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di Michele Giacomantonio

La nascita dei Comuni

I Comuni nascono in Italia e in Europa nell’XI secolo. Sono una forma di governo - di organizzazione e gestione del potere - che supera il feudalesimo cioè il governo dei signori (feudatari) proprietari delle terre concesse loro dall’imperatore o dal re.. I comuni invece nascono collegati al fenomeno dell’urbanesimo ed ai ceti e professioni borghesi che operano nel sistema manifatturiero e commerciale.

I Comuni ebbero origine nell’Italia centro-settentrionale grazie all’ indebolimento dell'autorità imperiale e si comportarono a poco a poco come piccoli Stati indipendenti.

In Italia le prime città che giunsero a governarsi da sole furono le repubbliche marinare che per la loro particolare posizione geografica e per le ampie pos­sibilità di commercio offerte dal mare, riuscirono a sot­trarsi al predominio bizantino o longo­bardo. Ad Amalfi, Pisa, Geno­va e Venezia, la popolazione eleg­geva liberamente i propri governanti.

Il governo comunale era basa­to sulla elettività delle cariche,. I primi rappresentanti delle collettività furono chiamati Boni homines o Consoli.

In principio i comuni si ponevano come poteri provvisori nati per risolvere problemi di un dato momento formati proprio da “uomini buoni” di cui tutti si fidavano. Tutti i cittadini che godevano di diritti urbani (maggiorenni, maschi, in grado di pagare una tassa di ammissione, possedere una casa) si riunivano nel “Parlamento” che era l’organo fondamentale nella vita di un comune. . Ne erano invece esclusi le donne, i poveri, i servi, gli ebrei e i musulmani non convertiti.

I Comuni quando nacquero, siccome toglievano potere all’imperatore, entrarono subito in conflitto con lui. I Comuni italiani, inizialmente, erano tutti nell’Italia centro-settentrionale in territori che dipendevano dall’Imperatore germanico Federico I detto il Barbarossa ed si erano presi il diritto di imporre tributi, battere moneta ed eleggere magistrati, diritti che erano dell’imperatore.

Per difendere questi diritti si riuniscono nella Lega Lombarda con il giuramento di Pontida e sconfiggono l’esercito dell’Imperatore nel 1176 nella Battaglia di Legnano. Così nel 1183 con la pace di Costanza Federico Barbarossa fu costretto a riconoscere i comuni ed i loro diritti.

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Il Palazzo municipale,oggi.

Con l’emanazione delle leggi eversive e la soppressione degli Ordini del 1866, fu intimato ai religiosi e cioè sia ai Frati minori, sia ai Cappuccini - che nel frattempo erano ritornati a Lipari per le rimostranze popolari ed avevano avuto assegnato, fuori della cinta urbana, una vasta area agricola dove nel 1646, avevano iniziato i lavori della costruzione di un nuovo convento - di abbandonare entrambi edifici e terreni. Beni che dal Fondo Culto, su richiesta del sindaco del tempo, nel 1867 furono concessi al Comune di Lipari. Tuttavia i frati rimasero limitando la loro presenza ad una ridotta area mentre il Comune destinò i terreno dato ai Cappuccini alla realizzazione del cimitero cittadino, mentre il convento di Piazza Mazzini, da prima ospitò la scuola elementare pubblica e successivamente, demolito e ricostruito, divenne nel 1912, col trasferimento da via Garibaldi, quello che è l’odierno Palazzo di Città mentre i locali del pianterreno vengono adibiti a scuola tecnica.

Il Carroccio della Lega Lombarda

Negli anni in cui nell’Italia nascono i comuni, Lipari era una realtà disabitata o abitata da un paio di centinaia di persone e sotto il dominio saraceno. Solo intorno al 1082 i Normanni scacciano i mussulmani e decidono di ripopolare le isole affidando il governo ad un gruppo di monaci benedettini capitanati da Ambrogio che diventa l’abate del monastero di S. Bartolomeo.

