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Categoria: Giudiziaria

fmiccicheIl Gip di Trapani ha archiviato, su richiesta della Procura, il procedimento a carico dei giornalisti Gianfranco Criscenti e Giuseppe Pipitone e del sacerdote Antonino Treppiedi, scaturito da denunce presentate dall'ex vescovo di Trapani, Francesco Miccichè, per calunnia e per una serie di diffamazioni a mezzo stampa.

Il prelato aveva accusato i giornalisti ed il sacerdote di aver ordito un complotto nei suoi confronti. Nell'ottobre del 2010, il quindicinale "L'Isola" aveva pubblicato un'inchiesta giornalistica denunciando l'ammanco di un milione di euro dalle casse della Curia. Le indagini, durate sette anni, hanno accertato che non c'è stato alcun complotto. Nella richiesta di archiviazione, accolta dal Gip, la Procura afferma, tra l'altro, che è stato "evidente l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti" e che, negli articoli è stato "rispettato il limite della continenza, non essendo state adoperate espressioni pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine del legittimo esercizio del diritto di cronaca giudiziaria". A seguito di quell'inchiesta giornalistica, il Vaticano inviò un ispettore nella Curia di Trapani (monsignor Domenico Mogavero) e, successivamente Papa Ratzinger decise di rimuovere Miccichè dall'incarico. Oggi Miccichè è indagato dalla Procura di Trapani per calunnia, appropriazione indebita e malversazione.(blogsicilia.it)

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Ancora guai per monsignor Francesco Micciché, già finito al centro di un'inchiesta della Procura di Trapani che lo vede indagato per appropriazione indebita e malversazione per la distrazione dei fondi dell'8 per mille. Dalle carte è emerso anche che l'alto prelato avrebbe utilizzato "soldi destinati ai bambini autistici e ai piccoli malati oncologici" per "un attico da 210 metri quadri con depandance al centro di Roma", come scrive Repubblica. Si tratta di "ottocentomia euro, sottratti ad un ente morale, la Fondazione Campanile, una delle più portati realtà socio-assistenziali della Sicilia, e utilizzati a fini privati dall'ormai ex vescovo di Trapani". Micciché è stato sollevato dal suo incarico nel 2012 da papa Benedetto XVI quando lo scandalo esplose.

Acquistato nel 2008 dal vescovo di Trapani ad un prezzo decisamente sottostimato per i prezzi del centro di Roma: 760.000 euro più 30.000 di spese notarili, per di più dichiarandone l'utilizzo ai fini di culto (dunque equiparato ad una chiesa) per non pagare l'imposta di registro, l'appartamento è stato intestato alla Curia di Trapani. Come ha confermato ai pm monsignor Alessandro Plotti, inviato dal Vaticano come amministratore apostolico a Trapani dopo la rimozione di Micciché. Quello dell'alto prelato (scomparso qualche tempo fa) è un durissimo atto d'accusa: "Io ho rilevato l'anomalia dell'acquisto di una casa privata intestata alla diocesi con soldi che avrebbero dovuto essere destinati alla cura dei bambini e alle finalità della Fondazione Campanile. Non è accettabile che siano stati buttati via 500.000 euro per l'acquisto di una casa privata a Roma in pieno centro storico sottraendo quella somma alla possibilità di destinarli alla cura di bambini con problemi psichici".

L'ipotesi degli inquirenti è che quell'appartamento, al quarto piano di un antico palazzo nobiliare al numero 50 di via San Nicola da Tolentino a Roma, "rientrasse tra quegli 'investimenti' (altri appartamenti a Palermo, ma anche titoli su conti esteri e polizze assicurative) che Micciché avrebbe realizzato sottraento quasi tre milioni di euro alla Diocesi, dai fondi dell'8 per mille a quelli della Fondazione Campanile".

