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Categoria: Notizie

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di Peppino Mirabito

In occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza verso le donne, che si celebra mercoledì 25 novembre, su iniziativa della Parrocchia di San Giuseppe e dell'Associazione SS. Cosma e Damiano di Lipari, si accende di rosso la Chiesetta delle Anime del Purgatorio a Marinacorta.

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INIZIATIVE DEI GRANDI E ANCHE DEI PICCOLI...

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di Isabella Famularo 

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di Emanuel La Greca

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La mamma Silvana Clesceri "sarà il prossimo vignettista del Notiziario..."

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di Tiziana De Luca*

Con le donne del Comune di Lipari e grazie all'intraprendenza di Isabella Famularo

*Assessore

Giornata contro violenza donne: Musumeci, occasione per impegni concreti

«La giornata contro la violenza sulle donne deve essere l'occasione per assumere impegni concreti oltre le rituali petizioni di principio. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, circa il 35 per cento delle donne nel mondo ha subìto violenza. Un dato impressionante che impone, a chi ha responsabilità politiche e di governo, di moltiplicare gli sforzi per contrastare questo odioso fenomeno che potrebbe persino crescere in concomitanza con le necessarie misure di contenimento della pandemia».
Lo dichiara il presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci.
«Il governo regionale – prosegue Musumeci - ha curato con particolare attenzione la nascita di centri antiviolenza e, nei mesi scorsi, ha impegnato le somme per la realizzazione di 13 nuove Case di accoglienza a indirizzo segreto per donne vittime di violenza e dei loro figli minori. A regime, la Sicilia sarà dotata di 52 case-rifugio finanziate con contributi nazionali e regionali, sparse in tutta l'Isola. E’ una battaglia che si vince con azioni concrete, ma anche con un costante impegno culturale». 

IL VIDEO INVIATO DA FABIOLA FAMULARO

di Gaetano Sardella

Con molto anticipo metto in rete il cammino della nostra Parrocchia sino al 5 Marzo festa di San Bartolomeo.
Abbiamo iniziato col ricordo del Transito di Madre Florenzia Profilio ed il 26 Mercoledi delle Ceneri sempre alle 18 a San Pietro con il rito dell'imposizione delle Ceneri. Dal 27 saliremo in Cattedrale secondo il programma. Buon Cammino.

 

Una serie di situazioni molto concrete: schiaffo, tunica, miglio. E soluzioni in sintonia: l’altra guancia, il mantello, due miglia. La semplicità del vangelo! «Gesù parla della vita con le parole proprie della vita» (C. Bobin).
Niente che un bambino non possa capire, nessuna teoria astratta e complicata, ma la proposta di gesti quotidiani, la santità di ogni giorno, che sa di abiti, di strade, di gesti, di polvere. E di rischio. E poi apre feritoie sull’infinito: siate perfetti come il Padre, siate figli del Padre che fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni. Fare ciò che Dio fa, essere come il Padre, qui è tutta l’etica biblica.
E che cosa fa il Padre? Fa sorgere il sole. Mi piace questo Dio solare, luminoso, splendente di vita, il Dio che presiede alla nascita di ogni nostro mattino. Il sole, come Dio, non si merita, si accoglie. E Dio, come il sole, si trasforma in un mistero gaudioso, da godere prima che da capire. Fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni.

Addirittura Gesù inizia dai cattivi, forse perché i loro occhi sono più in debito di luce, più in ansia. Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra. Cristo degli uomini liberi, padroni delle proprie scelte anche davanti al male, capaci di disinnescare la spirale della vendetta e di inventarsi qualcosa, un gesto, una parola, che faccia saltare i piani e che disarmi. Così semplice il suo modo di amare e così rischioso.

E tuttavia il cristianesimo non è una religione di battuti e sottomessi, di umiliati che non reagiscono. Come non lo era Gesù che, colpito, reagisce chiedendo ragione dello schiaffo (Gv 18,22). E lo vediamo indignarsi, e quante volte, per un’ingiustizia, per un bambino scacciato, per il tempio fatto mercato, per il cuore di pietra dei pii e dei devoti. E collocarsi dentro la tradizione profetica dell’ira sacra.

Non passività, non sottomissione debole, quello che Gesù propone è una presa di posizione coraggiosa: tu porgi, fai tu il primo passo, cercando spiegazioni, disarmando la vendetta, ricominciando, rammendando tenacemente il tessuto continuamente lacerato dalla violenza. Credendo all’incredibile: amate i vostri nemici. Gesù intende eliminare il concetto stesso di nemico. «Amatevi, altrimenti vi distruggerete.

