La Stampa 2 febbraio 1950.
…Anna Magnani in Vulcano Nell'isola (Vulcano, quando si girava il film Vulcano, l pescatori che approdavano ogni mattina per rifornire la mensa dei cinematografisti chiedevano se si poteva vedere Maddalena.
Unn'è Maddalena? domandavano. Maddalena era il personaggio del film, e il personaggio aveva sopraffatto Anna, una signora bruna che era giunta da Roma con un cane lupo al guinzaglio. A Maddalena, nel film, il destino aveva Imposto quasi la stessa vicenda delle genti dell'arcipelago Eolio, la vicenda delle maree: partire e tornare dai continenti più lontani-, partire per vivere, tornare per morire. E nel perso- nere estetltco ed artistico, e cioè 11 suo sapere in un sol
tempo aderire all'ambiente In cui il dramma si svolge e alle esigenze di una Interpretazione destinata al pubblico di tutto U mondo. Vulcano nacque giorno per giorno, ora per ora, dalla Intesa artistica, veramente istintiva, fra Anna Magnani e Williami Dleterle…
L'operaio italiano quindicinale sindacale 16.10.1950.
La presentazione di Vulcano ai critici della stampa parigina ha dato luogo a diverse riprese a scroscianti applausi a « scena aperta ».
Alla fine della proiezione il pubblico si è levato in piedi e, rivolto alla galleria, dove si trovava la principale interprete del film, Anna Magnani, le ha tributate una calorosa manifestazione di simpatia. Se Anna Magnani può’ essere soddisfatta del suo successo…
Anna Magnani La biografia Di Matilde Hochkofler
“…….Anna arriva alle Eolie martedì 7 giugno. Partita la mattina presto da Milazzo, in Sicilia, con il piroscafo Rizzo, giunge a Lipari alle dieci. Indossa un tailleur a righe bianche e nere e ha i capelli coperti da un fazzoletto bianco e azzurro. Al suo arrivo l’accolgono il sindaco, il comandante della Capitaneria di porto, lo scenografo Mario Chiari e Renzo Avanzo. Le ragazze dell’isola le offrono mazzi di fiori. Sembra stanca per il lungo viaggio, ma si imbarca quasi subito
sulla motobarca Sant’Antonio insieme alla sarta Mimma Olivieri, alla cameriera e all’inseparabile Micia.”
Anna Magnani La biografia Di Matilde Hochkofler:
“”Alla fine delle riprese, il 26 luglio, si festeggia l’onomastico di Anna. Sono presenti il regista, tutti gli attori e molti marinai di Vulcano con le loro mogli. Al suono di un’orchestrina di fisarmoniche
e chitarre fatta venire da Lipari, apre le danze con il marinaio Capitti, padrone della barca a motore che appare di frequente nel film. Alla fine della serata, intono al falò degli addobbi, Anna
improvvisa un ballo accompagnata dal canto cadenzato dei marinai.
Qualche giorno dopo a Lipari si proietta L’onorevole Angelina, per cui ha appena vinto il Nastro d’argento. Riceve anche il premio della giuria al Festival internazionale di Bruxelles per Molti sogni per le strade. Prima di partire dona un milione di lire all’orfanotrofio del paese, dove vivono i figli dei marinai morti in mare””.
“”Alla vista di Vulcano si rianima. Per lei non rappresenta solo un luogo affascinante, ma il set del film che sta per cominciare e insieme l’ultimo avamposto contro Stromboli…
Anna abiterà nella villetta di un emigrato in America. E’ una costruzione semplice tra gigantesche ginestre in fiore e una grande terrazza, in cui viene accolta affettuosamente dalla troupe...””

La livida rappresaglia della polizia fascista. Quel che avvenne a Lipari dopo l’evasione. L’allarme
La assenza, dei tre evasi fu notata quasi subito. Circostanza d'altronde che gli interessati avevano previsto e scontata, ben sapendo che entro le 22 avrebbe avuto luogo la visita di controllo.
Lussu e Nitti abitavano nel centro del paese, in una casa che dava su un dedalo oscuro di viuzze; mentre Rosselli abitava una casetta di campagna,, al limite dell’abitato.
Appena la pattuglia di controllo della zona Lussu-Nitti ebbe accertala l’assenza dei due confinati, successe il finimondo. La pattuglia 'si precipitò à Marina Corta (piazza del paese, dove-la sera usavano sorbire la granite di rito le autorità) alla ricerca del direttore della colonia, cav. Cannata.
Ma il signor cavaliere non c’era quella sera. Era andato al. vicino porto della pomice, Canneto, a godersi, pieno di boria una festa popolare rallegrata dai fuochi d’artificio. Iì in piazza c’erano
invece il maresciallo Allò — uno dei peggiori arnesi della polizia italiana, sfottitore di confinati, giuocatore d’azzardo nella sede del fascio di Lipari —, vari brigadieri e agenti, pattuglie di militi, gli ufficiali della milizia e l’inevitabile signor pretore.
Balzarono tutti sulle seggiole tra un gran rumore di bicchieri e di cucchiai e via chi da una parte, chi da un’altra, mentre il brigadiere Cacciola, un'altro fiero cretino criminale sempre insuperabile nella piccola persecuzione lanciava fischi convenzionali in tutte le direzioni per richiamare le pattuglie di ronda.
Si telefona a Canneto, si telefona a Pignataro, la vicinissima 'base dei motoscafi e del mas, si telefona
al semaforo, suona radunata generale dei militi al castello, si
lanciano i primi telegrammi.
Un motoscafo si precipita a prendere il signor direttore-a Canneto. I
confinati erano già rientrati alle loro abitazioni, ma la voce, già
diffusa per il paese, penetra dovunque. Alle finestre i confinati, per
le strade i liparioti. Domande e risposte si incrociavano, mentre le
prime squadre armate di militi cogli ufficiali in tenuta di
combattimento, maniche rimboccate, pistolone, frustino, girano in
lungo e in largo.
Dopo neppure un quarto d’ora, altra novità sensazionale. Manca
anche-Rosselli. Enorme stupefazione. Rosselli? Ma se era in giro in
paese, sino alle 21? Ma se lo ha incontrato il maresciallo mentre
tornava svelto svelto verso casa ? Ma se è un profesore, un marito, un
padre, un bougianen. Altro che' storie ! Rosselli non c’è, e non ci
sono neppure Nitti e Lussu. Il bilancio delle perdite è presto fatto,
attraverso una seconda visita di controllo.
Ci sono tutti meno tre. Ma perdio, questi tre proprio non dovevano scappare.
L’allarme fu completo verso le 22.30 in cui uscì la «flotta» del
Pignataro che si dette a trottolare intorno a Lipari, fermando e
visitando tutte le barche da pesca, esaminando attentamente le coste
dei dintorni. A completare il quadro, sorge un bel lunone giallo,
beffardo, sfottitore, che aiuta la sbirraglia a convincersi che i tre
evasi non ci sono, nè morti, nè vivi.
Arriva trafelato, furibondo, esaltato, i capelli ricciuti irti sul
leonino capo, Cannata. Dieci scagnozzi lo circondano. Corre in
direzione, telefona alla radio di segna-e intanto lo si avverte che la
radio è alle dipendenze della... marina ; occorre quindi il permesso
della marina. Bestemmie, berci, arrabbiature. Finalmente il permesso è
ottenuto. Nuove notizie intanto sono raccolte. Un pescatore, sospinto
a urtoni da parecchi agenti, viene proiettato come un
bolide nell'ufficio del direttore. Con voce rotta dall’emozione
racconta che sì, ha alle basi navali e alle stazioni idrovolanti la
probabile evasione. Il capo di porto comunica d’urgenza la rotta dei
navicelli partiti in giornata. Un, motoscafo li rincorre. Arriva
trafelato un agente e comunica che sulla banchina vicina a Mare Corta
(banchina fuori uso che' fu costruita per proteggere l’abitato contro
la furia del mare) è stata rinvenuta una giacca e un cappello. Cannata
corre sul posto, sentilo, ha visto un naviglio velocissimo
filar via verso Vulcano.
-— Che ora era ? — urla Cannata.
— Le nove — risponde il pescatore.li signor direttore balza in piedi,
ordina al mas l’inseguimento.
L’inseguimento
Il mas è bello, solido; lucente. Sembra
una mezza torpediniera. Ha mitragliatrice e cannoncino a bordo. Buoni
i motori, cospicua la riserva di carburante. Il mas può
attraversare anche due volte il Mediterraneo. Ma il mas è un po’
appesantito da quel po’ di. carico e solo a gran fatica arriva alle-
18 miglia. Al comando c’è un imberbe ufficiale" di complemento della
marina che il mare lo conosce solo per i bagni fatti in gioventù. (I
tre amici avevano spesso pensato alla faccia di costui quando avesse
dovuto partire per una così ardua impresa.) Già pochi giorni prima era
andato a rischio di sfasciare il mas, urtando contro una roccia
affiorante. Le carte, poverino, le legge male. A bordo c’è
però anche un vecchio maresciallo di marina. Marinai imberbi, quasi
fanciulli, appartengono anch’essi alla milizia. Sul collo bleu alla
marinaria portavano, per distinguersi dai marinai comuni, due bei
fasci littori. Sembra che ora glie li cambieranno in fiaschi. Per dire
la verità, nessuno a bordo, è troppo entusiasta di questo viaggio
improvviso. Il signor maresciallo aveva
finito allora un bel' pranzetto in buona compagnia e in compagnia
surfout con la buona Malvasia ; allora allora aveva allungato le
gambotte sotto il tavolo ospitale, mollando segretamente due bottoni
alla cintura. Quand’ecco che le lo prelevano, e lo scaraventano, a
bordo, e via. Almeno i motori non avessero funzionato. Macché, in
cinque minuti si parte. Ordino : ricuperare o vivi o morti i tre
criminali. Fermare anche canotti che battano bandiera straniera. Colpo
in bianco e poi colpo a palla se non si fermano. Il signor
sottotenente. di vascello è parecchio scocciato.
Già gli hanno raccontato che Lussu — quello della brigata Sassari — ha
un carattere un po’ ombroso. Sfacciato al punto da osare di
difendersi. E l’ha provato in altra occasione. Questa guerra in tempo
di pace non sorride all’ufficialetto. Via via nella notte. Sono già
due ore che il mas costeggia a un venti miglia la costa nord della
Sicilia. ecco finalmente un lume verde, poi un triangolo di luci. Una
nave. Si ordina l'alt col megafono. La nave, di nazionalità italiana,
si ferma. Sul ponte di comando appare il comandante, anch’egli col
megafono. Riconoscimenti. Domande ansiose. II
vecchio lupo di mare dichiara, sì, di aver scorto nella notte la scìa
di un battello velocissimo. « Ma è passato già da due ore.
Correva come un indemoniato. Quante miglia fate ? »
« Quindici normali. »
« Allora non li riprenderete più. Hanno almeno 60 miglia di vantaggio,
vi dico, una specie di siluro. Il tenentino e il maresciallo sì
guardano. Che si fa ? Si torna o non si torna?
Veramente gli ordini sono di frugare tutto il mare. Da Roma era
arrivato un radiotelegramma fulminante : « S. E. esige per
domattina l'arresto degli evasi. » Sì, S. E. può dire quel che vuole.
Ma intanto qui in mare, sotto la luna, a far la danza delle ondine, ci
siamo noi.
Dopo lutto, sussurra il maresciallo, la colpa, se son scappati non è
nostra. E non son neppure tre malfattori. • Tira e molla, molla e
tira, il mas fa dietro front e ricompare, all’alba. Si precipitano" al
pontile Cannata, Allò e tutta la compagnia. Interrogano con lo
sguardo.
« Filano verso l’ignoto. Ma chi li riprende più ? il capitano di una
nave che abbiamo incontrato dopo Capo Orlando ci ha dichiarato che
avevano 60 miglia di vantaggio e correvano il doppio di noi, come dei
pazzi. »
La sconfitta si delinea
Cannata è furibondo. Di nuovo alla radio. «Bè e questa radio funziona,
sì o no ?»
Il radiotecnico, con grande calma si sfila la cuffia e lascia cadere
lente le parole della condanna : « Nessuno risponde. Nè Trapani, nè
Messina, nè Cagliari. E’ sabato, saranno a spasso. »
-Cannata impreca. Già, è sabato, tutti a spasso. Quei porci, mica per
nulla hanno scelto il sabato.
Al mattino c’è aria di sconfitta tra gli sbirri, di vittoria tra i
prigionieri. I confinati sono tutti mattinieri, il 28 luglio.
Escono fuori con delle facce a punto interrogativo che è un piacere
vederli. Piccoli conciliaboli, strizzatine d’occhio, sorrisini
significativi. Indescrivibile il parlottare, l’almanaccare e lo
stupirsi di tutto il mondo. Tutti lieti, tutti fiduciosi, che almeno
questa volta la vada bene. Succeda poi quel che vuol succedere. Lieti
anche quasi tutti i liparesi. Il partito anti Saltalamacchia (il
podestà camorrista recente defenestrato), e quindi anti Cannata (amico
del podestà) esultante come di una Vittoria propria .
Il giornalaio, un avaraccio brontolone ex coatto, si dichiara a
quattr’occhi contentone ; non rimpiange neppure — dice — i cinque
giornali quotidiani di Rosselli.
Si fanno perquisizioni minuziosissime agli amici più intimi degli
evasi. Tra gli altri a Carlo Silvestri, a Ferruccio Parrì a Ermanno
Bartellini. Esito negativo. Specialmente ricercata-la corrispondenza
per vedere dì ricostruire i fili dell’imbroglio...
Ma è proprio ciò che lor signori non sapranno mai.
Alle 11 della domenica arrivò il vice-questore di Messina e un alto
ufficiale dei carabinieri, e preannunciarono l’arrivo dei
pezzi grossi. Cannata alle 11 faceva solo pena, ormai. Gli era sempre
andata bene per due anni, e ora che stava per raccogliere il frutto
delle sue fatiche di guardiano. ecco la grana, — ma che grana!, il
granone. — che comprometterà la sua' carriera. Disgrazie che capitano,
signor Cannata, a fare di quei mestieri. Vuol dire
che se sarà buono lo nomineranno a suo tempo controllore del dazio in
qualche città povera del meridione. Almeno si sarà
sicuri che il passaggio di frodo avverrà facilmente.
Ma torniamo al vice-questore.
Porlato sul luogo del misfatto, a neppure cento metri dal posto, non
voleva creder ai suoi occhi. «Di qui, di qui », signor
cavaliere, diceva un agente zelante. Si son gettali in acqua e poi....
«Ma allora sapevano nuotare...»
« Signorsì, Rosselli era un mezzo campione.» .
Silenzi. Impacci. Il superiore ha il viso scuro. Fa atto di andarsene
e lascia cadere al satellite le seguenti parole di commento : « Caro
Cannata, non mancava altro che li accompagnavate voi. »
Intanto le voci più varie e ridicole si diffondono. Due volte furono
fatti sbarcare in terra libera, una volta arrestare in alto mare,
un’altra annegare addirittura. Quando infine la vittoria si delineò si
cura, comparvero i soliti bene informati.
Dissero che Nitti in persona era venuto a salvare il nipote, che al
largo stazionava un idrovolante e chi più ne ha più ne metta.
I poliziotti rimasero malissimo. Squadravano tutti i confinati.
Cacciola, l’inarrivabile Cacciola — detto Javert — camminava
lentamente mogio mogio, sogguardando ogni tanto i tipi più pericolosi.
Ne fermava ogni tanto qualcuno per chiedere la libretta. Guardava poi
attentissimamente per lunghi minuti la libretta di rico-
scimento, e infine, dopo aver squadrato la vittima, glie la restituiva
con parco gesto, senza pronunciar parola.
Sfuggite lo persone, la polizia, come al
solito, si affannò contro le cose. Le camicie di Lussu e la«grandiosa
» guardaroba di Nitti furono sequestrate. La casetta di
Rosselli venne piantonata. IL povero cane, cieco da un occhio, che
saliva la scaletta all’ora dei pasti, fu mandato via a pedate.
Ecco che Cannata e il vicequestore si assidono davanti alla scrivania
di Rosselli e leggono tutto quello che Rosselli aveva stabilito che
leggessero. Nel terzo cassetto a
destra, ecco, ecco, delle Iettere buttate lì alla rinfusa ; sono in
inglese. Nessuno dei due sa l'inglese. Presto, un interprete. Arriva
un liparese, reduce dall'Australia, legge, malamente traduce.
.. «Caro signore, dice la prima lettera, io sono una inglese, vivo a
Birminhgam. Ho seguito sur Manchestey Guardian il vostro processo.
Sono, siamo pieni di ammirazione per lei e il signor Parri, in
Inghilterra. Avete agitò nobilmente, nello spirito di Cristo. .La
tirannia fascista non potrà resistere a lungo... »
« Basta, non interessa, interrompe il vice-questore. Ma l'australiano,
che di fascismo ne ha,piene le tasche, e soprattutto
muore - dalla curiosità, vorrebbe continuare... •
Sorveglia la scena un bel ritrattino, del bimbo di Rosselli. A quante
scene ha già dovuto assistere, inconsapevole. Ha conosciuto il babbo
attraverso le sbarre del parlatorio d’una prigione. E’ stato al
confino. Chi sa che meraviglia il giorno in cui sarà edotto delle sue
precoci esperienze di oppositore !
L’arresto di Fabbri
Solo ora ci è giunta notizia delle rappresaglie avvenute nell’isola.
