più brutto è che chi ripete fastidiosamente “fascismo” non si rivolge al suo apparente interlocutore ma…alla gente comune che, come lo stesso sbandieratore della parola “fascismo” crede, non sa e non capisce nulla di fascismo. A proposito, oggi di fascismo non c’è proprio l’ombra, spero mi crediate.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

NOTIZIARIOEOLIE.IT

2 MARZO 2022

L’intervista del Notiziario al prof. Carlo D’Arrigo, la scienza del silenzio

L'INTERVENTO

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di Michele Sequenzia*

Caro Direttore,
leggo che " tanti libri sul Fascismo oggi in libreria ,come lo denuncia sul Notiziario un Tuo ben attento Lettore-
tanto da ritenerli inutilmente " da non leggere", essendo ormai, essi antistorici, fasulli, inutili.
Non servono a nulla. Libri sul " fascismo" sprecati. Da buttare.

Il Tuo Lettore - molto educatamente- ,vuole spiegarci cosa ha in mente e lo precisa:" Ma l’aspetto più brutto è che chi ripete fastidiosamente “fascismo”
non si rivolge al suo apparente interlocutore ,
ma…alla gente comune che, come lo stesso sbandieratore della parola “fascismo” crede, non sa e non capisce nulla di fascismo.
A proposito, oggi di fascismo non c’è proprio l’ombra, spero mi crediate."

Quanta poca generosità e pessimo senso patrio , si celano in queste precise "affermazioni",
per chi ha perso la vita lottando contro il fascismo!

Al contrario, noi amiamo la storia del fascismo. Vogliamo leggere. Andiamo in libreria a Parigi, Londra e Berlino li cerchiamo ovunque i libri sul fascismo.
In tutte le lingue.
Ne abbiamo una infinita raccolta . Finalmente possiamo leggere, cosa è stato il fascismo, quanti infiniti danni, lutti e distruzioni ha provocato,
Ieri non si poteva.
Si finiva in galera, al confino, perso il lavoro, buttati in un lager, fucilati.

*DaFreiburg -Germania

Guerra, perchè ? 
Perché l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere?

In tempi normali la sua passione è latente ma emerge facilmente e può arrivare a livello di psicosi collettiva. Dopo la Guerra fredda tanti osservatori hanno sperato che si aprisse una definitiva era di pace passando dallo stato del terrore a condizioni di vita adatte all’umanità.

Purtroppo è solo cambiata la tipologia dei conflitti, con diminuzione di quelli fra Stati e un aumento dei conflitti interni e fra stati nati fraterni.

Ma c’è la possibilità di orientare la psiche degli uomini in modo che possano rifiutare l’odio e la distruzione di se stessi? Fin oggi ciò non è stato possibile e, come comunemente si dice, la storia non ha insegnato nulla. Supposto che chi dovrebbe conoscere la storia la conosca veramente. La scienza potrebbe promuovere la democrazia e proteggere i diritti umani.

Il rapporto dell’uomo con la sua distruttività è una questione dibattuta da secoli. Jacques Rousseau (Filosofo Francese) sosteneva che disuguaglianza, oppressione e paura fossero il risultato di una società mal regolata e, quindi, di una democrazia malata e imperfetta.

La Seconda guerra mondiale è costata 50 milioni di morti e ha lasciato l’Europa in macerie, il paradosso è che dopo quella guerra tanti continuano a ritenere la guerra necessaria. Da allora nel mondo ci sono stati oltre 170 conflitti, molti dei quali ancora in corso che hanno provocato oltre 25 milioni di morti. A cambiare sono state solo le definizioni di guerra.

Tra questi neologismi c’è, ad esempio, la guerra “umanitaria”, ma nella guerra non c’è nulla di umanitario perché tutto è contro l’umanità. Con l’avvento del Nazismo Albert Einstein (Fisico Tedesco) fu attaccato per il suo pacifismo e, come ebreo, la sua stessa vita fu messa in pericolo, tanto da essere costretto a lasciare la Germania per la pacifica Svizzera.

Fino all’avvento del Nazismo si era espresso a più riprese contro il servizio militare; in seguito, di fronte al rischio di una guerra di aggressione da parte della Germania di Hitler il suo atteggiamento cambiò, ma fu sempre un radicale pacifista. Interessante la lettera che Einstein inviò a Delano Roosevelt, Presidente degli Stati Uniti, all’inizio della seconda guerra.

“Nel corso degli ultimi quattro mesi è stato reso possibile ¬attraverso il lavoro di Joliot in Francia, di Fermi in Italia e di Szilard in Ungheria - avviare una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio, dalla quale verrebbero generate grandi quantità di energia.

Ora sembra quasi certo che ciò possa essere raggiunto nell’immediato futuro. Questo fenomeno condurrebbe alla costruzione di bombe così potenti da distruggere intere città.

Mi risulta che la Germania abbia interrotto la vendita di uranio per rifornire il Kaiser-Wilhelm-Institut a Berlino dove si perseguono questi studi”. Einstein non partecipò mai alla costruzione della bomba atomica, ma dopo questa comunicazione a Roosevelt si avviò in America il progetto Manhattan che portò alle bombe di Hiroshima e Nagasaki.

Interessante una riflessione di Albert Einstein “L'uomo ha inventato la bomba atomica, ma nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi”. E’ di Guglielmo Marconi, inventore della Radio e promotore di tante applicazioni di pace, il motto “Le mie invenzioni sono per salvare l’umanità, non per distruggerla”. Quanto ancora dobbiamo aspettare, quanti morti dovremo contare per capire che la guerra è il mostro?

Questa domanda è stata posta settant’anni fa da alcuni dei più grandi cervelli che l’umanità abbia mai conosciuto. Mi riferisco a Bertrand Russell e ad Albert Einstein, e al loro Manifesto firmato dai più grandi scienziati al mondo come Frédéric Joliot-Curie (assistente di Marie Curie, scienziata dei Raggi X) e Max Born (Nobel per la Fisica), solo per citarne alcuni.

Quel Manifesto poneva una domanda “Vogliamo porre fine alla razza umana, oppure l’umanità è disposta a rinunciare alla guerra?” Quella domanda, settant’anni dopo, attende ancora una risposta.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

 

Da Canneto in linea Pino Portelli "I fuochi d'artificio anacronistiche tradizioni..."

di Pino Portelli

I fuochi d artificio sono solo anacronistiche tradizioni.
Il danno che creano è inimmaginabile.
Vietarli sarebbe un atto di civiltà.
Fino a quando non verranno aboliti non date un euro. Penso che Santi e Madonne, varie ed eventuali, concordino con me.
Le polveri sottili rilasciate dai botti fanno un danno incalcolabile ad anziani ma soprattutto ai bambini ed animali.....INFORMATEVI.
Cambiate abitudini. A mezzanotte campane a festa ed un fragoroso applauso.

 

IGNORANZA E INSULTI

“Finita la festa gabbato lo santo” o, altrimenti, finite le elezioni si torna a insultare l’avversario. Gratuitamente, senza una ragione significativa. “Siamo in regime fascista”! senza avere idea del significato di fascista. Ma l’ha detto qualcuno in televisione, e allora c’è il regime fascista. In un talk show viene chiesto: “Ma Lei ricorda il periodo fascista”? non, non c’ero. “E allora cosa sa del fascismo”? “beh…ecco…forse… sarebbe…adesso….si lo so: Mussolini”. E chi è Mussolini “era il Presidente della Repubblica durante il periodo fascista”.

Credo non sia il caso andare oltre. Ciò che desidero evidenziare non è tanto il Fascismo o il Comunismo, che peraltro non è qui importante, ma la totale sconoscenza che hanno i cosiddetti giovani della storia recente. Non hanno idea di cosa dicono, di ciò che li circonda ma, allo stesso tempo, presumono di sapere e insistono con violenza annegando nell’ignoranza. Si può solo rispondere “vergognatevi”! Su Facebook ho trovato un elenco di tristi e triti personaggi del cosiddetto spettacolo pronti a fare le valigie per lasciare l’Italia, perché adesso qui c’è il fascismo. Giuro che è da questa mattina che cerco il fascismo, l’ho anche cercato in cantina, in garage e persino nei cassetti della cabina armadio, non ho trovato nulla ma mia moglie mi ha rimproverato per aver messo tutto sottosopra.

Stava per dirmi fascista, ma non l’ha fatto. E allora dov’è questo fascismo? Probabilmente è in qualche programma televisivo o, forse, solo in qualche canale televisivo che grazie al ripetere sempre le stesse cose riesce a confezionare Programmi a basso costo e mandare pubblicità per tirare la carretta. Sul canale cui mi riferisco sarebbe bello vedere film di Alberto Sordi o di Totò ma, questi, possono essere capiti solo da menti illuminate e acculturate. E chi parla di fascismo in assenza di fascismo non lo è e non è in grado di capire. Perché i film citati sono conoscenza, sono cultura.

Chi comanda il mondo

Quando negli anni passati sentivo parlare di “poteri forti” non capivo a cosa ci si riferisse. Sembrava una di quelle espressioni buttate lì per caso, a indicare qualcosa di esoterico, lontana dal vivere quotidiano. Quasi una cosa marziana, di difficile interpretazione e, comunque, non importante per chi conduce una vita modesta e confinata a casa e famiglia. Ma poi la consapevolezza si concretizza e i poteri forti si avvertono, si fanno vivi, presenti, e li troviamo in ogni rapporto sociale. Al successo dell’espressione “ad effetto”, non si è accompagnata un’analisi rigorosa della sua portata, infatti ci chiediamo “chi sono i poteri forti”? Come nascono e dove si nascondono? Quali obiettivi vogliono raggiungere? E, soprattutto, come interagiscono con la vita della cosiddetta gente normale, quella che paga le bollette per intenderci.

L’espressione “poteri forti” può sembrare alludere a organizzazioni in grado di condizionare l’operato del governo e della vita quotidiana, statuendo assetti economici preconfezionati e ostacolando o limitando la volontà popolare. E in effetti è così. In maniera quasi minimale, apparentemente impercettibile, i poteri forti si manifestano in vari modi. Uno è rappresentato da individui o società di persone come associazioni di consumatori, sindacati e federazioni di imprenditori, che uniscono le proprie forze per perseguire uno o più obiettivi comuni. Questi gruppi d’interesse si possono distinguere in base alla rispettiva capacità di orientare in concreto le scelte dei governanti. Si potrebbe dire che i poteri forti sono “lobby” sebbene non basta organizzarsi in lobby per essere poteri forti.

Come molti sentono dire un rappresentante dei poteri forti è stato ed è il prof. Mario Monti e, allo stesso tempo ma meno appariscente, il prof. Draghi, unitamente ai loro ambienti di interesse. Altri poteri forti si possono definire le istituzioni sovranazionali come la Commissione Europea o la Banca Centrale europea, o addirittura entità pseudo astratte come la Borsa e i mercati. Si potrebbe anche associare ai poteri forti la Chiesa cattolica, e ricordiamo come il Papa abbia incitato i giovani a “sconfiggere i poteri forti di questa terra attraverso la rivoluzione del servizio”, alludendo però solo all’operato di Salvini che, poveretto, è lontano dai poteri forti. E ancora altri poteri forti, dall’operato fosco e spesso al di là dell’etica umana, si sviluppano in una dimensione clandestina che fa, di questa dei poteri forti, un argomento potente per chi lo evoca. E si va dalle trasformazioni improvvise delle leggi e dei decreti attuativi, alle organizzazioni che “improvvisamente” fanno aumentare furiosamente i prezzi energetici di gas e luce. Aumenti che non hanno nulla a che fare con la guerra di Putin, ma ci hanno fatto credere il contrario!

Chiaramente gli interessi organizzati cercano di promuovere le proprie cause, per propri fini spesso disumani, limitando i desideri dei poteri deboli. E i poteri forti si manifestano in maniera palpabile, come il mancato aumento degli stipendi più bassi, la riduzione dei premi di produzione, l’annullamento dei buoni mensa, l’aumento del costo dei trasporti e – dulcis in fundo – i citati aumenti energetici. Impoverire per far soffrire, far soffrire per comandare e schiavizzare. So che sono stato duro, ma se ci si gira dall’altro lato non si capisce cosa accade, anzi si brancola nel buio. E’ il caso di rievocare la canzone del cantautore Giuseppe Povia “Chi comanda il Mondo”:

“Fate la nanna bambini, verranno tempi migliori. Fate la nanna bambini e disegnate colori. Chi comanda il mondo? C’è una dittatura. C’è una dittatura. Chi comanda il mondo, Non può immaginare quanto fa paura. Chi comanda il mondo. Oltre che il potere vuole il tuo dolore e dovrai soffrire e sarai costretto ad obbedire”….e il resto si trova in Rete.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

 

Domenica Tutti al Voto

Ho letto sui social "Se votare cambiasse qualcosa, l'avrebbero reso illegale". E’ Così? Non credo proprio. Chi non esprime il proprio voto è definito astenuto. L'astensionismo non va confuso con il voto di protesta, in cui un avente diritto di voto si reca alle urne e invalida volontariamente la propria scheda elettorale con segni non consentiti o lascia la scheda bianca. Chi consegna una scheda bianca o nulla, a differenza di chi non si reca fisicamente alle urne, ha votato a tutti gli effetti ed è considerato presente nell'affluenza al voto. Tanti non votanti affermano che votare non apporta alcuna differenza positiva. In generale i cittadini non hanno fiducia che il “nuovo”, supposto che arrivi, risolva i loro problemi, economici o sociali. Ciò concorda con la tesi che le fasce di popolazione con uno status socio-economico inferiore, cioè con livelli di istruzione, reddito e occupazione minori, sono anche i meno attratti dalla partecipazione politica.

Purtroppo l’astensionismo è maggiormente diffuso tra i ceti più svantaggiati. L'astensionismo ha mostrato di variare a seconda dell'interesse degli elettori e del relativo coinvolgimento emotivo riguardo ai temi proposti dai candidati. In generale si osserva un tasso di astensionismo crescente dall’inizio del suffragio universale avviato nel 1948, dopo la fine del periodo fascista, ad oggi. Nel ’48 le elezioni videro un’affluenza degli elettori alle urne assai rilevante del 92% che diminuì sempre più con gli anni fino ad arrivare a valori del 60-70 per cento negli anni ‘80. La quasi assenza dell'astensionismo nelle prime elezioni del dopoguerra si giustifica con il desiderio dei cittadini di recuperare la libertà politica cancellata nel periodo fascista e con la volontà di attivare la nuova costituzione repubblicana che prometteva uguaglianza e libertà. Gli osservatori hanno identificato il fenomeno dell’astensionismo nel progressivo disfacimento dei partiti che, spesso, si sono divisi in partiti e partitini, come avvenuto in questa ultima chiamata al voto.

Ciò ha fatto mancare quella forma di mobilitazione omogenea degli elettori e quella sorta di identificazione con il programma politico del partito di appartenenza, che cambia di momento in momento. E, in generale, la non partecipazione al voto è legata più alla sfiducia nei politici che alla mancanza di fiducia nella politica. Sicuramente il voto ha perso quella sacralità che ha avuto con la conquista della libertà dopo la dittatura. L’impossibilità di capire veramente le trasformazioni politiche come scissioni, alleanze, ed altri estrosi cambiamenti, lontani dagli interessi concreti dei cittadini, giustificano l'astensionismo.

Come spesso sento dire “I politici sono scollati dalla realtà di tutti i giorni”. Si dice, ancora, che votare è un diritto ed è anche un dovere, ma poco si dice che votare può essere un’occasione unica per cambiare la vita che conduciamo. E allora, ciò che bisogna dire oggi è “Vai a votare, perché un’occasione del genere si presenta ogni cinque anni e questa, dopo due anni di chiusura per il Covid, può essere veramente l’occasione giusta”. Per la libertà e nella libertà, senza ascoltare le inappropriate parole di Ursula Von Der Leyen.

*Già docente di Fisica Acustica – Univ. di Messina

 

 

Se mai (proprio mai) dovesse scoppiare l’atomica

L’esplosione di un ordigno nucleare provocherebbe certamente danni enormi. Le persone sarebbero uccise o ferite dall’esplosione e contaminate dalle sostanze radioattive, con entità variabile a seconda della distanza dall’esplosione. Dopo l’esplosione nucleare il “fallout” (ricaduta) radioattivo contamina zone anche ben distanti dal luogo dell’esplosione e aumenta il rischio di tumori anche a dopo anni dall’evento. E’ quanto accaduto nelle città di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, dopo lo sgancio delle due Atomiche Americane. Fu dopo questi eventi che gli scienziati ebbero modo di studiare gli effetti delle radiazioni nucleari sull’uomo e sulla natura. Anche i disastri nelle centrali di Fukushima, avvenuto nel 2011 in Giappone, e di Chernobyl in Ucraina nel 1986, hanno reso una messe di dati sull’emissione nucleare e sulla contaminazione nucleare. Per contaminazione intendiamo il materiale radioattivo depositato in zone dove non dovrebbe essere, ad esempio su un oggetto o sulla pelle di una persona e che penetra nell’organismo attraverso la respirazione, l’alimentazione e le ferite.