In una lettera inviata all'ex procuratore Marcello Viola, Micciché si difende così: "Ho scoperto la pericolosità di una mafia ecclesiastica non meno potente, insidiosa e nefasta della mafia che il sistema giudiziario in Italia è impegnato a contrastare".

LA REPLICA DEI LEGALI DEL VESCOVO MICCICHE'

Non tarda ad arrivare la replica dei legali di Monsignor Micciché: "Articolo giornalistico intriso di imprecisioni perniciose e deduzioni capziose finalizzate esclusivamente a gettare ancora discredito sulla figura del Presule, è opportuno fornire all'opinione pubblica i necessari chiarimenti a tutela dell'immagine, del decoro e del prestigio di S.E. Miccichè».

«Premettendo che nessun atto d'indagine è stato notificato a Monsignor Miccichè – continuano i legali monrealesi – per il fantomatico attico di Roma, per cui sorge spontaneo chiedersi quali siano le fonti cui attinge la giornalista Ziniti ( già rinviata per altro a Giudizio per il delitto di diffamazione aggravata in danno dello stesso Miccichè con udienza 8 febbraio 2018 innanzi il Tribunale Penale di Palermo sezione IV) appare piuttosto inconsueto, per non dire impossibile, che ella sia a conoscenza di atti investigativi sconosciuti all'interessato e ai suoi difensori, gli avvocati Mario Caputo, Francesco Troìa e Nicola Nocera. E tuttavia, è doveroso chiarire, con la forza e la sicurezza della verità, i contorni della vicenda dell'immobile di Roma sì appalesando le falsità contenute nell'articolo giornalistico che, lungi dall'essere uno scoop, è piuttosto un boomerang che conoscerà l'iniziativa giudiziaria delle parti coinvolte».

La fondazione Antonio Campanile fu voluta dallo stesso Monsignor Antonio Campanile prima della sua morte causata da un tumore devastante. Il fine di questa fondazione era quello di promuovere iniziative per debellare questo terribile male promuovendo borse di studio e convegni a tema oncologico. La fondazione era dotata di beni immobili che prima dell'arrivo nella diocesi di Trapani di S.E. Miccichè erano stati, in buon parte, alienati dal procuratore di detta fondazione con il placet del Vescovo del tempo. «La fondazione, tuttavia,- dichiarano gli avvocati del prelato – era rimasta inattiva e non era mai stato chiesto il riconoscimento al ministero dell'Interno. Grazie all'impulso, all'energia e alla dedizione di Monsignor Micchichè, veniva richiesto e ottenuto il riconoscimento della Fondazione e al contempo venivano poste in essere attività e iniziative rivolte ad attuare il fine statuario previsto da Monsignor Antonio Campanile. Facevano parte del consiglio di amministrazione il prefetto di Trapani, prima il dottor Sodano e poi il dottor Finazzo, il sindaco di Valderice Tranchida. Con l'apporto di una equipe medica del prestigioso Ospedale San Raffaele di Milano, dell'università di Catania e di Palermo e con il coinvolgimento dell'ASP di Trapani e dell'associazione oncologi italiani, vennero realizzate importanti iniziative congressuali mediche che coinvolsero centinaia di oncologi provenienti da tutta Italia convenuti a Valderice per partecipare a questi convegni nazionali. Al fine di adempiere all'obbligo giuridico e morale di attuare la volontà di Monsignor Campanile veniva istituita, altresì, una borsa di studio per medici che volessero specializzarsi in oncologia presso dei centri di eccellenza. Dopo queste meravigliose esperienze, sfortunatamente a causa dei tassi di interesse ormai eccessivamente esigui, per non dire nulli e dietro parere del professore Mazzarese, Rettore del polo universitario di Trapani, diveniva chiaro che la fondazione non avrebbe potuto mantenere i suoi progetti e, giusta delibera del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Antonio Campanile, fu deciso di sciogliere detta Fondazione. Monsignor Campanile aveva previsto anche questo, ovvero l'estinzione della sua fondazione, e aveva destinato in sede statutaria che il fondo cassa dell'ente, con percentuali diverse, andasse devoluto in parte alle inter parrocchialità della Diocesi, in parte alle missioni e il resto alla Fondazione Auxilium. All'atto dell'estinzione della fondazione Campanile si feceva obbligo alla Fondazione Auxilium, che era stata beneficiaria di parte dei beni dismessi, di continuare a perseguire la volontà iniziale e lo scopo di Monsignor Campanile.