Dimostrano una volta ancora la stupida, bestiale ferocia del regime.
La mattina successiva alla fuga, alle. 7, venne arrestalo Paolo
Fabbri.
Il crimine di Paolo Fabbri sarebbe stato quello di abitare vicino alla
famosa banchina di partenza. Un milite lo avrebbe accusato, non si sa
davvero di che, poi si sarebbe ritrattato. La sera della domenica 28
luglio, Fabbri venne passato alla prigione e denunciato. Arguiamo la
denuncia dal fatto che egli fu immediatamente interrogato dal pretore,
uria misera figura di imberbe, ignorante e vile, legato" a filo doppio
con la polizia e la milizia. Paolo Fabbri è del lutto innocente. Paolo
Fabbri non ebbe nulla a che vedere con l’evasione. Paolo Fabbri era
all’oscuro di tutto: Egli ha un solo crimine vero : quello di essere
amico dei tre evasi. La sciocca polizia pretende che egli dovesse
sapere.
Quasi che chi evade in circostanze cosi difficili non abbia come primo
strettissimo obbligo il silenzio più ermetico con chiunque non prende
parte all’impresa, fosse pure questo chiunque, l’amico più caro e
devoto. Ed è grottesco pensare che Fabbri volesse evadere dall’isola,
con tutti i rischi connessi all’evasione, quando sapeva di terminare
la pena tra pochi mesi
(aprile 1930). Fabbri ha moglie, un figlio.
Non si evade a pochi mesi dalla liberazione. Si evade quando si hanno
cinque anni da fare, come Lussu, Nitti, Rosselli.
Intanto Paolo Fabbri è dentro, funziona da ostaggio, da sentimentale
.strumento di ricatto, da sfogatoio della rabbia per la
beffa riuscita. Paolo Fabbri, per chi non lo sapesse, è uno degli eroi
di Molinella. Con Masserenti e Bentivoglio organizzò quella stupenda
epopea che è la resistenza dei lavoratori di Molinella. Contadino sino
a vent’anni, si trasformò in organizzatore, in guida, in maestro dei
suoi compagni di lavoro. Studiò, lavorò, combattè, Oggi ha
quarant’anni ed è uno dei più equilibrati, intelligenti, fieri
condottieri contadini che vanti l’Italia socialista.
Uno spirito giovane, elastico, pronto a tutto osare e tutto
affrontare, egli fa partedi quella corte di uomini nuovi che il regime
più ferocemente perseguita ; ma che,a costo di tutti i sacrifìci,
della vita fìnanco, salveranno l’Italia dalla abbiezione in cui è
caduta.
Noi siamo certi che anche in carcere, così ingiustamente perseguitato,
egli 'non si perderà di coraggio. Fu fiero al confino,
come nessun altro mai, oggetto di ammirazione da parte degli stessi
comunisti che vanamente lo corteggiavano. Sarà fiero anche in galera.
Questo organizzatore che si trasforma di punto in bianco al confino in
lavandaio, e con la forte e brava compagna affronta allegramente le
durezze della deportazione, è un esempio stupendo di coerenza e di
fede.
Tutti gli errori e tutte le colpe del passato si riscattano di fronte
a uomini simili. Un movimento che può produrre simili tipi di uomo è
un movimento che non può morire, è un movimento che quando che sia.
come che sia, è destinato a trionfare. Non per l’onore — che l’onore è
esule in carcere— ma per la « decenza» del nostro paese auguriamoci
che quest’uomo sia strappato dal carcere. Sia pupe per rientrare in
quell’altro carcere che è il confino.
Le rappresaglie contro i confinati.
In tutte le isole furono prese, dopo la fuga, straordinarie misure di
sicurezza. Sospesi i bagni, i permessi, moltiplicati gli appelli. A
Lipari poi è avvenuto l’incredibile, incredibile che sta tutto nel
motto « si chiude la stalla dopo che i buoi son scappati ». Arrivò di
fatto un ispettore generale della pubblica sicurezza inviato
personalmente dal «duce», per una inchiesta. Cannata fu fatto saltare
fulmineamente. Al suo posto è arrivato un brutto tipaccio di
commissario dalla ciera temporalesca, che promette nulla di buono per
l’avvenire. Ma il più grave si fu che l’ispettore generale ordinò
l’immediato sfratto in massa dei confinati alloggiati nel tratto del
paese posto a tergo della zona rocciosa da cui gli evasi sono partiti.
Cento famiglie almeno sono state così costrette a sloggiare dalla
mattina alla sera e a trasportare le loro misere tende altrove, a
prezzo di sacrifici d’ogni genere. Per l’appunto quel tratto di paese
era il più povero, un ammasso di grigie e sporche casupole ; vi
abitavano le famiglie più numerose, più povere, che non potevano
concedersi che una o due stanzette senza aria, senza luce,
a trenta-cinquanta lire al mese. Dove andranno quei poveretti ?
Intanto altri sfratti sono annunziati in altre zone. Non si potrebbe
immaginare crudeltà più stupida e grottesca, che mette centinaia di
persone letteralmente sul lastrico. Stupida, soprattuttto perchè la
zona rocciosa da cui i nostri sono evasi non comunica in guisa alcuna
con l’abitato retrostante, che strapianta da 30 m. di altezza sul
mare. Alle rocce gli evasi arrivarono a nuoto, e giunsero alla
banchina dal vicino porticciuolo di Mar Corta. Una sola guardia sulla
banchina sarebbe bastata a far dormire tranquilli tutti i Cannata
dell’universo.
Ma già, è noto, la polizia italiana è il ricettacolo di tutti gli
spostati e di tutti i bocciati. Al signor ispettore la misura presa
sarà sembrata geniale, mentre avrebbe dovuto capire che se un’altra
fuga avverrà, avverrà matematicamente con modalità del tutto diverse,
e soprattutto da un altro punto. Vuole proprio che glie ne diamo
sollecita la prova ?
Il generale Bencivenga trasferito a Ponza.....
(tre immagini del passato del Santuario di Chiesa Vecchia ed immagine che raffigura Maria SS. della catena (Mongiuffi Melia). madonna con bambino incorniciata da motivi architettonici e cherubini. nella destra tiene la catena con la sinistra sostiene il bambino coronato).
Il pellegrinaggio alla Madonna della Catena per la mattina del giorno 8 settembre, veniva organizzato tra gruppi di famiglia con tre quattro settimane di anticipo. Tradizione che si tramanda da decine di anni e che, tuttavia, è sentita ed osservata dai Liparesi.
Si partiva da casa la mattina verso le ore 3 e ci si erpicava lungo la mulattiera di S. Leonardo, poi dalla Nunziata, di Varisana, Castellaro, e si raggiungeva la pianura antistante la piccola chiesetta alle prime luci dell'alba, proprio in tempo per assistere alla celebrazione della prima Messa.
Era una fila di lampioni che si muoveva ed un mormorio continuo di recite delle preghiere, mentre i giovani si davano agli scherzi più impensati. Nella spianata della Chiesa ed ai bivi per Canneto ed Acquacalda ci si incontrava amici e conoscenti, stanchi, ma lieti della passeggiata fatta.
Oggi una bellissima rotabile fa affluire sul posto incantevole, dalla vigilia alla sera della festa, un numero enorme di automezzi, i quali spesso fanno la spola.
Si ritorna alla tradizione e si prende l'occasione per una gita magnifica. Anche nelle belle giornate del corso dell'anno, lo spiazzo antistante la Chiesa è occupato da macchine di gitanti che si beano del panorama dello spiazzo di mare sottostante quasi a picco sotto la Chiesa e degli abitati dell'isola di Salina, che sembrano vicinissime.
Tutto è cambiato sul posto: la Chiesetta anche se esternamente non è stata modificata, ma solo pulita, all'interno è rimessa a nuovo le piccole navate comunicanti, il pavimento in
similmarmo...
La leggenda vuole, il parroco Bergellini parla di storia, che regnando
in Sicilia Martino 1, spesso della Regina d'Aragona, tre giovani erano
stati condannati alle forche.
Il giorno stabilito per l'esecuzione vennero condoti nella piazza
Marina di Palermo, ove era stato eretto il patibolo e la sentenza
doveva essere eseguita alla presenza di gran folla.
Ma mentre si preparavano i preliminari dell'esecuzione,
improvvisamente, il cielo si è coperto da densi nuvoloni ed una
scrosciante pioggia cominciò a cadere.
Tutti scapparono e persino coloro che erano addetti alla custodia e
che dovevano fare eseguire la sentenza abbandonarono la piazza e si
rifugiarono in Chiesa vicina.
La esecuzione, pel perdurare del temporale, venne rimandata, ma
vennero prese ulteriori precauzioni perchè i condannati non potessero
scappare.
Vennero aumentate le catene con le quali erano immobilizzati e
lasciati nella Chiesa per essere pronti il giorno successivo alla
esecuzione.
Durante la notte, quando i secondini si erano addormentati, gli
infelici condannati si trascinarono davanti al simulacro della Madonna
e fervidamente La pregarono perchè la loro innocenza venisse
proclamata.
Le catene si spezzarono, la porta del Sacro Tempio si è
misteriosamente aperta ed una voce proveniente dall'infinito
ripeteva........................
e tutto il popolo in fervorosa preghiera impetrò dal Re la grazia che
venne concessa in omaggio al miracolo della Madonna.
Alla Madonna della Catena accorrono oggi tutti gli Eoliani fiduciosi,
a chiedere le grazie per le loro famiglie.
D. Bargellini è fiero della sua missione ed è instancabile.
Non si accontenta di quanto già realizzato: ha in programma di
costruire accanto al piccolo tempio una grande sala da edibire a
convegni, ed ai trattenimenti nei numerosi matrimoni che si svolgono
ora lassù ed ha in programma di ampliare la piazza, insufficiente, nei
giorni di festa a contenere il numeroso pubblico.
Vuole essere aiutato da tutti in queste sue inziative: da quelli in
loco e all'estero; da tutti coloro che nutrono e professano le fede
per la Vergine SS.M.A della Catena.
Un piccolo stralcio di un testo del passato riferito alla Madonna
della Catena a Mongiuffi-Melia:
……La nostra strada seguì per lungo tratto quella fiumara salendo a
poco a poco fra belle piante di ulivi. Qua e là i mandorli
biondeggianti modificavano lo scenario. Più lontano, al piè di pareti
rocciose, scintillò improvvisamente una cascata d’acqua, ma l’acqua si
perdeva quasi subito tra i ciottoli della fiumara. Ora tutta la
vegetazione la componevano soltanto i cardi e i fichi d’india. Al di
là di una galleria riapparvero gli ulivi, ma contorti, sconquassati.
La strada si faceva anch’essa più selvaggia e più impervia. A ogni
incontro di vetture bisognava fare una serie di prudenti manovre.
Queste vetture che incontravamo o, meglio, che sorpassavamo, andavano
tutte, come noi, verso Mongiuffi-Melia : erano piccoli carretti pieni
di gente che cantava e suonava il mandolino.
La strada finisce a Melia, grazioso villaggio appollaiato a circa
quattrocento metri di altezza. Mongiuffi, un po’ più importante, ne è
separato da una piccola valle. Queste due località una volta facevano
parte della giurisdizione di Taormina, ma ne furono distaccate nel
diciassettesimo secolo per essere vendute, riunite insieme, come
marchesato. Si può os-servare a questo proposito che il numero di
titoli nobiliari istituiti ed elargiti da ben sette dinastie una dopo
l’altra non ha arricchito la Sicilia non dico di veri castelli ma
neppure di una grande villa signorile. La nobiltà siciliana non ha
avuto i mezzi di farne costruire e si è contentata dei suoi palazzi
nelle città. Ecco perché i marchesi di Mongiuffi-Melia, la cui razza
si è spenta presto, non hanno fatto nulla per ingentilire il feudo che
conferiva loro il titolo nobiliare.
Melia era tutta ornata di bandiere in occasione della festa, di
bandiere che avevano nel mezzo un pezzetto di stoffa bianca che
nascondeva la corona sabauda. Le vie sembravano spazzate proprio
allora per i partecipanti al pellegrinaggio. Le finestre erano adorne
di gerani, di garofani, di rose canine, senza contare l’immancabile
vaso di basilico che, sulle finestre siciliane, fa da scacciazanzare.
Le case si stringono l’una all’altra sui due pendii a dorso d’asino.
Quando si guarda il villaggio dall’alto, si direbbe che i suoi tetti
coperti di borraccina si piegano come i due spioventi di un unico
grande tetto di cui il campanile fa da camino.
Il sentiero che porta alla chiesa della Madonna è molto scosceso ma è
abbellito da macigni color viola, da querce, da castagni, da noci, da
felci. Guardando verso Melia si scorge lontano il mare stendersi al
piè delle montagne. Il sole tramontava quando, dopo tre quarti d’ora
di salita, scoprii il santuario, che pareva eretto nell’incavo dì una
conchiglia. Le sue mura bianche dominavano un ruscello fiancheggiato
da pioppi e da platani; intorno, una moltitudine di gente in abiti
sgargianti; echeggiavano le note squillanti di una banda. La discesa,
da quella parte, era anche più scoscesa di quanto lo era stata la
salita; e i giovani si precipitavano giù correndo come pazzi.
La chiesa sembra un granaio; è vero però che si è in procinto di
costruirne una nuova proprio lì accanto. Presso il cancello del coro,
davanti a un rozzo altare, la Madonna è esposta sotto un baldacchino
ed è circondata da candele. Una catena, dalla quale ha tratto la sua
denominazione, la lega al Bambino Gesù che essa tiene fra le braccia.
È forse un ricordo degli antichi Greci che tenevano incatenata la
Vittoria nel suo tempio sull’Acropoli di Atene? A Napoli c’è una
Madonna pur essa chiamata della Catena,
perché «spezzava le catene dei prigionieri»; un’altra, a Palermo,
perché « custodiva la catena del porto ».
Se il culto di questi montanari per la loro Madonna della Catena si
perde nella notte dei secoli, la statua di legno, verniciata a colori
chiassosi, è assai recente. I gioielli appesi come ex-voto sono
modesti, le oblazioni misere. Si vede che essa vuoi richiamare su di
sé soltanto F attenzione della povera gente. E, certo, non sembrano
molto ricchi quelli che in onore di essa portano lo strano nome di
Catena e Cateno: questi nomi di battesimo ci richiamano alla mente il
calendario di Fabre d’Englantine piuttosto che quello della chiesa
romana.
Nell'interno della chiesa quasi tutti parlavano. Il curato, seduto su
una poltrona accanto alla statua, sgranava il rosario. L’omaggio dei
pellegrini consiste nell’inviare tre baci: o, più esattamente, si posa
sulla statua, tre volte di seguito, la punta delle dita
precedentemente baciate. Fatto ciò, si guarda per un istante la
Madonna e si va via. Le uniche persone che restano lì sono quelle che
hanno fatto voto di tenere, finché non è tutta consumata, la candela
accesa. Esse si siedono in terra e chiacchierano dando via via
un’occhiata al consumarsi, della candela. Più scaltri, i ragazzi la
candela la tengono piegata per affrettare la combustione.
Un uomo, diede prova di sentimento religioso più profondo: si trascinò
in ginocchio dalla porta fino alla statua. Richiamava alla mente il
tempo in cui, secondo l’antica usanza di questo pellegrinaggio, certi
esaltati leccavano le lastre di pietra della chiesa. E c’erano, a quei
tempi, anche i flagellanti che guarnivano di spille l’estremità di una
canna per lacerarsi il petto nudo.
Fuori, la folla si accalcava, anche più disordinatamente che in
chiesa, davanti ai banchi che esponevano aperta dolciumi, bibite
fresche, gingilli. Alcune locande mettevano in mostra le loro tovaglie
immacolate sotto tetti di frasche. E tutto spirava quella semplicità
che è l’incanto delle feste siciliane, nelle quali basta un nulla a
suscitar 'la gioia: il piacere di trovarsi là, di star gomito a gomito
con i propri compaesani e aspettare i fuochi artificiali. Certo, il
posto è stato scelto bene, quella piccola valle è la più graziosa del
mondo; il ruscello scorre fra le rocce stupende; una fonte zampilla
non lontano dalla chiesa, la fonte che in tutti i tempi è stata
all’origine di tutti i santuari.
La notte cadeva a poco a poco. Nelle locande già si accendevano le
lampade ad acetilene. I fuochi per cuocere le vivande accesi sul suolo
facevano pensare ai banchetti degli eroi greci. Fra poco non sarebbero
rimasti a dare un po’ di luce a quella innumerevole folla che quei
fuochi e quelle lampade. Si sente a un tratto il suono di una piccola
campana subito soffocato da un fragore di bombe ripetuto dagli echi: è
il segnale della processione.
Ecco che essa esce lentamente dalla chiesa. Due ragazzi la precedono
suonando il tamburo; poi, le figlie di Maria in abito scuro, con lo
scapolare e un velo bianco sui capelli: fra esse c’è una premiata per
le sue virtù ed ha in capo una corona di rose artificiali. La folla
marcia, stretti gli uni dietro gli altri. Alcuni giovani portano gli
stendardi delle confraternite. Il curato, in cotta, e due preti e tre
carabinieri completano il corteo. Davanti alla statua della Madonna,
un po’ in alto, è posto un cuscino in cui si appuntano con uno spillo
i. biglietti di banca. Dietro, vengono i bandisti. Sebbene suonino a
memoria, gli si illuminano le partiture con lampade. Sulla grancassa,
una scritta su una bandierina fa sapere a tutti che la banda è di
Gallodoro, villaggio vicino, che, al pari di Mongiuffi-Melia, fu un
marchesato effimero.