Il monastero con una piccola chiesa dedicata al Santo, è edificata sulla rocca dove doveva essere esistita prima della distruzione dell’838 già una chiesa bizantina sempre dedicata S.Bartolomeo. Un’altra chiesa, dove se ne conservava il corpo, era sicuramente nell’area dove sorge oggi la chiesa di S.Giuseppe.

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Il Monastero e la chiesa di San Bartolo al tempo dei Normanni

Il chiostro normanno.

Con l’arrivo a Lipari dei Normanni, intorno al 1080, l’abate Ambrogio assume il governo delle isole e per invogliare la gente a venire a Lipari a vivervi, coltivando la terra ed edificando le case, emette il 9 maggio 1095 un documento che si chiama “Constitutum”. In esso si diceva che a tutti coloro che decidevano di stabilirsi a Lipari sarebbe stato assegnato il terreno gratuitamente col solo obbligo di versare al monastero di S. Bartolomeo un decimo dei prodotti dei campi e della pesca. Dopo tre anni di dimora continua ed operosa il terreno diveniva di proprietà del coltivatore e dei suoi eredi col diritto di venderlo agli abitanti del luogo. Con solo un anno di residenza si acquistava il diritto a vendere la casa costruita, la vigna piantata, la cisterna, e altre cose ma non la terra.

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Una copia del Constitutum conservato nell’archivio della Chiesa di Patti.

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Lipari verso il Comune

Ambrogio che, come rivela il nome, potrebbe essere di origine lombarda probabilmente conosce bene i comuni ed infatti ricorre ad uno strumento come il constitutum che è di natura pattizia e non di imperio regale ma rimane sempre un signore feudale che organizza il territorio nominando un visconte, Alberto; un guardiano del Castello a capo degli uomini che si occupano della sicurezza, Giovanni; e un camerario, una specie di tesoriere, che deve raccogliere le decime, Martino.

Con il “Constitutum” abbiamo un territorio, una popolazione stabile, un regolamento che riguarda le terre e i beni immobili, ma non si può ancora palare di Comune anche se è un primo passo in questa direzione. Non si può parlare di nascita del comune perché Lipari e l’arcipelago sono affidati alla signoria di Ambrogio che è un feudatario illuminato ma sempre un feudatario che governa non perché eletto dal popolo ma per volontà di Ruggero il Normanno.

Un’altra immagine del chiostro a fianco alla chiesa di S:Bartolomeo

Un’altra immagine del chiostro a fianco alla chiesa di S.Bartolomeo

Nasce il Comune di Lipari

Per potere parlare a Lipari dell’esistenza del Comune devono passare almeno 150 anni quando, in Sicilia, l’imperatore Federico II, nipote di Federico il Barbarossa, facendo tesoro della esperienza del nonno che aveva dovuto cedere alla Lega lombarda, promuove nei maggiori centri dell’isola, Lipari compresa, un sistema municipale stabile anche se ad autonomia limitata.Una struttura amministrativa di questo tipo risulta, per Lipari, da un atto notarile del 22 maggio del 1246 dove veniamo a conoscenza che a Lipari vi sono tre giudici. Era una struttura però che conviveva col potere del vescovo che nelle Eolie aveva ereditato il potere degli abati benedettini. Infatti questi funzionari venivano nominati dal vescovo.

Nasce il Comune di Lipari

Per potere parlare a Lipari dell’esistenza del Comune devono passare almeno 150 anni quando, in Sicilia, l’imperatore Federico II, nipote di Federico il Barbarossa, facendo tesoro della esperienza del nonno che aveva dovuto cedere alla Lega lombarda, promuove nei maggiori centri dell’isola, Lipari compresa, un sistema municipale stabile anche se ad autonomia limitata.Una struttura amministrativa di questo tipo risulta, per Lipari, da un atto notarile del 22 maggio del 1246 dove veniamo a conoscenza che a Lipari vi sono tre giudici. Era una struttura però che conviveva col potere del vescovo che nelle Eolie aveva ereditato il potere degli abati benedettini. Infatti questi funzionari venivano nominati dal vescovo.