D'altronde, le iniziative di cui sopra gravavano già in parte anche sulla Fondazione Auxilium. Veniva, pertanto, deciso insieme al vicario generale, don Liborio Palmeri e al collegio dei consultori, di comprare un appartamento a Roma per dare ospitalità ai sacerdoti che volessero conseguire un titolo accademico presso una delle università pontificie vaticane, utilizzando i beni provenienti dalla liquidata Fondazione Campanile". Questa la vicenda nei suoi tratti storici raccontata dagli avvocati.

«Quanto al bene in oggetto – dichiarano -, il presunto "attico di 210 metri quadri con depandance al centro di Roma" di cui ciancia la dott.ssa Ziniti, si rappresenta che trattasi di un appartamento di 75mq, che non vi sono dependance, che non è mai stato abitato da Monsignor Miccichè e di cui hanno usufruito, esclusivamente, nel tempo i vari presbiteri per specializzarsi presso le pontificie università in varie discipline teologiche. Riaffermando la totale estraneità ai fatti giornalisticamente contestati, si sottolinea che qualora dovesse incardinarsi un procedimento penale a carico di Mons. Miccichè, Questi, personalmente e tramite i suoi legali, chiarirà ogni aspetto delle fattispecie eventualmente contestate. Sfortunatamente, si assiste ancora una volta alla cosiddetta "spettacolarizzazione dei processi", alla gogna mediatica fondata unicamente su inverosimili scoop giornalistici che tentano, invano, di sostituirsi agli Organi Giurisdizionali della Repubblica, tema per il quale, ultimamente è alta l'attenzione dell'Unione delle Camere Penali che ha avviato un serio dibattito con il Legislatore.

Il fenomeno grave della fuga di notizie e la necessità di maggiore riserbo e della massima discrezione hanno, del resto, costituito il nucleo centrale dell'intervento del procuratore generale Pasquale Ciccolo presso la Corte di Cassazione e del Primo Presidenze Giovanni Canzio durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario cui è seguita la proposta di istituire "significative finestre di controllo" sulle indagini delle Procure. «E' appena il caso di ricordare – commentano Francesco Troia, Mario Caputo e Nicola Nocera – che è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti coperti dal segreto e degli atti non più segreti fino a che non siano concluse le indagini preliminari (art.114 c.p.p.). e che la rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio è un delitto punito con la pena della reclusione fino a 3 anni ai sensi dell'art. 326 c.p. Gli atti di indagine, inoltre, sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa venire a conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari (art. 329 c.p.p.). E nessun atto, in tal senso, è stato portato alla conoscenza di Monsignor Miccichè e dei suoi legali».

«Si ribadisce – concludono gli avvocati – in conclusione, la fabulosità del contenuto giornalistico in oggetto, per il quale è odierna replica, e di cui si chiede formale rettifica, riservandosi, al contempo, in caso contrario di adire le competenti autorità giudiziarie per la tutela del decoro, del prestigio e dell'onore di S.E. Francesco Miccichè, ma soprattutto per affermare la verità dei fatti, altrimenti distorti e mendaci».

----Francesco Miccichè rinviato a giudizio per calunnia aggravata e continuata. Il processo all'ex vescovo di Trapani inizierà il 15 settembre, davanti al giudice Chiara Badalucco. Lo ha deciso il gup di Trapani Emanuele Cersosimo, su richiesta del pm Marco Verzera.