Naturalmente abbiamo anche forme controllate di contaminazione radioattiva come la Radioterapia o la Diagnosi Radiologica, ma si tratta di esposizioni piccole, super-controllate e non distruttive. L’alterazione dell’organismo da parte di particelle atomiche è chiamata ionizzazione. Si tratta dell’attitudine a rompere i legami molecolari e di produrre effetti significativi e duraturi sulle cellule umane e vegetali. L’alterazione ionizzante interessa delle specifiche molecole biologiche umane, come il DNA. In esse, le radiazioni cedono tutta la loro carica al tessuto biologico producendo reazioni chimiche, con produzione dei cosiddetti “radicali liberi” in grado di arrecare danni a livello di genoma, alterazioni fisiche o chimico fisiche, con la conseguente rottura della catena del DNA.

Le conseguenze delle radiazioni sull’uomo sono rovinose, dai danni alla pelle all’alterazione pesante di organi importanti. Le radiazioni ionizzanti sono responsabili di una forte insorgenza di vari tipi di neoplasie, in particolare di leucemie e tumori a varie parti del corpo. Le mutazioni genetiche, dette anche aberrazioni cromosomiche o alterazioni ereditarie, insorgono per diverse generazioni. Il corpo umano stesso, fortemente irradiato diventa, per lungo tempo, fonte ionizzante a causa delle radiazioni che resistono sulla pelle. Lo stesso accade per la natura. I corpi vegetali subiscono gli stessi meccanismi del fisico umano e vengono annientati per anni. La terra stessa su cui crescono le piante emette radiazioni impedendo il normale corso di ripopolazione vegetale. Il territorio cambia per sempre e occorrono anni prima che questo torni alla normalità, ammesso che ci sia un ritorno.

La speranza è, quindi, che non si debbano mai vedere gli effetti delle radiazioni sull’uomo e sulla natura. Un’arma atomica è, per definizione, di distruzione di massa. Oltre ai danni materiali derivanti dalla deflagrazione atomica avviene un enorme rilascio di particelle radioattive. Le radiazioni ionizzanti che vengono emesse sono tali da arrecare più danni possibili all’obiettivo, inteso come uomini, ambiente e, indirettamente a installazioni civili, industriali e militari. In sintesi, la potenza dell’esplosione nucleare, di per sé, è altamente distruttiva. In seguito si produce la presenza di radiazioni ionizzanti libere, con i loro terribili effetti su ciò che è rimasto integro dopo l’esplosione vera e propria. A questo punto non vorrei aver messo paura al lettore, ho solo voluto novellare quali possono essere i danni di una esplosione nucleare. Tutto qui. Avverrà una guerra nucleare? Credo proprio di no perché avremmo tutti da rimetterci, in specie da chi inizia per primo. E questa è una buona garanzia.

*Fisico, Consulente di Acustica del Comune di Lipari carlodarrigo47@gmail.com

 

 

E’ la giornata del Pi Greco, 𝝅, numero infinito

3,14159 26535 89793 23846 26433……Beh, mi fermo qui a 25 cifre decimali, altrimenti il Direttore Bartolino non mi pubblica il pezzo. Questo è solo una parte del numero Pi-greco, perché 𝝅 (simbolo del Pi-greco) è un numero irrazionale il cui valore di 3,14 è solo una approssimazione. Il Pi-greco si definisce irrazionale perché è un numero illimitato, non periodico con infinite cifre dopo la virgola che non si ripetono mai nello stesso ordine. Come sanno i matematici, il Pi-greco è una costante matematica che indica il rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e il suo diametro, e il suo utilizzo in matematica è ben più ampio di quanto si possa immaginare. La giornata del Pi-greco, il 14 marzo, è dedicata alla scoperta che Archimede fece del suo numero e le sue celebrazioni interessano le Scuole e le Università di tutto il Mondo. La prima celebrazione della festa è nel 1988 in California, al Museo della Scienza di San Francisco da parte di Larry Show, il fisico statunitense che da quel momento fu chiamato il "Principe del Pi-greco".

Nel 1706 il matematico inglese William Jones fu il primo a usare la lettera greca 𝝅 per indicare questo rapporto, e tale simbolo entrò nell’uso comune dopo che Leonhard Euler (Eulero) l’ebbe adottato nel 1737 in onore a Pitagora di Samo, scienziato Greco che per primo ne diede dimostrazione. Archimede prese una circonferenza di raggio unitario e si pose a disegnare poligoni regolari inscritti e circoscritti a questa circonferenza; egli notò che aumentando il numero dei lati questi si avvicinavano sempre più alla circonferenza, e ne dedusse una prima approssimazione molto accurata. Il rapporto fra una circonferenza e il proprio diametro, simbolicamente rappresentato dalla lettera greca 𝝅, interviene spesso in matematica, fisica, statistica, ingegneria, biologia e persino nei ritmi delle onde acustiche. E’ veramente onnipresente sia in natura sia in geometria.

La costante matematica regola le oscillazioni dei fenomeni fisici, che hanno frequenze definite da funzioni periodiche in cui la presenza del Pi-greco è fondamentale. E quindi è presente nei calcoli delle frequenze di risonanza nei sistemi di telecomunicazione, nella valutazione delle strutture aerodinamiche, nei calcoli di stabilità negli edifici... il suo uso è veramente universale. Anche quando si va a calcolare il fastidio del rumore e cioè delle “onde rumorose” di cui, chi scrive, ne sa qualcosa.

 

 

 

Morire per occupare l’Ucraina? Su dai!

   L’espressione “Morire per Danzica” è entrata nel linguaggio politico di molti paesi e usata per riflettere su costi e/o benefici di questo o quell’intervento politico, con declinazioni le più varie della formula “Morire per…”. Danzica era stata una città tedesca, sottratta alla Germania nella Prima Guerra Mondiale e costituita in “Libera città di Danzica”. Per Hitler Danzica rappresentava un importante corridoio che allora separava la Prussia orientale dal resto della Germania. Hitler pensava di poter invadere la città senza che le potenze europee reagissero ma, come sappiamo, le altre potenze reagirono e come, anche se si chiesero più volte se era il caso farlo.

Appunto “Morire per Danzica”… Ci potremmo oggi chiedere “Morire col nucleare per una guerra che nessuno vuole?”. Ma la Russia è arrivata a minacciare con il nucleare. L’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, fa riemergere una paura lontana che le giovani generazioni conoscono solo per i racconti e le serie tv. La tragedia di Chernobyl, la guerra fredda, la Guerra quella con la G maiuscola sono di nuovo a un passo da casa. Non c'è una singola persona che possa trarre vantaggi da questo possibile bagno di sangue. Da qualche settimana si sta parlando tantissimo della possibilità che possa scoppiare una Terza Guerra Mondiale. Si tratta di una notizia che sta terrorizzando il mondo sin da quando le minacce di invadere l’Ucraina da parte della Russia sono diventate realtà nella notte tra il 23 e il 24 febbraio con l’attacco delle truppe di Mosca.

Nel corso della ormai guerra in atto in Ucraina, Vladimir Putin ha sconvolto il mondo ordinando l’allerta nucleare e riportando improvvisamente d’attualità una paura che sembravamo aver dimenticata. In una conferenza stampa il ministro degli esteri russo Lavrov ha detto che "La Guerra nucleare è solo nella mente dell'Occidente, non della Russia", sarà vero? Vogliamo crederci, disperatamente! La contaminazione nucleare non si vede, non si sente e può essere individuata solamente dagli esperti. Qualcuno in certi paesi d’Europa ha rispolverato le pillole anti radiazioni a base di iodio che hanno la funzione di saturare la tiroide prevenendo così l’assimilazione di iodio radioattivo (da parte tiroidea) qualora fosse massivamente rilasciato nell’aria, così come accadde, ad esempio, dopo l’esplosione della centrale di Chernobyl.

Queste pillole, distribuite gratuitamente in Belgio perché vicino a potenziali fonti radioattive, sono oggi richieste anche in Svizzera. Per fortuna i vari ministeri della salute hanno immediatamente scoraggiato l’uso preventivo delle compresse allo iodio e soprattutto l’uso fai da te. Infatti lo iodio è fortemente sconsigliato per alcune categorie e fasce d’età. Va comunque detto che nei comuni in un raggio di 50 km attorno agli impianti nucleari svizzeri, le compresse allo iodio vengono comunque distribuite alla popolazione a titolo preventivo. Ma le radiazioni non si fermano alla tiroide e hanno coinvolgimenti ben più vasti e pesanti. Diversi osservatori di tutto il mondo sono piuttosto discordi su quanto sta avvenendo tra i due paesi, anche se una mossa “falsa” potrebbe trascinare l’intero pianeta in un conflitto di portata incredibile e mai raggiunta prima nel corso della storia. In tutto questo i timori della popolazione mondiale sono sempre di più, tant’è che in molti hanno rispolverato una citazione di Albert Einstein, parole che il celebre fisico aveva pronunciato proprio parlando delle guerre mondiali, all’indomani della conclusione del secondo conflitto mondiale: “Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale – disse Einstein – ma la Quarta Guerra Mondiale sarà combattuta con pietre e bastoni”.

Una metafora ben chiara che voleva sottendere le possibilità distruttive che già all’epoca (Einstein morì nel 1955 ma quella sua citazione risale al ‘49) avevano raggiunto le armi di distruzione di massa che, a maggior ragione oggi, porterebbero l’intero pianeta verso la catastrofe totale. Ovvero a passare, come nelle parole del fisico più famoso della storia, dalle incredibili capacità tecnologiche di oggi alle più rudimentali “pietre e bastoni”. Einstein, d’altronde, nonostante i suoi studi si fossero rivelati fondamentali nello sviluppo della bomba atomica, si oppose sin dall’inizio all’utilizzo militare dell’energia nucleare e non fu parte del Progetto Manhattan (il progetto americano che portò alla creazione delle bombe che furono sganciate su Hiroshima e Nagasaki). Le sue parole, all’epoca, si riferivano alle potenzialità distruttive dell’energia nucleare. Ma quanto suonano attuali al giorno d’oggi? Vorrei solo raccomandare a chi legge di allontanare la paura perché di paura si muore, anche se non succede nulla di catastrofico, come speriamo e sono certo.

 

 

 

Il settantaduesimo incontro con “Sanremo”

“Signori e signore, benvenuti al Casinò di Sanremo per un’eccezionale serata organizzata dalla Rai, una serata della canzone con l’orchestra di Cinico Angelini. Premieremo, tra 240 composizioni inviate da altrettanti autori italiani, la più bella canzone dell’anno. Le 20 canzoni prescelte vi saranno presentate in due serate e saranno cantate da Nilla Pizzi e da Achille Togliani con il duo vocale Fasano”. Erano queste le parole con cui Nunzio Filogamo presentava il primo Festival di Sanremo.
E’ il 1951 quando inizia l’avventura della canzone Sanremese, un’iniziativa promossa dalla RAI per valorizzare la canzone italiana. L’annuncio, timido e di poco superiore a mezza pagina, appare sul numero cinque del 1951 del Radiocorriere, il settimanale edito dalla RAI e riportante i programmi trasmessi nella settimana. Il Festival durava tre giorni ed era trasmesso solo alla radio, sulla rete Rossa quella che sarebbe diventata radio due. Radio uno era la rete Azzurra. Eravamo a sei anni dalla fine della guerra e la voglia di fare degli Italiani era al massimo.

La ricostruzione dell’Italia economica, materiale e morale, andava spedita e la riacquistata libertà aveva acceso l’entusiasmo al nuovo modo di vivere. La TV ancora non c’era, e sarebbe nata solo nel gennaio del 1954. Presentava Nunzio Filogamo, già annunciatore alla radio dell’Eiar (antenata della Rai durante il fascismo) e quell’anno, nel 1951, vinse Nilla Pizzi con la canzone Grazie dei Fiori. Nilla Pizzi era una cantante bolognese ma con radici messinesi, che dominò la scena canora per tutti gli anni ’50. Già l’anno successivo il Radiocorriere dedica la copertina al secondo Festival e scrive qualche commento in più. Il tempo di ascolto era sostanzialmente lo stesso, eppure il tritacarne mediatico stava già alimentando sogni e speranze dei tanti giovani che, appena usciti dalla guerra, per tre sere erano trasportati dalla felicità della “libera” voce radiofonica.

Sanremo ha stimolato molto l’industria discografica italiana, cui era stato diramato un invito a partecipare per presentare canzoni e cantanti. Anzi è proprio dai primi anni ’50 che nascono in Italia sale di registrazione e di incisione e si incrementano le vendite dei dischi a 78 giri prima e a 45 giri verso la fine del decennio ‘50. All’inizio il Festival nasce per rallegrare la cena dei pochi ospiti del Casinò di Sanremo che andavano a cenare prima di sedersi al tavolo da gioco, ma dopo qualche anno si capisce la grande valenza commerciale della manifestazione.

Nel 1955 il Festival da radiofonico diventa televisivo e a presentarlo saranno Maria Teresa Ruta (zia dell’attuale attrice) e Armando Pizzo, un personaggio già presente in Rai come intervistatore nella prima trasmissione di Mike Bongiorno “Arrivi e partenze” e, successivamente, anche in Lascia o Raddoppia. Nel ’77 il Festival si sposta dal Casinò al Teatro Ariston, sede anche attuale, dove acquista sempre più prestigio. Il resto è storia contemporanea. Non ci resta che guardarlo anche questa sera (per chi piace), sperando che le parole dei presentatori non cadono sull’ormai onnipresente Covid e sulle sue assurde restrizioni.

 

 

Mi permetto sconfinare, da Fisico quale sono nella Disciplina medica, certo che gli amici Medici non la prendano a male e, allo stesso tempo, di poter esprimere concetti che sono ormai alla portata di tutti. E allora parto dal tema comune, fin troppo comune da quando governanti e mezzi di informazione hanno iniziato a terrorizzare la gente. – Come funziona un vaccino? “Un vaccino stimola una risposta immunitaria e una sorta di memoria ad una data patologia senza provocarla”. La gran parte dei vaccini contiene una forma indebolita di un virus, o batterio, che causa la malattia denominato “antigene”. Il sistema immunitario del soggetto vaccinato riconosce l’antigene come estraneo e attiva le cellule del sistema immunitario che neutralizzano il virus o il batterio causa della malattia. Si creano pertanto degli anticorpi specifici che contribuiscono a neutralizzare il virus.

Se la persona va a contatto con il virus, il suo sistema immunitario se ne “ricorderà” producendo gli anticorpi idonei e le cellule immunitarie giuste per uccidere l’agente patogeno. I vaccini usati per il Covid, a mRNA, non hanno un antigene ma istruzioni che stimolano il sistema immunitario a produrre un antigene. Tutto qui, ma è proprio qui che inizia il bello anzi le bufale. Attorno ai vaccini se ne son dette tante ma una mi riguarda proprio come Fisico: quella dell’effetto magnetico del vaccino. Cavolata più grossa non si poteva dire! Il soggetto che si fa vaccinare porterebbe a vita la condanna di attrarre monete, forchette, coltelli e chi più ne ha più ne metta! No, una diceria così grande non l’accetto. Ci troviamo a sentire persone che non hanno idea di cosa dicono. L’effetto magnetico è conosciuto da millenni, in 

specie da studi prodotti dai Greci già nel sesto secolo avanti Cristo. Nel 1600 William Gilbert, con la sua opera De Magnete, rimase a lungo il testo di riferimento sul tema del magnetismo, e i primi studi quantitativi sui fenomeni magnetostatici sono fra la fine del settecento e i primi dell’ottocento per mano di tre francesi, Biot e Savart e, dopo, di Ampere, e tutti parlano di sostanze ferromagnetiche dove, cioè, l’essenza del fenomeno è dato dalla componente ferrosa. Ma nessuno di questi avrebbe mai detto che poche gocce di un liquido, non contenente materiale ferroso, avrebbero avuto effetti magnetici così importanti. La credenza è priva del benché minimo fondamento. All’interno dei vaccini, infatti, non è presente alcuna sostanza in grado di generare fenomeni magnetici, tanto meno di quella “potenza”. Taluni video riportano immagini dove delle normali monete da 50 centesimi, che peraltro non hanno proprietà magnetiche perché realizzate con una lega di rame-zinco-alluminio, si attaccano al braccio sul punto della puntura di iniezione.

E’ giusto che queste credenze dal sapore medioevale siano stroncate sul nascere. I problemi sono altri e ben più concreti e pesanti di quanto si possa immaginare, ma la gente che non sa racconterà sempre del braccio magnetico senza accorgersi, invece e ad esempio, che il legame fra il pass e il virus è proprio una bufala. Ma il discorso è lungo. Un’ultima nota prima di essere “insultato” no-vax, come va oggi di moda, sono vaccinato dalla prima ora e Covid-guarito grazie alle terapie precoci, anzi immediate.  