Probabilmente è in questo periodo che nasce lo stemma civico di Lipari che riproduce il Castello con tre torrette allora esistenti ma che oggi non esistono più e l’immagine di S. Bartolo sulla porta del Castello.

Un mosaico che mostra Federico II incoronato re da Gesù

Un mosaico che mostra Federico II incoronato re da Gesù

Lo stemma civico

 

Lo stemma civico

Lo stemma del Comune oltre al Castello con tre torri e l’immagine di San Bartolomeo sulla porta del Castello porta, a partire dal 1497 una corona sul Castello e la scritta “Per troppo fideltà porto corona”. E’ un motto legato al riconoscimento che il re Federico III rivolge ai Liparesi per il valore dimostrato nella difesa del regno di Napoli.

Timbro a secco del Comune di Lipari

Sigillo a secco del Comune di Lipari ... 

Stemma risalente a fine 500 inizio 600

... e lo stemma risalenti a fine 500 /inizio 600

Lo stemma attuale

 

 

 

Lo stemma attuale ...

Il labaro attuale

... e il labaro attuale.

Ancora un centinaio di anni e ai giudici vengono affiancati i giurati così chiamati perché, prima di affrontare il loro incarico, giuravano. Si sceglievano due o tre boni homines (persone per bene) che avevano il compito di controllare la qualità e i prezzi dei generi alimentari, di indagare sulle frodi monetarie, di verificare i prodotti farmaceutici.

Inizialmente i giurati avevano la stessa dignità dei giudici, poi i giudici scompaiono ed il ruolo dei giudici viene preso dai giurati che diventano la vera autorità del comune. I compiti dei giurati passano invece ai catapani che sono una specie di vigili urbani di oggi.

Fin verso la fine del 500 era il vescovo a nominare questi funzionari. Poi giurati e catapani vennero eletti ogni anno, sul finire di agosto, in assemblee formate da nobili e possidenti (circa un decimo della popolazione) e duravano in carica un anno. Al vescovo era riservata la scelta del baiulo, una specie di giudice per le cause civili mentre invece la giustizia criminale era esercitata dal capitano regio o capitano d’arme, o governatore, mentre dal vescovo dipendevano le cause riguardanti il clero e i loro familiari o le cause cosiddette di misto foro ( riguardanti la morale).

Esistevano anche i sindaci ma non avevano il ruolo che hanno oggi, ma erano degli ambasciatori che venivano nominati per rappresentare la città in qualche manifestazione esterna, o presso un’altra città.

Antico Palazzo Vescovile già sede del Municipio

L’antico palazzo vescovile a fianco della Cattedrale, oggi parte del Museo.

Fin dalle origini e fino a tutto il 600 il corpo dirigente municipale occupò in affitto un paio di stanze al pian terreno del Palazzo Vescovile vecchio, quello a destra della cattedrale dove oggi c’è il museo. Il Municipio allora non si chiamava Municipio e nemmeno Comune ma Tocco che derivava dal greco e voleva dire seggio del consiglio. Fu solo all’inizio del 700 che il Comune ebbe una sede propria ma i locali non dovevano essere molto ampi per cui spesso il Consiglio si teneva a Marina corta che allora si chiamava spianata di San Giovanni, o sopra la Civita o nella Cattedrale che allora era più piccola di oggi e con una sola navata.