Il passaggio del ruscello è il momento in cui bisogna non essere
assenti. Il bagliore delle candele che rischiarano i macigni e i
tronchi d’albero, i salti di pietra in pietra delle figlie di Maria
per passare il ruscello, la statua traballante che avanza al disopra
dell’acqua, tutto ciò, nella penombra in cui ondeggiano i fumi e
l’odore delle vivande, compone un curioso quadro.
Più oltre, la Madonna si fermò per lo spettacolo pirotecnico. Esso era
assai modesto, ma alcuni grandi improvvisi baleni gli fecero da
inatteso accompagnamento. Scoppiò un temporale. La processione e la
Madonna rientrarono di corsa in chiesa. Un vero diluvio inondò i
fuochi, le vivande, le frasche delle locande. I giovanotti e le
ragazze parevano stizziti. La Madonna aveva giocato loro un brutto
tiro: l’erba sarebbe stata impraticabile per quelli che volevano
spassarsela. Sarebbero nati quell’anno meno Cateni e meno Catene.
Due piccoli articoli del 1975 e 1978 sulla SOCIETA’ MUTUO SOCCORSO ISOLE EOLIE, in Australia con sede a Melbourne.
Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal notiziario delle isole Eolie del dicembre 1975.
MEZZO SECOLO DI VITA DELLA SOCIETA’ MUTUO SOCCORSO ISOLE EOLIE.
Gli Eoliani vantano in Australia, ed a Melbourne in particolare, una delle più antiche e delle più numerose collettività di emigranti italiani. Si calcola che furono più di un migliaio gli Eoliani che si stabilirono sul continente australiano fra il 1860 e il 1890, ed alcuni dei vecchi emigranti giunti in questo paese prima della fine del secolo scorso sono ancora in vita.
Attualmente, fra emigranti e oriundi, vivono in Australia circa trentamila eolo-australiani, il più numeroso gruppo dei quali e
concentrato a Melbourne, dove, per moltissimi decenni, gli Eoliani hanno detenuto il monopolio del commercio di frutta ed ortaggi, e dove alcuni Eoliani hanno raggiunto posizioni di eminente prestigio in vari settori della vita australiana. In tempi più recenti il campo delle attività degli Eoliani si è notevolmente allargato, tanto che ora rappresentanti eoliani operano nei vari campi professionali, commerciali, dell’industria, sia con mansioni direttive che come professionisti, e come operai specializzati o come commercianti indipendenti.
Gli eoliani di Melbourne hanno anche una delle più vecchie e fiorenti associazioni italiane d’Australia, la “Società Mutuo Soccorso Isole Eolie” (S.M.S.I.E.), fondata a Melbourne il 2 agosto 1925 dai signori Stefano Tesoriero, Giuseppe Tesoriero e Bartolo Di Mattina, tutti e tre di origine eoliana.
Gli scopi originari dell’associazione, rimasti immutati fino ad oggi, sono il mutuo aiuto morale e materiale fra i suoi soci, e il
mantenimento dei legami affettivi e delle tradizioni con le Isole Eolie, e, inoltre, la preservazione della devozione all’Apostolo San Bartolomeo, illustre Santo Patrono delle Isole.
La confortevole sede sociale della S.M.S.I.E. è ormai diventata parte
integrante della vita sociale degli Eoliani di Melbourne, che
intervengono numerosi alle varie feste e riunioni “in famiglia” del
martedì sera e del sabato. Quest’anno ricorre il cinquantesimo
anniversario della fondazione della Società. La ricorrenza è stata
celebrata con tutta una serie di festeggiamenti.
Il 2 agosto 1975 è stata scoperta una lapide commemorativa murata
nella facciata di Eolian Hall per sigillare così il primo mezzo secolo
di vita di una delle più benemerite associazioni italiane d’Australia.
Nella Lo Schiavo.
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L’Associazione “Isole Eolie” di Sydney
Nutrito il programma di attività per il 1978 dell’Associazione Isole
Eolie con sede in Sydney ed il cui Presidente è Nini Portelli, un
nipote di Mezzapica di Canneto, che negli anni 1950 - 51 giocava nella
squadra locale di calcio e che molti paesani ricorderanno.
Il Comitato direttivo dell’Associazione è formato dal vicepresidente
John Ferlazzo, dal Iunior President Lorenzo Picone, dal Tesoriere
Rosario Maniaci, dal segretario John Merlino, da Sergio Costa,
Josephine Di Losa, Frances Merenda, Antonio Maniaci, Giovanni Calcagno
e Franco Portelli. Possono essere soci dell’Associazione gli oriundi
eoliani e i loro discendenti, sia in linea maschile che femminile
(questa è una novità apportata recentemente con un emendamento alla
Costituzione dell’Associazione).
Per il 78 sono state organizzate numerose feste: Miss Panarea e Miss
Stromboli sono state lette il 27 maggio scorso, Miss Filicudi e Miss
Alicudi il 7 luglio. Miss Vulcano e Miss Salina verranno elette in
occasione dei festeggiamenti del 9 settembre e del 14 ottobre. Infine
a dicembre nell’annuale ballo di fine anno verrà eletta Miss Eolie e
Miss Charity……
L’Associazione inoltre opera una serie di attività sportive di calcio,
tennis, ping-pong e nautica da diporto. Il numero del segretario John
Merlino per chi ne fosse interessato…………..Sydney.
Come ci viene attestato dal Presidente Ninì Portelli, il notiziario
costituisce un memorabile collegamento diretto per questi nostri
concittadini emigrati in Australia, nei cui cuori rimane radicato
l’amore per la propria terra d’origine, anche nel nuovo mondo.
Mostriamo anche due foto unite di due articoli di giornali australiani
del 1934 e del 1939 che riguardano, invece, Il Circolo Isole Eolie di
Sidney.
L'Italia Francescana nov dic 1974 Madre Florenzia Profilio Fondatrice delle Suore Francescane di Lipari
(1873 -1956) AGOSTINO LO GASCIO
“…..Un piccolo strumento nelle mani della Provvidenza, perchè avesse di san Francesco la grandezza delle opere, della santità e deli apostolato».
Con queste espressioni convinte, esaltanti, il compianto cardinale Nicola Canali, il 20 giugno 1950 siglava la vita di questa umile quanto forte suora francescana.
Nel primo centenario della sua nascita rievochiamo I tratti salienti della sua testimonianza al servizio della Chiesa.
Nata a Pirrera di Lipari il 30 dicembre 1873, Giovanna Profilio fu la quarta tra nove figli dei coniugi Giuseppe Profilio e Nunziata Marchese, Qualche casetta con appezzamento di terreno costituiva il patrimonio di quella numerosa famiglia* che dal lavoro dei campi e dai saltuario commercio del vino traeva il necessario sostentamento.
Ambiente timorato. In quell’ambiente timorato di Di, Giovanna si senti vocata alla vita claustrale, ma le condizioni economiche, divenute precarie per la lunga malattia del capo famiglia, non consentirono la realizzazione del suo desiderio. E quando il 27 dicembre 1895 moriva Giuseppe Profilio, alla vedova fu suggerita la via…. d'obbligo: l’emigrazione verso la favolosa….America del Nord. Nel marzo 1896 mamma Nunziata e figli lasciavano Lipari per New York; soltanto il dodicenne figlio Antonino rimase nell’isola, perché già seminarista.
In quella terra nuova, la signorina Giovanna Profilio potè realizzare il suo sogno: ivi avvenne l'incontro storico con l'ideale francescano, ma mediante una fuga. Mamma Nunziata e con lei i figli non volevano assolutamente che Giovanna si facesse suora, proprio là, in America: erano andati a New York per lavorare, per «guadagnare denaro...! Che forse la famiglia Profilio poteva fare a meno della collaborazione di Giovanna? C'era il debito contratto con dei parenti per le spese di espatrio!
Ma Giovanna, ormai venticinquenne, non intese arrendersi dinanzi a quelle sbarre abbassate, e decise di superarle, fuggendo dalla famiglia per recarsi alla Casa di noviziato delle Suore terziarie Francescane di Allegany. In un posto visibile aveva lasciato un biglietto, che potremmo chiamare la sua dichiarazione ili guerra: «Non mi cercate: vado a farmi suora. Giovanna”. Era il 22 gennaio 1898; da quel giorno la giovane passerà alla storia col nome di suor Florenzia Profilio.
Vani furono i tentativi della inanima per riportarla in famiglia. In
un clima di contrasti e di prove di vario genere era maturata la sua
vocazione: non vuole essere privata della gioia di servire Iddio nel
chiostro.
Terminato Tanno del noviziato, emise i voti temporanei e fu designata
alla Casa di New York, e poi nel 1902, per disposizione del
Commissario Provinciale dei Frati Minori, da cui dipendeva la
Congregazione, fu trasferita a Pittsburgh, ove si intendeva
istituire una Congregazione dedita all’apostolato degl'immigrati
italiani. Per varie circostanze quell’esperi- mento fallì, certamente
non per colpa di suor Florenzia cui era stata data la delicata
mansione di formare quelle postulanti; con provvedimento del Delegato
apostolico, Mons. Diomede Falconio, nel dicembre del 1904 fu disciolta
quell’incipiente Congregazione.
Intanto nel 1904, dopo otto anni di residenza negli Stati Uniti
d’America, la famiglia Profilio per la cagionevole salute della
mamma, decise di rimpatriare, lasciando in America suor Florenzia, cui
si promise che sarebbe stato fatto tutto affinché anch’essa, in futuro
tornasse a Lipari, ove da qualche tempo, come aveva fatto sapere il
fratello chierico don Antonino, negli ambienti della Curia vescovile
si progettava l'istituzione di una Congregazione religiosa femminile.
Giovanna, che durante quel tempo che era vissuta a Pittsburgh non
aveva rinnovato i voti temporanei, a motivo del fallimento palese di
quel tentativo di apostolato a favore degl'immigrati, non volle
rientrare tra le suore di Allegany cui fecero ritorno le sue
consorelle, e attese di essere chiamata a Lipari, per realizzare
quanto le avevano fatto intravedere.
Un progetto da realizzare
Infatti, quando mamma Nunziata fu a Lipari parlò con Mons. Francesco
Raiti, vescovo della diocesi, evidenziando la possibilità che la
figlia suor Florenzia avrebbe collaborato per la realizzazione della
progettata istituzione,
Mons. Raiti, vagliati gli aspetti della proposta, scrisse a Mons.
Diomede Falconio, delegalo apostolico a 'Washington, per facilitare
il rimpatrio della religiosa, sebbene questa non fosse, legata da
alcun vincolo di voti.
Nel febbraio del 1905, infratti, suor Florenzia giunse a Lipari. Dopo
vicende e contrasti anche a livello familiare (mamma Nunziata, avuta
la figlia in casa, non intendeva che continuasse la vita consacrata
all’ideale religioso), suor Florenzia ferma nel suo ideale, piegò la
volontà dei suoi familiari affinché desistessero dall’impedirle di
attuare quanto le avevano fatto intravedere, e per tanto le dessero
quegli aiuti promessi per dare inizio alla novella Congregazione,
sotto gli auspici del vescovo della diocesi.
Espletate le formalità canoniche, il 1° novembre 1905, mons. Raiti
approvava le ”Costituzioni” della novella Congregazione e benediceva
la Casa religiosa di cui suor Florenzia era fondatrice e superiora. In
quella circostanza tenne il discorso ufficiale don Angelo Paino, il
futuro e immortale arcivescovo di Messina, anch’egli eoliano.
Secondo le suddette "Costituzioni'' (erano le medesime di quelle
adottate dalle Suore Francescane di Allegany, ove' suor Florenzia era
vissuta alcuni anni), l’Istituto delle Suore francescane
dell’Immacolata Concezione di Lipari ha un fine generale cui deve
tendere: la santificazione attraverso l'osservanza, in perfetta vita
di comunità, dei tre voti semplici di obbedienza, castità e povertà.
Il fine particolare consiste nell’educazione delle fanciulle negli
orfanotrofi e nelle scuole, nell’assistenza agl’infermi negli
ospedali, nella collaborazione all’insegnamento del catechismo, nelle
opere sociali ed assistenziali nell’ambito parrocchiale.
Non si dimentichi, però, che ogni realizzazione degna della storia non
può andare esente da lotte, contrasti a volte inspiegabili.
L’Osservatore Romano (1° ottobre 1966), scrisse per l'Istituto di
Madre Florenzia: «Madre Florenzia iniziò il suo lavoro con una idea
vaga e imprecisa. Le dissero di raccogliere delle ragazze che, come
lei, desideravano donarsi al Signore, e con semplicità accettò,
andando incontro, com’era inevitabile, ad insuccessi, defezioni e
amarissime incomprensioni e persino proibizioni anche da parte di
superiori ecclesiastici».
Suor Florenzia e il suo Istituto accettarono quelle dure prove, che,
lette in chiave cristiana, erano, senza' dubbio, segni validi per il
collaudo e il successo delle loro fatiche.
L’atteggiamento ostile di Mons. Salvatore Ballo Guercio,
amministratore apostolico di Lipari dal 1921 al 1928, segnò l’inizio
provvidenziale di una nuova vita per l’Istituto di Madre Florenzia.
Numerose cominciarono ad affluire le vocazioni, per cui fu possibile
aprire parecchie Case, a: Acireale, Petralia Sottana, Cangi Linera,
Alimena, Catania, Adrano, Canneto di Lipari, Bompietro, Palermo,
Giarratana, Noto, Pettineo, Gagliano Castelfranco, Rosarno Calabro, e
«vanti... sino alla Casa Generalizia a Monte Mario, Via delle
Benedettine 34, Roma!
Mentre l’Istituto si diffonde, la Fondatrice ha di mira la meta
desiderata: l'approvazione dell’Istituto da parte della S. Sede. Il
Pontefice Pio XII.
accogliendo le preghiere della Fondatrice, dopo aver sentito il
parere favorevole della S. Congregazione dei Religiosi cui erano
giunte le «Lettere Testimoniali» degli eccellentissimi vescovi nelle
cui diocesi lavoravamo le Suore di Madre Florenzia, il 25 aprile 1949,
approvava le “Costituzioni” dell'Istituto, per un settennio ad
esperimento, e successivamente, il 7 marzo 1958, concedeva
l’approvazione definitiva per cui l’Opera di Madre Florenzia
acquistava un posto ufficiale nella santa Chiesa.
L’apostolato missionario
Quantunque l'Istituto delle Suore francescane dell'Immacolata
Concezione di Lipari non abbia per oggetto primario l’apostolato in
terra di missione, sarebbe assurdo pensare che non ambisse l'onore di
lavorare oltre i confini della patria.
E nel luglio del 1953, per iniziativa del cappuccino p. Odorico da
Resultano, quattro di quelle suore giungevano a Jatai, nello Stato di
Goias, nel Brasile, ove si occuparono del servizio agli ammalati in
quell'Ospedale, della formazione spirituale di ragazze e in opere di
beneficenza. In seguito furono inviate altre suore, da allora svolgono
la loro missione a Cravinhos, a Mogi Guacu, a San Sebastiano do
Paraiso,
Nello stesso tempo altre Case furono aperte in Italia: a Giarre, a
Castagnolino (BO), a Piombino, ad Imperia, a Messina...
Intanto il tempo si era accumulato su Madre Florenzia: contava 82 anni
quando scriveva negli «Appunti autobiografici»: «La mia vita l'ho
passata quasi sempre sofferente, quando di più, quando un po’ meno;
dolori sciatici, reumatismo, male di fegato, bronchite; tutte queste
compagne fedeli mandatemi da Dio». (Ivi, pag. 10)
E dalle ore 21 del 21 febbraio 1956, Madre Florenzia Profilio non
appartiene più alla terra! Riposa nella Cappella dell'Istituto da lei
fondato, a Roma, vegliata dalle sue Suore che, fedeli alfe direttive
della Chiesa e sulla scia degl’insegnamenti della Fondatrice,
continuano, con sempre rinnovato vigore, l’apostolato voluto dal tempo
postconciliare.
Lipari può vantare nella sua storia di aver dato i natali ad una
Fondatrice di un Istituto religioso, non solo, ma di esserne stata la
culla.
La vita esemplare delle Suore e il loro zelo per il bene delle anime
meritano ogni elogio e la diffusione vocazionale per una testimonianza
cristiana sulle orme del Poverello di Assisi, in questo tempo aperto
alla ricerca disvalori costruttivi nelle vie dello spirito.
E’ in preparazione una dettagliata bibliografia della Madre Florenzia,
condotta rigidamente su documenti autentici e testimonianze di prima
mano. E ancora vivente il fratello della Fondatrice, il novantenne
Mons. Antonino Profilio.
Quanti la leggeranno avranno la possibilità di conoscere le dimensioni
dell'Opera di Madre Florenzia e, soprattutto, le innumerevoli
difficoltà di vario livello, a volte sconcertanti, inspiegabili,
accettate in ispirito di carità da questa forte quanto semplice figlia
eoliana.
San Bartolomeo. Alcune immagini tratte dal giornale L’Arcipelago del luglio-agosto 1984 e due piccole note da un numero del Notiziario delle Isole Eolie di anni fa. Grazie alla biblioteca comunale di Lipari.
A queste aggiungiamo un testo tratto da “L'APOSTOLO S. BARTOLOMEO 1952 SCRITTO DALL'ALLORA VESCOVO DI LIPARI BERNARDINO SALVATORE RE”.