Secondo l'accusa, Miccichè avrebbe accusato di appropriazione indebita e falso don Ninni Treppiedi, ex direttore dell'ufficio amministrativo della Curia, in alcune interviste rilasciate a un settimanale locale. Gli articoli ricostruivano le vicissitudini della Curia trapanese sui presunti ammanchi finanziari riferibili a fondazioni ed enti diocesani, a partire dal novembre 2011.

Stamattina, in udienza, è stato ascoltato Maurizio Macaluso, giornalista e autore degli articoli con le dichiarazioni incriminate che Miccichè gli avrebbe rilasciato. "L'ex vescovo inviava una sorta di memoria su diversi argomenti, io selezionavo ciò che mi interessava", ha detto il giornalista. "I primi due articoli furono sotto forma di intervista, poi iniziò a inviarmi dei memoriali. Ogni articolo veniva spedito a Miccichè prima della pubblicazione in attesa di un suo ok".

Inizialmente, Miccichè era ritenuto parte lesa dalla Procura di Trapani: ora, in un'inchiesta che è l'esatto capovolgimento della tesi iniziale degli inquirenti, è indagato per malversazione aggravata, appropriazione indebita aggravata, calunnia e diffamazione. Fu rimosso dall'incarico nel 2012 da Benedetto XVI, dopo un'ispezione eseguita dal visitatore apostolico Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo.

di Alessandra Ziniti

Del progetto per la riabilitazione dei detenuti non c’è traccia, e neanche della struttura di assistenza ai disabili mentali. Il sostegno della Caritas da 100mila euro all’anno per l’attività delle parrocchie si è perso per strada e il contributo da 70mila al centro di accoglienza per migranti di Badia Grande non arriva ormai da più di dieci anni.

È un fiume di denaro, quasi due milioni di euro provenienti dall’8 per mille destinato negli ultimi tre anni dalla Santa Sede alla diocesi di Trapani, quello che sarebbe finito nelle tasche dell’ex vescovo Francesco Miccichè nei confronti del quale la Procura si appresta a chiudere l’indagine che lo vede accusato di appropriazione indebita, malversazione, diffamazione e calunnia nei confronti del suo ex economo, don Antonino Treppiedi, verso il quale aveva cercato di stornare i sospetti per un misterioso ammanco nelle casse della Curia.

L’ipotesi accusatoria dei pm Di Sciuva, Morra e Tarondo coordinati dal procuratore Marcello Viola, dopo le importanti ammissioni dell’ex direttore della Caritas trapanese Sergio Librizzi (nel frattempo condannato a nove anni di carcere per una brutta storia di ricatti e violenze sessuali ai danni di giovani extracomunitari), ha trovato ampia conferma nei riscontri della Guardia di finanza che, seguendo il fiume di denaro uscito dai conti ufficiali dell’8 per mille della Curia trapanese, è riuscita a ricostruire un groviglio di bonifici, giroconti e false fatture che avrebbero consentito all’alto prelato di impossessarsi di grosse somme che avrebbe investito nell’acquisto di appartamenti e ville, a cominciare da quella mastodontica ( in parte adibita a bed and breakfast) di Monreale nella quale è andato a vivere insieme alla sorella e al cognato dopo la sua rimozione dall’incarico decisa da Papa Francesco in seguito all’apertura dell’indagine nei suoi confronti.

E proprio con Papa Francesco (come dimostrano alcune foto ufficiali e finite agli atti dell’inchiesta) Miccichè ha tentato diverse volte un approccio per chiedere – come raccontano indiscrezioni – un incarico e la cittadinanza vaticana che potrebbe sottrarlo alla giurisdizione italiana.