La prima costruzione che sorge sull’area dove è oggi il Municipio di Lipari è l’aggregato monumentale del Convento dell’Ordine dei Frati minori Cappuccini dal titolo “Immacolata concezione della Beata Vergine Maria” di cui l’inizio della costruzione risale al 1584 e viene completata nel 1599. Nell’arco di pochi anni l’edificio però transita ai religiosi dell’Ordine dei Frati Minori Osservanti perché i Cappuccini furono costretti dai loro superiori ad abbandonare l’isola perché vivevano in contrasto coi principi della regola. Questa infatti prevedeva un tenore di vita spartano e senza entrate economiche se non la pubblica elemosina, mentre i religiosi si dedicarono al piccolo commercio di prodotti locali come uva passa, capperi e tante altre attività legate al mondo agricolo, per sostentarsi. L'atto ufficiale di consegna dei fabbricati ai frati Osservanti di Calabria avvenne il 20 maggio del 1600. Questi ingrandirono, rinnovarono e perfezionarono le strutture con lavori che terminarono intorno alla metà del XVIII secolo.

 

 

 

Il Municipio oggi

Il Palazzo municipale,oggi.

Con l’emanazione delle leggi eversive e la soppressione degli Ordini del 1866, fu intimato ai religiosi e cioè sia ai Frati minori, sia ai Cappuccini - che nel frattempo erano ritornati a Lipari per le rimostranze popolari ed avevano avuto assegnato, fuori della cinta urbana, una vasta area agricola dove nel 1646, avevano iniziato i lavori della costruzione di un nuovo convento - di abbandonare entrambi edifici e terreni. Beni che dal Fondo Culto, su richiesta del sindaco del tempo, nel 1867 furono concessi al Comune di Lipari. Tuttavia i frati rimasero limitando la loro presenza ad una ridotta area mentre il Comune destinò i terreno dato ai Cappuccini alla realizzazione del cimitero cittadino, mentre il convento di Piazza Mazzini, da prima ospitò la scuola elementare pubblica e successivamente, demolito e ricostruito, divenne nel 1912, col trasferimento da via Garibaldi, quello che è l’odierno Palazzo di Città mentre i locali del pianterreno vengono adibiti a scuola tecnica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Grande Missione

Cos’è la “grande Missione” ?

In queste settimane dopo Pasqua fino all’Ascensione che si celebrerà domenica prossima, la Chiesa ci propone nei Vangeli delle domeniche, facendo riferimento soprattutto all’evangelista Giovanni, quella che definirei “la Grande Missione” che il Signore affida ai credenti cioè a tutti quelli che si dichiarano cristiani. Penso che valga la pena riassumere e riproporre i tratti di essa. 

Nello stesso giorno in cui risorge, i Vangeli ci parlano di tre incontri di Gesù, con Maria di Magdala (Gv 20,11-15), con i discepoli di Emmaus ((Luca 24, 13-35) e infine, ancora in Giovanni con tutti gli apostoli meno Tommaso e molti discepoli in una casa a porte chiuse “ per paura dei capi ebrei” (20, 19-23). E proprio quest’ultimo incontro, avvenuto la sera dello stesso giorno della Resurrezione, assume in Giovanni un significato speciale diverso dagli altri. L’incontro con Maria di Magdala è caratterizzato dai sentimenti, quello con i discepoli di Emmaus dalla rilettura della propria  missione terrena alla luce delle Scritture. L’incontro nella casa dalle porte chiuse ha invece un carattere più istituzionale, potremmo dire che è il primo Concilio della nuova Chiesa in cui Gesù lancia la “Grande missione” :  ”Come il Padre ha mandato me anche io mando voi” , parla del perdono dei peccati e soffiando dona la forza dello Spirito Santo.

A chi è rivolta la Grande Missione ? Agli Apostoli cioè ai 12 anzi agli 11 senza Giuda? No, a tutti i discepoli, Giovanni è chiaro in questo: la Grande missione, compresa la remissione dei peccati, è per tutta la comunità. I presbiteri che rappresentano gli Apostoli hanno il compito di guidare la comunità, non di sostituirsi ad essa. 

Il mandato enunciato nel primo giorno della Resurrezione va ulteriormente approfondito e questo avviene grazie alla incredulità di Tommaso. E’ in risposta ai suoi dubbi che Gesù afferma : ” perché hai veduto hai creduto? Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto.