 

 

Ma di quale scienza si parla

Si dice sovente che i cosiddetti social raccontino fandonie, anzi fake news cui la gente, pardon “la massa” (secondo alcuni, questa, ignorante per definizione) crede. Ma tante fake news arrivano da chi dovrebbe dire la verità. E le fake news sono, sovente, spacciate per scienza. Anzi, oggi tutto è “scienza”. “L’hanno detto gli scienziati” (la ‘s’ è volutamente minuscola) e quindi è vero. E poi l’hanno detto in televisione e, come diceva Renzo Arbore in Indietro Tutta, “la televisione non può sbagliare”. Con la parola scienza si ha l’imprimatur per raccontare fake news. Ogni opinione, per stimolare interesse, deve possedere l’aggettivo scientifico. Anzi, si può dire che esiste una dittatura del termine scienza (non una dittatura di governo, per l’amor del cielo…), e senza questa parola magica siamo considerati ignoranti. Non voglio contestare la scienza, fonte di progresso, ma evidenziare i suoi limiti e i suoi usi fuori luogo. Nell'antica Grecia il termine scienza era “episteme” che indicava sapere, saggezza e soprattutto dubbio.

Dire “credo nella scienza” è cosa cretina, perché la scienza non è di origine divina ma una ricerca umana e, come tale, assolutamente imperfetta. Chi conosce un poco di storia della scienza sa che l’intera vicenda umana è costellata da clamorose cantonate. Per secoli abbiamo creduto che la Terra fosse piatta e oggi un’affermazione del genere farebbe ridere, per decine di anni abbiamo usato l’amianto fin quando non abbiamo scoperto l’asbestosi nei polmoni. La scienza non è statica ma evoluzione e, soprattutto, non deve avere legacci e fronzoli di interesse economico o politico. Restando nel campo degli scienziati da teleschermo abbiamo tutti visto che si sono contraddetti clamorosamente.

Dall’immunità di gregge, inesistente, alla durata dell’immunità vaccinale ad altre sciocchezze. E allora non usiamo la parola scienza e lasciamola ai veri scienziati, quelli che non sentono la necessità di apparire e fare spettacolo. La vera scienza (in contrapposizione a quella raccontata in tv) nasce dal dubbio, dalla ricerca, dal dialogo e dal “confronto”. Negare uno di questi passaggi significa appropiarsi del termine scienza per altri fini, magari per necessità di governo o di lucro.

 

 

Che non si torni alla didattica a distanza

Dopo quasi due anni abbiamo capito che la DAD, o didattica a distanza, è un fallimento e, al momento, speriamo che il Governo non pensi a chiudere nuovamente le scuole. Quello che cambia profondamente è la dimensione spazio-temporale fra il docente e il discente, manca tutta la messe di informazioni trasmesse dalla postura del docente, dalla sua mimica facciale, dalle sue inflessioni vocali che l’audio del computer comprime o omette. E’ sminuito o, addirittura, stravolto il processo di apprendimento che non può essere relegato ad una semplice informazione audio-video. La presenza permette un rapporto umano costante con il singolo e con l’intera comunità della classe, integrando lo sguardo, i cambiamenti vocali, il richiamo con le mani e molto di più. Ed è impossibile superare e stravolgere queste pratiche tradizionali.

Non è più scuola. In epoca romana l'istruzione era praticata in luoghi ristretti, in piccole stanze (tabernae, pergolae) o, addirittura, all' aperto. L' arredamento scolastico era semplice, non vi erano banchi, tanto meno a “rotelle”, e gli scolari erano seduti su sgabelli intorno al maestro il quale era seduto su una sedia o “cathedra” senza spalliera e senza braccioli. Gli studenti tenevano tra le ginocchia la tavola cerata e l'occorrente per la scrittura. L’insegnante osservava direttamente il discepolo, lo guardava scrivere, lo correggeva, gli parlava e lo ascoltava, il tutto in tempo reale. Quando si dice che il principale motore di crescita di un popolo è l'istruzione, non ci si riferisce soltanto ai risultati che il progresso ha messo oggigiorno sotto gli occhi di tutti, ma al lento evolversi della cultura nel corso dei secoli in tutti i campi, da quello scientifico a quello umanistico. Quando si parla di istruzione non dobbiamo considerare soltanto il significato corrente della parola, quello cioè riferito all'insegnamento dottrinale ma al trasferimento da un'individuo all'altro di conoscenze ed esperienze, di qualunque tipo esse siano.

Questo tipo di insegnamento ha caratterizzato in gran parte la storia antica della nostra umanità, e se oggi siamo arrivati ad avere questo livello di conoscenza lo dobbiamo anche allo scambio di informazioni e di esperienze avvenuto tra le varie generazioni dei nostri avi, in tutte le sue forme e accezioni. Certo, si può osservare che studiare a casa è comodo ma è pur vero che le comodità sono diverse per ognuno: non tutti hanno case grandi e confortevoli, non tutti hanno una stanza tutta per sé dove potersi concentrare, e in questo senso la chiusura delle scuole non favorisce l’uguaglianza degli alunni a livello di strutture, tempi e mezzi di apprendimento.

E poi la soglia di concentrazione degli alunni quando sono a casa si abbassa di tanto e si innestano implicazioni psicologiche e sociali. Con la DAD viene a mancare il senso di appartenenza, la partecipazione, l’empatia, il coinvolgimento, l’amicizia, le interazioni che caratterizzano la vita scolastica, sia per gli alunni sia per i docenti. Certo la DAD porta anche dei vantaggi come gestire al meglio il proprio tempo, dato che non è più necessario spostarsi da casa riducendo i costi e l’inquinamento creato dai mezzi di trasporto. Vantaggi risibili se si valuta il disastro socio culturale della formazione dei giovani. Dal virus ci si può proteggere in tanti altri modi, ad esempio trattando l’aria nelle aule e pensando a migliorare i mezzi di trasporto.

 

Son tornate le veline

Una martellante e pervasiva “pubblicità” sul Covid, a tutte le ore e su tutti i giornali, cartacei e audiovisivi. Quasi terroristica. Si pubblicità, questo termine può sembrare fuori luogo ma, al contrario, ci calza a pennello. La pubblicità non è solo quella del formaggino o del detersivo, ma con pubblicità si intende qualunque modalità per trasmettere, informare e convincere una data idea. Caratteristica principale della comunicazione pubblicitaria è diffondere dunque messaggi preconfezionati, solitamente a pagamento, attraverso i mass-media, con l’obiettivo che il consenso si trasformi in dati comportamenti da parte del ricevente.

E da dove arriva tutto questo? Dagli Organi di Governo che ha stanziato ben venti milioni di euro per carta stampata e tv. Il ministro Giancarlo Giorgetti ha firmato il decreto che destina infatti tale cifra in favore delle emittenti radiotelevisive locali che si impegnano a trasmettere messaggi di comunicazione istituzionale, con l’obiettivo di informare i cittadini e le imprese sulle misure introdotte per fronteggiare l'emergenza Covid. Per sostenere tale iniziativa, è stato infatti disposto dal Ministro il rifinanziamento del Fondo per le emergenze relative alle emittenti locali, che era stato già istituito al Ministero lo scorso anno ma, allora, con finalità generali. .In particolare, il decreto individua i criteri per ripartire le risorse alle emittenti radiotelevisive locali, commerciali e comunitarie, che dovranno impegnarsi a programmare la trasmissione di un numero definito di messaggi di comunicazione Covid.

Si spiega così perché le televisioni, private e di stato, martellino sempre sullo stesso argomento, persino modificando i comuni palinsesti. Ma cosa c’entrano le veline? Beh, contrariamente al fantastico popolare, le veline non sono le ragazze di Striscia la Notizia ma gli ordini di stampa, dette anche disposizioni o veline perché stampate in ciclostile in sottilissima carta di riso, utilizzate dal Regime fascista per indicare ai giornali e all’Eiar, antenata della Rai, cosa dire e cosa oscurare. Siamo in un Regime? Mi auguro di no. Ma come difendersi da tanta pressione psicologica? Semplicemente guardando e ascoltando in maniera critica, come qualcuno direbbe “attivando il cervello” a ciò che udiamo e leggiamo. Il tutto per non essere fagocitati da notizie che potrebbero condurre a comportamenti errati. In altre parole cerchiamo di capire dove si vuol arrivare con questa ridda di informazioni che, in certe occasioni, si sono rivelate “fake-news”.

 

 

HO FATTO LO SCIENZIATO, FORSE

Intuivo, formulavo un’idea, leggevo bibliografia, osservavo, sperimentavo, pubblicavo. Era scienza? Forse no! E allora perché l’ho fatto? No, questa domanda non me la faccio, sono in pensione e basta. E allora parliamo della “cosiddetta pandemia da Covid-19” che ha creato il giornalismo scientifico dandolo in pasto a commentatori e improvvisatori che, altrimenti, si sarebbero interessati di incidentistica stradale o di gossip. In quindici mesi la ricerca scientifica e gli studi clinici hanno prodotto osservazioni, scoperte, farmaci e vaccini in quantità tale da far impallidire la ricerca mondiale dell’ultimo secolo. Le nuove scoperte pongono il dubbio sulle verità scientifiche, e cittadini, medici e media possano accedere sciorinando parole ed eventi come noccioline.

La scienza, vera, si fa in gruppi con un nutrito numero di persone che osservano, sperimentano e scrivono ciò che hanno capito. La scienza è un’impresa progressiva. Einstein ha innovato la meccanica di Newton, la Fisica Quantistica ha innovato la Fisica classica. Negli ultimi 150 anni la scienza si è rivoltata come un calzino, ma sempre con un “filo di continuità”. La scienza per essere scienza non deve contenere affermazioni contraddittorie e deve anche poter fare previsioni, più o meno azzeccate. Sono cambiati gli argomenti ma il meccanismo è rimasto lo stesso dai miei tempi. Ma oggi non c’è discussione, ma rissa. Nei talk i dati vengono utilizzati per rafforzare un’opinione già costruita (spesso dai politici), e la maggior parte delle persone si convince che la scienza “funzioni” come funzionano queste discussioni.

Come la pseudopolitica. I Virologi (vengono presentati come tali e ne prendo atto) si sentono protagonisti di uno spettacolo mediatico, di cui non controllano più né il linguaggio né gli effetti sociali ed economici che il loro dire può avere. Gli “scienziati” come i politici, sono figuranti di uno show che è sempre lo stesso, sia si parli di Covid sia di Governo sia di Affari internazionali. Gli stessi personaggi, gli stessi presentatori, lo stesso pubblico. E’ un’informazione di consumo. Si parla di un fantomatico comitato tecnico scientifico (dove, da come apprendo, gli specialisti sarebbero solo due) senza che questo ci metta la faccia. Il comitato parla sempre per terza persona e non si mette mai in gioco. Il ministro (non esperto di virus ne di medicina) parla per loro.

Riferisce, di fatto, le osservazioni del momento di due specialisti addetti al comitato. Abbiamo notato che un tale vaccino crea problemi allora facciamone un altro…tutto qui. E potrebbe anche andar bene, ma non chiamiamola scienza e non chiamiamoli scienziati. Certo la scienza nasce dal dubbio, anzi il dubbio è alla base della scienza. Ma qui non è solo dubbio, è tutto un caos. Magari un caos calmo, come diceva Nanni Moretti, ma qui andrebbe bene l’espressione del grande Totò: “Ma mi faccia il piacere”.

 

 

Anno 1882, Re Umberto 1° fa installare il telegrafo alle Eolie

Il telegrafo elettrico viene perfezionato e brevettato nel 1837 dallo statunitense Samuel Morse, e il 24 maggio 1844 è effettuata la prima trasmissione telegrafica tra Washington e Baltimora. Per collegare le tante città americane sono installati lunghi cavi sorretti da “pali telegrafici”. Negli Stati Uniti le prime linee telegrafiche seguono i binari ferroviari e attraversano aree desertiche, per comunicare dalla Costa Atlantica con quella del Pacifico. Le stazioni di trasmissione e ricezione sono collocate nelle stazioni ferroviarie. E’ il 1866 quando è posato il primo cavo telegrafico sottomarino fra Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma è soprattutto il servizio ferroviario che trae vantaggi dalla simbiosi instaurata con la telegrafia. E’ così che i capistazione possono avvisare in tempo reale la partenza e l’arrivo di ogni convoglio ma, soprattutto, si ha il controllo del movimento dei treni per evitare scontri.

Prima dell’avvento del telegrafo l’unica forma di comunicazione era l’invio fisico della corrispondenza. Tra Milano e Roma, col treno, si impiegava un’intera giornata, tra Milano e New York occorrevano settimane fra trasporto via terra e navigazione transoceanica. Lo scambio di idee era lento, ma in linea con un’epoca in cui ancora i ritmi di vita erano ben diversi da quelli odierni, dove tutto giunge in pochi secondi. Anche le agenzie giornalistiche disponevano di terminali telegrafici in sede, tanto da ricevere ed inviare istantaneamente la corrispondenza con gli inviati, e non è un caso se la nascita e l’espansione delle Agenzie di stampa è concomitante a quella del telegrafo.

All’inizio del novecento il globo era ormai coperto da una fitta rete di cavi terrestri e sottomarini, e si poteva timidamente parlare di informazione globale. Nel 1850 è posato il primo cavo attraverso La Manica da Dover a Calais e negli anni seguenti si sviluppa una rete di cavi sottomarini tra le varie coste europee. In Italia nel 1854 sono realizzati i primi collegamenti tra il Continente e la Sardegna e ancora tra la Sicilia e la Calabria. Mancava ancora il collegamento tra Europa e Nord America attraverso l’Oceano atlantico, e quest’opera fu un’impresa di enorme complessità tecnica. Si pensi all’enorme matassa di cavo, migliaia di chilometri da fabbricare, trasportare, caricare nella stiva delle navi, da calare lentamente in mare per settimane, magari nel mezzo di una tempesta. Il collegamento fu completato nel 1866 quando Europa e America potevano comunicare in tempo reale.

Nonostante l’avvento della radio e dei satelliti il cavo sottomarino è ancora oggi ampiamente utilizzato, anche se in fibra ottica e con l’impiego di segnali digitali. Da alcuni decenni la telegrafia è passata in secondo piano, retrocessa dall’avvento del telefono prima e dal digitale poi. A partire dal febbraio 1999 l’utilizzo della telegrafia Morse non è più obbligatorio in ambito marittimo, in favore della tecnologia digitale GMDSS, Global Maritime Distress Safety System. L’utilizzo del mezzo telegrafico è però tenuto ancora in vita dai radioamatori, che ritengono questa tecnologia molto efficace rispetto al parlato nelle comunicazioni a lunga distanza, anche con trasmettitori di bassa potenza.

Il segnale telegrafico, rappresentato ancora dalla presenza o assenza di una corrente o di un’onda radio, si distingue tra il “rumore” trasportando il suo carico di idee e di pathos umano. Ma c’è ancora una notizia che interessa le nostre Eolie. E’ nel Consiglio Comunale del 24 maggio 1867 che si decide di installare il Telegrafo elettrico fra Lipari e Milazzo mentre è il 12 maggio 1882 che Umberto 1°, Re d’Italia, stipula la Convenzione fra il Ministero dei Lavori Pubblici e la Compagnia Eastern Telegraph. Questa definisce di posare un “cordone elettrico sottomarino fra Lipari e Salina”, il cavo dovrà far capo nell’isola di Lipari alla baia di Acquacalda e a Salina all’Ufficio telegrafico “che sarà aperto”. Siamo agli albori della comunicazione globale e le Isole Eolie, già allora, non potevano rimanere isolate.

 

L’alfabeto Morse avvolge il Mondo

Dopo Edward Davy, inventore del telegrafo, discusso il 28 del mese scorso, Samuel Morse si può additare come il secondo inventore del telegrafo. E’ da considerare che fra la fine del 1700 e il 1800 le scoperte sull’elettricità stimolavano la mente di tanti ricercatori ed era quindi possibile che una stessa invenzione, sebbene con modalità differenti, avesse diversi padri. Tanti personaggi, anche lontani tra loro, potevano quindi pensare allo stesso fine utilizzativo di questa nascente forma energetica. Davy, e poi Morse, creando il telegrafo elettrico e il linguaggio unificato “Alfabeto Morse”, riuscirono a collegare tutti gli angoli del mondo. Morse non era un ingegnere ne un fisico ma un pittore con una mente che oggi diremmo sveglia o “vulcanica”. La sua scoperta cambiò il modo in cui i messaggi venivano inviati e ricevuti in tutto il mondo ma, soprattutto, cambiò il modo di interpretare la vita dell’uomo. Fino ad allora la comunicazione era affidata a staffette a cavallo o, addirittura, a piedi e i viaggi duravano anche giorni. Morse era povero e riuscì a vivere grazie all’abilità di dipingere quadri fin quando non concentrò i suoi interessi sull'elettromagnetismo e sulla comunicazione elettrica.