L’ultimo incontro è di pochi giorni fa, il 9 dicembre, al termine dell’udienza generale del mercoledì quando tutti i vescovi (e nonostante la rimozione dall’incarico, in attesa della conclusione dell’indagine, Miccichè rimane vescovo emerito) senza obbligo di identificazione o di richiesta personale di udienza hanno la possibilità di accedere al pontefice.

Dal Vaticano, però, nessuna risposta alla richiesta dell’alto prelato. Una risposta, invece, è giunta ai pm che avevano fatto richiesta di rogatoria internazionale per sapere se Miccichè fosse intestatario di un conto presso lo Ior dove effettivamente nella disponibilità del vescovo risulta un deposito di circa 400 mila euro, una cifra consistente che – secondo gli inquirenti – non sarebbe compatibile né con il suo stipendio né tanto meno con la sua situazione patrimoniale personale.

Di famiglia estremamente modesta, come avrebbe fatto Miccichè a mettere da parte tanta liquidità e soprattutto a fare tanti investimenti immobiliari (oltre alla villa di Monreale, un’altra a Trabia nel Palermitano, e tre appartamenti a Palermo, uno dei quali di particolare valore nella centralissima via Libertà intestato alla giovanissima nipote)? Grazie ai fondi dell’8 per mille, è l’ipotesi accusatoria forte ora dei riscontri della Guardia di finanza che ha seguito il percorso di bonifici partiti dai conti ufficiali della Curia, passati in parte da due ditte edili che avrebbero emesso false fatture per lavori mai svolti pagando poi mazzette in contanti al vescovo o a suoi presunti prestanome, persone che – nonostante risultino come destinatari di quei soldi – non hanno mai avuto alcun rapporto con la Curia.

A fronte di questo vorticoso giro di denaro, le verifiche dei pm hanno riscontrato come buona parte delle attività che avrebbero dovuto essere attuate con i fondi dell’8 per mille, così come previsto dai rendiconti ufficiali, non siano mai state effettuate. E d’altra parte che questo fosse il meccanismo con il quale Miccichè si sarebbe impossessato dei fondi dell’8 per mille lo ha ammesso nei mesi scorsi anche il sacerdote che per anni è stato suo complice, il direttore della Caritas Sergio Librizzi.

In cambio del silenzio sui suoi “rapporti vietati” con i giovani extracomunitari che obbligava a prestazioni sessuali per una buona parola nell’iter di concessione del permesso di soggiorno, don Librizzi aveva acconsentito a firmare al suo vescovo false attestazioni sull’impiego effettivo dei fondi dell’8 per mille.

Un ulteriore tassello a conferma della solidità dell’impianto accusatorio è arrivato dalla pronuncia della seconda sezione penale della Cassazione che ha confermato il sequestro di opere d’arte, quadri, crocifissi di valore e gioielli per quasi due milioni di euro trovati nella villa del vescovo e provenienti da diverse chiese di Trapani (La Repubblica).

LA REPLICA DEI LEGALI.