Rispondendo a Tommaso Gesù chiama “beati” quelli che non hanno visto ed hanno creduto. Perché “beati” ? Perché chi pratica un amore che si fa servizio per gli altri incontra in sé una qualità di vita che è la stessa di Dio e quindi può sperimentare la presenza di Cristo vivo e vivificante. Chi crede vede è la sfida che Gesù ci rivolge.

 

 

 

La missione di Pietro

Dopo l’incontro nella casa a porte chiuse dove Gesù lancia la “Grande missione” gli apostoli ed i discepoli che l’avevano seguito a Gerusalemme tornano in Galilea ma più che alla missione promossa da Gesù sembrano dedicarsi a riprendere le ordinarie attività a cominciare dalla pesca su iniziativa di Pietro. Ma senza successo. Forse perché sfortunati ma forse perché non si impegnano con convinzione. Sono disorientati, non sanno abituarsi alla assenza di Gesù. E Gesù viene da loro. È sulla spiaggia al loro ritorno.

Subito i discepoli non riconoscono il Maestro. E’ Giovanni, l’apostolo che Gesù amava, che capisce chi é l’uomo sulla spiaggia e lo dice a Pietro che subito si getta in mare per raggiungerlo. Pietro che più degli altri ha bisogno di rincontrare il Maestro dopo che lo ha rinnegato di fronte ad una cameriera   malgrado Gesù l’avesse definito “la roccia” su cui edificava la sua chiesa.

Su suggerimento di Gesù i discepoli prendono con la barca nuovamente il largo e gettano le reti e queta volta il successo non manca. Possono tornare a riva con le reti stracariche di pesce dove Gesù li aspetta intorno un fuoco acceso col pane ed alcuni pesci ad abbrustolire. Così Gesù è venuto a rincuorarli perché comprende che il loro disorientamento è forte.

Ma non è solo per dare loro conforto che Gesù è venuto sul Lago di Tiberiade, lì dove la loro avventura ha avuto inizio. C’è un’altra ragione ed è Pietro. Gesù sa che può fare sempre conto su di lui ma ha bisogno di un chiarimento. Pietro corrisponde alla fiducia piena e personale che Gesù gli ha dato? Lo ama lui più degli altri? Quanto è grande la sua dedizione? Non è facile per Pietro rispondere, se ripensa al canto del gallo subito dopo il rinnegamento.

Gesù chiede a Pietro se lo ama più degli altri, poi non insiste nel sollecitare un confronto, poi si contenta dell’amicizia. Gesù comprende l’imbarazzo di Pietro dopo quanto è avvenuto e non insiste. Pietro sa che Gesù legge nel suo cuore e si affida a lui e Gesù lo perdona e gli chiede di occuparsi dei nuovi fedeli e cioè di “pascere le sue pecore”.

I contenuti della “grande Missione”

Con questo interrogatorio di Pietro si chiude il Vangelo di Giovanni che non ci parla dell’Ascensione ma nelle  domeniche che prolungano il tempo pasquale fino all’Ascensione, VIII domenica dopo Pasqua, la Chiesa ci ripropone nei Vangeli gli insegnamenti essenziali che il Risorto consegna ai suoi fedeli e su cui fonda la sua Chiesa: insegnamenti che sostanziano la Grande Missione. Essi sono innanzitutto la rivelazione del vero progetto di Dio sull’umanità: tutti siamo chiamati ad essere, per  tramite dl Cristo, una sola cosa col Padre e quindi parte della sua divinità; quindi la consegna di un comandamento nuovo ultimo e definitivo; infine, con l’ascesa al Padre, il dono dello Spirito consolatore e infine la rivelazione sensazionale: ”Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.

Si tratta di brevi richiami tratti dalla conclusione di una discussione di Gesù con la folla di ebrei avvenuta nel portico del tempio di Gerusalemme nella festa della riconsacrazione e dal discorso dell’ultima cena. La prima è una  dichiarazione che racchiude tutta l’esperienza cristiana e qualifica il legame profondo fra il Cristo e coloro che credono in lui e costituiscono la Chiesa.