Il primo momento in cui Samuel Morse venne all’idea di usare l'elettromagnetismo come mezzo di comunicazione fu nel 1832. Durante un viaggio per mare ebbe una conversazione con uno scienziato, Charles Thomas Jackson che gli descrisse alcune delle proprietà dell'elettromagnetismo, fenomeno essenziale su cui si basa la scrittura a distanza del mezzo telegrafico. Dopo aver assistito ai vari esperimenti di Jackson con un elettromagnete, progettò il primo telegrafo e presentò le sue scoperte all’ufficio brevetti degli Stati Uniti. Ma la particolare semplicità del sistema elettrotelegrafico permetteva solo di inviare una corrente elettrica su un conduttore e l’unica possibilità per inviare un messaggio scritto, una parola alfabetica, era quello di elaborare una sorta di codifica della corrente trasmessa. Morse pensò quindi di contenere il messaggio semplicemente nella “presenza o assenza di corrente”. Fu lui che elaborò l’alfabeto che da Lui prende il nome, l’Alfabeto Morse.

L’originale elaborazione dell’Alfabeto Morse trasformava la lettera di ogni parola in un insieme di punti e linee che, convertite in impulsi elettrici, erano la presenza di una corrente per un breve tempuscolo (il punto) o per un tempo più lungo (la linea). La codifica di Morse può rappresentare il primo esempio di conversione digitale di un segnale analogico. La parola trasformata in una sommatoria di “si e no” di una corrente elettrica. Iniziava con il telegrafo via filo il primo modo di interconnessione mondiale.

 

Davy, il britannico che inventò il telegrafo 

La scienza è un’impresa collettiva. Oggi la ricerca si fa in grandi gruppi, e anche se l’autore di un lavoro è una persona sola, al momento di pubblicare i suoi risultati (se non li pubblica non servono a nulla), deve inviare un report, una relazione, di ciò che ha fatto a una rivista divulgatrice, la quale lo manda ad un gruppo di “referees”, o esperti, che esprimono il loro parere.

Pertanto il controllo collettivo su un ipotetico esperimento è tale che è difficile pubblicare fandonie. La scienza è quindi un’attività collettiva e, come spesso si dice, è “esatta”. Oggi parlo di Edward Davy, un’altra grande mente inglese che avvalora la superba superiorità scientifica dei Britannici di allora.

Nel 1836 Davy pubblicò “Outline of Telegraphic Communication” e avviò i primi esperimenti di telegrafia, dimostrando il funzionamento del telegrafo su un miglio di filo in un parco reale di Londra. Questa dimostrazione suscitò serie preoccupazioni nei confronti di altri ricercatori britannici della stessa disciplina, come William Cooke e Charles Wheatstone, soprattutto quando Davy si stava avvicinando alle compagnie ferroviarie che rappresentavano il principale obiettivo commerciale di Cooke e Wheatstone.

Davy fu minacciato di azioni legali perché violava il brevetto telegrafico che Cooke e Wheatstone si apprestavano a depositare. Ma Davy perfezionò il nascente telegrafo con l’ulteriore invenzione del “relè” che permetteva la trasmissione telegrafica rapida e bidirezionale. Il relè è un componente elettrico largamente usato oggi negli impianti elettrici ed elettronici.

Con i suoi studi, Davy, aveva anticipato Cooke e Wheatstone che, fino ad allora, avevano tenuto banco per la telegrafia via filo, in America e in Inghilterra. Per questo suo particolare miglioramento nel 1885 Davy divenne membro onorario della Society of Telegraph Engineers,

La trasmissione a distanza del pensiero attraverso impulsi elettrici rappresentò una rivoluzione copernicana, come diremmo oggi, e stimolò tanti altri scienziati dell’epoca a sviluppare la tecnica telegrafica.

Tra questi l’americano Samuel Morse che formulò il particolare alfabeto che da lui prende il nome, l’Alfabeto Morse. L’originale elaborazione dell’Alfabeto Morse trasformava ogni lettera di ogni parola in un insieme di simboli formati da punti e linee. Arrivederci al prossimo ricercatore che, in questo caso, non può che essere Samuel Morse.

 

----Politici? No grazie, qui parliamo di cose serie.

Politici, no grazie. Qui parliamo di cose serie. Abbiamo iniziato a parlare di gente che ha veramente cambiato il mondo, senza bleffare come fanno i governanti del potere, perché chi fa Scienza non può bleffare. Non c’è un reddito di cittadinanza da distribuire a chi può esserci utile, né una quota cento che può essere attivata o no a seconda dell’estro di chi comanda. La Scienza è Scienza. La Scienza è una e univoca, e chi la fa non può essere mandato in giudizio, perché la scienza non può essere travisata da un manipolo di ignoranti al potere. La Scienza è l’insieme di conoscenze ottenute a seguito di ricerche condotte seguendo il metodo sperimentale Galileano e a seguito di ragionamenti logici, matematici.

Scienza viene dal latino Scientia che significa conoscenza, sapere. Si è iniziato con Galileo Galilei (16 c.m.), poi Newton (19 c.m.) e oggi continuiamo con un altro Britannico, perché il Regno Unito ha espresso tanti uomini di scienza. Naturalmente cenniamo solo alle cose più “comuni e conosciute” create dagli Scienziati che qui, peraltro, devono essere raccolte in poche righe. Infatti “Notiziario Eolie-Eolie news” è un Quotidiano, e i pezzi da Terza Pagina devono rientrare in spazi contenuti. Credo che i miei interventi siano utili “solo” a proporre il nome dello scienziato che, il più delle volte, è totalmente nuovo a chi legge. Per ogni approfondimento ci sono i testi specifici e, naturalmente, c’è il web. Oggi è la volta di John Dalton. Chi era Dalton? chi non ha mai detto a qualcuno che non distingue i colori “sei daltonico”. Beh Dalton, oltre ad essere un insigne chimico e docente di questa materia, pose le basi scientifiche della struttura atomistica della materia, dei fluidi e dei gas, peraltro già proposta dai Filosofi Greci. Chissà cosa avrebbe pensato oggi Dalton della distruzione culturale, scientifica e sociale della Grecia, e del suo Popolo, per mano dalla Unione Europea in nome del soldi! Ma fra gli altri studi compiuti da Dalton si ricordano quelli sulla cecità ai colori, di cui egli stesso era affetto e che fu chiamata “daltonismo”.

Si perché Dalton non distingueva i colori e i primi studi su tale affezione furono intrapresi proprio da Lui. Nel 1794 elaborò una relazione scientifica, nella quale tentò di spiegare le cause della malformazione, ma non potendo effettuare esperimenti fece solo ipotesi che, col tempo, risultarono errate. Dalton morì nel 1844 e non poté contribuire ulteriormente a scoprire il “daltonismo”. Oggi sappiamo solo che si manifesta come disturbo nella percezione del rosso e del verde ed è causato da un’anomalia genetica. Mi fermo qui per essere letto senza risultare noioso. Alla prossima per il prossimo scienziato, ancora una volta britannico. Un antenato…della brexit.

---Dopo Galileo ecco Isaac Newton

Dopo aver parlato di Galileo Galilei (il 16 c.m. su queste pagine), l’attenzione non può che cadere su Isaac Newton, degno successore scientifico di Galileo. Nato nel Regno Unito il 4 gennaio 1643, Newton è stato un matematico, fisico, astronomo, filosofo ed è considerato tra i più grandi scienziati di sempre. Fu presidente della Royal Society, l’Associazione Scientifica Britannica nata il 28 novembre 1660 ed ancor oggi riconosciuta la più importante assise scientifica d’Europa. Il Regno Unito, allora come oggi, era riconosciuto come un grande Paese, ricco e pieno di Cultura. Se fosse vissuto oggi Newton, probabilmente, avrebbe avallato la Brexit per conservare quel patrimonio culturale che già allora era del Popolo Inglese e che, come vedremo, annoverava personaggi di grande spessore come Faraday, Nepero, Lord Kelvin e tanti altri che, certamente, non avevano bisogno di una dormiente UE per esercitare la loro capacità e voglia di fare. Newton è conosciuto per il suo contributo alla meccanica classica.

Fu basandosi sul lavoro di Galileo che formulò le tre leggi del moto che portano il suo nome: “Ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto finché non è costretto a mutare tale stato da una forza che gli viene applicata - La variazione del movimento è proporzionale alla forza applicata - Ad una azione corrisponde sempre una reazione eguale e contraria”. E ancora è di Newton la Legge di Gravitazione Universale che così recita “In tutto l’Universo due corpi si attraggono in modo direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale alla loro distanza elevata al quadrato”. Ma probabilmente la sua idea più rivoluzionaria era che il movimento dei corpi celesti seguiva le stesse leggi fisiche che regolano il movimento dei corpi sulla Terra.

Newton pose le basi di quelle che furono scoperte grandiose nei settori della matematica, dell’ottica che lo resero il più grande matematico d’Europa e uno dei fisici più importanti di quel periodo. Si deve anche a Newton l’elaborazione della teoria secondo cui la luce bianca è composta da raggi di colori diversi. Con Newton abbiamo solo aperto la porta della Scuola Scientifica Inglese, di quella Terra spesso chiamata Perfida Albione o, come disse Mussolini, “Isola di Pescatori”. Ma Lui di scienza non sapeva proprio nulla e solo per questo, forse, può essere scusato. Al prossimo scienziato su queste pagine.

 

Politici? no, meglio Scienziati

“Chi ci ha creato? Ci ha creato Dio”, mi dicevano sempre quando andavo a Scuola dai Salesiani, al Domenico Savio che ricordo con piacere. Ma chi ha scoperto il mondo che ci circonda? E qui la risposta non è un dogma, ma è il lavoro di scienziati e ricercatori. Al loro opposto ci sono i politici, un esercito di ciarlatani continuamente rieletto da un popolo drogato da frasi ad effetto: “noi siamo concreti” – “io dico le cose in faccia”, per trovarci poi un ministro dell’Università col titolo di terza media. E allora chi porta avanti il mondo? Chi fa Scienza e non parole, ovviamente. Mi piace scherzare. Qualche giorno addietro un mio amico vantava il grande comfort della sua auto, e a quel punto non sono riuscito a trattenermi: “sai perché non senti le buche quando corri? Perché un Ingegnere, con carta e penna, ha posato il suo sedere sulle molle della tua auto per un anno!”. Beh, chi fa scienza non fa parole, e viceversa.

E chi non fa scienza fa politica, o fa finta di fare politica. A quel prezzo poi di milioni l’anno! Tutto ciò premesso per parlare dello scienziato che, dal 1600, ha cambiato il mondo Galileo Galilei. A questo seguiranno le rievocazioni di altre persone illustri, non politici per carità quelli li lascio ai Talk-show. Qualcuno può dire: ma parti da lontano! Beh, Galileo sta alla base della scienza che verrà. Nel 1616, 400 anni fa, Galileo fu il primo a dire che la Terra non stava al centro dell’Universo, contraddicendo il ferreo pensiero che aveva imposto la Chiesa. Ovviamente fu processato, la mania di processare chi dice il vero non è mai mancata, ma il Vaticano lo salvò dal “rogo” ritenendolo credente ma di idee fuorvianti. Per fortuna nostra, la teoria Copernicana che non voleva la Terra immobile al centro del creato, continuò a essere insegnata da Galileo. Purtroppo, allora come oggi, i dogmi e la presunzione non hanno aggiunto nulla di buono. Ma cosa ha fatto di buono ancora Galileo? nel 1630 lo studioso italiano dimostrò che tutti i corpi in caduta libera hanno la stessa accelerazione costante, un principio alla base di tutta la meccanica.

Non solo, a Galileo Galilei dobbiamo il metodo scientifico che ci ha permesso di capire che qualsiasi teoria e intuizione deve essere verificata con l'osservazione della natura. Nasce, con Galileo, l’osservazione di ciò che ci circonda, nasce quella disciplina che oggi chiamiamo Fisica. Alla prossima verità, naturalmente.

 

Comincia il Grande Fratello, monumento del non sapere

Si parla di Società dell’informazione ma siamo entrati, a nostra insaputa, nell’era dell’ignoranza. Si scrivono libri e si fanno convegni sul valore del Web, stiamo in contatto con parenti e amici stando al polo nord. E internet è ancora all’inizio. Le nuove generazioni della rete web promettono cose che oggi possono solo essere immaginate. Mezzi pubblici e auto senza conducenti, trasmissione dei nostri dati automatica al passare di un varco, eliminazione di ogni cartaceo di identificazione. Chiaramente siamo solo all’incipit. Cosa si vuole di più? Giulio Verne, nonostante la sua poliedrica fantasia nel predire l’impossibile, avrebbe strabuzzato gli occhi. Ma in tutto questo c’è qualcosa che non va. L’essere diventati pseudo-informatici (essere connessi alla rete non significa essere informatici) ci ha convinti di sapere tutto, cioè ci ha resi inconsapevoli della propria ignoranza. Siamo ignoranti senza saperlo. E questa “ignoranza” si accompagna alla presunzione.

Oggi la ricerca scientifica procede rapidissima e i nuovi risultati rimpiazzano quelli di vent’anni fa, soprattutto in discipline come le nanotecnologie, le scienze mediche, l’informatica ecc. Si aggiunga che non leggiamo e, spesso, prendiamo per buone convinzioni diffuse ma del tutto prive di fondamento. Così crediamo che gli antibiotici, farmaci “forti per definizione”, possano curare un po’ di tutto, e li usiamo senza chiedere al medico. Crediamo che l’acqua del mare sia azzurra, mentre il suo colore dipende dalla filtrazione della luce bianca, e ancora ci dicono che il telefonino fa male e lo raccontiamo agli altri come fosse un dogma. E in tutto questo marasma sapete cosa brilla? l’assoluto rifiuto ad informarsi da fonti veritiere. In altre parole l’assoluto rifiuto a leggere poche righe, siano esse su un libro ma anche su internet. E per completare l’opera oggi comincia il Grande Fratello con quattro milioni di spettatori. Quattro milioni che si rifiutano di avere conoscenza delle cose più utili che ci circondano. In altre parole quattro milioni di spettatori felici di non sapere e, forse, nemmeno di capire.

 

Voglio tornare alla lingua italiana

Povertà linguistica, uso ripetitivo di pochi simboli e buoni per tutto, accoglimento acritico di termini stranieri in luogo di quelli italiani. La salute della nostra lingua soffre, e la colpa è dei nuovi media, del continuo dialogo via Sms. Ti telefono, anzi no ti mando un messaggino. Si, perché non è un “messaggio” che si invia ma un messaggino ricco di abbreviazioni, parole troncate e acronimi da messaggio cifrato. Una lingua tutta nuova che richiama alla mente l’Alfabeto Morse nato a metà 800 per “necessità tecnologica”.

Allora la trasmissione era possibile grazie all’invio di una corrente elettrica e il contenuto semantico del messaggio era tutto racchiuso nella presenza o assenza di corrente. Il codice Morse è una forma antelitteram di comunicazione digitale, un po’ come il “messaggino”, poche lettere che vanno interpretate da chi sa interpretare lo stesso codice perché l’ha creato anche lui. E la scrittura, la capacità di scrivere la parola, di parlare e comunicare il proprio pensiero? Tutto finito. Avete visto cosa succede quando chiamate un call center? Invitano a premere il tasto 2…il tasto 4…fino a farvi spazientirvi. Ma in questo caso il fine è chiaro, quello di non parlare per poter meglio gestire le truffe cui sono avvezzi le organizzazioni telefoniche. E sapete chi ha ammazzato la Lingua italiana? Non i Genitori dei nuovi ragazzi ma i genitori stessi, perché la moda del messaggino esiste da oltre vent’anni e i ragazzi di oggi sono figli di chi usa da allora l’sms e tutte le diavolerie connesse.

E’ giorni che leggo su Facebook inviti di Ristoranti a cenoni e pranzi di ogni genere. Lunghi e sofisticati menù ma, ahimè, spesso non si scrive dove si trova il locale. Cos’è questo se non l’incapacità di trasferire il pensiero attraverso il messaggio scritto? Può sembrare fuori luogo ma è proprio questo che si perde quando la formazione al dialogo si basa sulla tastiera del telefonino. Si “dialoga” come se l’interlocutore sapesse di cosa sto parlando, di ciò che ho in mente. Modificare questa realtà? si è possibile, rimandando a scuola i genitori stessi, quelli della cosiddetta mezza età. Ricominciando dalle elementari, ovviamente.

Tanta musica, tanto rumore…ma è divertimento?