Gentile direttore,

In riferimento alle notizie apprese dagli Organi di Stampa e inerenti le vicende processuali che coinvolgono Mons. Miccichè, si preme precisare quanto segue.
Constatiamo con amarezza che ancora una volta la stampa si è sostituita alla giustizia penale, tradendo la propria funzione: l'articolo dell'edizione di Palermo de "La Repubblica" ha attraversato viralmente il Paese rimbalzando tra i media, spacciando per verità assodate sia le ipotesi accusatorie della Procura della Repubblica di Trapani, che ad oggi non ha ancora depositato un avviso di conclusione delle indagini preliminari, sia le più sconcertanti fantasie.
In nessun caso il Vescovo Emerito di Trapani Mons. Miccichè ha richiesto l'intervento del Santo Padre per ottenere la cittadinanza o alcuna forma di asilo per sottrarsi alla giustizia italiana.
Al contrario, Sua Eccellenza, come ha già ampiamente dimostrato agli inquirenti, producendo documenti e testimonianze, quindi suggerendo temi di indagine e di approfondimento, è sempre stato pronto a confrontarsi sui fatti per l'accertamento della verità.
In tal senso, le strabilianti attribuzioni economiche, che lievitano da giornalista a giornalista, e il patrimonio immobiliare, che cresce di settimana in settimana, nonché le milionarie appropriazioni artistiche sono il frutto di un irresponsabile uso di intuizioni investigative, che presto o tardi saranno smentite.
I processi debbono essere celebrati nelle aule di giustizia, dove difesa ed accusa, nel rispetto delle garanzie di legge, possono fornire ai giudici tutti gli elementi necessari per formare un sereno giudizio.
Sfortunatamente si assiste, ancora una volta, alla cosiddetta "spettacolarizzazione dei processi", alla gogna mediatica fondata unicamente su inverosimili scoop giornalistici che tentano, invano, di sostituirsi agli Organi Giurisdizionali della Repubblica, tema per il quale, ultimamente, l'Unione delle Camere Penali ha indetto l'astensione dalle udienze per una settimana per sottolineare la scorrettezza e slealtà della stampa in materia di cronaca giudiziaria.
Avvocato Francesco Troia- Avvocato Mario Bernardo

---Sequestro di beni per tre milioni di euro ai danni dell'ex vescovo di Trapani, Francesco Miccichè. Uomini delle sezioni di pg del corpo Forestale e della Finanza, coordinati dalla Procura del capoluogo, hanno sequestrato arredi sacri e argenteria nell'abitazione di Monreale del prelato e titoli di credito per cifre da capogiro. Miccichè è accusato di appropriazione indebita: si sarebbe appropriato di fondi derivanti dall'8 per mille.

La casa del prelato era già stata "passata al setaccio", lo scorso mese di febbraio. Nei giorni scorsi Micciché è stato protagonista di una "querelle" col vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero. L'ex vescovo di Trapani, infatti, lo ha accusato di diffamazione e violazione del segreto istruttorio e si è rivolto in Vaticano.

La diatriba tra i due nasce nel 2011, quando il vescovo mazarese venne inviato, come "visitatore apostolico", nella Diocesi di Trapani, per indagare su un ammanco di più di un milione di euro relativo alla fusione per incorporazione di due fondazioni: Auxilium e Campanile.

I COMMENTI.

di Giovanni Tauro

Francesco Micciche', Vescovo di Lipari sino al 1998. Nel 2011 a seguito di un'ispezione viene sospeso dall'incarico di Vescovo di Trapani, per un buco di 1 milione di euro, da Papa BenedettoXVI. Da allora si scatena un diluvio di dichiarazioni tramite Web ,sostenuto da molti fedeli liparoti, sia tramite la carta stampata. Il presule cerca una riabilitazione attraverso un'incontro con Papa Francesco, avvenuto in gennaio si difende dalle accuse di un collaboratore si rende protagonista, primo caso nella storia di una querela contro un collega( vescovo di Mazzara) che costringe il nuovo pontefice a nominare un gran giuri' (3 cardinali + 3 vescovi) per dirimere la controversia tra prelati. Come al solito il diavolo o l'acqua santa, son dietro l'angolo, infatti a Monsignor Micciche', in seguito di operazione congiunta finanza e forestale, vengono sequestrati beni per 3 milioni di euro, tra cui una fontana di marmo! Tanti beni provengono, pare siano stati riconosciuti, da Villa Betania in Valderice di proprieta' della fondazione Auxlium, amministrata da tale Teodoro Canepa, cognato del vescovo! Il presule e' stato denunciato per appropriazione indebita e malversazione. Sin qui la cronaca dei fatti, ovviamente spero nell'innocenza dell'Eccellenza, esser ricco non e' reato ma risuonano nella mia mente le parole di altro Francesco:" Come vorrei una chiesa povera per i poveri, ecco perche' ho scelto di chiamarmi Francesco".