E’ Gesù stesso che riassume questa relazione con tre verbi: ascoltare, seguire, conoscere.

 “Ascoltare” è molto di più del semplice sentire. Per aver fede n Gesù occorre ascoltarlo creando una comunicazione profonda che giorno dopo giorno da vita alla comunione. Questo tipo di colto caratterizza la fede ebraico-cristiana a partire da Mosé che comunica le disposizioni di Dio sul monte Oreb.

Il secondo verbo dopo l’ascoltare è il “seguire” che vuol dire il conformare la nostra vita alla sua, come lui la conforma al Padre, senza correre avanti o attardarci nelle retrovie perché rischieremmo di smarrirci e di perdere l’appartenenza alla comunità. Ed il terzo verbo è “conoscere”. Una conoscenza dinamica, capace di penetrare nel profondo, da cui nasce l’amore. L’amore fra il Padre e il Figlio che genera l’amore  di Gesù verso di noi e di noi verso Gesù che diventa per ciascuno di noi l’amico e l’amante fedele.

Se noi lo ascoltiamo, lo seguiamo, lo conosciamo e l’amiamo, siamo nella sua mano e nessuno potrà strapparci via. Perché la mano di Gesù Cristo è la mano di Dio. “Io e il Padre – ha detto Gesù – siamo una cosa sola”: cioè letteralmente Gesù afferma “io sono uno con il Padre”. E siccome l’uno nella simbologia biblica è il numero che indica la divinità questa dichiarazione è insopportabile per i farisei. Una bestemmia che merita la morte.

Quella che per i capi religiosi di Israele è una bestemmia, per noi invece è garanzia di vita eterna. Ed è il vero progetto di Dio sull’umanità. Cioè, è volontà di Dio, che ogni creatura diventi suo figlio ed abbia la sua stessa vita divina.


Il comandamento nuovo

Non meno importanti e significative sono le affermazioni tratte dal discorso dell’ultima cena a cominciare da quello che é uno snodo fondamentale perché il comandamento nuovo riassume ed ecclissa tutti gli altri e ci qualifica cristiani. E’ il comandamento dell’amore reciproco.

Il comandamento nuovo ha una premessa ed un contenuto. La premessa è la glorificazione del Figlio e del Padre in lui, il contenuto è l’amore reciproco. Gesù annunzia la glorificazione quando Giuda esce dal cenacolo per andarlo a denunziare al Sinedrio e dare inizio così alla Passione. Nell’amore incondizionato senza limiti, anche nei confronti del nemico, infatti si manifesta la gloria di Dio perché Dio è amore infinito. Queta glorificazione anche se passa per la morte in croce non è una fine ma un inizio, non produce lutto ma gioia, perché grazie alla morte di Gesù si effonde lo Spirito sulla sua comunità.

Il comandamento nuovo non è un nuovo comandamento che sostituisce quelli di Mosé ma li qualifica e li esalta dando vita ad una nuova alleanza fondata non sulla forza della legge ma sulla grazia e la verità. L’amore vero si trasforma in servizio verso gli altri. Da qui il segno della lavanda dei piedi che Gesù ha realizzato nell’ultima cena.

Ed ecco quindi il contenuto del comandamento nuovo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”.  E tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri.

Non esiste altro distintivo per il cristiano e per la comunità cristiana se non l’amore reciproco, un amore che si mette al servizio degli altri, un amore che crea la comunità prima che le leggi e i regolamenti. Si Padre, aiutaci ad amare il nostro prossimo anche se non è amabile, anche se non è credente, anche se ha costumi e tradizioni lontano dalle nostre.

Un altro passo del discorso di Gesù nell’ultima cena annunzia la sua partenza ed avvertendo la  preoccupazione dei discepoli di rimanere privi della sua presenza, li rincuora: “Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore”. Parole che scavalcano i secoli e sembrano rivolte anche a noi in un tempo in cui siamo ogni giorno agiati da mille paure: la guerra, la pandemia, le difficoltà economiche, i problemi sociali. Ed è anche a noi che sono rivolte le sue parole di rassicurazione: non rimarremo soli se sapremo corrispondere al suo amore.