È tutto qui il Vangelo» (D.M. Turoldo). Violenza produce violenza, in una catena infinita. Io scelgo di spezzarla. Di non replicare su altri ciò che ho subito, di non far proliferare il male. Ed è così che inizio a liberare me nella storia. Allora siate perfetti come il Padre… non quanto, una misura impossibile che ci schiaccerebbe; ma come il Padre, con il suo stile fatto di tenerezza, di combattiva tenerezza.

La legge “occhio per occhio” era già un progresso enorme rispetto al grido selvaggio di Lamec, figlio di Caino: ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido (Gen 4,23).
Con un altro salto Gesù invita al coraggio del vangelo: tu porgi l’altra guancia.
Tu prendi l’iniziativa, riallaccia tu la relazione, fai il primo passo e perdona, rattoppa coraggiosamente il tessuto della vita, sempre strappato. Ma da disarmato! Mostra che non hai nulla da difendere, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico.
Ed è così che ti liberi.

 

Evitiamo una vita insipida e spenta

Voi siete sale, voi siete luce. Sale che conserva le cose, minima eternità disciolta nel cibo. Luce che accarezza di gioia le cose, ne risveglia colori e bellezza. Tu sei luce. Gesù lo annuncia alla mia anima bambina, a quella parte di me che sa ancora incantarsi, ancora accendersi.
Tu sei sale, non per te stesso ma per la terra. La faccenda è seria, perché essere sale e luce del mondo vuol dire che dalla buona riuscita della mia avventura, umana e spirituale, dipende la qualità del resto del mondo. Come fare per vivere questa responsabilità seria, che è di tutti? Meno parole e più gesti. Che il profeta Isaia elenca, nella prima lettura di domenica: «Spezza il tuo pane», verbo asciutto, concreto, fattivo. «Spezza il tuo pane», e poi è tutto un incalzare di altri gesti: «Introduci in casa, vesti il nudo, non distogliere gli occhi. Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà in fretta».

E senti l’impazienza di Dio, l’impazienza di Adamo, e dell’aurora che sorge e della fame che grida; l’urgenza del corpo dell’uomo che ha dolore e ferite, ha fretta di pane e di salute. La luce viene attraverso il mio pane quando diventa nostro pane, condiviso e non possesso geloso. Il gesto del pane viene prima di tutto: perché sulla terra ci sono creature che hanno così tanta fame che per loro Dio non può che avere la forma di un pane. Guarisci altri e guarirà la tua ferita, prenditi cura di qualcuno e Dio si prenderà cura di te; produci amore e Lui ti fascerà il cuore, quando è ferito. Illumina altri e ti illuminerai, perché chi guarda solo a se stesso non s’illumina mai.

Chi non cerca, anche a tentoni, quel volto che dal buio chiede aiuto, non si accenderà mai. È dalla notte condivisa che sorge il sole di tutti. «Se mi chiudo nel mio io, pur adorno di tutte le virtù, ricco di sale e di luce, e non partecipo all’esistenza degli altri, se non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati, e tuttavia vivo in una situazione di peccato» (G. Vannucci). Ma se il sale perde sapore con che cosa lo si potrà rendere salato? Conosciamo bene il rischio di affondare in una vita insipida e spenta. E accade quando non comunico amore a chi mi incontra, non sono generoso di me, non so voler bene: «non siamo chiamati a fare del bene, ma a voler bene»

Primo impegno vitale. Io sono luce spenta quando non evidenzio bellezza e bontà negli altri, ma mi inebrio dei loro difetti: allora sto spegnendo la fiamma delle cose, sono un cembalo che tintinna (parola di Paolo), un trombone di latta. Quando amo tre verbi oscuri: prendere, salire, comandare; anziché seguire i tre del sale e della luce: dare, scendere, servire.

----Giovanni è stato arrestato, tace la grande voce del Giordano, ma si alza una voce libera sul lago di Galilea. Esce allo scoperto, senza paura, un imprudente giovane rabbi, solo, e va ad affrontare confini, nella meticcia Galilea, crogiolo delle genti, quasi Siria, quasi Libano, regione quasi perduta per la fede. Cominciò a predicare e a dire: convertitevi perché il regno dei cieli è vicino. Siamo davanti al messaggio generativo del Vangelo. La bella notizia non è «convertitevi», la parola nuova e potente sta in quel piccolo termine «è vicino»: il regno è vicino, e non lontano; il cielo è vicino e non perduto; Dio è vicino, è qui, e non al di là delle stelle. C’è polline divino nel mondo. Ci sei immerso. Dio è venuto, forza di vicinanza dei cuori, «forza di coesione degli atomi, forza di attrazione delle costellazioni» (Turoldo).