L’impatto acustico dei bar, e dei locali pubblici in genere, è sempre argomento di attualità e cronaca. Le persone sono sempre meno tolleranti a intrusioni nella propria vita privata, come avviene per il rumore, e sempre meno rispettosi degli altri. Peraltro, oltre al rumore prodotto dagli avventori, si aggiunge il suono creato dalla musica ad alto volume diffusa nel locale o creata dal vivo. Il discorso si allarga perché fa parte della gestione del territorio, delle scelte di destinazione urbanistica e della fruizione turistica e commerciale delle aree comunali. Ma andiamo alla situazione reale. A fronte casa un bar fa musica ad alto volume, sui lati ad appena cento metri un pub sprigiona musica dance senza ritegno: cosa fare? Certo la soluzione non è ricorrere ai sonniferi e allora si ricorre alle autorità, alla Polizia Municipale o ai Carabinieri. Ma è sempre opportuno questo? Comprensione e dialogo possono prevenire il nascere di qualunque contenzioso. La prima cosa che ti chiedi, quando sei invaso dalla musica, è quali sono i limiti di decibel (dB) consentiti per queste attività e, pertanto, ritengo utile discutere le normative più importanti che regolano la materia. Sono solo due e di facile lettura. La prima riguarda il dettato dell’art. 844 del codice civile, che regola le Immissioni Inquinanti fra differenti proprietà private, che cosi recita: “Il proprietario di un immobile non può impedire al vicino di casa, anche bar o pub, di fare rumore se il suo disturbo rientra nella normale tollerabilità”. Apparentemente non è stabilito cosa si debba intendere per “normale” e sembrerebbe lasciare all’eventuale giudice tutto il potere di interpretare la disposizione caso per caso, tenendo conto di una serie di variabili come: entità e persistenza del rumore, orario in cui viene prodotto il rumore e collocazione geografica del sito rumoroso. In effetti non è così, come vedremo. Prosegue poi il Codice civile stabilendo che, “nell’applicare la norma, il giudice deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, e può tener conto della priorità di un determinato uso”. Ciò significa che, per le attività commerciali, i limiti di rumore devono necessariamente essere più elastici: non si può infatti paralizzare un Paese e bloccare la “produzione” solo per garantire il silenzio assoluto nei quartieri. Diversamente dovremmo pensare le città come divise in due parti: al centro le abitazioni e in periferia tutte le attività rumorose. Dunque, il legislatore – ferma restando una certa discrezionalità lasciata al giudice nel determinare quale sia la “normale tollerabilità” – stabilisce dei limiti più ampi per tutte le attività economiche. E passiamo ai numeri o “limiti” stabiliti dall’art. 844 c.c.. Sulla scorta di questo i Tribunali adottano un sistema comune per determinare quando il rumore costituisce disturbo alla quiete delle persone: se l’immissione sonora supera di 3 decibel il rumore di fondo, essa si ritiene «intollerabile» e quindi vietata. In altre parole, se a casa mia sono già immerso in un rumore di 20÷25 decibel, l’immissione rumorosa non può farmi superare i 28 decibel, e cioè 25+3=28! Va detto che se 20 o 25 dB possono sembrare livelli alti di fondo si ricorda che la scala dei decibel è logaritmica e il rumore del frigorifero o il rumore di fondo dell’alimentatore del PC o del televisore o della sveglia può facilmente superare il valore citato. Accanto all’articolo 844 del codice civile che regola le immissioni fra privati, va considerata la legge 447/1995 o “Legge Quadro sull’inquinamento acustico”, che stabilisce i limiti di zona previsti dal Piano di Classificazione Acustica di cui ogni Comune deve, per legge, dotarsi. Questi limiti si applicano solo nelle aree esterne di interesse comunale. Non sono valori differenziali come i 3 dB citati ma valori limiti assoluti. In altre parole, le aree comunali vanno divise in zone e si stabilisce seconde regole prestabilite e misurazioni fonometriche i livelli limite di immissione nell’ambiente esterno da parte delle varie attività. La normativa indica di classificare il territorio comunale in sette aree con livelli compresi fra 40 e 70 decibel che rappresentano i livelli da non superare da parte di chi immette rumore e che “devono” essere controllati dagli organi preposti, in genere dalla Polizia Locale. La mia esperienza ha rilevato che i livelli sonori immessi dai pubblici locali raggiungono, nelle aree esterne, persino 80÷90 decibel rendendo critica la situazione sotto l’aspetto sociale. Chiaramente se impongo che nell’ambiente esterno non si superino i 40 decibel, difficilmente supererò i limiti di normale tollerabilità (cioè i 3 dB differenziali con il rumore di fondo) all’interno delle abitazioni vicine alla sorgente di rumore. Quindi l’applicazione dei limiti di zona, o area, prestabiliti dall’Amministrazione comunale possono risolvere i contenziosi che, sovente, si accendono fra Privati e Gestori di pubblici locali. Ma come si fa a non superare i limiti previsti dal Piano di Classificazione Acustica comunale? A tal fine è necessario che gli impianti di amplificazione sonora, di cui il pubblico locale dispone, siano opportunamente progettati, posizionati e tarati con l’applicazione del limitatore elettronico di potenza sonora interposto sul circuito che collega i diffusori o casse acustiche, sia se si esegue musica dal vivo sia se si diffonde musica in “cosiddetta” filodiffusione. Tale opera va fatta da un Tecnico Competente in acustica, regolarmente riconosciuto dagli organi Ministeriali, e va relazionata in uno specifico fascicolo a disposizione delle Autorità. Ovviamente quando si è disturbati dalla musica o dal rumore la prima cosa da fare è cercare il dialogo. Il disturbo da rumore può portare rapidamente all’esasperazione e quindi ritengo corretto che si intavoli subito il discorso civilmente, spiegando il problema, orari e cosa effettivamente disturba. Se il locale si dimostra collaborativo bisogna dargli disponibilità e tempo per studiare il problema e trovare le soluzioni. Solo la mancanza di collaborazione può condurre a interessare gli organi competenti e avviare un eventuale contenzioso.

 

 

Il pollo statistico di Trilussa

Secondo il poeta Trilussa l’osservazione delle medie statistiche è quella per cui se uno mangia un pollo e qualcun altro no, in media hanno mangiato mezzo pollo a testa senza che sia vero.

Le statistiche richiamate nei telegiornali, come l’inflazione o la possibilità di essere eletto un dato candidato, si basano su dati ottenuti da un insieme di campioni, solitamente ridotto. Il sistema del “campione” in teoria è semplice.

Si scelgono le persone in numero sufficiente, generalmente intorno a mille soggetti, contattati telefonicamente o per strada. La significatività (o quasi) statistica è definibile persino con un fattore matematico che si chiama “sigma”, o “deviazione standard”.

Tutto può sembrare chiaro e preciso, abbiamo persino il conforto dell’esattezza matematica! ma non è così perché entrano in gioco tanti fattori che influenzano la qualità dei risultati. Molto dipende dal comportamento degli intervistatori, dalla formulazione delle domande e dalla struttura dei questionari. Sullo stesso argomento si possono avere risposte molto diverse secondo il modo in cui è impostata una domanda e il momento in cui è collocata.

E può influire anche il rapporto fra chi chiede e chi risponde, il luogo e la situazione in cui avviene l’incontro. Per capire il significato di una ricerca, che può sembrare sufficientemente chiaro, non basta guardare i numeri. In queste indagini la gente dice bugie, non risponde, anche se sovente la statistica riesce ad anticipare i risultati in maniera “relativamente” precisa.

Certo, le previsioni sono l’unico strumento che abbiamo per farci un’idea di come potrebbero andare le cose prima che queste avvengano, e non possiamo rinunciarci. Ma il popolo è fortemente mutevole, anche a distanza di giorni e persino di ore, e nonostante tanta incertezza politici e politicanti fanno grande uso dei risultati statistici credendo o sperando di vincere e battere l’avversario se il risultato è favorevole.

Un tempo, ma anche ora, ci si affidava alle “fattucchiere” che si facevano pagare per raccontare fandonie, oggi la scienza statistica racconta fandonie ma non si fa pagare. E questa volta ho timore che manchi anche il pollo da dividere.

 

La democrazia poggia sul sapere

La parola "democrazia" unisce gli elementi 'Demos' o popolo e 'Kratos' o potere e, cioè, “potere al popolo”. Oggi l’assurto democrazia si è sbiadito. Il 27 agosto Il Giornale.it titolava “Il cittadino vota ma non conta più…”. In certi casi il popolo non fa la scelta giusta, ma è il popolo che deve dire la sua e la sua scelta deve “contare”. Si potrebbe ricordare che anche Hitler fu eletto democraticamente e abbiam visto in che tragedia ha scaraventato l’Europa. Non voglio disconoscere il valore della democrazia, anzi credo che essa non sia mai troppa. Ricordo il referendum contro il nucleare che portò in Italia alla dismissione del programma nucleare, incentivando, per contro, l’uso dei combustibili fossili e, persino, l’acquisto di elettricità da Paesi confinanti che producono con il nucleare. Ci sono effettivamente casi in cui il Popolo non può decidere, ma questi sono casi limite e ricchi di contenuto specifico o tecnico. Diverso è il potere rappresentativo dato a più e più persone. Credo che in Italia manchi la giusta capacità di elaborare gli ‘input’ acquisiti dai vari mezzi di informazione. Tantissimi questi, quasi infiniti e in cui ognuno dice tutto e il contrario di tutto. Un fatto come è accaduto oggi al Governo: idee assolutamente opposte fra due schieramenti che, però, si mettono insieme per ‘governare’. Quando lo scorso anno venne varato il Governo giallo-verde tutti hanno applaudito. Oggi tutti applaudiscono, anche se con qualche distinguo, al Governo giallo-rosso. Gustave Le Bon, studioso francese di psicologia delle folle, nel 1800 scriveva “Oggi la voce delle folle è diventata preponderante. Le masse popolari sono entrate nella vita politica, formando partiti davanti ai quali tutti i poteri capitolano”. L’avvento delle “folle o masse” costituisce, secondo lo studioso francese, un declino della civiltà occidentale. Il punto pare quello di porre l’attenzione non solo su una corretta informazione, ma su una corretta capacità a capire l’informazione e a formare un proprio giudizio. Il degrado dell'istruzione pubblica ha ridotto o annullato gli strumenti culturali destinati a operare la scelta giusta. La Scuola è al degrado e il telefonino supplisce con input insulsi alla formazione collettiva. Una vera débâcle popolare. Ne consegue che la scelta è spesso emotiva e caratterizzata da semplicità di comprensione, riponendo nell’assurto “l’ha detto la televisione” ogni spiegazione alla propria incapacità a comprendere. Intendo dire che la generalità delle persone pur scegliendo, senza essersi tecnicamente informata come nel caso del referendum sul nucleare, fa la propria scelta che il più delle volte risulta sbagliata. Questo “politico” è caduto o si è ritirato, viva il nuovo vincitore. Di quale vincitore si parli non si sa, anche se è uno che da tempo ha perso. Siamo alla follia.

Nove agosto 1945, l’atomica su Nagasaki: era necessaria?

La prima atomica è sganciata su Hiroshima il sei agosto 1945, la seconda il 9 agosto su Nagasaki facendo transitare cento mila persone dalla vita alla morte, travolti da una tempesta rovente di oltre mille gradi. Ma questa seconda bomba era proprio necessaria? Dopo la capitolazione della Germania, il Giappone cercava la pace e gli Americani ne erano al corrente avendo decifrato le comunicazioni fra i vertici nipponici. E allora perché la seconda bomba? Come si disse, le “atomiche”, provocarono migliaia di morti ma ne salvarono milioni. Era questo l’obiettivo più importante per gli Americani; lo stesso presidente americano Truman dichiarò all’epoca che lo scopo dei due bombardamenti nucleari era quello di “riportare i ragazzi a casa” e cioè mettere rapidamente fine alla guerra senza ulteriore perdite di vite sul fronte americano. I giapponesi non si erano arresi, neppure dopo il bombardamento “tradizionale” di Tokyo e solo l’esplosione delle 2 atomiche convinse l’imperatore Hirohito alla resa. E poi gli Alleati, anglo-americani, pretendevano (giustamente, “mio pensiero”) una resa incondizionata mentre i Giapponesi volevano ancora trattare. Ma ci sono altri motivi che convinsero all’uso del nucleare su Nagasaki. Quella bomba fu sganciata per almeno quattro ragioni; la prima era di mandare un messaggio a Mosca per mitigare l’antagonismo che in futuro sarebbe stato tra le due potenze vincitrice della guerra, Usa e Urss, la seconda era giustificare l’immensa spesa del progetto Manhattan, con gli italiani Enrico Fermi ed Emilio Segrè in testa, da cui scaturì la bomba atomica. Ma altre due tesi furono formulate dagli storici. Nagasaki era a maggioranza cattolica e gli americani vollero “punire” così Pio XII per non essersi schierato apertamente dalla parte degli Alleati. La bomba colpì in pieno il quartiere cattolico di Nagasaki, il più importante e numeroso centro della Chiesa in Estremo Oriente. Una quarta ipotesi, ed è la tesi più accreditata, è che gli scienziati e i militari avevano un’occasione unica per testare sul campo gli effetti delle loro scoperte. Come abbiamo potuto osservare in tutti questi anni, gli Americani operano per raggiungere il loro massimo profitto giustificandosi che sono “esportatori di democrazia”, anche se con pena di morte sempre pronta. Va per certo che da oltre oceano si sono sempre prodigati ad essere i gendarmi del mondo e, in tante occasioni, anche la semplice presenza virtuale è stata utile e necessaria. 

Le leggi antisemite hanno salvato l’Europa

Nel 1933, quando Hitler assunse il potere in Germania, Albert Einstein diede le dimissioni dall’Accademia prussiana (a Berlino) per stabilirsi nel New Jersey, a causa dell’antisemitismo creato dall’intolleranza nazista. Nel 1939, all’esordio del secondo conflitto, anche il fisico danese Niels Bohr giungeva in America annunciando che a Berlino gli scienziati avevano scoperto la fissione nucleare. Fu allora che Einstein, temendo che Hitler avrebbe potuto usare la bomba per mettere il mondo ai suoi piedi, scrisse una lettera al presidente Roosevelt per indurlo ad avviare un programma di ricerche nucleari. Questo diede vita al famoso Progetto Manhattan che riunì a Los Alamos, nel nuovo Messico, un gruppo di scienziati guidati dal fisico americano Robert Oppenheimer per giungere “all’atomica” e alle bombe lanciate il 6 e 9 agosto 1945 su Hiroshima e Nagasaki. Vennero assoldati parecchi rifugiati europei provenienti dalla Germania, dall’Italia e dall’Ungheria, contribuendo in modo significativo allo sforzo nucleare alleato. Contrariamente alle dicerie, il governo di Hitler non finanziò mai un programma di ricerca per le armi nucleari, dato che il Führer riteneva di essere già prossimo alla “immancabile vittoria” con le armi tradizionali. Le politiche repressive di Hitler incoraggiarono gli scienziati a fuggire dall’Europa e a contribuire al progetto alleato Manhattan. Persino Werner Heisenberg, scienziato di riferimento tedesco per la ricerca sul nucleare, fu bersaglio della propaganda nazista e tenuto d’occhio dalla terribile polizia Gestapo. L’opprimente atmosfera totalitaria influì così negativamente da far fallire qualunque velleità “atomica”. In Italia, alleata ai Nazisti, lo stesso Enrico Fermi, padre della fissione nucleare, fu costretto a fuggire in America semplicemente perché sua moglie, Laura Capon, era ebrea. E con Fermi andò in America un suo stretto collaboratore Emilio Segrè, anche lui di origine ebraica. L’ignoranza dei due dittatori, Hitler e Mussolini, salvava l’Europa da una tragedia ancora più grande. Ma, forse, questo è stato un segno divino che ha evitato che “l’atomica” cadesse in mano Italo-Tedesca.

Quante sciocchezze sull’aria condizionata

I condizionatori fanno male? Niente affatto! La prima cosa che si dovrebbe cambiare è il nome. Il condizionatore non “condiziona” un bel nulla, semmai abbassa la temperatura nell’ambiente, quando ci riesce. Si, perché in presenza di grande caldo non sempre c’è la fa. Pensare che l’aria che fuoriesce dal condizionatore sia malefica (molti lo credono!) è solo un prodotto del non sapere.

L’aria trattata è quella già presente nella nostra stanza, che viene fatta circolare da una ventola (interna) su una superficie fredda. Tutto qui. Il modo in cui questa superficie diventa fredda esula da questa sede. Inoltre i sistemi di raffreddamento, per legge fisica, fanno precipitare il vapore acqueo presente nell’aria riducendo cosi il tasso di umidità e contribuendo a creare le condizioni di benessere.

Gli effetti del condizionamento, al di là delle dicerie, restituiscono pertanto lo stato di benessere e attenzione. I fastidi genericamente manifestati da chi utilizza l’aria condizionata nascono, di solito, da una errata circolazione dell’aria fredda in ristrette parti del corpo; tali inconvenienti si superano, banalmente, con una impostazione equilibrata del sistema, naturalmente da uno che ha idea dei tasti che pigia.

Lo stato di benessere termico é avvertito ogni volta che gli scambi di calore tra il nostro corpo e l’ambiente raggiungono un livello di equilibrio termico. In queste condizioni l’organismo non attiva più le difese contro il caldo o il freddo mancando la sudorazione (per il caldo) o i brividi (per il freddo) e le reazioni di vasocostrizione o vasodilatazione.

L’uomo, sin dai primordi, per mantenere lo stato di neutralità termica, riducendo al minimo le reazioni termofisiologiche di cui è dotato, ha costruito le abitazioni completandole con i sistemi di climatizzazione essenziali come finestre e coperture. L’effetto sull’organismo delle temperature estive, spesso superiori ai trenta gradi, inducono malessere e caduta dello stato di attenzione mentale, e ciò avviene sia in riva al mare sia in montagna. Spesso si lamentano allergie o raffreddori causati dai condizionatori.