CANTI POPOLARI DEDICATI A S. BARTOLOMEO
L'occasione dei festeggiamenti per il XVII Centenario dell‘arrivo delle reliquie del nostro Patrono S. BARTOLOMEO mi richiama al dovere di far pubblicare i canti popolari dedicati al Santo
U RUSARIU
I SAN VARTULUMIA :
Oggi e sempi sia lodatu
San Vartulumia nostru abbucatu
E adoriamulu cu firvuri .
A San Vartulu prutitturi
AI Gloria:
Santu Vartulu gluriusu
Gran custodi i sta cità
Lu putiri è purtintusu
Chi pi nui Iddiu vi dà
Fustivu certu un ranni santu
Chi sirvistivu a Gesù
Chistu cori tuttu quantu
Cunfirmatilu cu vu
Misiricordia di nu
Oh gran santu e sempi cchiù.
Ing. Angelo La Rosa.
.
La statua di S. Bartolomeo
Erge solenne il capo sulle folle,
modellato in argento, ardito e fiero
mentre il coltello acuto al cielo estolle
quasi con ardimento di guerriero.
L’occhio profondo gira sulle folle
Cosciente di quei figli, che al primiero
Cristiano vigor, di vita molle
Batter preferiscono il sentiero
Bello non sei, ma Lipari ti ama
perché al fulgor delle Tue fattezze
preferisce il rumor della Tua fama.
E guarda te ne l’infinite altezze
Da questa valle inaridita e grama
A aiuto attende dalle Tue Prodezze.
Bernardino Sal.Re Vescovo.
Da: L'APOSTOLO S. BARTOLOMEO 1952 SCRITTO DALL'ALLORA VESCOVO DI LIPARI BERNARDINO SALVATORE RE.
S. BARTOLOMEO A LIPARI
L'arrivo del corpo del Santo Patrono a Lipari ci viene tramandato da un racconto che ha ombre di leggenda. Comunque è certo che questa fortunata isola fin dai tempi di S. Agatone Vescovo lo ha posseduto e venerato per centinaia di anni,
Sull’ ultimo altare sella navata destra della Cattedrale vi è un quadro decorativo di fattura veramente artistica, opera di «
Mercurius» della fine del settecento, in cui è raffigurata la scena della venuta del corpo di S. Bartolomeo : I chierici allineati dopo la croce astile levata in alto procedono processionalmente. S. Agatone, preceduto dal Clero, con piviale e mitra, campeggia con la sua figura ieratica e il popolo numeroso prende viva parte alla cerimonia con entusiasmo e pietà composta.
Dal giorno in cui la grande reliquia è giunta a Lipari la vita religiosa dell’isola ha avuto certamente forte incremento.
I Liparesi da secoli hanno mostrato a questo grande Patrono fervente devozione, lo hanno invocato nei giorni di calamità e di dolore e sì sentono affidati al di lui patrocinio e sicura protezione. Basta recarsi in Cattedrale nei giorni in cui si celebra qualche festa in onore di lui per vedere fiumane di popolo accorrere e rendergli: omaggio, ad ascoltare attenti le SS. Messe celebrate al suo altare; e molti si confessano e ricevono !a S. Comunione. Può sembrare strano, ma è certo che uomini e donne non adusati a recarsi in Chiesa, com'è loro dovere, nei giorni e domenicali, vanno in Cattedrale ad onorare il Patrono.
In memoria dei benefici ricevuti il popolo liparese grato celebra quattro feste solenni in onore di S. Bartolomeo con quattro
Pontificali all'anno e quattro processioni alle quali prende parte tutto il popolo che scende numeroso dalle campagne.
Fin a tempo addietro per voto solenne di popolo si osservava dai fedeli di Lipari in ringraziamento delle grazie ricevute il digiuno nelle vigilie delle quattro feste, che allora venivano celebrate nei giorni seguenti : 11 Gennaio in ricordo del grande terremoto del 1693, che arrecò immense rovine e lutti in tutta la Sicilia, mentre Lipari e le Isole Eolie furono risparmiate, 13 Febbraio, anniversario della venuta del corpo di S. Bartolomeo con festa di precetto. 17 Giugno in memoria e rendimento di grazie a S. Bartolomeo per avere preservato le Eolie della peste del 1541, — Narra una tradizione che un vascello, il
cui equipaggio era in gran parte colpito dalla peste, faceva vela e dirigeva la prora verso Lipari e già si era avvicinato alla spiaggia.
S. Bartolomeo, a cui erano note le condizioni dell'equipaggio, prese la cura di difendere l'isola da tanto pericolo. Cinto di splendori, con la destra armata da lucente e affilato coltello, sdegnato nel volto, apparve a quei marinari e ordinò che salpassero tosto da questi lidi. — 24 Agosto: Festa solenne in tutta la Chiesa che celebra il martirio del Santo.
Oggi due giorni festivi dedicati a S. Bartolomeo sono cambiati : il popolo celebra altri anniversari di terremoti avvenuti in tempi posteriori e dai quali il S. Protettore ha risparmiato i Liparesi e gli Eoliani; essi sono: oltre il 17 Febbraio e 24 Agosto, il 5 Marzo e il 16 Novembre.
Grazie alla Biblioteca Comunale di Lipari dal NOTIZIARIO DELLE ISOLE EOLIE del tempo con anche una foto di un testo di Renato De Pasquale.
Il 9 agosto il Presidente della Regione on. La Loggia ha ufficialmente e formalmente inaugurato il servizio Aliscafo tra la Sicilia e le Isole Eolie e, per tale circostanza, abbiamo avuto piacere di avere tra noi anche quasi tutti i deputati Nazionali e Regionali. Il Sindaco, giustamente interpretando i sentimenti della popolazione, ha ringraziato il Presidente della Regione e le altre personalità per la visita fattaci e per la fortunata coincidenza dell’inizio del nuovo servizio.
Noi, Eoliani che in certi momenti sembriamo tanto irrequieti, insofferenti, nel fondo siamo di una docilità e bontà straordinaria: ringraziamo tutti.
Anni addietro abbiamo ringraziato la soc. Navisarma per la istituzione del servizio dello “Strombolicchio” perché non sapevamo che la Regione paga tre milioni all’anno di sovvenzione; oggi ringraziamo la società “Aliscafi” che, in concomitanza con l’art. 5 della L. 7.6.57 n. 30, ha istituito questo servizio e per il quale, certamente le sarà corrisposta la sovvenzione prevista dalla detta legge.
Diciamo subito, però, che il servizio così come è congegnato negli itinerari e negli orari oggi in vigore non serve agli Eoliani, né all’incremento turistico delle Isole Eolie.
Non serve gli Eoliani perché parte da Messina appena poche ore dopo che da Milazzo ha avuto inizio il viaggio del piroscafo postale di linea, ed arriva a Lipari quasi allo stesso orario riparte da Lipari quasi contemporaneamente al piroscafo di linea.
Per la partenza da Messina non dà possibilità agli Eoliani che ivi si siano recati di potersene servire pel ritorno giacchè, stabilita la partenza alle 10, difficilmente, a quell’ora, ognuno avrà potuto sbrigare anche un solo affare.
Per la partenza da Lipari, solo la rapidità del percorso potrebbe indurre alla preferenza, data la coincidenza delle due partenze quasi allo stesso orario.
Non serve neppure, si ripete, allo sviluppo turistico delle Eolie, anche se, per la istituzione del servizio ci si giova di una legge fatta esclusivamente a vantaggio delle Isole minori.
Infatti per concreto sviluppo turistico della zona non può intendersi l’afflusso numeroso di gitanti forniti della colazione a sacco e della bottiglia dell’acqua per bere: deve, invece, intendersi la permanenza in loco di persone con tutto quello che ne consegue.
Allorchè comotive numerose di turisti partono la mattina da Taormina in pullmans, arrivano a Milazzo, s’imbarcano sul piroscafo per le isole e rientrano la stessa sera a Taormina, dopo avere consumato durante il viaggio la colazione fornita dall’albergo o dalla pensione di quella stazione turistica di fama mondiale, non può veramente affermarsi che ciò incrementi il turismo delle Eolie.
Sono un po’ da paragonarsi alle gite che si organizzano nelle stazioni di soggiorno per non rendere monotona la permanenza, ad esempio da Fiuggi per Castelgandolfo, pel di Nemi, con rientro la sera. Ebbene con queste gite non si alimenta e tanto meno si promuove lo sviluppo turistico di Castelgandolfo o del lago di Nemi, ma si consolida quello
di Fiuggi. E così pel servizio dell’Aliscafo, che prende i turisti la mattina a Giardini, li porta in giro nelle isole e li riporta la sera a Giardini; consolida il turismo di Taormina, ma non promuove quello delle Isole.
Con questa nota abbiamo creduto di segnalare alle Autorità competenti il nostro pensiero sull’argomento, che riteniamo pienamente condiviso dai nostri concittadini e dalla Amministrazione comunale, e non dubitiamo che le nostre segnalazioni siano valutate tanto dal presidente dell’Ente Provinciale del Turismo. Comm. Ballo, ch’è anche presidente della soc. “Aliscafi” e che sempre molta simpatia ha mostrato per queste isole, che dalle Autorità Regionali, onde sia concretato ed attuato uno itinerario orario che promuova il turismo per le Eolie e sia, nel contempo, giovevole agli Eoliani.
S.S.
L’Arcipelago ANNO VII N. 2. 1983 Stromboli turismo anno zero
di Pietro Quinzi.
Chi ha letto, su queste pagine, la mia corrispondenza da Stromboli del mese di Dicembre 1982 avrà notato a fine articolo una data, 26 Settembre 1982 ed una netta presa di posizione per certi aspetti di certo non positivi, dello viluppo del tessuto connettivo sociale su questa isola, sia indigeno che immigratorio e/o turistico.
La premessa che anticipa questa mia prima corrispondenza per il 1983 individua la ragione del titolo che ho dato ad essa.
Circa una settimana prima, cd esattamente il 21 settembre 1982 di fronte e dentro i locali della pro-loco di Stromboli la popolazione si era spontaneamente riunita a fronte di un evento che si andava prospettando: l’abolizione della linea Napoli - Isole Eolie - Milazzo per un periodo di mesi otto! Ovvero l’inizio della fine di una delle più importanti fonti di quello sviluppo socio economico che in particolare l'isola di Stromboli e Panarea avessero.
Giovani e meno giovani senza distinzione di sesso in un unico fronte si mobilitarono e con sacrifici economici non indifferenti, portarono a compimento con dignità e senso di responsabilità la loro battaglia!
La nave e la linea restarono. Quale presidente del comitato, in un mese di contatti a tutti i livelli ed al di fuori di ogni
strumentalizzazione (e strumentalizzazione politica ce ne fu ed anche troppa!), oggi posso affermare, senza che nessuno può obbiettivamente smentirmi, che senza la premessa Stromboliana difficilmente si sarebbero raggiunti gli stessi risultati e se qualcuno volesse obbiettare che questa è presunzione, a questo qualcuno io rispondo “ben venga questo tipo di presunzione, se significa consapevolezza di ciò che si vuole e di ciò che si ottiene”.
Oggi, all’inizio di questo nuovo anno, con una punta di amarezza ma con rigore di assoluta obbiettività, vedo quei giorni di unione quasi come immersi tra nebbie ovattate e da dove giungono brontolii. Non per annunciare un temporale imminente e vivificatore ma brontolii confusi che sempre più si confondono con l’ignavia di sempre.
Il primo gennaio di questo anno la crisi Stromboliana è dietro l’angolo. La nave che doveva portare i materiali da costruzione seguita a portarli ma solo per le costruzioni abusive degli stessi Strombolani, che investono i loro risparmi in queste costruzioni che se abusive, lo debbono soltanto alla poco avveduta amministrazione comunale che non ha voluto vedere le effettive esigenze di una nuova realtà sociale che si è andata sviluppando in questi ultimi tempi in tutte le isole Eolie. Le giovani coppie, i nuovi nuclei famigliari si moltiplicano e non vogliono emigrare, vogliono vivere su queste isole!
Ma le infrastrutture? Come può crearsi una coscienza sociale collettiva se il cittadino è ancora succube del ricatto politico?
Solo dopo gli eventi del 21 Settembre, abbiamo visto “i politici!
Interessarsi dei diritti degli isolani, si erano trovati di fronte ad una realtà nuova quindi bisognava correre ai ripari. I soliti:
“Divide et impera”! Debbo riconoscere che, in parte, ancora una volta il sistema ha funzionato. La realtà sociale, attuale, dell’isola di Stromboli vede di nuovo rinascere quella di sempre. Individualismo, egoismo ed un continuo sopravvivere alla giornata. Concittadini di Stromboli, quale amarezza comporta questa conclusione! In questi ultimi tempi ho parlato con molti abitanti dell’isola e quello che più mi ha colpito è che tutti sono consapevoli di questa realtà. Sono tutti consapevoli che la crisi è imminente, che Stromboli così come è non può andare avanti, perché allora questa ignavia? Perché tutte le
strade di Stromboli sono divenute depositi di materiali da costruzione?
Non potrebbe il Comune mettere a disposizione un’area da adibire a questo scopo? Certo così com’è ora, non è un richiamo turistico! Ogni anno a Stromboli più o meno gravi incidenti stradali si susseguono a causa delle motocarrozzette che sostano giorno e notte in strade non illuminate con carreggiate che a malapena permettono il transito per una sola! Non potrebbe il comune creare delle piccole aree di parcheggio?
L’annosa tematica degli incendi, che hanno ridotto l’isola ad un tale degrado ecologico ed ambientale che stormi di uccelli migratori non trovano più un ramo su cui posarsi! Eppure ci sono provvidenze per le comunità montane! E l’isola di Stromboli ne fa parte. O no? Non basterebbe certo tutto il giornale a descrivere lo stato in cui ci troviamo, sia esso ambientale che ecologico e rammentiamo che, nel tempo, esso si riflette in todo su quello sociale ed economico di ciascuno di noi.
Ivy Attwell (1895 - 1985).
Ivy T. Attwell (1895–1985) aveva evidentemente talento artistico nel sangue, poiché era una parente della celebre illustratrice per bambini Mabel Lucie Attwell (1879–1964). Secondo quanto riferito, il marito di Attwell era nella marina mercantile e con lui ha viaggiato in tutto il mondo.
Negli anni '30 il suo lavoro è in stile realista britannico, con soggetti figurativi della vita moderna, influenzati dall'estetica dei poster di viaggio art déco del periodo. Negli anni '50 questo si è evoluto in qualcosa di più fluido, con figure che si spingono, colori saturi e punti di vista istantanei. Le sue composizioni distintive riempiono il piano pittorico con un'ampia baia costiera o una veranda sopraelevata, che danno un senso di panorama e attività umana in dispiegamento, di cui lo spettatore è sia parte che osservatore.
Le opere note di Attwell includono vedute in Algeria, Turchia, Egitto e Libano, Colombia, Canada, Seychelles, Tailandia, Giappone, Australia e Nuova Zelanda; Francia, Svizzera, Germania, Austria, Spagna, Sicilia, Croazia e Grecia; e Galles, Irlanda e il suo nativo Devon.
Ivy T. Attwell è stata presidente della Devon Art Society per ventisette anni. Il National Trust detiene uno dei suoi dipinti a Greenway nel Devon, che era la casa delle vacanze di Agatha Christie e delle varie collezioni della sua famiglia, con interni degli anni '50.
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Da EPOCA 13.08.1961 articolo di Domenico Bartoli, ne parlò anche l'Avanti nel numero del 03.08.1961 di cui ritaglia in foto.
EPOCA 13.08.1961 articolo di Domenico Bartoli
IL PESCE SPADA DI LIPARI
Un umile pescatore ha sollevato un caso costituzionale che investe l’odiosità di certe leggi e imposizioni.
Non avete letto sui giornali, forse, la storia del pesce spada di Lipari. Si tratta, in breve, di questo. Un pescatore di cinquantasette anni, Giuseppe Li Donni, analfabeta, aveva venduto, nell'aprile scorso, un pesce spada di quarantacinque chili direttamente al proprietario di un ristorante di Lipari. Il dazio era stato pagato regolarmente. Ma l'agente urbano Antonino Natoli giudicò che questa vendita violava l’articolo del regolamento sulla pescheria, nel quale sta scritto che il pesce deve essere consegnato al centro ittico, e fece un verbale di contravvenzione. Li Donni non volle pagare la multa, e la controversia andò davanti al pretore di Lipari, D'Onges, che trovo un contrasto fra la norma del regolamento e gli articoli 3, 5 e 25, secondo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale, nell'autunno, dovrà dire se i dubbi del pretore sulla legittimità del regolamento siano validi.
Non staremo a discutere la complicata questione giuridica, che la notizia, come viene riferita dall'Avanti del 3 agosto, sfiora appena. Limitiamoci a leggere la Costituzione. L'articolo 3 dichiara l'assoluta uguaglianza di dignità sociale e di diritti dei cittadini davanti alla legge, e attribuisce alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che, limitando la libertà e l'uguaglianza di ognuno, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. L'articolo 5 stabilisce il principio del decentramento e dell'autonomia locale. Sono orientamenti assai generali. Il secondo comma dell'articolo 25 dice: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso ». Ora, sembra che il pretore dubiti della validità del decreto l9gislativo promulgato nel 1955 dal presidente della Regione siciliana e dove, all'articolo 125, è previsto il reato adesso contestato al pescatore. Per questo, crediamo, il magistrato s'è riferito alla norma dell'art. 25 della Costituzione, che abbiamo riferita qui sopra.