Cos’è questa passione di vicinanza nuova e antica che corre nel mondo? Altro non è che l’amore, che si esprime in tutta la potenza e varietà del suo fuoco. «L’amore è passione di unirsi all’amato» (Tommaso d’Aquino) passione di vicinanza, passione di comunione immensa: di Dio con l’umanità, di Adamo con Eva, della madre verso il figlio, dell’amico verso l’amico, delle stelle con le altre stelle. Convertitevi allora significa: accorgetevi! Giratevi verso la luce, perché la luce è già qui. La notizia bellissima è questa: Dio è all’opera, qui tra le colline e il lago, per le strade di Cafarnao e di Betsaida, per guarire la tristezza e il disamore del mondo. E ogni strada del mondo è Galilea.

Noi invece camminiamo distratti e calpestiamo tesori, passiamo accanto a gioielli e non ce ne accorgiamo. Il Vangelo di Matteo parla di «regno dei cieli», che è come dire «regno di Dio»: ed è la terra come Dio lo sogna; il progetto di una nuova architettura del mondo e dei rapporti umani; una storia finalmente libera da inganno e da violenza; una luce dentro, una forza che penetra la trama segreta della storia, che circola nelle cose, che non sta ferma, che sospinge verso l’alto, come il lievito, come il seme. La vita che riparte. E Dio dentro.

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli che gettavano le reti in mare. Gesù cammina, ma non vuole farlo da solo, ha bisogno di uomini e anche di donne che gli siano vicini (Luca 8,1-3), che mostrino il volto bello, fiero e luminoso del regno e della sua forza di comunione. E li chiama ad osare, ad essere un po’ folli, come lui. Passa per tutta la Galilea uno che è il guaritore dell’uomo. Passa uno che sa reincantare la vita. E dietro gli vanno uomini e donne senza doti particolari, e dietro gli andiamo anche noi, annunciatori piccoli affinché grande sia solo l’annuncio. Terra nuova, lungo il mare di Galilea. E qui sopra di noi, un cielo nuovo. Quel rabbi mi mette a disposizione un tesoro, di vita e di amore, un tesoro che non inganna, che non delude.

Lo ascolto e sento che la felicità non è una chimera, è possibile, anzi è vicina.

---La scena grandiosa del battesimo di Gesù, con il cielo squarciato, con il volo ad ali aperte dello Spirito sulle acque del Giordano, con la dichiarazione d’amore di Dio, è accaduta anche al mio battesimo e accade ancora a ogni quotidiana ripartenza. La Voce, la sola che suona in mezzo all’anima, ripete a ciascuno: tu sei mio figlio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento. Parole che ardono e bruciano: figlio mio, amore mio, gioia mia. Figlio è la prima parola. Figlio è un termine potente sulla terra, potente per il cuore dell’uomo. E per la fede. Dio genera figli secondo la propria specie, e io e tu, noi tutti abbiamo il cromosoma del genitore nelle nostre cellule, il Dna divino in noi. Amato è la seconda parola.

Prima che tu agisca, prima che tu dica «sì», che tu lo sappia o no, ogni giorno, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è «amato». Di un amore che ti previene, che ti anticipa, che ti avvolge a prescindere da ciò che oggi sarai e farai. Amato, senza se e senza ma. La salvezza deriva dal fatto che Dio mi ama, non dal fatto che io amo lui. E che io sia amato dipende da Dio, non dipende da me! Per fortuna, vorrei dire; o, meglio, per grazia! Ed è questo amore che entra, dilaga, avvolge e trasforma: noi siamo santi perché amati. La terza parola: Mio compiacimento. Termine desueto, inusuale eppure bellissimo, che nel suo nucleo contiene l’idea di piacere. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello con te, figlio mio; tu mi piaci; stare con te mi riempie di gioia.