Il problema non è dell’apparecchio né della temperatura. Se non si viene contagiati da un virus o un batterio il freddo non potrà farci ammalare. Pertanto è importante tenere i filtri puliti, per evitare la diffusione di allergeni: quali polvere, pollini, batteri e virus. Purtroppo, il più delle volte, l’arroganza del non sapere fa rinunciare ad una vita più confortevole. Un falso da sfatare è che il condizionatore non deumidifichi: lo posiziono a “deumidificatore”, sento dire spesso.

No! Il raffreddamento dell’aria conduce già alla deumidificazione, per legge fisica! L’acqua che il sistema sputa fuori è l’umidità che avete nell’aria, tutto qui. La posizione di deumidificazione permette di abbattere l’umidità (come fa già in posizione di raffrescamento) senza modificare eccessivamente la temperatura. Cioè senza fare freddo.

Tutte le storie poi sui gas usati per raffreddare (che ruotano in un circuito sigillato) sono montati sul nulla, privi di senso scientifico e novellati da chi, ripeto, sconosce il problema. Un’ultima nota sulla differenza fra i condizionatori denominati On/Off e i tipi Inverter. Anche qui si raccontano fandonie. I primi funzionano come i frigoriferi, raggiungono la temperatura impostata e si fermano fin quando la stessa non sale di qualche grado.

Sono più semplici, esistono da quando è nata “l’aria condizionata” e, tutto sommato possono continuare a fare il loro lavoro. I modelli inverter lavorano in maniera modulare cioè progressiva. Abbassano quasi “linearmente” la temperatura dell’aria e la modulano, sù e giù, intorno alla temperatura impostata. Questo è oggi (da vent’anni) possibile grazie allo sviluppo dell’elettronica a inverter che permette di modificare i parametri elettrici in maniera funzionale.

Fanno bene o male? Nulla di ciò, sono però più progressivi e ci danno meno sbalzi. E ancora, è inutile impostare una temperatura molto bassa dal vostro telecomando come 18 o 20 gradi, il condizionatore non ci arriverà mai e il sistema “non si spegne” perché non raggiunge quella temperatura. Tutti i sistemi di condizionamento difficilmente abbattono la temperatura esterna più di 6÷7 gradi.

Se fuori ho 35 gradi, pensare di stare a 18, 20 o 22 gradi solo perché ho impostato tale temperatura sul telecomando è pura fantasia. Un’ultima nota per chi, come me, e sempre in Aliscafo: quando salite sul natante non lamentatevi se sentite un po’ di freddo, state arrivando sudati …e la rapida evaporazione vi dà un sensazione che gli altri viaggiatori già presenti non hanno.

Acclimatatevi, cioè lasciate che lentamente il sudore sia assorbito dalla deumidificazione di cui state godendo, e starete bene come gli altri. Il modificare la temperatura di un ambiente va fatto con molta cautela, infatti il sistema reagisce “come una nave” cioè dopo tanto tempo e, nel frattempo, finirete per sentire caldo. Da sempre sono convinto che l’aria condizionata fa male solo a chi non ce l'ha'.

ATTENTI AL SOLE

L’elioterapia è utilizzata da sempre in tutte le parti del Mondo. Scienziati di inizio novecento assegnarono alla cute un ruolo multifunzionale nel nostro organismo, ritenendo che fosse necessario curarla e proteggerla. Già negli anni trenta, in Italia, esistevano oltre 4000 colonie elioterapiche ospitanti oltre 800 mila bambini che alternavano alla radiazione solare esercitazioni ginniche e giochi. Tra i più importanti effetti dell’elioterapia è la trasformazione della vitamina D nella sua forma attiva (D3). Tale azione, ad esempio, è alla base della cura contro il rachitismo e le malattie respiratorie. Ma l’esposizione eccessiva ai raggi solari è a rischio. L’abbronzatura, che fa tanto piacere a grandi e piccini, è in effetti il modo con cui il nostro corpo si difende dal sole. E ciò grazie alla melanina, un pigmento che viene prodotto quando siamo colpiti dai raggi solari con il compito di proteggerci dalla radiazione Ultravioletta (Uv) e che dona il caratteristico colore “abbronzato”. Ma l’Uv ha un’elevata energia tanto che, colpendo la pelle, genera radicali liberi responsabili dello stress ossidativo. E cioè più ti esponi al sole, senza protezione, più radicali liberi produci e più alte sono le possibilità di sviluppare rughe, macchie del viso e, persino, malattie importanti come il cancro della pelle. Ma allora dobbiamo evitare l’esposizione al sole? sicuramente no; per evitare rischi è sufficiente non avere fretta a diventar “neri” e dare all’organismo il tempo per produrre la citata melanina. Chiaramente è bene proteggerci con una crema solare ed evitare di andare in spiaggia nelle ore centrali del giorno, fra le 11 e le 15 circa. E poi un fascinoso cappello a tesa larga è sempre utile, oltre che a proteggerci a donarci un’allegra immagine eoliana.

---Stavo per salire su una corsa del mattino sulla tratta Lipari-Milazzo. Proprio davanti a me, in fila, era un signore accompagnato dalla compagna. Non so se fidanzata, moglie o amante, poco importa. Al momento di salire sulla scaletta ha letteralmente detto al marinaio di servizio “accompagno la mia…e scendo.” Sembrava che sarebbe stato un vero e proprio tempuscolo (come si dice in matematica), e invece no.

La sua arroganza gli ha permesso di rimanere a bordo fino all’ultimo bacetto (o promessa d’amore) con disprezzo degli altri passeggeri e come se l’aliscafo fosse a sua totale disposizione. E il personale, che di fatto stava per “mollare le cime” era li a guardare. Nessun sollecito, nessun invito a lasciare il natante. Altro episodio, forse quello che ha fatto traboccare il vaso, è accaduto a Milazzo. Anche qui in fila per prendere posto sull’Aliscafo, ma questo era fermo, immobile con già venti minuti di ritardo sull’orario tabulato.

Mi permetto quindi di chiedere al personale di Liberty Lines come mai non lasciamo la banchina e mi vien risposto che ci sono ancora due ragazzi che devono parcheggiare! Si sa, a Milazzo trovare posto per la macchina non è facile, ma vi immaginate se in Aeroporto la Hostess vi risponde “ci sono passeggeri che devono ancora parcheggiare”!!! Perdonatemi, ma siamo veramente fuori da ogni logica professionale e commerciale.

E poi c’è il solito turista, o quasi, che non vede più in fila dietro di se l’amico o il parente e, per cercarlo, si ferma a metà della scaletta gridando il suo nome e fermando il flusso di passeggeri già sfiniti dal caldo. Ciò che brilla in tutte queste storie è il totale disinteresse del personale di Liberty Lines che, cosa ancor più grave, non si rende conto dell’assurdità del problema.

Sono infatti loro che ad alta voce, col megafono, gridando o, addirittura, spingendo devono costringere i passeggeri imbarcantisi a salire sul natante. Non sarà a conoscenza di molti, ma sui treni di Tokyo sono presenti gli spingitori che, senza troppe scuse, “impacchettano” le persone nei vagoni. E in Giappone i treni arrivano in orario e non sono certo fascisti.

E’ solo una battuta, ma dire che i treni sono in orario, in chi ha un minimo di cultura storica, fa rievocare i tempi fascisti dove il Ministro dei trasporti Costanzo Ciano era pronto a trasferire il malcapitato Capostazione se il treno tardava. E allora cosa può fare la Liberty Lines in clima di democrazia, ovviamente,? Semplicemente invitare il personale di bordo a sollecitare i propri passeggeri mentre si avviano sul mezzo, magari facendo uso dei comuni e già presenti altoparlanti di bordo.

Tutto qui, è poco ma fa tanto.

MA COME SI FA A PREVEDERE TUTTO?

Ma non doveva essere un’estate gelida? No, forse calda. Anzi, l’estate non doveva proprio esserci. Quante storie per non tirarci un ragno dal buco, anzi per non capirci un cavolo. Se volete sapere che tempo farà domani sarà bene rivolgersi agli autori di fantascienza, di solito ci azzeccano. Probabilmente Giulio Verne, autore francese di libri fantasiosi per ragazzi, sarebbe più attendibile dei sofisticati software previsionali dei centri meteorologici. Thomas Edison, padre della lampadina del grammofono e di tante altre diavolerie, nel 1922 disse che il cinema avrebbe “in pochi anni soppiantato in parte, se non del tutto, l’uso del libro di testo a scuola”. Forse, in parte, aveva previsto bene. Oggi, con la rete, si legge molto su video. Lord Kelvin, padre della scala termometrica che porta il suo nome, nel 1895 disse che “le macchine volanti più pesanti dell’aria non sono possibili”. Nel 1977 Kenneth Olsen, fondatore della Digital Equipment Corporation, sentenziò: “Non c’è motivo per un privato di avere un computer in casa”. Com’è difficile fare previsioni. Non sorprendiamoci se ci dicono che domani pioverà mentre, invece, splenderà il sole. Ben diverso è prevedere l’esplosione di un vulcano, ma in questo caso (forse perché si tratta di cose molto serie) la risposta è categorica: no! Semmai è possibile prevedere pochi minuti prima, grazie ai numerosi parametri che sono controllati. Peraltro sono queste le risposte dei ricercatori del Cnr e dell’Ingv. Purtroppo abbiamo dato tanta fiducia a scienza e tecnologia che ogni fatto imprevedibile ci sembra frutto di una “distrazione” umana e non di una natura che si riprende il suo corso. E, secondo me, la natura non andrebbe sfidata.

Supercaldo e temperatura percepita

Siamo in piena tempesta di calore con valori termometrici superiori alle cosiddette medie. Si parla spesso di temperatura reale, temperatura percepita e umidità con disinvoltura come se ogni parametro facesse parte a se. I valori termometrici diffusi sembrano essere rilevati da complesse macchine termometriche ma, al contrario, dipendono solo da calcoli previsionali che considerano, oltre al valore termometrico, l’umidità dell’aria e la velocità dei venti. Le temperature cosiddette percepite non sono valori strumentali e dipendono solo da condizioni soggettive che possono cambiare da persona a persona e da uno sito ad un altro. Ma cosa vuol dire temperatura percepita? se la temperatura reale è pari a 30°C in corrispondenza di una umidità del 70%, ci dicono che la temperatura percepita è di 35°C”… ma in corrispondenza di quale ipotetico tasso di umidità? Questo rimane un mistero! Percepita sì ma, ripeto, con quale tasso di umidità? Passando dall’oggettività della misura alla soggettività della sensazione avvertita dal nostro corpo, bisognerebbe specificare anche a quali “ulteriori” parametri si riferisce questa temperatura percepita. Una persona ferma all’ombra o a uno che corre al sole? A un soggetto sdraiato sulla spiaggia o a uno che cammina? Percepita sì, ma da chi? E durante lo svolgimento di quale attività? Alla luce di quanto ho recitato si conclude che la temperatura percepita è solo un numero privo di riscontro fisico e utile solo a creare confusione mediatica. In condizioni di caldo umido, per esempio, il sudore prodotto dall’organismo non ha modo di evaporare nell’aria, perché questa è già satura di umidità. Quindi, senza più l’apporto refrigerante dell’evaporazione, la temperatura del corpo tende a salire, provocando, nei casi più gravi, il "colpo di calore". L’aria secca ha un piacevole effetto rinfrescante perché favorisce la traspirazione, soprattutto se accompagnata da una debole corrente d’aria. In inverno l’aria umida viene percepita più fredda rispetto a quella secca perché la traspirazione, o sudorazione, è quasi azzerata ed è presente solo la conduzione termica del nostro corpo con l’aria che ci circonda, attivando un processo che tende a raffreddare il corpo. Tale fenomeno è accentuato se l’aria è carica di umidità che accentua la conducibilità termica dell’aria stessa. In definitiva possiamo dire che un'alta percentuale di umidità nell’aria funziona da “amplificatore” della temperatura percepita. Le reazioni del corpo umano non sono pertanto influenzate unicamente dal caldo o dal freddo, ma anche da altri fattori come l’umidità e il vento. È appunto grazie alla combinazione di questi che si determina il livello di disagio con cui le persone reagiscono alle condizioni meteo. In condizioni di caldo umido sentiremo più caldo, in condizioni di freddo umido sentiremo più freddo. E’ questa la temperatura percepita.

 

TANTO TELEFONINO, POCHE IDEE

Desidero riportare un concetto che si legge spesso e che si può definire di autore ignoto “I grandi parlano di idee, i mediocri dei fatti e la massa delle persone”. Può sembrare banale, ma se ci ragionate un po’ su vi accorgete che è vero. Da dove nascono le idee? Secondo me (e non solo me) dalla lettura e dai “buoni” rapporti sociali. Perché le idee si trasmettono, e se io frequento persone che hanno idee (naturalmente buone) anch’io mi ciberò delle loro idee e delle loro conoscenze. In fondo è quel che avviene, ad esempio, in un centro di ricerca scientifica dove un insieme di persone, con tante idee, scambiano le proprie conoscenze per scoprire e inventare ciò che fino a quel momento nessuno sapeva. Ma chi ha idee? Credo pochi. Se ho veramente conoscenze da scambiare non le “condivido” (che bella parola da cellulare) stando a parlare per ore al telefonino ma le scrivo, le medito, le revisiono con autocritica. E dopo le comunico. Ma andiamo al pratico. Avete mai cercato di capire cosa dicono al telefono quelli che in macchina, in spiaggia, per strada o al ristorante hanno sempre il telefonino in mano? Io si, ho ascoltato, forse ho spiato ma ne è valsa la pena. Non dicono assolutamente nulla, parlano di argomenti privi di logica, avulsi dal vita reale produttiva o affettiva. Gli argomenti sono sempre sovrapponibili e, nella maggioranza, si riferiscono ad altri. In altre parole fanno Gossip. E sapete cosa significa Gossip? È semplicemente sinonimo di pettegolezzo e maldicenza. E allora possiamo dire “tanto telefonino, poche idee”. E attenzione, meno idee si hanno in testa e meno si è disposti a cambiarle. Potremmo chiamare questa espressione “l’equazione dell’ignorante”. Che tristezza.

C’era una volta il night. Una proposta

“Musica” deriva dal greco antico e significa “arte delle muse”. L’arte di organizzare suoni e rumori nel corso del tempo secondo determinati schemi, utilizzando strumenti musicali e voce. La musica fa bene al nostro umore, al nostro equilibrio, alla nostra tranquillità. Ci porta a riflettere, a sognare, a capire. Riesce ad allontanarci dalla realtà per vivere attimi di poesia. Storie, leggende, cose antiche e attuali per chi ha memoria. Piano bar o night? Più o meno erano la stessa cosa. L’ambiente del night era di media classe o alta classe. Scarpe lucide e papillon, d’inverno ovviamente. D’estate, nelle località di mare, vestito bianco o bermuda. Un classico per farsi notare. Luci soffuse, suoni caldi e, soprattutto, canzoni e musiche esclusive, appunto da “night”. I re di questi luoghi erano nomi sconosciuti ai giovani: Bruno Martino, Fred Bongusto, Peppino di Capri e poi la grande Mina e altri nomi ancora che riempierebbero la pagina per chi ha memoria e per chi non l’ha mai avuta. Il panorama della musica ci ha regalato un patrimonio enorme di canzoni, che potrebbe alimentare le nostre orecchie per anni e anni. Parole d’amore che ci toccavano e ci toccano con le dichiarazioni più belle della storia. Abbiamo ascoltato, riascoltato, letto, riletto, abbiamo scritto e cancellato, pensato e ripensato, fino ad arrivare ai nostri giorni dove tutto sembra “vecchio”. Ma abbiamo mai pensato di far vivere qualcosa di “vecchio” nelle nostre Isole? Fin oggi non mi pare. Potrebbe pensarci qualcuno, recuperando quel tipo di turista che ha ancora in mente le parole dell’”Estate” di Bruno Martino o la “Rotonda sul Mare” di Bongusto. Queste musiche non si ascoltavano con le orecchie ma col cuore e con la fantasia dei sentimenti. Basterebbe poco per far rivivere tanta magia.