La questione, dicono i giuristi, è elegante.
Ma, per conto nostro, le scarse informazioni che abbiamo e i limiti della nostra competenza non ci permettono di approfondirla.
Preferiamo collocare l'episodio su uno sfondo più ampio e più vivo. La legge, da noi, ha spesso un carattere di odiosità , che induce a subirla con riluttanza o a violarla senza rimorsi. Essa, da sola, non può riformare, e nemmeno reggere con equilibrio ed efficacia una società . Ha bisogno del consenso, dell' approvazione di un gran numero di cittadini, o altrimenti rimane impotente anche quando viene applicata perché sprovvista di quella adesione intima, di quella forza morale che sono necessarie per fare di qualunque regola una cosa viva e convincente.
La Sicilia è certamente la regione d'Italia dove questo distacco fra i sentimenti e i codici, fra le consuetudini e le leggi, è più forte e più grave. Non sappiamo quale sia esattamente la situazione nelle Isole Eolie, alle quali Lipari appartiene. Ma è noto che nella Sicilia orientale, nella provincia di Messina, molto prossima a quel piccolo arcipelago, l'illegalità è assai meno diffusa. Non si può dire, ad ogni modo, che nella regione siciliana il rispetto per le leggi sia profondo e assoluto. Anche lasciando da parte la criminalità comune, il cattivo esempio viene dalle autorità isolane, dalla commedia delle elezioni di Palermo, dal governo regionale senza maggioranza che mette le mani sulle cariche, sulle posizioni di potere, moltiplicate dall'avidità o dalla imprevidenza dei predecessori.
La mediazione obbligatoria
Sono queste le cose che contribuiscono a rendere odiosa la legge e il regolamento. In una regione dove si ammazza per mantenere il predominio dei mercati (non a Lipari, non
a Messina, ma poco più in là ), un pescatore non può vendere a chi gli pare il pesce spada. C'è il centro ittico. Quale attrazione esercita, ci domandiamo, la parola difficile sui semicolti, sai mezzo-ignoranti? Ma chiamatelo mercato del pesce. E a che cosa deve servire questo mercato? A rendere più facile il contatto fra chi vende e chi compra o soltanto a far fare denaro a qualcuno?
Il mondo moderno moltiplica, per necessita, gli intermediari. E la legge fatale di una società complessa come la nostra, che si allontana sempre più dalla terra, dall'agricoltura, dal mare. Questo fa salire i prezzi. Leggevamo l'altro giorno che le pesche sono pagate al produttore venti o trenta lire al chilo, e sono rivendute sul mercato a ottanta. Ci rendiamo conto del costo dei trasporti e della distribuzione. Ma ci domandiamo se non sia meglio sveltire la procedura, diminuire il numero degli intermediari; e ci viene in mente che una legge assai illuminata sui mercati generali, proposta dal primo governo Fanfani, non passo in parlamento per una coalizione ostile nella quale. Si schierarono pure i partiti popolari, come amano definirsi. Non abbiamo visto che questa legge sia stata ripresentata. Si teme, forse, che gli interessi tornino a coalizzarsi. Ma siamo convinti che sul terreno di una lotta tenace e corrente contro le incrostazioni parassitarie, i monopoli industriali e commerciali, le violazioni, gli abusi, gli sperperi e la corruzione, un governo moderno deve mostrare la sua capacità e la sua indipendenza.
Non c'è bisogno di andare fino a Mosca, dove si parla di argomenti che sfuggono, in gran parte, alla nostra reale influenza.
Quante cose, vedete, si possono leggere nella semplice storia del pesce spada di Lipari, che giustamente il pretore dell'isola ha sottoposta al giudizio della Corte costituzionale. C'è l'odiosità di infierire sui piccoli, sugli inermi, mentre i grossi e gli armati restano impuniti. C'è la tendenza degli enti locali a legiferare quasi senza limite. C'è il morbo della mediazione obbligatoria, del sensale, del bagarino che è difeso dalla legge, e in certi luoghi anche dalle fucilate a lupara.
La funzione della magistratura è limitata.
Essa ha il compito di applicare la legge. La stessa Corte costituzionale deve soltanto accertare, quando viene sollecitata a farlo dal magistrato o da altri organi pubblici, se una certa norma violi o no la Costituzione. Ma, per quanto vincolati dal diritto com'è, i giudici di ogni grado, e spesso quelli di grado più basso, si mostrano più sensibili e moderni, hanno una grande parte nella nostra vita pubblica. Abbiamo uno Stato di diritto, almeno in teoria. Gli abusi del potere esecutivo, i fermi arbitrari, le violenze, le norme legislative contrarie ai principi generali del nostro sistema, devono essere censurati e repressi dal magistrato. E vero che, mancando il concorso della coscienza pubblica, il giudice non può far molto; ma è anche vero che la coscienza pubblica potrà essere stimolata e mossa a poco a poco dagli avvertimenti e dalle sentenze del giudice.
Domenico Bartoli
LE ISOLE EOLIE E LA LORO VEGETAZIONE - STROMBOLI
Da Basiluzzo, in 3 ore con buon vento si è a Stromboli, ma io l’ebbi contrario, e la traversata a remi è lunghissima, ed a quel cono maestoso che pareami tanto vicino, sembravami non si giungesse mai.
Fu tanto più lungo il viaggio, in quanto che S. Vincenzo che è la spiaggia più favorevole a ricoverare i legni , sta sul versante di Nord, al versante opposto della Isola, per chi viene da Lipari, o da Panaria.
Stromboli è uno dei tre Vulcani di Europa la cui attività non è mai cessata dacché evvi memoria d’ uomo, 290 anni pria di Cristo ai tempi di Agatocle che regnava in Siracusa, in quelli di Diodoro, i fuochi di Stromboli erano conosciuti, ed i fenomeni del terribile Vulcano erano il soggetto delle favole più assurde, e suscitavano, in quei secoli di ignoranza, le più superstiziose credenze. L’attività di Stromboli non solo che rimonta ad epoche tanto remote, ma quel che è più, e ciò che raramente si verifica in tutte le altre montagne ignivome , non è stata mai interrotta , nè suole presentare come L’Etna, come il Vesuvio, intermittenza nei suoi fenomeni, e momenti di quiete; onde è uno dei Vulcani più attivi della terra. Le sue eruzioni sono incessanti, un nembo di fumo bianco, che si scambia facilmente con una nuvola, copre costantemente la sua alla cima.
La forma dell’Isola è quasi rotonda, d’ onde il nome che credesi abbia Fenicia origine di Strongyle. I suoi fianchi scendono regolarmente con una marcata pendenza al mare, onde la sua forma è un’ esatta piramide, la cui sommità sembra fosse stata leggermente troncata.
Il suo littorale che conta 7 m. circa di periferie è ogni dove selvaggio, e raramente la costa si abbassa in dolce pendio, da formare una sicura spiaggia ed un ricovero alle barche. È a San Vincenzo, che esiste un ricovero di tal fatta, e la mia barca, si diresse verso quella borgata, che stando come dissi al Nord, obbligavami a dovere girare una buona metta dell’ Isola; ciò che del resto era cosa piacevole ed interessante, essendo sulla spiaggia settentrionale, uno dei spettacoli più imponenti che presenti il Vulcano, il cui sbocco di scorie, di pietre, di materiali infine, da questo eruttati, diretto dal lato di quel mare, ha formato una immensa falda che ogni giorno lo invade, che gli indigeni chiamano col nome di Sciara del Fuoco.
Lasciata Inostra una borgata delle due che contiene Stromboli, che guarda il Sud, vogammo dunque verso il Nord, e lo spettacolo delle derelitte coste di quell’ Isola di fuoco cominciò a svolgersi a me dinanzi, bello nella sua estrema ruvidezza.
Ovunque lava e scorie ammonticchiate in nere falde, che l’occhio segue dal mare sino alla cima avvolta nel fumo. 1 terreni sono scoscesi perciò, ed alpestri, e da I- nostra in poi, oasi perduta in un deserto, nulla evvi che presenti le amene tinte verdi della campagna , e tutto dinotava una sterilità completa. Anzi, più che noi ci avanzavamo, più tetra diveniva la scena, inoltrandoci noi, più presso alle regioni che il fuoco infesta oggidì. Sorpassata un’ ultima punta di terra ecco che appare , la Sciara del Fuoco. — Spettacolo davvero grandioso ! Che non si ha interamente che guardandolo da questo lato , e dal mare, poiché dalla terra, e dalla più alla cima dell’Isola stessa, questa falda non è visibile; si dovrebbe essere sulla cresta di essa per osservarla per intero, ma nissuno oserebbe esporsi ad un pericolo sicuro, poiché lo sbocco del materiale è di là che cala al mare, e quella cresta che noi vedevamo dal mare, è quella che propende sul baratro, che a noi ci restava occultalo, a causa della sua interposizione.
E qui due parole per meglio far comprendere la posizione attuale del cratere.
Per quanto poco (e con grave mio rammarico) io fossi sta-to versalo in geologia, mi fu chiaro il rilevare, che l’antico cratere di Stromboli, quello che originò certamente l’Isola, dovea trovarsi sulla più alta sua cima. Il cratere attuale è un’altra bocca, che successe alla prima, oggi interamente estinta. Il nuovo cratere è nato molto al di sotto della cima dell’Isola, ad un’altezza che io stimai a due terzi dell’elevazione sua sul livello del mare. Spuntò sui fianchi del versante Nord; ed i materiali di tanti secoli di eruzioni, precipitando al mare, produssero la Sciara del Fuoco, falda grandiosa, la cui protuberanza occupando un terreno che era pria il dominio delle onde, ha ingrandito l’Isola da questo suo lato. Le opinioni di Spallanzani, Dolomieu, ed altri geologi che hanno scritto su questo Vulcano, e l’esame delle correnti di lava che colarono dalla sua cima, e le investigazioni fatte sul luogo del cratere vecchio, confermano questo fatto, che del resto si rende evidente, a chi ha l’agio di assistere alle eruzioni del Vulcano. Gli odierni fenomeni rivelano quale si è stata la marcia seguita nella formazione della Sciara del fuoco pel corso di tanti secoli.
Ma ritorno a seguire il mio giro attorno all’Isola, ed a contemplare, l’imponente scena che presenta quel sito devastato dai fuochi.
La forma della Sciara può ben assomigliarsi ad un cumolo di terra, che a rischio di sembrar triviale, direi che sembra fosse stato rovesciato a terra da un carro, tutto ad un tratto; cosa avviene in quella operazione? la terra rovesciata in quel modo non trova ostacolo alcuno e si espande in un’ esalta piramide. Ciò non può succedere nella Sciara, per essere addossata ai fianchi del monte ; la sua forma non è dunque quella di una intera piramide, è di una metta. La sua cima non può essere che tronca, poiché i corpi ed il materiale che erutta il cratere, dalla sua bocca divergono come tenti raggi, e ricadono al basso in un’area costantemente estesa. Ciò che è tenue, come l’arena, resta trattenuta lungo la falda, e concorre all’ incessante suo accrescimento, le pietre, i massi, lanciali dalla bocca ricadono per lo più sovra la Sciara stessa e per la scoscesa pendenza non vi si possono trattenere, e rotolano giù sino alla sua base, ove l’inghiotte il mare.
Ma come mai il mare vicino non si è potuto riempire dopo lauti secoli die il cratere vi manda i suoi materiali? una tale dimanda si affaccia alla nostra mente, e Spallanzani facendola a se stesso, spiega il perchè tale riempimento non ha potuto mai avvenire. L’illustre naturalista, che osservò il Vulcano ed i suoi fenomeni mollo assiduamente, fu il primo a constatare, che dei materiali eruttati, pochi sono quelli che non ricadono nella stessa sua bocca, (per esserne ripetutamente rieruttati), o che non seguino lo sbocco che la natura provvidamente creò al Vulcano, (a maggior sicurezza degli abitanti di quell’Isola derelitta) che li conduce al mare. Potè quegli osservare , ed è un fatto che si rileva chiaramente anche al presente, che non tutta la quantità dei massi lanciali giunge al mare, intatta; che una buona porzione negli urli che nel rotolare riceve , si frantuma e va in polvere per la natura sua friabile molto; quella che vi arriva allo stato di grosse pietre, pria che giunga ai fondo della Sciara, (che si prolunga tanto più al di sotto delle acque, in quanto che quel mare si dice non ha fondo) per l’azione dissolvente dell’acqua, si frantuma anch’essa, pria di toccare il fondo marino, e vi si disperde in balia alle correnti.
Eppure ai tempi di Spallanzani aveano memoria quegli Isolani, che in quel mare era apparsa una secca, che in capo a pochi mesi, fu ingojata dalle onde stesse, dalle quali era nata. Un tal fatto sembra poco vero, in ogni modo sarà stato ciò un fenomeno di vulcanicità possibile, ma del tutto estraneo agli effetti delle ejezioni del cratere. A parer mio, per quanto profondo vogliasi supporre colà il suolo marino, tanti secoli di eruzioni credo sarebbero stati capaci a conquistare alle onde un poco del loro terreno. L’aspetto e la forma della Sciara, parlano chiaro; non è questa una conquista che l’Isola ha fatto sul mare? È questa un cumulo di terra sbucala da un’enorme apertura, e affastellala ai suoi fianchi. Bisogna avere a mente quanto accenna Spallanzani, e quel che si rileva oggidì; il materiale non è lanciato al di là della Sciara, e se va al mare, non vi cade dall’alto. Il materiale lanciato dal cratere, ricade o nella voraggine stessa, o attorno a questa, in questo ultimo caso va al mare, ma vi giunge sbalzando, sdrucciolando per i ripidi fianchi della Sciara.
Il risultato del cammino seguilo dall’ejezioni del Vulcano, si è, che le pietre, le scorie, per quanto potessero venire attenuale dalla furia delle onde, e datazione dissolvente dell’acqua, lungo il loro corso sottomarino, giungeranno al fondo, per accumularsi alla base della grande piramide. Da ciò ne deve risultare un accrescimento lento, ma continuo della sua base. Nuove rifuse di materiale seguendo lo stesso corso, raggiungeranno il primo , ed avranno agio di posarvisi. Così a poco a poco che si avvera l’ingrandimento per la base, aumenta lo accrescimento in spessezza della falda stessa, per uno strato che andrà elevandosi sino alla sommità. In siffatta guisa si spiega il non mai avveratosi riempimento delle onde, fuori di un piano che non sia quello stesso inclinalo che segna la falda del cratere, ed un progresso lento, ma continuo del suolo sulle onde, manifestamente poco visibile, che col tempo ha dovuto certamente anche influire alla elevazione della sommità dell’orlo della falda stessa, rendendo in certo modo, più profonda la bocca del cratere.
La contemplazione dello spettacolo che mi stava dinanzi, aveami trascinato nel campo delle congetture e delle ipotesi più o meno probabili sull’origine della tetra Sciara. Il tempo che là mi fermai fu troppo corto, perchè io avessi potuto assistere alle interpellale eruzioni del Vulcano, il mare tempestoso trascinava sensibilmente la barca su quei temuti frangenti, ed il trattenermi più a lungo sul locale, poteva riuscirmi fatale, però non fui del tutto sfortunato, e nella mia fermala, vidi ripetere una delle scene che si avverano molto spesso durante il giorno, fu una fortuna; perchè io potei accertarmi ocularmente della marcia delle eruzioni, e confermarmi decisamente su quanto aveano asserito gli osservatori che pria di me aveano scritto sul vulcano. Precipitosamente, ed a grandi sbalzi vidi, scorrere due o tre grossi massi, che rotolando dalla cima, e sol-levando lungo il loro corso una striscia di polvere, che sembrava fumo esalalo dalle stesse pietre, che doveano ritenersi incandescenti, ma che non era che la minuta arena che il materiale sollevava nel suo solco, precipitando sul mare. — Fu l’unico segno dell’attività non dubbia del cratere, che io potei ocularmente rilevare, e che serbo delli tanti decantali fenomeni di Stromboli.
Tutto è tetro in quel luogo. Il mare sul quale si riflette la costa, prende le più strane e fosche tinte, che confuse col color proprio di quelle acque di un indigo il più cupo, fanno di quell’elemento tanto attraente e gajo, là ove si mirano, le liete sponde di un bel paesaggio, o ove traspare la bianca arena di un basso fondo, un oggetto di ribrezzo; tanto mistero si asconde in quel mare che da mille anni inghiotte le ejezioni, delle viscere tanto più misteriose di quella terra!