La potenza del battesimo è detta con il simbolo vasto delle acque che puliscono, dissetano, rinfrescano, guariscono, fanno germogliare i semi; con lo Spirito che, insieme all’acqua, è la prima di tutte le presenze nella Bibbia, in scena già dal secondo versetto della Genesi: «Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». Una danza dello Spirito sulle acque è il primo movimento della storia. Da allora lo Spirito e l’acqua sono legati a ogni genesi, a ogni nascita, a ogni battesimo, a ogni vita che sgorga. Noi pensiamo al rito del battesimo come a qualche goccia d’acqua versata sul capo del bambino.

La realtà è grandiosa: nella sua radice battezzare significa immergere: «Siamo immersi in un oceano d’amore e non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Io sono immerso in Dio e Dio è immerso in me; io nella Sua vita, Lui nella mia vita; «stringimi a te, stringiti in me» Sono dentro Dio, come dentro l’aria che respiro, dentro la luce che mi bacia gli occhi; immerso in una sorgente che non verrà mai meno, inabissato in un grembo vivo che nutre, fa crescere e protegge: battezzato.

----Vangelo immenso, un volo d’aquila che ci impedisce piccoli pensieri, che opera come uno sfondamento verso l’eterno: verso «l’in principio» (in principio era il Verbo) e il «per sempre». E ci assicura che un’onda immensa viene a battere sui promontori della nostra esistenza (e il Verbo si fece carne), che siamo raggiunti da un flusso che ci alimenta, che non verrà mai meno, a cui possiamo sempre attingere, che in gioco nella nostra vita c’è una forza più grande di noi. Che un frammento di Logos, di Verbo, ha messo la sua tenda in ogni carne, qualcosa di Dio è in ogni uomo.

C’è santità e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. E nessuno potrà dire: qui finisce l’uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. «Gesù è il racconto della tenerezza del Padre» (Evangelii gaudium), per questo penso che la traduzione, libera ma vera, dei primi versetti del Vangelo di Giovanni, possa suonare pressappoco così: «In principio era la tenerezza, e la tenerezza era presso Dio, e la tenerezza era Dio… e la tenerezza carne si è fatta e ha messo la sua tenda in mezzo a noi».

Il grande miracolo è che Dio non plasma più l’uomo con polvere del suolo, dall’esterno, come fu in principio, ma si fa lui stesso, teneramente, polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. A quanti l’hanno accolto ha dato il potere… Notiamo la parola: il potere, non solo la possibilità o l’opportunità di diventare figli, ma un potere, una energia, una vitalità, una potenza di umanità capace di sconfinare. «Dio non considera i nostri pensieri, ma prende le nostre speranze e attese, e le porta avanti»

Nella tenerezza era la vita, e la vita era la luce degli uomini. Una cosa enorme: la vita stessa è luce. La vita vista come una grande parabola che racconta Dio; un Vangelo che ci insegna a sorprendere parabole nella vita, a sorprendere perfino nelle pozzanghere della terra il riflesso del cielo. Ci dà la coscienza che noi stessi siamo parabole, icone di Dio. Che chi ha la sapienza del vivere, ha la sapienza di Dio. Chi ha passato anche un’ora soltanto ad ascoltare e ad addossarsi il pianto di una vita è più vicino al mistero di Dio di chi ha letto tutti i libri e sa tutte le parole.

Da Natale, da dove l’infinitamente grande si fa infinitamente piccolo, i cristiani cominciano a contare gli anni, a raccontare la storia. Questo è il nodo vivo del tempo, che segna un prima e un dopo. Attorno ad esso danzano i secoli e tutta la mia vita.

 

---Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce. Troppo diverso quel cugino di Nazaret da ciò che la gente, e lui per primo, si aspettano dal Messia. Dov’è la scure tagliente? E il fuoco per bruciare i corrotti? Il dubbio però non toglie nulla alla grandezza di Giovanni e alla stima che Gesù ha per lui. Perché non esiste una fede che non allevi dei dubbi: io credo e dubito al tempo stesso, e Dio gode che io mi ponga e gli ponga domande. Io credo e non credo, e lui si fida. Sei tu? Ma se anche dovessi aspettare ancora, sappi che io non mi arrendo, continuerò ad attendere.

La risposta di Gesù non è una affermazione assertiva, non pronuncia un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Lui non ha mai indottrinato nessuno. La sua pedagogia consiste nel far nascere in ciascuno risposte libere e coinvolgenti. Infatti dice: guardate, osservate, aprite lo sguardo; ascoltate, fate attenzione, tendete l’orecchio. Rimane la vecchia realtà, eppure nasce qualcosa di nuovo; si fa strada, dentro i vecchi discorsi, una parola ancora inaudita.