Un nuovo Esodo

Il primo frutto di questo amore è il dono dello Spirito Santo che il Padre manderà nel nome del Figlio col compito di difenderci e di sostenerci. Lo Spirito ci insegnerà ogni cosa, ci ricorderà quello che il Maestro ci ha detto ed anche quello che ha taciuto perché temeva che non le comprendessimo. Lo Spirito trasforma in memoria creativa l’insegnamento di Gesù, riproduce la sua carità, la sua capacità di offrirsi in dono agli altri.

Il dono dello Spirito Santo nasce dal rapporto del Figlio asceso al Padre e ricongiuntosi a lui. Dice Gesù in una dichiarazione sensazionale  : ”Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Ecco l’Emanuele il Dio con noi anzi il Dio in noi. Quindi non c’è più un Tempio dove risiede il Signore ma ogni creatura è il tempio dove Dio si manifesta. Dio diviene intimo all’uomo e si manifesta quando l’uomo sa esprimere la sua umanità. Tanto più l'uomo è umano tanto più manifesta il divino che è in lui.

Con Gesù  Dio ha posto la sua tenda in mezzo a noi. E’ iniziato con Lui un nuovo Esodo, cioè un cammino nuovo di liberazione dove ogni discepolo del Cristo diventa la sua dimora divina. L’uomo aveva sacralizzato Dio chiudendolo nel Tempio e ponendo limiti alla sua accessibilità, Dio ora sacralizza l’uomo e desacralizza tutto quello che prima veniva concepito come sacro.

Il Dio di Gesù chiede dei figli non dei sudditi. E’ un Dio che non diminuisce l’uomo ma lo potenzia e soprattutto non chiede che l’uomo viva per lui, ma che viva di lui e sia con lui e come lui portatore di un’onda crescente di vita e di amore per tutta l’umanità. Questo ti chiediamo Padre che sappiamo farci portatori di questa consapevolezza nella Chiesa e nella società.

                                                                                                             

                

 

 

 

ULTIMORA: Le Suore francescane dell’Immacolata concezione di Lipari avvertono che a seguito di un impedimento improvviso della Madre Superiora Generale a partecipare alle celebrazioni della ricorrenza del 115 anniversario dell’Istituto, i vespri di questa sera a Pirrera sono sospesi mentre invece si svolgerà regolarmente la celebrazione della S.Messa domattina a S.Pietro alle ore 9. 

Le Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari In occasione dei 115 anni di fondazione dell’Istituto invitano tutti a fare comunione di gioia e di festa PARTECIPANDO 31 OTTOBRE 2020 ALLE 17.30 AI PRIMI VESPRI DELLA SOLENNITA’ DI TUTTI I SANTI NELLA CHIESA PARROCCHIALE DI PIRRERA.

Presiederà la celebrazione Mons. Letterio Maiorana. Animerà la liturgia il Coro del Maestro Alessandra La Cava. Al termine avrà luogo l’inaugurazione del quadro su Madre Florenzia, offerto dal Pittore Giunta Francesco alla Parrocchia.

LA CELEBRAZIONE DEI 115 ANNI DI FONDAZIONE AVRA’ LUOGO NELLA CHIESA DI SAN PIETRO L’1 NOVEMBRE 2020 ALLE ORE 9.00
Presiederà la celebrazione Mons. Gaetano Sardella. L’animazione liturgica sarà ad opera del Maestro Alessandra La Cava con il suo coro.

Madre Florenzia ringrazia tutti con la sua intercessione e la sua benedizione materna.

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Lipari, è deceduta la signora Maria Mandarano

 

Lipari - E' deceduta a Messina la signora Maria Mandarano, vedova Balsamo

Aveva 96 anni

Ai familari le condoglianze del Notiziario 

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