di Gianna Sidoti

Che tristezza vedere questa Chiesa che si contorce su sé stessa! La querelle Miccichè-Mogavero seguita dai notiziari quasi alla ricerca di uno scoop.....! La mia personale solidarietà a Francesco Miccichè è pubblica e non ha limiti! Purtroppo credo che l'ennesima persecuzione della cosidetta "giustizia" nei suoi confronti sia la contromossa della sua denuncia al prelato inquisitore...! ! Purtroppo noto un accanimento nei confronti di quest'uomo come se ci sia la decisa volontà di eliminarlo e di denigrarlo ma mi sa, per chi conosce Miccichè e non si fa influenzare dalla stampa, che si ottiene solo il risultato di renderlo un vero eroe paladino di coraggiosa verità! Forza Mons. Miccichè! Il nostro cristianesimo ci porta ad accettare il martirio per amore di Cristo e della verità...!

---L'ex vescovo di Trapani e di Lipari, monsignor Francesco Miccichè, ha denunciato per diffamazione e violazione del segreto istruttorio il vescovo di Mazara del Vallo (Trapani), Domenico Mogavero. Lo rivela il numero di Panorama in edicola da domani, giovedì 16 aprile. Papa Francesco si trova così a dover affrontare un caso senza precedenti, nella storia della Chiesa italiana.

Per chiarire i fatti e per risolvere il contenzioso, il pontefice ora dovrà nominare un collegio giudicante (una sorta di giurì) composto da tre vescovi o cardinali. Mogavero nel 2011 era stato inviato nella diocesi di Trapani come visitatore apostolico per indagare su un buco di oltre 1 milione di euro.

Pochi mesi dopo, il vescovo Miccichè venne rimosso su ordine di Papa Benedetto XVI, in base al dossier redatto da Mogavero. Secondo quanto scrive Panorama, Miccichè, che ha sempre proclamato la sua innocenza e il 26 gennaio è stato ricevuto da Bergoglio, rimprovererebbe Mogavero di non averlo mai ascoltato, ma di averlo anzi diffamato, e in più avrebbe divulgato i contenuti della relazione segreta consegnata al Papa. Nel frattempo anche il vescovo di Mazara si è trovato alle prese con un debito della diocesi che ammonta a quasi 6 milioni di euro.

---di Francesco Miccichè*

Sono trascorsi 26 anni da quel lontano 16 marzo 1989, era una giornata di sole, venivo accolto a Lipari da un popolo in festa. Nelle sette perle del tirreno per 9 anni, su mandato speciale di san Giovanni Paolo II, ho svolto il mio ministero episcopale.
Sono stati anni intensi, bellissimi che mi hanno allenato nel servizio di padre, maestro e pastore.
Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnare tutti a Cristo.
Abbiamo vissuto insieme ai sacerdoti e ai laici che mi hanno collaborato esperienze fantastiche.
Come non ricordare il corso di formazione al socio politico, il grande convegno sui giovani concluso alle cave di pomice con il concerto del gen rosso.
In quegli anni felici ho sperimentato la gioia del donarmi per amore, del servire la causa degli ultimi, del lottare per la giustizia e la verità.
Il ricordo grato si fa oggi preghiera di ringraziamento a Dio per questa esperienza unica, indimenticabile e preziosa.

*Già Vescovo di Lipari

---La prossima settimana sarò, a Dio piacendo, a Lipari. Sono felice dell'invito che mi fai di dare testimanianza, andando con la memoria agli anni indimenticabili del mio servizio pastorale nelle isole Eolie, delle sensazioni e dei ricordi di una esperienza che ha segnato positivamente la mia vita e mi auguro anche la vita di tanti eoliani che ho cercato di servire spendendomi sempre e solo per amore. Sarà mia cura farmi sentire quanto prima. Auguri sinceri e fraterni di una santa e felice Pasqua.

*Già Vescovo di Lipari

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