Dio crea storia partendo non da una legge, fosse pure la migliore, non da pratiche religiose, ma dall’ascolto del dolore della gente: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono, ritornano uomini pieni, totali. Dio comincia dagli ultimi. È vero, è una questione di germogli. Per qualche cieco guarito, legioni d’altri sono rimasti nella notte. È una questione di lievito, un pizzico nella pasta; eppure quei piccoli segni possono bastare a farci credere che il mondo non è un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della terra con un pacchetto di miracoli.

L’ha fatto con l’Incarnazione, perdendo se stesso in mezzo al dolore dell’uomo, intrecciando il suo respiro con il nostro. E poi ha detto: voi farete miracoli più grandi dei miei. Se vi impastate con i dolenti della terra. Io ho visto uomini e donne compiere miracoli. Molte volte e in molti modi. Li ho visti, e qualche volta ho anche pianto di gioia. La fede è fatta di due cose: di occhi che sanno vedere il sogno di Dio, e di mani operose come quelle del contadino che «aspetta il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). È fatta di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e poi di mani callose che si prendono cura di volti e nomi; lo fanno con fatica, ma «fino a che c’è fatica c’è speranza» (Lorenzo Milani).

Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? No, Giovanni è uno che dice ciò che è, ed è ciò che dice; in lui messaggio e messaggero coincidono. Questo è il solo miracolo di cui la terra ha bisogno, di credenti credibili.

RICEVIAMO DA MICHELE GIACOMANTONIO E PUBBLICHIAMO

Preghiera dei fedeli della III domenica di Avvento

Celebrante. Sulla via dell’Avvento, insieme a Maria troviamo un’altra grande figura Giovanni Battista ed anche lui ci parla di umiltà. Ma la sua è una umiltà diversa. Quella di Maria è vissuta nel silenzio della sua casa e della sua cittadina mentre quella di Giovanni è praticata e predicata alle folle che vanno a farsi battezzare sul Giordano ed è , come dice Marco , “Voce di uno che grida nel deserto”- il deserto spirituale prima che quello geografico -Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Lettore. Ma non è facile seguire Gesù anche per uno come Giovanni abituato a leggere e meditare i profeti e quindi attendeva seguendo Isaia un giudice forte e severo, che avrebbe usato la scure e il fuoco inestinguibile; e invece apprende che Gesù siede a tavola con i peccatori, prova compassione per le folle, sembra annunciare solo la misericordia di Dio...Gli sorge un dubbio e gli manda i suoi discepoli per un chiarimento. E Gesù risponde citando sì il profeta Isaia ma concludendo “Beato chi non si scandalizza di me”, cioè di un Messia mite e disarmato che non vuole usare la forza neanche per liberare i prigionieri. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Il dubbio di Giovanni è spesso la nostra tentazione. Perché non spianare i colli e raddrizzare le strade storte con la forza delle leggi e delle strutture pubbliche di politici amici appellandoci alla fede comune? Perché accogliere tutti anche coloro che non hanno le nostre credenze e le nostre tradizioni col rischio di fare crescere la conflittualità e rendere più difficile la governabilità? Ma siamo sicuri che una Chiesa più libera dal potere e più aperta al dialogo con le altre religiosi ci avvicini al Regno? Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

La nostra vita politica ha preso il vezzo di utilizzare gli strumenti della devozione religiosa per fare propaganda – crocifissi, rosari, persino presunte rivelazioni mariane – dimenticando o non conoscendo quanto il Signore fin dai tempi antichi, parlando attraverso profeti come Osea, ci ha messo in guardia proclamando “ Misericordia voglio non sacrifici”. Cioè, gesti di misericordia, di solidarietà, di accoglienza verso gli ultimi e gli emarginati più che sacrifici e devozioni. Preghiamo insieme dicendo: Rinfranchiamo i nostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina.

Celebrante. Gesù rassicura Giovanni: si è lui l’atteso, il Messia; ma vuole rassicurare anche noi: Giovanni è un profeta, il novello Elia, il più grande fra i nati da donna, eppure nel Regno dei cieli, il più piccolo che si è fatto suo discepolo andando a farsi battezzare da lui, cioè lui Gesù, è più grande di lui e per questo può correggerlo e gli chiede di accettare un Messia mite e misericordioso. Fa o Padre che anche noi lo accogliamo così, mite e misericordioso, facendo la volontà di lui, il nostro Signore Gesù Cristo.

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