Il littorale sino a Piscita non cede in ruvidezza alla Sciara che venivo di lasciare dietro di me; battuto fieramente dai marosi, corroso dall’azione del fuoco, cade in rovina, e minaccia cedere ai loro urti. Sorpassata una serie di grossi massi di trachite dalle più strane tinte, appare San Vincenzo che sembravami un villaggio musulmano per la quantità di piccole cupole bianche, che sono i forni delle misere case, tanto più luride di aspetto, perchè costruite di pietre di lava nerissime, clic sono le stesse di cui è sparsa tutta la insicurissima spiaggia di questa povera borgata, la principale di Stromboli. Era già sera. Chieggo scusa ai possibili lettori di questo mio scritto, se dimenticando lo scopo al quale queste pagine sono ispirate, io scenda a certi inutili dettagli, che senza aver alcuna relazione colla mia missione botanica, non servono forse che a dare un’idea degli abitanti, e dei costumi di quest’Isola celebre —e nel raccogliere le noie dal mio taccuino, io non ho presunto contare nè meraviglie, nè imporre con tuono dottorale dottrine di cui mi sento affatto vuoto; non dico che ciò che osservai. Del resto, qui mi vien meno la parte scientifica, il suolo è sterile, e nuda la lava, quel verde che allieta gli occhi, è sostituito dai lelri colori delle scorie, e dell’arena di cui tutta Stromboli è coverta, e che io calcava, andando in cerca per mezzo i vigneti che circondano le casipole della spiaggia, del Rev. Padre Russo, il Sindaco, il Parroco, e l’autorità, politica di Stromboli. Il mio arrivo avea visibilmente commossi gli Isolani, che vennero a circondarmi sulla spiaggia , e con modi gentili, disputavansi il piacere di guidarmi sino alla dimora del Padre. Se l’Isola ributtava, gli abitanti al solito come in tutte quell’Isole benedette attiravansi per tutti i riguardi la simpatia dei forestieri. Quanta differenza, e quanto contrasto offrivano i loro costumi, colla ruvida e selvaggia natura del loro suolo! Il Padre Russo era in chiesa. Era un simpatico vecchio, che tuttora conservava la forte tempra di una perduta giovinezza, fu questo il mio giudizio, motivato dal modo lesto, per come si affacendò per cercarmi un ricovero pel villaggio , che non potè contro i suoi desiderii ed i mici trovare; onde gentilmente questi mi cedè una vicina antica sacrestia, che io con poche cerimonie occupai. Gli Isolani non desistevano dal farmi seguito; evidentemente i forestieri a Slromboli, non poteano essere abbondanti, in certo modo contribuiva certamente a risvegliare le loro curiosità il mio bagaglio, le mie carte per la preparazione delle erbe, che coloro non poteano indovinare a quale uso poteano servire. Un fatto che si era avverato a Panaria, si ripetè a S. Vincenzo. Divulgossi la voce che io fossi un medico. Una buona parte degli ammalati dell’Isola, si portò in casa mia per consultarmi. Il mio imbarazzo non fu poco, a procurare di persuadere quella povera gente che io non Io era affatto; non lo voleano credere: » Credetemi io lor diceva, vi posso assicurare, che se io «potessi indicarvi un rimedio per le vostre piaghe, » per i vostri malanni, io lo farei ben volentieri, e nessuna ragione potrebbe farmi occultare una scienza che >; tanto più con rammarico rimpiango non possedere, perchè vorrei potere essere utile alla umanità sofferente, » ed a voi Slrombolesi in ispecie condannali a soffrire, » senza il conforto della medicina. » Poiché a Stromboli non c’ è medico, nè cosa di sorta.
Le loro insistenze, lo stato di quegli infelici, mi facea compassione, andavano , ma niente affatto persuasi delle mie sincere dichiarazioni.
Col sole del domani, S. Vincenzo mi si mostrò meno ingrato locale, per come mi si era offerto dalla spiaggia. La deserta pianura che è alla parte Nord Est dell’Isola, sta alle falde dell’alto monte di Stromboli che presenta due cime; poiché se Stromboli non è che un solo cono, l’apice di questo cono che è leggermente tronco, offre due pizzi, uno la Serra del Liscone (860 metri secondo Salino), e la Serra dei Vancori, quell’ altro che guarda il Sud Ovest, (921 metri). È tutta coverta di vigneti, che producono bellissimi vini, di fichi, e sparsa di altri alberi fruttiferi come ulivi, carrubbi, che ascendono sino a 400 m. circa, sul mare, stentati e rachitici, perchè limitrofi a quella superiore regione che non offre che nuda lava. Le casette sparse fra quella verzura, sembraronmi avessero una certa aria di allegria, che del resto non viene turbala da alcun molesto effetto del vicino Vulcano. Anzi, direi dippiù; da S. Vincenzo, il terribile vicino pare non esistesse, la Serra del Liscone, e Tallo monte lo occultano a quel villaggio, e lo riparano dai suoi pericolosi capricci. Quel versante, è stato esente dalle sue sfuriale, e così ha permesso a quegli abitanti un’esistenza relativamente sicura, un discreto sviluppo delle loro industrie agricole.
Nessuno dei fenomeni che ogni giorno presenta il cratere, furono palesi a me durante il mio soggiorno a San Vincenzo. Ed io non avvertii nè il rombo delle sue esplosioni, nè il fremito del suolo potè farmi rilevare che queste avvenissero, o che là fossero sensibili. Nè la notte apportava variazioni a questo stato di cose, troppo lusinghiero; mirando la Serra del Liscone, o almeno la direzione dove supponevo i fuochi doveano esistere, io non potei discernere, quel chiarore, che un baratro incandescente avrebbe dovuto riflettere su un’ atmosfera, che il fumo dovea rendere pesante, e opaco. Anche di giorno, mancava da quel lato ogni evidente segno di fumo. Que- st’ullimi segni se a me non si manifestarono, fu ciò certamente per il forte soffiare di un vento di Nord Est, che trasportava i fumi lungi da quel versante, e da S. Vincenzo. Di lutto il resto dei fenomeni, di cui Spallanzani fa cenno nella sua dimora a S. Vincenzo, se io non fui disgraziatamente spettatore, credo ciò possa attribuirsi al caso, che non fece che questi si avverassero nella mia dimora nell’isola, che fu troppo breve.
La salita al cratere per quanto ripida si presenti la via, non e punto difficile dalla parte del Liscone. Questa è mollo più preferibile all’altra che invece di inerpicare direttamente pell’alto monte lo costeggia dal Nord-Est per un sentiero mollo più piano che porta nel versante 'del monte, all’Arena grande, che è una immensa falda tutta coperta di sabbia, ove il cammino è faticosissimo, ove il piede affonda sino a metà di ginocchio, ed ove l’ erta non é meno difficile del Liscone. Preferii dunque quella del Liscone, ed un buon tratto si scorre fra i vigneti di S. Vincenzo sino a 400 m. circa; al di là di quel limite cessa la vegetazione, ed il piede incontra la dura lava, sulla quale le orme non hanno potuto segnare sentiero alcuno.
Anche le piante spontanee mancano su quel suolo sterilissimo, le sole che vi allignavano erano una Carlina, la Silene infiala, che vi formava dei grossi cespiti, ed acquistava insolito aspetto e dimensioni, ed una Gramigna (una Dactylis). Dopo non breve e difficile marcia, fui alla cima del Liscone, e pria di rivolgere la mia osservazione sul terreno ove mi trovavo, volsi lo sguardo attorno a me ad ammirare lo stupendo punto di vista che da quell’altezza si ha estesissimo su tutte le Eolie, sulle Calabrie, e sulla Sicilia. Nonostante il tempo caliginoso , e l'impetuosissimo vento di Nord-Est, che parea mi volesse seco trasportare, io godei di quell’incantevole panorama che abbracciava tutta la Sicilia, un buon tratto del continente Italiano, clic si designava chiaramente in tutti i suoi minuti dettagli, dal Faro, colle montagne di Aspromonte sino a Paola, dietro quale si perdeano nell’orizzonte le costiere del golfo di S. Eufemia. Rivolti gli occhi sul suolo mi accorsi che mi trovavo sul cucuzzolo del monte, e per l’elevazione sua, e perchè da tutti i lati circondalo dal mare, e per l’impetuosa corrente d’aria che battevami fortemente, parevami essere sospeso nell'aere, e librarmi sulle ali della fresca brezza Eolica!
Il cono è bicipite, la vetta forma là una vasta fossa di una forma ovale, ed è questa che si ritiene con sicurezza, essere stata la bocca primitiva del Vulcano; le rocce sconquassate che formano i più alti gradini di si vasta arena sono lave, e scorie di molti colori. La sabbia ricopre dapertutto il suolo roccioso. — È caldo, e questo ove smosso, esala emanazioni sulfuree, e lo scavare quà e là genera quasi piccole fumaruole, ove la temperatura si mantiene elevatissima. — Mi avviai pel cratere scendendo più in basso verso Tramontana. —Cominciai a scorgere il fumo che il vento portava verso Sud-Ovest perciò lontano da me. — Ciò doveva agevolare le mie osservazioni — ma che i lettori si preparino ad una disillusione ben grande, per quanto fu la mia. —Raggiunto una eminenza, dalla quale la mia guida dicevami io avrei visto qualche cosa, io per quanto mi sforzassi non potei addentrare lo sguardo, là ove vedevo uscire il fumo. — Bisognava a quanto pare, spingermi più oltre, ma la mia guida nè volle andare più avanti, nè permise in alcun modo che andassi io; pur troppo io mi pentii in appresso di aver dato retta ai suoi consigli, che erano io credo piuttosto che ispirati a sensi benevoli verso di me, o a risparmiare a me un rischio, che forse non esisteva, la vera espressione della sua poltroneria, poiché a quanto pare nissun pericolo, (o almeno manifesto) evvi a spingere più oltre i passi. Nè dalla Serra del Liscone, nè dalle eminenze che coronano il cratere si ha una vista dentro di esso, ed io fui mollo addolorato di lasciare quel luogo, senza avere assistilo a qualcuno dei suoi fenomeni che giornalmente si producono, non però su quella scala, nè con quell’imponente apparalo, per come molte descrizioni troppo poeticamente hanno voluto dipingerli. Fu questo lutto ciò elio io potei vedere, e nulla dippiù — anche allora come alla Sciara del fuoco io fui poco fortunato. — Nessun suono rompea quel silenzio completo, se non quello stridente della brezza, che cozzava con rabbia contro la mia povera persona, con animo di trascinarla. Anche questa fu una ragione che fecemi desistere dai temerari i progetti, che una curiosità troppo spinta, solo poteva suscitare.
Ascesi l’altra più alla vetta che dà sul versante di Inostra, che è l’altra borgata di Stromboli posta sul ver-sante Sud dell’Isola ; avrei voluto visitarne questo lato , ma il tempo non prometteva nulla di buono, e le minaccie di un temporale mi fecero desistere di porre in effetto quel progetto , che del resto non potea fruttare buone raccolte, avendo dopo il giro pel litorale osservato quanta sterilità regnava in quel lato dell’Isola.. GInostra non potrebbe disiare che appena due chilometri dalla borgata S. Vincenzo, ma la sola via per la quale le due borgate mantengono le loro comunicazioni, non è delle più comode, ed il suo corso è talmente anormale che per andare da S. Vincenzo ad Inostra, e da questa a S. Vincenzo debbonsi impiegare più di 4 buone ore, poiché le due borgate non hanno comunicazioni lungo il litorale. — Dal lato Nord la Sciara del Fuoco, è un passo insormontabile che impedisce l’andare al versante Sud. — Dal lato Est, oltre che il cammino, per la ragione che siegue più di due terzi della periferie dell’Isola è lunghissimo, è di più, impraticabile, cadendo i versanti Est, e quello Sud Sud-Est, quasi a picco; tanto che gl'isolani hanno chiamato queste due Sciare col nome di Mal Passo, e Malo Passetto. La via di Ginostra a S. Vincenzo traversa l’Isola dunque nel centro, da Sud-Ovest a Nord-Est, salendo sul cono sino all’altezza di 900 m. circa, per poi discenderne altrettanti dal versante di S. Vincenzo— e ciò fra la sabbia fra le scorie, e per le più ripide salile.
Il sentiero (se cosi potrebbe chiamarsi quello che le orme umane, non hanno potuto ancora segnare sulle mobili sabbie vulcaniche) traversa l’antica Fossa vecchia del Cratere — costeggiando le creste dei colli che sovrastano la bocca del Cratere presente — su quel posto, su quel sentiero, dicevami la guida, frequentano più spesso le apparizioni infernali, che i viandanti, là vi appariscono a quanto mi si diceva! veramente le superstiziose credenze, in un luogo ove i fuochi tremendi di un inferno in sessantaquattresimo, sono una realtà, non sono fuori di proposito! ed il locale dà campo alle più immaginose figure. Là sopra osservai conficcate sul suolo una quantità di piccole croci, fatte con delle canne; sono le armi impugnate contro i cattivi genii dell’abisso, che mugghia li accanto.
La gita alla Schicciola, un’eminenza situata a 700 m. circa sul mare dal lato Est, procura la bella vista della Arena grande, falda maestosa del Cratere tutta di bruna arena formata, che ripida scende da un’altezza di più che 850 m., sino al mare. É di là che conviene discendere dal Liscone e dal cratere; lo scendere per quelle sabbie è agevole non solo, ma piacevole cosa. Se nello ascendere richiedesi più di una buona ora, e buona lena, nel di-scendere in pochi minuti si può percorrere a grandi balzi, impunemente la falda, che non è interrotta, o meglio è cosparsa di tratto in tratto, da sassi trachitici, che con le lave formano il sotto suolo del monte.
Poche piante adornavano quei luoghi solitarii e selvaggi. — Esiste tuttora, ma scarso, sui balzi durissimi di trachite il Cytisus aeolicus Guss., di cui Vulcano e poi Stromboli sono là patria. Le rupi sono di difficile accesso, e quelle al di sotto della Schicciola impraticabili, onde è difficile il potere giungere a cogliere quella pianta, che là, certamente pel suolo su cui alligna, non si presenta sotto T imponente aspetto di vero arboscello, ma bensì sotto forma di cespugli che appena oltrepassano la statura dell’uomo. — Presentavano questi l’aspetto delle piante osservate a Vulcano, al vallone delle Molinelle e che mi fecero sospettare fossero altra specie che non l’aeolicus. Ma l’esame di queste, e di quelle di Vulcano, mi mostrò essere tutte una identica specie, le cui forme mutano a seconda della natura del terreno.
Anche a Stromboli oggi lo Sgurbio (C. aeolicus) è in via di scomparire con grave rammarico del Botanico, che vede ecclissarsi una forma tanto caratteristica della vegetazione eolica.—Il legno è pur troppo raro alle Eolie, ed i naturali per accendere i loro focolari, fanno di ogni erba un fascio, ed assieme alle Eriche, ai Cisti, alle Ginestre, hanno tagliato questa bella pianta.
Anche dal lato della Schicciola, regna lo squallore; mi persuasi pur troppo, da quanto avea visto di Stromboli, che ogni mia ricerca in fatto di piante sarebbe stata vana, laonde pria di volgere i miei passi a S. Vincenzo volli vedere la sorgente della Schicciola, quel tratto di via che vi mena perla calata dell’Arena grande è ben presto fatto, per la facilità colla quale si può scorrere su quel morbido strato di sabbia.
Una sorgente alle Eolie è un caso mollo raro; a dire il vero, nè questa della Schicciola, nè quella di Vulcano, nè l’altra di Salina che si trova sulla Fossa delle Felci potrebbero meritare un tale nome; I’ acqua non deriva
(((1) La parola Schicciola è adoperala dagli Isolani delle Eolie, per gocciola o piccolo sorso; quella voce applicala a quella, sorgente indica perciò la tenue quantità dell’acqua che vi si trova per filtrazioni degli strati dei terreni superiori.))
dalle pullulazioni sotterranee, e perciò non sorge; sono degli tenuissimi stillicidi, prodotti dai massi sovrastanti, o dai terreni vulcanici, che benché di natura poco avida di acqua, pur conservano nelle loro viscere una dose di umidità da generare quei gocciolamenti perenni, la cui origine non si saprebbe a che attribuire, se non alle acque piovane filtranti a traverso gli strali terreni, o al vapore acqueo emanalo dallo stesso vulcano, che condensato negli strati atmosferici, ricade sul suolo solto forma di rugiada.
E l’una e l'altra ipotesi mi sembrano vere, e perciò evvi poca ragione di dubitare, che gli stillicidii che emettono gli strati terrani siano dovuti a tutte due le cause; più però alla prima che è quella del celebre Spallanzani, e che assegna ad essi un’ origine dovuta in tutto .agli infiltra-menti delle acque piovane, che alia seconda, che li addice agli effetti della rugiada, la quale dovrebbe supporsi generarsi su vastissima scala per dar luogo a quelle produzioni acquee del resto tanto sparute. — Pur tenendo presente che le piogge non sono abbondanti nelle Isole, e che nelle nostre regioni meridionali e liltoranee del Mediterraneo, la stagione secca estiva e lunghissima, devesi pur convenire che in quella invernale, la quantità d’acqua che cade sul suolo è sempre più imponente, di quella che riversasi per causa del vapore acqueo, tenue tanto che sembrerebbe dovere disperdersi nel primo suolo arenoso, pria di giungere agli strali sottostanti.
Nelle mie ricerche, io ebbi agio di verificare clic al di sotto dello strato arenoso che a Lipari, a Vulcano, a Stromboli , vedesi coprire gran tratti eli paese, il suolo si trova in uno stato di umidità che non si saprebbe a che cosa attribuire, se non a quello istesso rivestimento di arena che impedendo la soverchia azione disseccante dei raggi solari, è di ostacolo alla rapida evaporazione dell’umidità terrestre.
Dirò a questo proposito, che nelle mie visite a Vulcanello, raccogliendo un Cocomero spontaneo in Sicilia, e precisamente originario dell’Isola di Pantelleria (Cucumis colocynlis L.) che crescea su quell’ aride sabbie, appena elevale sul mare, ed a breve tratto dalla Cosla; nel disvellere i robusti ceppi di quell'erba, io mi accorsi che questi, e le loro radici poggiavano su un tufo impalpabile, e dolce al tatto per la sua finezza, la cui umidità mi destò meraviglia, poiché sin da più che un mese non avea piovuto in quelle contrade. Ciò non poteasi attribuire che all’interposizione dello strato arenoso, che vi trattiene una umidità più che sufficiente alla vegetazione delle molte erbe che colà crescevano. Così può spiegarsi la possibilità di coltivare il Salice, i diversi legumi, l’Arancio stesso, in un suolo il cui esterno aspetto, e la natura dello strato superficiale, mentisce la sua vera sostanza. E naturale che là ove alle arene protettrici, sottostanno le crude lave, non v’ è possibilità a cultura alcuna.