D-Day, 6 giugno 1944 W la libertà

Abbiamo appena finito di celebrare la Festa della Repubblica del 2 giugno ’46 per rievocare, dopo appena quattro giorni, il giorno che ci ha dato il dono di essere “Repubblica”. E’ infatti il 6 giugno 1944 che milioni di uomini, non certo europei ma provenienti da Stati Americani e Inghilterra, hanno ceduto la vita per salvarci dalla dittatura Hitleriana e Fascista sbarcando sulle coste della Normandia. Lo sbarco, su quella terra ostaggio delle malefiche truppe tedesche, è la storia della nostra libertà. Tra retorica e memoria dopo settant’anni ricordiamo il D-Day. “Il giorno più lungo” della seconda guerra mondiale che cambiò il destino dell’Europa aprendo le porte ad una lunga era di pace e prosperità nel solco del modello americano. Lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944, evento celebrato con solenni cerimonie dai leader più importanti del mondo da Trump a Putin, fu un passaggio fondamentale della Seconda Guerra Mondiale, la svolta che indebolì la Germania di Hitler costretta a difendersi su più fronti. Le operazioni belliche furono guidate dal generale Eisenhower, americano, e dal britannico Montgomery. Fortunatamente, per Hitler fu una sorpresa. Le manovre cominciarono alla mezzanotte fra il 5 e 6 giugno con massicci lanci di paracadutisti dietro le linee nemiche. Impressionanti i numeri dell'operazione, una forza d'urto che fu impossibile fronteggiare per i tedeschi. Oltre 1.200 navi da guerra, 800 navi da cargo piene di truppe e veicoli, e più di 4.000 mezzi da sbarco con oltre 150.000 soldati. Il tributo di sangue fu altissimo per gli Alleati, come per i tedeschi, ma il coraggio profuso da oltre oceano costrinse la Germania di Hitler sulla via della resa. Da allora più di settant’anni di pace ci han permesso di vivere un lusso che le generazioni attuali non comprendono. Non è il caso rievocare il fantasma del fascismo, questo sicuramente non esiste perché ne mancano le condizioni, ma vanno conosciuti e memorizzati i fatti perché nessuno abbia a dire “non lo sapevo”.

E il sogno italiano si infranse nel Polo

E’ il 15 aprile 1928 quando il Generale Umberto Nobile, con nove componenti di equipaggio, parte col Dirigibile «Italia» alla volta del Polo Nord. Alle 0.20 del 24 maggio il dirigibile è già sul pack ghiacciato del Polo, e Nobile è orgoglioso dell’impresa che aveva voluto con forza. Era il genio dell’Italia «rinata» che appariva sul Polo con tutta la sua tenacia. Per due ore l’aeronave sorvola il polo e a bordo si è pronti per la discesa, ma tutto è rinviato di momento in momento per le cattive condizioni atmosferiche. Improvvisamente l’aeronave precipita urtando i ghiacci e scatenando la paura del suoi occupanti: sono le ore 11 del 25 maggio 1928. L’equipaggio formato dal generale Nobile, dal radiotelegrafista Giuseppe Biagi e altri otto esploratori si ritrova a terra, abbandonato a se stesso. Altri sei esploratori rimangono prigionieri di una parte dell’involucro del dirigibile che riprende quota e scompare verso fine ignota. Forse per istinto, ma certamente per miracolo, Giuseppe Biagi si trova catapultato a terra con la cassettina della radio stretta fra le braccia, nella confusa coscienza di stringere un inestimabile tesoro. I superstiti hanno subito la sensazione precisa che la loro sopravvivenza è legata alla “cassettina” di Biagi. Dopo vani tentativi Biagi riesce a stabilire il contatto con la nave Città di Milano. E’ l’8 giugno quando la radio della Regia Nave riceve le flebili onde lanciate dal Polo «Abbiamo ricevuto vostra nota, dateci le coordinate». Il collegamento era ormai stabilito e la salvezza era vicina. Ai soccorsi collaborarono diverse nazioni. La Russia mise a disposizione il rompighiaccio Krassin, Svezia e Norvegia, Germania e Francia, unitamente all’Italia, organizzarono l’invio di viveri e materiali di soccorso con mezzi aerei. La sera del 24 giugno l’aeroplano pilotato dallo svedese Lundborg si avvicina toccando lentamente la distesa di ghiaccio. L’emozionante salvataggio è stato possibile grazie alla minuscola radio a onde corte che il radiotelegrafista Giuseppe Biagi, dopo la caduta, riuscì ingegnosamente a mettere in funzione. Oggi rimane l’ammirazione per questi uomini che, anche a costo di sacrificare la propria esistenza e portandosi senza mezzi sicuri nei posti più ostili della Terra, hanno tentato di carpire e raccontare all’umanità i segreti del Polo. Senza riuscirci.

Giornata Mondiale della Comunicazione

Fu durante la Rivoluzione francese, a fine ‘700, che Claude Chappe inventò il primo sistema di trasmissione a distanza il “Telegrafo ottico a bandiere”. Era questo un sistema a braccia mobili lunghe quattro metri supportate da un asse e assumenti sette posizioni creando un insieme di forme corrispondenti ai segni di un codice predisposto. Il sistema prevedeva una serie di postazioni su alture come colline e torri, costruite a poche decine di chilometri l’una dall’altra tale da consentire ai “telegrafisti”, con l’ausilio di un cannocchiale, di vedere e decodificare i messaggi. Il sistema continuò a sopravvivere fino al 1837 quando l’americano Samuel Morse inventa un sistema telegrafico elettrico e formalizza un codice, il codice Morse, che codifica le lettere dell'alfabeto in sequenze di impulsi di due diverse durate, punti e linee. Il primo telegrafo Morse si ha fra Washington e Baltimora nel 1844. In breve il sistema si diffonde in tutti i continenti formando una fitta rete. In Italia il primo telegrafo è del 1847 fra Pisa e Livorno e il 1° settembre 1851 è inaugurata la prima linea telegrafica del Regno delle due Sicilie fra Caserta e Capua, per estendersi fino alla Sicilia. Nel 1853 è varata la linea telegrafica dello Stato Pontificio fra Roma e Castel Gandolfo. A Lipari il telegrafo elettrico arriva nel 1867 grazie a un “filo sottomarino” che pone in contatto l’Isola con la Sicilia, mentre nel 1882 la stessa Lipari viene connessa con Salina. Sulla rete telegrafica viaggiano ormai messaggi privati e notizie giornalistiche da parte dei corrispondenti, dando il via alle Agenzie di stampa come la Reuters a Parigi e la Stefani a Roma. Nel 1896 Guglielmo Marconi deposita il brevetto della “telegrafia senza fili”, mediante il quale possono stabilirsi comunicazioni transoceaniche senza l’uso di fili sottomarini. Da allora il mondo dell’informazione si è sempre più ingigantito intessendosi fittamente con la vita sociale. Il 17 maggio è stata proclamata Giornata mondiale delle telecomunicazioni e dell’informazione in coincidenza con il 17 maggio 1865, occasione in cui avvenne la stipula della prima Convenzione Telegrafica Internazionale. L’odierna immediatezza della comunicazione è oggi aspetto imprescindibile e consente trasmissioni senza collegamenti fisici, spesso impossibili, dando a più persone di fare informazione e di informarsi al di fuori dei canali canonici come televisione e carta stampata. Obiettivo del “17 maggio” è evidenziare il contributo apportato da Internet e dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni alle società e alle economie, sottolineando la necessità di colmare il divario digitale che sta incidendo un profondo solco nell’acquisizione delle conoscenze.

 

25 aprile, Festa della Liberazione e di un Evento ancora più grande

Il 25 aprile è Festa della Liberazione, ricorrenza importantissima per gli Italiani, ma proprio questo giorno rievoca la nascita di un personaggio che ha dato lustro alla nostra Terra, ancor più di osannati o oscuri personaggi politici, è Guglielmo Marconi nato a Bologna il 25 aprile 1874. E’ a Lui che dobbiamo il mondo moderno, l’evoluzione di tutte le tecnologie elettroniche. Dalla Radio sicuramente, alla telefonia a grande distanza, al telefonino alla televisione e a tutte le “diavolerie elettroniche” che ci circondano e che spesso non percepiamo. “Non vi è distanza sulla Terra che la radio comunicazione non possa superare”, così dichiarò Marconi a proposito delle potenzialità della nascente Telegrafia senza Fili nel 1902. Un pensiero che a oltre un secolo è, e sarà sempre, di attualità. Inventare, cambiare il mondo e soprattutto salvare vite umane: sono tre elementi fondamentali nella vita di Guglielmo Marconi. Per tutta la vita Marconi ha sviluppato la radio per salvare le vite umane e dare beneficio agli uomini che potessero avere notizie delle famiglie da posti lontani. Nei primi tempi la radiotelegrafia senza fili fu impiegata nelle comunicazioni transoceaniche e per soccorso, successivamente la sua evoluzione portò allo sviluppo dei moderni sistemi di radiocomunicazione e radiodiffusione. Per l’inventore italiano la più grande ricompensa era vedere la gratitudine delle persone. Gratifichiamolo oggi, insieme alla “liberazione”.

 

Oggi 16 aprile, Giornata mondiale della voce

Il poter esprimere in modo udibile le proprie idee ha sempre distinto l’essere umano che, con il potente mezzo della parola, ha espresso rabbia, amore e ha creato legami e posto distanze. L’arte vocale affonda radici nell’oratoria delle più antiche civiltà. Nota è l’importanza che ebbe l’arte del parlare nella vita dei Popoli greci e latini dove esistevano veri educatori della voce, così come fanno oggi i logopedisti. La radio prima, la televisione dopo e internet con skype, ci hanno portato all’uso sempre più frequente del mezzo vocale, incrementando le patologie della voce. Queste interessano, prevalentemente, chi ‘sforza’ le corde vocali come cantanti, attori, insegnanti e speaker radiotelevisivi. Per sensibilizzare a una voce sana e ad un uso corretto delle corde vocali, il 16 aprile è stata designata Giornata Mondiale della Voce. Per gli esperti la parola chiave è prevenzione, e a tal fine si sono elaborate le seguenti regole: 
-non parlare in fretta e fare pause per riprendere fiato
-bere almeno 1,5-2 litri di acqua al giorno, per idratare le corde vocali
-tenere, negli ambienti di vita, un tasso di umidità di almeno il 40%: l’aria secca non aiuta le pliche (corde) vocali
-non alzare la voce per richiamare l’attenzione, ma usare modi alternativi
-non cercare di superare il rumore ambientale, ed evitare di parlare a lungo in luoghi rumorosi
-per parlare a molte persone è opportuno utilizzare un sistema di amplificazione 
-non chiamare gli altri da lontano, ma avvicinarsi alle persone con cui si vuole comunicare
-evitare di parlare durante un esercizio fisico: non si ha abbastanza fiato per sostenere la voce senza sforzo
E per finire, porre sane abitudini di vita e cioè niente fumo, alcolici con moderazione, alimentazione ricca di frutta e verdura e pasti non troppo abbondanti. Con la ricorrenza del 16 aprile si desidera stimolare l’opinione pubblica sulle alterazioni, anche lievi, della voce e dell’organo fonatorio che possono essere foriere di patologie più complesse. E’ un invito a sottoporsi a uno screening vocale presso i centri di riabilitazione della voce (logopedia) presenti su tutto il nostro paese, Lipari compreso ovviamente.

 

14 – 15 aprile 1912, 107 anni dalla tragedia del Titanic  2° parte

 La notte del 14 aprile il Titanic viaggiava maestosamente e i passeggeri erano nella più grande euforia, fra balli e musica dell’orchestra di bordo. La Compagnia Marconi aveva fornito al Titanic l’equipaggiamento radio più avanzato del momento e gli stessi operatori, Jack Phillips e Harold Bride, si erano formati sotto la scuola di Marconi. Alle 13.50 del 14 aprile al comandante Smith viene consegnato un messaggio della nave Baltic (della stessa White Star) che lo avvisa di enormi banchi di ghiaccio. Alle 21.30 Phillips riceve un nuovo messaggio di allarme dalla nave Masaba, segnalante una immensa estensione di ghiaccio. Phillips, per nulla preoccupato, ringrazia il collega e riprende a trasmettere i costosissimi e futili telegrammi che i ricchi passeggeri gli chiedono di inviare ad amici e parenti. Il comandante Edward Smith non viene per nulla avvertito. Alle 22.55 Cyril Evans, operatore radio del California, una nave della Cunard Line, avverte il Titanic del pericolo: “siamo fermi e circondati dal ghiaccio….”, ma questa volta Phillips replica con un arrogante “taci!”. Evans saluta il collega Phillips e chiude la cabina radio per la notte. All’epoca il collegamento radio era considerato un mezzo cui ricorrere in caso di necessita, e non uno strumento continuamente interattivo con il ponte di comando come avviene oggi. Il comandante Smith, che aveva già sottovalutato il pericolo, é all’oscuro dei messaggi successivi e il Titanic prosegue la sua folle corsa. Solo più tardi Smith viene avvisato dalle vedette della presenza di una enorme massa ghiacciata, l’ordine di indietro tutta è immediato ma inutile. Alle 23.40 l’urto con la montagna di ghiaccio é inevitabile e dopo una serie di scossoni e strisciate che provocano profondi squarci sullo scafo, il Titanic imbarca acqua nei compartimenti stagni. L’equipaggio si rende conto che la nave é in grave pericolo e che i mezzi di salvataggio sono sufficienti per un terzo delle persone. Cinque minuti dopo la mezzanotte, ben venticinque minuti dopo l’impatto, Phillips e Bride ricevono finalmente l’ordine di chiedere aiuto e il CQD (Come Quick Danger) e l’SOS (Saver Our Soul) vengono disperatamente lanciati nello spazio. Fino all’ultimo si tentò di non far sapere che il grande Titanic era in pericolo, una vera follia. Gli operatori del Titanic continuarono a chiedere aiuto fino a che l’acqua non invase la loro stanza di lavoro. La prima a rispondere all’implorante chiamata fu la nave tedesca Frankfurt a oltre 200 miglia dal Titanic. Altre navi raccolsero la disperata invocazione che continuò ad essere lanciata fino alle 2.10 del 15 aprile 1912, quando gli apparati radio del Titanic smisero di trasmettere. Le caldaie stavano ormai per scoppiare e il forte sibilo dovuto alla fuoriuscita del vapore, trasmetteva il suo terrore di morte ai superstiti aggrappati ai rottami della nave e alle poche scialuppe già in mare. Il Carphatia, della concorrente Cunard Line, a 58 miglia, era la nave più vicina e il capitano Rostron diede l’ordine di tutta forza verso il luogo del disastro, ma arrivò sulla scena solo alle prime luci dell’alba. Del Titanic erano rimasti pochi pezzi galleggianti e le scialuppe con 740 disperati. Degli altri 1.618, tanti erano i dispersi e tanti i cadaveri affioranti sull’acqua gelida dell’oceano. Il Carpathia fece rotta su New York dove era atteso da oltre duemila persone. Phillips mori, come tanti altri, per ipotermia Bride mori in Scozia nel 1956. Tutti gli altri ospiti, umili e potenti riuniti ormai in una unica classe, riposano da oltre cento anni nell’assordante silenzio del fondo dell’oceano.

14 – 15 aprile 1912, 107 anni dalla tragedia del Titanic  1° parte 

Nata dall’ottimismo della Belle Epoque, un’epoca che affidava alla tecnologia la soluzione di tutti i problemi dell’umano, il Titanic rappresentava lo stato dell’arte della tecnologia marina. Costruito in un momento in cui i collegamenti transoceanici erano una conquista del desiderio di scoprire il mondo, il Titanic rispondeva alle esigenze della classe opulenta, che pretendeva lusso e comodità, e alla modesta richiesta degli emigranti in cerca di fortuna nel nuovo mondo. Disponeva di tre classi, rispettando rigorosamente le differenze sociali e di denaro. Per andare in America con il Titanic il costo andava dai centomila euro di oggi per la lussuosa suite, ai mille euro per la cuccetta di terza classe. Figlio dell’illuminismo che aveva dato vita allo sviluppo tecnologico del XIX secolo, il Titanic rappresentava la prima dimostrazione di onnipotenza dell’ultimo scorcio del millennio. Le avevano dato un nome che era una promessa di splendore, di potenza e di tanta ingenua arroganza, una gloria che sarebbe durata appena quattro giorni. Per la nuova soluzione tecnica del doppio fondo, e dei sedici compartimenti stagni, avrebbe dovuto garantire la massima sicurezza, tanto che la compagnia non provvide la nave di un numero di scialuppe di salvataggio adeguato al numero di passeggeri trasportati. Orgoglio della compagnia inglese White Star Line, la mattina del 10 aprile 1912 il Titanic lascia Southampton (Inghilterra), per il suo viaggio inaugurale diretto a New York ma, nella notte fra il a 14 e il 15 di aprile, il suo viaggio si interrompe per sempre affondando con 1.618 persone per lo scontro con un iceberg. Su 2358, fra passeggeri ed equipaggio, solo 740 riescono a raggiungere vivi la Terra americana. Cosa è accaduto nella notte del 14-15 aprile 1912? Come spesso accade la verità è ben diversa dalla fiction, ma è anche difficile da ricostruire con le memorie limitate che si sono tramandate. I mari, già allora, erano solcati da navi prestigiose e la White Star Line disponeva di un grande numero di navi veloci e confortevoli. Il Titanic avrebbe dovuto rappresentare l’ammiraglia della flotta. Per il suo primo viaggio il Titanic era stato affidato al comandante Edward Smith, vecchio lupo di mare e prossimo ad andare in pensione. Per dimostrare le grandi capacita di questa perla del mare, Smith la lancia alla massima velocita possibile, nel tentativo di battere tutti i precedenti traguardi e approdare a New York con 24 ore di anticipo. Ciò avrebbe imposto la supremazia sulla compagnia rivale, la Cunard Line, che deteneva il record dei collegamenti con il Nuovo Mondo.