La passeggiata alla Schicciola mi procurò la vista completa dell’Arena grande, il cui piano scende maestoso sino al mare, e vi si sprofonda. Anche il fondo di quel mare è della stessa sabbia dell’Arena grande, di cui è il prolungamento.
Quella corrente di sabbia, che sembra fosse fluita, e che serba tanta mobilità, per la inclinazione del suo piano, caratterizza il versante orientale dell'Isola, e sembra segni il corso pel quale le eruzioni del vecchio cratere ebbero il loro sbocco.
Discesi dal cratere, dalla via orientale, che in breve tempo conduce a S. Vincenzo. Poco restavami a fare in quell’isola, se non approfittare di una prima bonaccia, (alla quale il mare allora non parea volesse accennare) e tornare alla bella Lipari, per non correre il rischio di rimanere a lungo incagliato a Stromboli, trattenuto dai venti contrarii; mi disposi dunque a partire, pur troppo dolente di non aver potuto però assistere a nissuno dei meravigliosi fenomeni, che molti scrittori ci hanno de-scritto in modo pur troppo pomposo. Le notizie da me attinte sul luogo, dalle persone più anziane del paese, mi affermarono positivamente, che lo stato di quiete in cui il Vulcano si trovava allora, è di sovente interrotto da furiose eruzioni, i cui effetti si fanno sentire in S. Vincenzo e nell’Isola tutta; spesse volle si avverte un fremito sotterraneo, ed il suolo ne trema, le esplosioni del cratere spesse volte ripercuotendo l’aria veemente, fanno tremare i vetri delle case di S. Vincenzo. Le piogge di sabbia non sono rare, e le case, il suolo tulio di S. Vincenzo sovente ne viene coperto.
Il Padre Russo mi raccontava che molti anni or sono una forte eruzione fece giungere nel versante di S. Vincenzo, una buona quantità di massi, che non lieve danno fecero a quei vigneti. Fra di questi se ne mostra uno enorme, che all’epoca di quel fatto venne a piombare in un vigneto del buon Padre, sconquassando i filari delle vigne — ed era di tanta mole, e tanto l’impeto di cui era animato, per la immensa altezza d’ onde proveniva, che si addentrò di molti piedi nel suolo arenoso. Infine, le apprensioni che in ogni loro dello fanno rilevare gli abitanti di quell’isola, di un timore vago, ma che pur troppo ha un fondo di grande verità, inspirato dal terribile Vulcano che pesa fatalmente sui Strombolesi, addimostra la disgraziata frequenza di quei fenomeni. Anche a me, quell’alta cima del Liscone dietro quale si ascondeva il mostro di fuoco, pesava come grave incubo.
Pure, l’accomiatarmi da quei buoni Strombolesi, mi fu doloroso, come si è di ogni separazione fra gente che non debbasi più rivedere; poiché Stromboli di supremo interesse pel Geologo, poco ne presenta al botanico per la scarsezza delle sue vegetali produzioni, e perciò allora coniavo ben difficile il ritornarvi. II caso poteva forse farmi imbattere con quegli ospitali Isolani su altro suolo, che non fosse l’arido loro scoglio. Ma coloro sapeano pur troppo che quello, li avea visto nascere, e che li avrebbe visto morire, e con un sorriso melanconico impresso della più calma rassegnazione mi diceano: « Noi resteremo quà finché la montagna non ci Schiacci, o la terra non c’inghiotta, e ciò con l’accento di chi sa, che la morte oltre alle sue mille forme, può ben presentarsi colà, sotto le vesti di lave incandescenti, o di piombanti massi, che di quel suolo, la cui faccia è ogni di soggetta alle più strane vicende, del verde campo di S. Vincenzo potrebbe farne un mucchio di nude scorie. Strano attaccamento dell’ uomo per la terra sua nativa!
Dirò fra parentisi, che furonmi di risorsa a Stromboli, ove buona parte delli più comuni cibi sono sconosciuti, i getti dello Asparagio (l’A. acutifolius) mollo abbondanti alla Schicciola, e le minestre di Rapuddi (Brassica fruticulosa), ovunque sparsa alle Eolie, e delle foglie del Finocchio comune. Anche colà bisogna andare con delle provviste.
I miei esperii marinari di S. Marina, approfittando della calma, successa ai venti fortunali del di avanti, e della brezza favorevole, in 8 ore toccando Panaria, mi condussero a Lipari, che dopo le privazioni di Stromboli, mi sembrò un vero. Eden!
M. LOJACONO LE ISOLE EOLIE E LA LORO VEGETAZIONE 2 parte Lipari.
Una linea di vapori da Palermo settimanalmente va a Lipari toccando Messina, chi ha in animo di visitare le Eolie dovrà dirigersi dunque a Lipari che del resto merita il primato essendo la più grande, e la più ricca delle Isole Eolie ed il Capo luogo del Circondario.
Da Milazzo in 2 ore e mezza circa si è a Lipari, che dal bordo si presenta ridente e pittoresca. La corona di monti che dal Nord al Sud , a guisa di anfiteatro, dispongonsi sulla capitale Lipari forma una vista incantevole, e li alti colli il M. Pelato la Chirica e tutta la estrema punta del Nord composta di pumice, colpiscono di meraviglia a chi come me vedea la prima volta lo strano spettacolo di quei monti bianchi che si sarebbero creduti coverti da una falda di neve.
Un bel porto riparato dai venti di Nord dal Promontorio del M. Rosa, e da quelli tanto impetuosi nei nostri climi di Sud Est dalle alture del Capistello, offre ai molti legni che vengono a caricarvi le produzioni dell'Isola, un sicuro ricovero.
Il Castello fabbricato sovra un'alta roccia di lava che propende sul mare, sembra sia stata la più antica costruzione dell'Isola, e quella a cui si aggregò la sottostante città che conta un'epoca più recente.
Sin dai primi passi che si fanno nell’Isola si rileva la vulcanica natura del suo suolo, varcando le porte della città si cammina su terreni coverte di arena vulcanica e l’occhio spazia sulle amene campagne tutte consistenti di vigneti la cui cultura è generale tanto a Lipari che in tutte le altre isole. I vigneti coprono tutte le falde dei colli ed inerpicansi sino alle loro cime, sorpassate le alture che sovrastano la città s'è nel centro dell'Isola, il quale si presenta molto piano, e tutto coltivato. Le pianure di Castellaro, Maduro, Varisana, Piano Conte , sono le contrade più deliziose dell'Isola, ed i centri produttivi della Passolina e dei vini più squisiti.
I vigneti da noi coltivansi generalmente in filari distanziando ogni piede ad un metro circa, potasi la vite lasciando ad ogni piede un sol tralcio che si attacca ad un palo di canna o di castagno, là ove questo albero si trova abbondante, in guisa che i tralci avessero un sostegno, e quando la vigna ò in piena vegetazione arlifizialmenle non fassi che attorcigliare tutti i getti dell’anno al sostegno principale. Altrove usan condurre i tralci da un palo ad un altro, lasciando correre per tutto il filare lunghe pertiche onde aiutare il cammino dei tralci. Ebbi occasione di osservare il metodo che usasi alle Eolie che lo riferisco parendomi di gran lunga più giovevole alla buona maturazione dell’uva. Cominciasi col lasciare alla vite due e più tralci della lunghezza di circa 70 centimetri, ed oltre ad assoggettare queste ad una pertica, si pratica fra i filari nei due sensi per la lunghezza e la larghezza del vigneto una quadratura di canne che si collegano tutte formando dei quadrati perciò dt80 cent, a 1 m. q. circa, in guisa chè i tralci passano da una vite all’ altra dello stesso filare non solo, ma al filare attiguo formando in tal modo un fitto pergolato che ripara quasi ermeticamente il suolo sottostante. I tralci così sostenuti sostengono i grappoli che pendono in bel modo dal pergolato senza che abbiano contatto col suolo come avverasi da noi, e vengono nel tempo istesso a maturare al coperto del sole troppo diretto che può dannegiarli, e dai venti, eccezionalmente freddi o caldi. Un tal metodo ha i suoi grandi vantaggi, oltre che le piantagioni sono più spesse che da noi, ed il fogliame riesce cosi di riparo al suolo che non perde così presto l’umidità naturale, (e ciò che importa assai in un paese come le Eolie, ove l’està è lunga , le piogge sono scarse, e la qualità del suolo arenoso, e grandemente poroso lascia filtrare troppo presto le acque piovane), il fogliame protegge il fruito dalle estreme variazioni atmosferiche sia pel soverchio ardore solare, sia per li rapidi abbassamenti di temperatura, in guisa che il fruito matura lentamente sotto l’azione costante di una temperatura uguale.
Forse da noi un tal sistema sarebbe inattuabile , essendo i nostri terreni per lo più tenaci per la natura argillosa, e richiedono molla forza a lavorarli, ed i lavoranti non potrebbero coll’inciampo delle canne a riquadratura usare la vanga con molto effetto. A Lipari il suolo tufaceo arenoso, pumicio, o di lave decomposte prestasi nel modo più facile ad essere lavorato, ed infatti quei contadini fanno appena uso delle nostre vanghe, lavorando invece con vanghe piccolissime a guisa di erpice che conficcate ad un piccolo bastone, servono bene a smuovere il terreno tanto leggiero, ed i contadini sanno introdurli agevolmente sotto i pergolati, fra i quali hanno un’ arie propria a sapersi districare, e muovere.
Ho detto che le siepi di cui attorniano le culture gli Isolani, per proteggerle dai venti spesso impetuosi, sono quelle vive fatte dalla Ginestra (Spartium) che là prende le proporzioni di un bello arbusto e che riesce assai allo scopo rompendo gli impeli dei venti a meraviglia, pei suoi rami molteplici e virgati. L’Erianthus Ravennae graminacea arborescente è sparsa dapertutto, ed oltre a servire di riparo, somministra una discreta quantità di canna, pullulando incessantemente pel suo fusto sotterraneo. La Genista ephedriodes volgarmente intesa Fascina, riesce anche assai vantaggiosa all’identico scopo.
É strano il vedere vegetare tanto bene le vigne come del resto tante altre culture sul suolo di pura pomice, come si è nei pressi di S. Angelo di Pirrera di S. Elmo e di M. Pelalo. Più ancora il nostro Salice (Salix Alba L.) tanto amico delle umide sponde dei ruscelli reggere così bene in terreni che parrebbero e sono difatti tanto aridi. Il Salice è coltivato nelle Isole, traendone i coloni partito per attaccare i tralci delle viti ai sostegni di canna.
La canna comune è molto rara alle Eolie, e non vidi che un solo piccolissimo canneto a Salina, quegli Isolani la ritirano dalla Sicilia, e siccome la quantità per palizzare tanto numero di vigneti deve essere grande, si può supporre che il tributo che le Isole pagano per l’importazione di questo articolo, deve essere grave; osservando in qual modo meraviglioso certe piante si assoggettano a regimi del tutto differenti di cultura, dalle condizioni alle quali sono sottoposte in istato naturale nel mio giro per quelle Isole, io credo che anche la canna potrebbe coltivarsi abbenchè senza il concorso dell’acqua che sembra le sia indispensabile, e non capisco perchè non se ne sia diffusa la cultura , venendo in tal modo i produttori a sgravarsi di un peso che pagano annualmente per una materia che anche da noi costa tanto cara.
Citai quanto siano scarse le naturali sorgenti nelle Eolie e quale aspetto da tale difetto ne prendono le campagne, e le sue produzioni. Gli isolani non pertanto, fanno tante culture senza di tale elemento, come il faggiuolo che seminano in aprile fra mezzo i loro vigneti, ed ogni altro genere di ortaggi.
A questo proposito cade acconcio il dire che di quel l'acqua che con tanta sollecitudine ogni contadino serba nella sua cisterna, non di rado se rie dedica una porzione allo inaffiamento di qualche delicata pianta, che in parca dose si dà a quelle annuali nel trapiantarle dal vivaio al posto come si è pel faggiuole e qualche altra di tal genere, e che senza quest’impulso nella prima età forse non potrebbe svilupparsi.
Gli abitanti sono tutti provvisti di cisterne ove fanno racchiudere mediante apposite tabulatore le acque piovane. Tutte le case delle Eolie sono sprovviste di tegole, hanno tutti tetti piatti a guisa di terrazze leggermente inclinate in un senso, acciò le acque che cadono nella stagione invernale, scolassero nelli sottostanti recipienti o cisterne, che se ne incontrano ovunque sparse per tulle le Isole e sono un gran ristoro per il proprietario non solo ma pei viandanti. E per queste ragioni, più facilmente percorrendo queste contrade si può estollere la sete, che presso noi in Sicilia ove certe contrade ne mancano assai , e l’uso delle cisterne non esiste. Lo strano aspetto della città di Lipari è dovuto anche all’ insolita costruzione delle sue case, che per le loro forme rammentano le piatte casipole dei villaggelti della costa Africana.
Per altri graziosi particolari si distinguono le case delle Eolie, che attirano tanto dal loro esterno aspetto. Le mille abitazioni che su tutte le Isole sono sparse in mezzo alle proprietà rustiche, sono sempre imbiancate e danno perciò un’idea di nitidezza, sono per lo più ad un sol piano terrano il cui prospetto dà su un terrazzino, sul quale quasi sempre sono erette due o tre pilastri in muratura, che e presso il ricco e presso il povero sorreggono un pergolato che diffonde le sue ombre benefiche in una stagione in cui il sole come da noi e cocente, ed in cui l’isolano è avido di frescura tanto più in paesi ove gli alberi, ed i boschi sono cosa tanto rara. Allo scopo di procurare agli abitanti un po’ di fresco, sono anche fatte le immancabili aperture rotonde, che vedonsi sul prospetto delle case, per mantenere una corrente d’aria se le porte volessero tenersi chiuse.
Gli agrumi sono coltivati alle Eolie all’asciutto, in aprile molti alberi conservavano ancora i loro fruiti, i Limoni anch’essi mostravano una vegetazione lussureggiante. Questi alberi non sono però mollo abbondanti, ed il loro prodotto non è mai sufficiente al consumo del paese che li ritira da Messina, e dalla costa Siciliana; ma mi si diceva che eravi qualche proprietario che possedea tanti alberi da poterne esportare anche a Messina. Io stesso vidi dei grossi alberi carichi, allora delli soavissimi fiori nei tufi arenosi della contrada Nunziata, cresciuti senz’acqua e vivere rigogliosamente.
Mi feci meraviglia il vedere la eccellente qualità dei loro fruiti, insisto su tale punto essendo la cultura degli agrumi una quistione vitale per la Sicilia, ed ogni osservazione su quest'albero prezioso che e stato soggetto a tante peripezie, credo potesse giovarci.
Da una serie di anni gli agrumeti in Sicilia sono stati invasi da terribili mali che sia attaccando la interna organizzazione dell’albero colla malattia intesa gomma, sia il fogliame ed il frutto stesso colle svariate forme di crittogame intese tigne, hanno seriamente compromesso la produzione, ed il frullo perdendo quel bello aspetto che gli è proprio, ha perduto anche quella fama, per la quale vantavansi gli agrumeti di Palermo. Sappiamo noi come si è tentato, ma vanamente sinora di combattere questi mali restituendo agli alberi quella vigoria loro primitiva, ed il nostro Governo saggiamente in quest’anno a stimolare gli studi sulla ricerca per vincere il male, abbia istituito un premio vistoso por chi avrebbe presentato tale antidoto che avesse potuto combattere il fiero male della gomma.
Da notizie mollo attendibili io so che a Lipari ancora non si conosce il male in parola. Come va ciò? io non saprei dire sicuramente se un tale fenomeno sia dovuto alla cultura, a cui soggiace a Lipari, o se invece devesi attribuire, l’essere gli agrumeti ancora immuni dal male, all’eccezionale circostanza dell’isolamento dei giardini di quel suolo, dal centro d’infezione, (finché sia provalo che la gomma è un male contagioso come lo è l’Oidio per le vili o la Phylloxera.) La quistione è un po’ troppo complessa per essere trattata tanto leggermente in questi fogli. Bisognerebbe anzi tutto provare se il male della gomma é un male infettivo, i cui germi diffusi nell'aere possono essere trasportali dai venti. Io non credo sia causato da germi, nè tampoco che sia un male infettivo al pari dell’Oidio e di tanti altri, e perciò non credo che l’immunità degli agrumi di Lipari sia dovuta alla sua eccezionale condizione topografica, poiché con tutta questa sua vantaggiosa posizione, l’Isola avendo certamente dovuto ricorrere per le sue piantagioni alle coste siciliane, a Milazzo, a Barcellona , a Messina, emporio degli agrumeti ove il male è diffuso, difficilmente gli altri alberi avrebbero potuto non attaccarsi, o evitare il supposto male contagioso.