“Finisce l’isola dei famosi e comincia il Grande fratello"

poi chiediamoci perché siamo il popolo più ignorante d’Europa”. L’espressione è di Piero Angela, grande divulgatore televisivo, e mi ha suggerito di buttar giù queste righe. E pensare che molti italiani non sanno nemmeno da dove derivi il nome del programma, Grande Fratello! Solo qualcuno sa del romanzo di George Orwell dal titolo 1984, scritto nel 1949 e che profetizza il controllo di tutto e di tutti sulla Terra attraverso un grande e unico Stato onnipotente e onnipresente. Naturalmente, secondo la fantasia, la tecnologia fa la sua parte e si organizza con mega sistemi di osservazione e controllo. Forse tutto questo si è poi e in parte concretizzato, ma con modalità differenti e sicuramente con maggiori spazi di libertà di quanto non aveva profetizzato Orwell. La televisione dovrebbe ospitare solo soggetti che hanno da insegnare qualcosa, e non spettacolarizzare l’idiozia. Probabilmente la gente vuole liberare la mente con programmi del genere, perché pensare troppo sembra quasi una malattia. E’ da 18 anni che questa trasmissione, il Grande Fratello, viene riproposta e ha un seguito di milioni di spettatori, ma quali? Gente che spera di assistere ad espressioni e atteggiamenti da sottosviluppati. Si può ipotizzare che il potere tema l’intelligenza e preferisca far rifugiare la massa nel nirvana. Le persone sono richiamate dai conflitti, dal superficiale e dal gratuito, dove non bisogna pensare ma basta seguire le avventure prive di senso logico. La maggior parte della gente che partecipa a questi reality, nella vita comune non ha molto da offrire agli altri. Al Grande Fratello partecipa gente che, forse, non ha mai letto un libro. Il mio vecchio pensiero “la massa è scarsa” trova qui la sua migliore applicazione.

 

Il Laser, un’invenzione con tanti padri e tre Nobel

Le invenzioni insignite quest’anno a Stoccolma del premio Nobel riguardano le applicazioni della radiazione Laser. Tre i premiati, tre fisici, rispettivamente un americano, un francese e una canadese. Sono Arthur Ashkin, Gerard Mourou e Donna Strickland. Sono loro che hanno aperto la ricerca alle possibili applicazioni del laser in moltissimi settori, dalla medicina alle comunicazioni. Ma cos’è il Laser? Laser è l’acronimo di “light amplification by stimulated emission of radiation” e cioè un dispositivo capace di creare fasci intensi ed estremamente concentrati di radiazioni elettromagnetiche. Alla base delle applicazioni dei laser sono le singolari proprietà della luce emessa, che la differenziano dalla luce emessa da qualsiasi altro tipo di sorgente. Tali proprietà sono: l’elevatissima monocromaticità della luce prodotta e il perfetto parallelismo dei fasci emessi e focalizzabili su aree microscopiche, anche su lunghissimi percorsi. Ad esempio utilizzando un fascio laser come portante di segnali modulati, come suoni e immagini, è possibile realizzare sistemi di telecomunicazione con una grandissima capacità d’informazione, migliaia di volte maggiore di quella dei sistemi a radio-microonde. E’ proprio grazie ai fasci modulati di luce laser che le fibre ottiche possono trasportare milioni di informazioni contemporaneamente. Ma l’implementazione più significativa del laser si ha in medicina. Le proprietà fototermiche di questo apparente semplice fascio luminoso consentono un uso mirato in chirurgia; l’alta temperatura del raggio causa infatti l’immediata coagulazione dei tessuti su cui viene puntato, consentendo una rapida coagulazione dei vasi sanguigni con minime perdite ematiche. La terapia fotomeccanica del raggio laser è utilizzata in chirurgia oftalmica, dove la rottura meccanica del tessuto biologico a seguito del puntamento di un potente impulso laser è utilizzata per la resezione o perforazione dei tessuti bersaglio, salvaguardando l’integrità di tessuti lontani. I ricercatori “Nobel” citati si sono distinti per le applicazioni di questa potentissima e straordinaria “luce”, ma chi è l’inventore del Laser? Come spesso accade i padri sono tanti e quella che sovente viene definita una scoperta o un’invenzione deve la paternità a un insieme di piccole invenzioni, piccoli contributi che in sinergia hanno contribuito al risultato finale. Nel 1960 Maiman diede vita al vero primo laser a Malibù in California, nel 1963 Patel nei Bell Laboratories del New Jersey mise a punto un laser ad anidride carbonica ed è del 1971 la nascita del diodo laser sempre nei Bell Laboratories americani ed ancor oggi utilizzato. Ma il fatto più curioso è che dobbiamo ad Albert Einstein l’aver disegnato nel lontano 1917 le basi teoriche della radiazione laser grazie ad una rivisitazione delle leggi sulle onde elettromagnetiche studiate da Max Planck pochi anni prima in Germania.

SI TELEGRAFAVA DA MONTE SANT’ANGELO 

Dobbiamo alla Rivoluzione francese l’invenzione dei primi sistemi di trasmissione a distanza. Questa voleva unificare la Francia sulla scorta del motto "Unitè, libertè, egalitè, fraternitè” imponendo, tra l’altro, l’impiego di un’unica moneta per facilitare gli scambi economico-commerciali. Mancava però un mezzo di comunicazione veloce con cui scambiare informazioni tra i vari potentati francesi. Il “Telegrafo ottico a bandiere” realizzato da Claude Chappe (Brulon 1763-Parigi 1805) supplì a questa necessità e, superando le distanze con le aree lontane dal centro di potere, contribuì a unificare il Territorio Francese. Il telegrafo ottico era costituito da due braccia mobili lunghe quattro metri e collegate ad un asse supportante. Ogni braccio poteva assumere sette posizioni creando un insieme di forme corrispondenti ai segni di un codice predisposto. Il sistema prevedeva una serie di postazioni su alture come colline e torri, costruite a poche decine di chilometri l’una dall’altra tale da consentire ai “telegrafisti”, con l’ausilio di un cannocchiale, di vedere e decodificare i messaggi. Chappe nel maggio 1792 presentò all’Assemblea Legislativa francese l’invenzione del telegrafo ottico e, appena due anni dopo, questa decise di costruire la prima linea di comunicazione tra Parigi e la città di Lilla, al confine belga. In pochi mesi furono realizzate 24 stazioni che collegavano Lilla con Parigi, una distanza di oltre 250 chilometri lungo la quale si potevano inviare messaggi di dieci parole in pochi minuti. Un vero avanzamento sociale se si pensa che fino ad allora la massima velocità possibile era quella del cavallo, come al tempo dell’impero romano. Oggi il telegrafo ottico è dimenticato e pochi sanno che sia esistito, ma sono rimaste le “alture” su cui era posto. Molte di queste hanno accolto i moderni sistemi di comunicazione come le antenne telefoniche, le antenne radio televisive e i ponti radio di trasferimento con antenne paraboloidi. Sicuramente pochissimi saprebbero dare risposte sul ruolo importante che hanno avuto questi sistemi di comunicazione del passato. La Galleria Telegrafo che collega il Paese di Villafranca con Messina attraversa il “Monte Telegrafo” mediante il quale si comunicava con la Terra Calabra. A Lipari l’altura per eccellenza era Monte Sant’Angelo dove, fino alla metà del 1800, erano visibili i resti del telegrafo ottico con la Sicilia. Il Bollettino del CAI, Club Alpino Italiano, n°22 del 1874 così recita “sull’orlo del cratere spento del Monte Sant’Angelo erano ancora presenti nel 1874 le rovine del telegrafo aereo che corrispondeva con la Sicilia”.

Le Veline, dal Ventennio a Striscia la notizia

“Non si deve dire camion ma autocarro” “Non parlare di omicidi ma di incidenti”
Negli anni trenta la stampa italiana è sorvegliata dal Minculpop, Ministero per la cultura popolare, diretto da Galeazzo Ciano, uomo fedelissimo e genero del Duce. Gli ordini alla stampa, detti anche "disposizioni" o “veline”, si moltiplicano fino ad essere emanati più volte al giorno e rappresentano un'Italia come il regime fascista avrebbe voluto che fosse e che apparisse. Chiamate “veline” perché riprodotte con la tecnica del ciclostile con carta carbone e su sottilissima carta riso, giusto “veline”. Le veline riportavano ciò che doveva essere pubblicato e ciò che doveva essere ignorato. Non siamo ancora nell’era della manipolazione dell’informazione e delle fake news odierne. Siamo nella preistoria quando, tacitato il consenso, radio e stampa dovevano contribuire in sinergia a promuovere la politica fascista presentandola alle masse “allegra e sorridente” senza mai parlare di risse o omicidi, ma di piccoli incidenti. E, naturalmente, in perfetta lingua italiana e ignorando qualunque neologismo straniero. “Non si deve dire camion ma autocarro”. La stampa del Ventennio ha quindi il bavaglio di cui si libererà solo dopo l’armistizio dell’otto settembre ’43.

E Striscia la Notizia che c’entra? semplicissimo. Nelle prime edizioni del programma le ragazze, chiamate poi veline, portavano ai conduttori delle “cartuzze” con le ultime news. Naturalmente niente da dire o da omettere come le veline narrate, anzi le cartuzze non erano nemmeno scritte ma facevano tanta scena giornalistica. In una delle prime puntate Ezio Greggio, presentatore di “Striscia” fin dall’esordio della trasmissione, ebbe a dire “arrivano le veline”, forse nei suoi pensieri c’erano le veline fasciste ma, chiaramente, non proferì verbo. E Veline fù. Sfatiamo quindi il fatto che le ragazze che si alternano al programma di Mediaset sono magre o hanno il lato B trasparente, molto semplicemente facevano (e fanno) spettacolo per dare alla trasmissione l’imprimatur di un pseudo notiziario, ovviamente satirico.

“Aboliamo la Storia dell’arte”… tanto c’è Facebook

«Anche io abolirei la Storia dell’Arte. Al liceo era una pena». Queste parole, pronunciate in maniera scherzosa (forse) dal Ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, negli Uffici liguri di Belle Arti stanno facendo il giro dei media. Certo la Storia dell’Arte non è come progettare una macchina da corsa e nemmeno come fare gli spaghetti all’amatriciana, è solo per conoscere “l’animo e le idee” di chi ci ha preceduto. Cose da poco, una noia o “una pena” appunto. O no? Sarebbe come dire se val la pena sapere o se è meglio non sapere… sempre parlando di Storia dell’Arte. Ma a questo punto abolirei anche la Storia e la Geografia. Per la Matematica e la Fisica ci sto pensando. Chiaramente la Storia dell’Arte non è tutto lo scibile ma è un tassello come altri per avvicinarsi al sapere. Pensare di poter fare a meno di sapere significa essere convinti di sapere senza, in realtà, saper nulla. Credo si debba essere convinti di non sapere per poter sentire lo stimolo ad acquisire conoscenza. Quanto più già si conosce, tanto più bisogna ancora apprendere. Col sapere cresce nello stesso grado il non-sapere o, meglio, la contezza del non-sapere. Scusate il giro di parole, ma tanto il Ministro non sa lo stesso e forse questa è la vera “pena”.

 

DROGATI DI PRIMO MATTINO 

Ci affanniamo a scovare chi vende droga ma non pensiamo mai chi è il consumatore di questi veleni. E’ mia opinione che tanti “drogati” si vedano per strada già alle prime ore del mattino. Non è normale che chi, in macchina, arriva allo stop freni all’ultimo memento e a pochi centimetri da te, o che sorpassi in curva quando non vedi nulla di ciò che puoi trovare davanti a te dopo la curva, e così via.

Non sono soggetti spiritosi o virtuosi della guida ma semplicemente dei fuori di testa. Forse è un pensiero azzardato, ma quanto descritto non verrebbe fatto da un “cervello” sereno e rispettoso della propria vita, oltre che di quella degli altri. E allora sono drogati? Per me si. Ripeto, è un giudizio azzardato ma ne sono convinto. Sembra che il nostro paese si collochi in Europa fra i maggiori consumatori di droghe.

Secondo i dati pubblicati dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) a predominare è il consumo di cannabis, consumata da 22 % delle persone, e di questi la maggior parte sono giovani sotto i 35 anni. Non siamo invece grandi consumatori di Ecstasy e Amfetamine, ma questo non ci fa certo onore. La droga non gira solo per strada, centinaia di siti web la propongono alla stregua di supermercati. La polizia informatica è sempre al lavoro per rimuovere gli annunci ma, chiaramente, ciò che si deve rimuovere è la deviazione mentale che porta i drogati a fare l’acquisto di tale sostanza.

La spesa per il consumo di sostanze stupefacenti sul territorio nazionale è stimata in 14,2 miliardi di euro. Per contro, secondo la Società degli Autori ed Editori, non si spendono più di due miliardi per l’acquisto di libri. Probabilmente delle forti campagne di informazione sociale potrebbero modificare questi numeri.

---La difesa della Razza, una vergogna nata nell’agosto 1938
Il 3 maggio 1938 Hitler arriva in Italia con gran parte dell’establishment nazista in visita ufficiale. E’ un passaggio fondamentale nella storia dell’alleanza tra la Germania nazista e l’Italia fascista e tra il Fuhrer e Mussolini e non è un caso che il 5 agosto dello stesso anno è pubblicato il primo numero della rivista “La difesa della Razza”, diretta dal fedelissimo Teresio Interlandi, affiancato dal giovane Giorgio Almirante. Una rivista dal nome infame che promette, o “minaccia”, sulla seconda di copertina che verrà edita il 5 e il 20 di ogni mese. Un indottrinamento assurdo, privo del più semplice supporto scientifico e denso di falsi e triti concetti pseudo biologici espressi da docenti universitari che, per convinzione o per convenienza, assecondavano i voleri di due ignoranti soli al comando. Tutto era iniziato molto tempo prima, quando con la Marcia su Roma Mussolini aveva conquistato il potere e Hitler era ancora un agitatore politico nella Germania di Weimar. Durante i giorni in Italia Hitler assiste a parate militari e manovre navali di eserciti “inesistenti”. Quando torna in Germania i destini dei due Paesi e dei due dittatori saranno, purtroppo, irrimediabilmente legati. E’ interessante notare che l'Osservatore Romano non fece cenno alla visita, e all'arrivo del dittatore tedesco Pio XI partì per un "soggiorno" a Castelgandolfo dopo aver chiuso l'accesso alla Basilica di San Pietro. Era nato, nell’agosto 1938, anche in Italia l’antisemitismo e la successiva caccia all’ebreo. Mira della pubblicazione “La difesa della Razza” era legittimare la discriminazione razziale contro i neri delle colonie africane e gli ebrei italiani. Si sottolineava il concetto di “razza italica” attraverso la costruzione di una sorta di identità storica basata sul presunto legame con gli antichi romani e le loro virtù, di cui i nuovi italiani fascistizzati erano presentati come gli eredi spirituali. Chiaramente gli “ebrei non appartengono alla razza italiana”, e dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul “Sacro Suolo italico” non è rimasto nulla. Peraltro tutti questi popoli erano di presunta razza inferiore, incapaci di lasciar traccia sulla nostra razza “pura”. Anche l’occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all’infuori del ricordo di qualche nome. Per fortuna a noi siciliani ci salva quanto scritto in un pezzo edito sul n° 20 della Difesa della Razza del 20 agosto 1940 dal titolo “Omogeneità razziale del popolo siciliano” a firma di Vittorio Cavallaro. L’autore dichiara che la Sicilia, a fronte delle tante dominazioni come la Normanna, la Sveva, la Spagnola, ha saputo preservare le nobili virtù della sua razza sicula. Grazie a Dio noi Siciliani siamo stati salvati! Dopo ottant’anni non possiamo che vergognarci di questi due uomini, Hitler e Mussolini, “soli al comando”.

GLI UOMINI CUI L’ODIERNA CIVILTA’ DEVE TANTO

Tanti sono i nomi di persone dimenticate o di cui non abbiamo sentito parlare. Oggi, 29 agosto, ricorre la scoperta da parte di Michael Faraday, fisico britannico, dell’induzione elettromagnetica. Faraday, figlio di un fabbro, a 14 anni entra come apprendista rilegatore presso un libraio di Blandford Street, vicino Londra. Qui nascerà l’amore del giovane per la lettura, e la passione per la scienza che persegue grazie allo studio della voce "Electricity" dell’Encyclopaedia Britannica. Un fenomeno, quello di Faraday, scoperto il 29 agosto 1831, con cui conviviamo da quasi due secoli e che è alla base del funzionamento delle centrali elettriche, della dinamo dell’alternatore della nostra auto e di tutto, proprio tutto, l’universo elettrico in cui siamo immersi. Una spiegazione semplificata dell’induzione elettromagnetica è che un magnete che passa attraverso una bobina di filo “produce elettricità”, e una corrente elettrica che passa attraverso una bobina produce un “campo magnetico”. Questi processi sono ciò che rende possibili tutti i dispositivi elettrici. Senza il lavoro di Faraday tante altre ingegnose invenzioni non sarebbero mai avvenute. La storia avrebbe avuto un altro corso. Certo oltre a Faraday si dovranno celebrare tanti altri ancora, ma è proprio quello che continuerò a fare attraverso queste pagine.

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