Adunque conviene piuttosto credere che la gomma sia un male come ogni altro a cui vanno soggetti, e gli organismi animati, e gli inanimali, ed in tal caso noi dovremmo ricercare la causa dell’assenza della gomma a Lipari, unicamente nelle differenti condizioni in cui vive l’arancio od il limone all’Eolie e in Sicilia, all’effetto della cultura secca, o della irrigazione. Quali due metodi producono in tutto i vegetali differenze radicali e nell’intima loro struttura, e nell’esterno loro aspetto.
Le piante dei terreni secchi, presentano un aspetto proprio e manifestamente riconoscibile da quello dei terreni umidi, ed acquitrinosi, dippiù piante di identica specie che l’uomo per gli usi che ne trae, toglie dai luoghi nativi, per sottoporle a condizioni differenti di cultura, perdono molti dei loro caratteri esterni, e benché conservando i caratteri di forma inerente alle specie, mutano i loro gusti, ed ogni giorno noi vediamo nei nostri orli quale impronta speciale la cultura dà alle specie identiche, spontanee, o acclimate.
É inutile l’insistere sull’evidenza di tale fatto, anche dal senso del gusto noi giungiamo a far differenza tra i! Finocchio di montagna, e quello dei giardini, tra la Bietola degli orti, e quella dei nostri campi incolli.
Un eccesso d’acqua sviluppa grandemente i tessuti vegetali, e le dimensioni di una pianta ne crescono in pro-porzione, non ne cresce però il volume assoluto, e la fibra vegetale non è così consistente e spessa, e non ha tanti succhi elaborali, quanto ne ha una pianta esposta al sole, e che vegeti sulle nostre montagne. I succhi propri sono tanto più spessi e ricchi di sostanze quanto più spessa è la fibra.
Posto ciò noi potremmo agevolmente credere che in un organismo, ove le funzioni sono più perfette e più complete per la maggiore elaborazione dei succhi, che è in ragione diretta della favorevole condizione di esistenza del vegetale, la vitalità è maggiore. Ed ove la vita è rigogliosa, attive le funzioni, i germi malefici difficilmente, o almeno con minore probabilità di riuscita giungono ad attaccare l’organismo, ed in tal caso nulla d’improbabile che gli agrumi delle Eolie si siano trovali mal disposti ad ammalarsi, e conservino una salute di cui non godono gli stessi alberi in Sicilia.
Chiedo scusa se una quistione pur troppo interessante nella quale io vorrei saper discernere mi ha distolto dall'argomento.
Se l'assoluta mancanza di acque sorgenti priva come dissi quelle campagne del brio che infonde quell’ indispensabile elemento, non priva adunque quelle contrade di lutti i godimenti che somministrano le svariale produzioni del suolo — produzioni limitate come ho dello riguardo agli agrumi, ma sufficiente ai bisogni delle Isole tanto da non ricorrere alla importazione.
Non è così per l’ulivo che è poco diffuso, come anche pel carrubbo , a discapito dell’economia Eolica che è costretta chiedere fuori l’olio, non solo; ma a discapito dell'attrattiva del paese che come dissi, privo di boschi può in certe parli sembrare monotono ed arido per la mancanza di alberi di allo fusto, e delle ombre benefiche.
Un tempo tutte le Isole erano fitte boscaglie, mano mano coll’accrescersi della popolazione le culture hanno conquistato palmo a palmo il terreno, ed i boschi, che nessuna legge forestale giustamente avrebbe potuto garantire, vanno ogni giorno sparendo con grave danno delle condizioni climatologiche di quelle Isole, soggette a tanta penuria di acqua.—Addippiù dissodamenti dei terreni posti sulle cime degli alti colli, dovrebbero saggiamente essere impediti, frenando le superiori boscaglie, il soverchio impeto delle acque che facilmente trascinano gli strali di terreno vegetali sottostanti, causando spesso le frane o meglio i dirupamenti di un suolo che per natura propria cede ad un minimo urto.
Ma il bisogno delle legna è impellente alle Eolie, e ciò è causa principale della scomparsa delle boscaglie, seconda ne è l’incremento delle popolazioni che pur troppo ristrette nell’ Isola, non possono tollerare il soverchio lusso di mantenere i boschi, essendo di loro maggiore risorsa, la coltivazione dei terreni di cui in ogni modo pro-curano di trarre profitto.
A Lipari restano tuttora lembi delle folte boscaglie di una volta, presso il villaggio di Canneto, là ove esisteva un cratere che tuttora si chiama Forgia Vecchia, gli Elei, le Eriche, ed i Cisti, ne sono la base principale; presso la Cima della Pirrera nelle lave terrose e nel suolo pumiceo delle Rocce Rosse presso il Capo Castagna, e nel versante occidentale di Monte S. Angelo nei profondi burroni che portano le acque al Vallone Bianco.
Il centro dell’Isola che è un vasto altipiano è il centro della cultura della vite, e quelle campagne sono le più ubertose dell’Isola, e rivaleggiano con i rinomati vigneti di Pirrera di Piano Conte e dell’altro versante Orientale di S. Angelo; sono pochi i terreni che negansi alla cultura e sono questi i suoli di lava massiccia e nulla affatto decomposti r tanto da sembrare fossero state eruttate da poco tempo in qua, ma che debbono contare centinaia e centinaia di secoli, poiché da 3000 anni in qua nessun ricordo esiste di recente attività nell’Isola.
Una pianta particolare a Lipari ed alle altre Isole è il Cappero. — Questo arbuscolo è spontaneo alle Eolie, da noi trovasi nella regione marittima fra le rupi calcaree, ma non credo facciasi molto conto dei suoi frutti, almeno in tanta vasta scala per come si fa a Lipari, ove quella produzione è un ramo principale di commercio. Incontrasi questa pianta dapertutto sui suoli vulcanici e sulle lave che stanno più presso al mare, in istato selvatico; la cultura che gli Isolani danno a questa si riduce a ben poca cosa, in febbraio e marzo potano i piedi togliendo loro tutti gli getti dell’annata scorsa, in modo che non lasciano che il solo fusto, che a guisa di informe ceppaia comincia ad emettere i nuovi rami in aprile, che deboli e cadenti scorrono sul suolo o pendono elegantemente dalle rupi. Col taglio la produzione dei rami si accresce a dismisura ed è ciò che si pretende per avere una produzione più abbondante di fiori. Ma il fiore non è precisamente quel che si raccoglie, e i capperi, sono le buccie dei fiori e sono questi tanto più saporiti quanto meno sviluppati essi si raccolgono.—I grossi capperi cioè quei bottoni che si sono lasciati maggiormente sviluppare hanno sapore meno piccante, e più erbaceo, hanno perciò minore valore; ma al momento della raccolta non si fa distinzione dei grossi e dei piccoli, si staccano dal piede, e portate alla città con aceto e sale si curano, e non ò che dopo che si separano in diverse categorie secondo le loro dimensioni, che messi in barili si dispargono per tutti i paesi.
Avendo parlato del cappero, dell’ulivo, della vite, poco mi resta a dire volendo esaminare tutte le produzioni dell’Isola; la cultura dei cereali non è molto estesa ed il frumento che si produce non è sufficiente al consumo, coltivasi la segale, l’orzo massimamente a Panaria, ove di quest’ultimo si fa pane, ma che razza di pane!
L’esame delle culture di Lipari mi ha forse fatto scrivere di soverchio, quanto ho detto mi dispenserà di parlarne in seguito, nella descrizione delle altre Isole, essendo le culture identiche in tutte; io credo che a volere dare una idea della vegetazione di un paese, giova assai più che citare le produzioni spontanee, il descrivere quelle più estese sparsevi da secoli dalla mano dell’uomo. Più che le forme dei monti la configurazione del suolo, il manto che la natura spande su questo, vale ad imprimere ai luoghi un’originalità propria, e l’effetto che se ne produce, lascia in chi li ha visitati un’imagine che la distanza ed il tempo non può cancellare.
Eppure quanta speciale originalità, ad ogni passo non si rileva in quel suolo corroso, frantumato dalli spaventevoli cataclismi che generarono queste Isole!
Per una serie di elevati poggi si ascende il versante orientale, il cui vertice formato da una considerevole elevazione (600 m. circa) che è la cima di S. Angelo, sta quasi al centro dell’Isola, dal quale si ha una veduta generale e su Lipari e sull’intero Arcipelago, la prolungazione settentrionale è distinta dall’alto Monte della Chirica, che è il centro della regione pumicea, e che va a finire coll’estrema punta dell’isola al Nord, col Capo Castagna; al Sud Est, formando l’estrema ala del vasto semicerchio che circonda la città di Lipari è Monte Gallina o Giardina , cratere estinto che separato dalla catena principale da una stretta valle che è la Valdimuria , va collegato dal lato Sud Est ad altre minori elevazioni, termina l’Isola da quel lato che uno stretto canale, di 2 kilom. circa, la separa dalla vicina Isola di Vulcano. Il versante occidentale insensibilmente cala nei piani a cui accennai di Castellaro, di Maduro etc. che terminano verso il littorale di Ovest Sud-Ovest con delle orride rocce vulcaniche di una grande elevazione, e che rendono quella regione dell’Isola deserta selvaggia, è la spiaggia che bagna il Canale di Salina, inospitale, pericolosa e quasi inaccessibile. Fa questo littorale un contrasto sensibilissimo col littorale orientale tanto ameno, sicuro e popolato.
Pria di visitare più esattamente la parte Sud-Ovest, volsi i miei passi verso il Nord dell’Isola, e scendendo dal S. Angelo, non senza dare un ultimo sguardo all’incantevole panorama che si gode, mi trovavo giù fra la nuda pomice che sotto i miei passi rimbombava, come se di sotto a me si trovasse qualche immenso vuoto.
La regione merita ogni più attento esame del geologo, ma il botanico ne resta desolalo, non offrendo quelle terre la benché minima vegetazione, o per essere più veritiero la sola Cupularia graveolens, volgarmente Prucàra che sembra l'unica pianta che sappia accomodarsi a quello ingrato suolo, avendola incontrala anche sulle aridissime lave di Vulcano. Volsi dunque la mia attenzione alle particolarità della terra, e fu allora che dovette lamentare in me la poca conoscenza delle scienze geologiche al cospetto di tanta varietà di pietre che io non sapevo caratterizzare. Notai Ira il candido manto della pomice i grossi ciottoli ed anche le immense masse di una sostanza la più nera che si possa immaginare, e che non era che la ben nota ossidiana di cui è coverta l’Isola tutta. La compattezza di quella pietra e meravigliosa, e non c’ è modo di poterne strappare dai massi, che sempre si scontrano erratici, e come se fossero statevi trasportale o buttate da forze sovrumane, il benché minimo frammento. Sulla liscia parete dell’ossidiana, vegeta non pertanto qualche Lichene. E strano l'osservare, le stratificazioni che spesso vi si veggono immedesimale, sono strali esilissimi di pomici alternati dalla medesima sostanza sottoforma di minute lenticelle, io non saprei spiegare in qual modo due sostanze tanto eterogenee possano riscontrarsi e formare un unico blocco, e su tale riguardo non posso che riferire il lettore alle belle pagine che l’illustre Spallanzani scrisse nel suo viaggio alle Eolie.
Osservate le miniere di pomice, le cui buche strette si internano nel seno del monte per considerevoli traili di profondità, e sembrano delle tane di mostruosi animali, uno sguardo alle Rocce Rosse è cosa interessante, e volgendo i passi verso il Nord si affaccia ad uno spaventevole baratro, che non si saprebbe dire in qual modo fosse stato formato; senza che la vista abbia il tempo di prevenire i passi, tulio ad un trailo il suolo manca ai vostri piedi, ed un abisso di un 150 m. si presenta, in fondo al quale evvi un discreto piano lutto intersecalo di culture (per lo più vigneti,) in capo al quale una lingua di terreno, si vede disegnarsi sulla bianca pomice tutta differente per colore, e per natura, dalle rocce circostanti in mezzo alle quali è incastrala. E una corrente di lava di un color mattone che tende al rosso il più vivo, e che si allunga formando il Promontorio della Castagna. È un punto il più interessante dell’Isola, e pel geologo un vasto campo di belle osservazioni e di interessanti raccolte.
Il ritorno a Lipari pel Pelato è anche una gita di vivo interesse, il M. Pelato è pure pomice pura—per questa via si scende al Canneto ed è questa la rotta che seguono i poveri trafficanti di pomice nel trasporto della loro mercanzia a Canneto, ameno e pittoresco villaggetto che sta sulla spiaggia di una piccola baia, e che è l'emporio del traffico della pomice.
Una via piana e la più facile nell’Isola porta a Lipari, ma a chi vuole osservare ed il suolo e le sue produzioni non é lecito il seguirla, ed io pei boscosi fianchi del versante del M. Rosa, salii sulla cima di quel pittoresco promontorio che geologicamente, è senza dubbio un vero tesoro, per la svariala quantità di lave di ogni colore dal bruno nerastro al rosso ed al giallo sulfureo, che passa al verde chiaro che lo compongono. — Il nome di M. Rosa è mollo bene adattato. Però anziché esplorarne la cima, chi vuole studiarne la struttura deve indagarne gli diruti fianchi che propendenti sul mare ad ogni istante minacciano volervisi precipitare.
La ricchezza delle vetrificazioni del M. Rosa non è inferiore a quelle del Capo Castagna, sono lave ridotte allo stato di vetro per la potenza del calorico che un tempo le eruttò.
La Chirica, il Pelalo, Campo Bianco, e tutto il nucleo pumiceo dell’Isola, credo debbano occupare 1j5 della intera superficie dell’Isola che resta perciò nudo di ogni vegetazione, poiché sembra che la pumice e tutte le vetrificazioni siano i terreni i più refrattari alla decomposizione per mezzo del tempo e degli agenti atmosferici. Privo quel suolo del benché minimo strato di terriccio vegetale, ogni vegetazione per necessità vi è bandita.
Credo però che ove la pomice si trovi frantumala a guisa di ceneri, e non poco profonda la cultura della vite, possa riuscirvi, avendo osservato dei campi di pura pomice sin sulla cima di S. Angelo, ove si coltivava la vile ed il salice. Non potrei dire se quest’ultimo attinge quelle dimensioni nelle quali si mostra da noi sulle rive dei torrenti, poiché allora in aprile cominciava a sbucciare.
Il litorale occidentale come dissi non è meno inospitale della parte settentrionale, se questo è il dominio della pomice, quello è tutto erto di rocce scoscese di crude lave, le cui sommità elevansi a ben 350 metri sul mare, formando le Punte di Mazzacaruso, di Patàsa e di Palmeto, ed una serie di aride colline che scendono ripide sino alla riva. Le lave sono più recenti, non offrono alcun segno di decomposizione, e sembrano eruttale da ieri, e se la loro antichità è incontestabile, deve però ritenersi che questa parte dell’Isola conta una più recente data di sollevamento, e l’attività sotterranea che non è del tutto spenta, si rileva ad ogni passo, nelle impronte delli sassi, e nei fenomeni che tuttora si manifestano. Sono questi locali desolali, ma pur troppo imponenti nella loro selvaggia grandezza, questo lato dell’Isola rammenta in tutto le squallide scene di Vulcano e di Stromboli. Dai fianchi di un colle dirupato e lutto tinto dalle esalazioni solforose ha origine una calda sorgente termale, che scorrendo precipitosa per la china, e seguendo le sinuose crepature del suolo di lava, va a scaricarsi nel mare. — E questa sorgente intesa il Bagno Secco, forse perchè un tempo esistettero colà delle stufe, ma se le stufe sono scomparse, l’acqua esiste, onde il nome è poco adatto ; salvo che la sorgente non fosse venuta meno in epoche remote, e quasi a disseccamento, e che ora fosse di nuovo ricomparsa, ed ora il nome di Bagno Secco è rimasto a dispetto del capriccioso ruscello che silenzioso ed inosservato continua a portare il suo tributo di acque termali.
Tutt’intorno, le pietre sono di colore sulfureo, anzi in gran parie contengono lo zolfo in perfetto stato di purezza. — La Punta del Palmeto, colle a 300 m. circa, che si trova a poca distanza dal Bagno Secco, e che sovrasta la spiaggia dei Morti, (infausta riva ove un temporale fracassò or sono molti anni un legno, ed ove il domani galleggiavano i miseri resti di 120 annegati), attrasse la mia attenzione, curioso di sapere se mai il nome che questo colle portava, avesse relazione alcuna colle Palme che un tempo forse vi cresceano.
Fui fortunato nelle mie ricerche su quei balzi taglienti che sovrastano pericolosi precipizii, trovai un piede di Chamaerops humilis L., la nostra Scoparina come volgarmente noi l’intendiamo, un sol piede che forse era l’unico allora esistente, e ogni mia ricerca susseguente fu vana. Ma il fatto era chiarito, il Palmeto chiamasi cosi per essere un tempo un locale produttivo di Palme, era quanto io voleva saperne, oltreciò avevo constatato crescere il Chamaerops anche sulla più ruvida lava.
Di là mi dii essi all'altra sorgente termale di maggior rilievo che alimenta i celebri bagni di S. Calogero, che se ai tempi di Spallanzani erano in tale stato tenute da non potere gli ammalati approfittare di quelle acque miracolose, ora presentano un bello e vasto edifizio fornito di tutte le comodità che richiede la vita, eretto per cura del Municipio di Lipari, che in quell’azione ha saputo dare una vera sorgente di traffico e di benessere a tutta l’Isola.—Il sito ove sorge l’edifizio è ridente, la sua vista sul mare e sulle isole vicine è pittoresca, e fa di questo locale una amenissima residenza per gli invalidi.
Impiegai sette giorni ad esplorare Lipari, il versante Orientale è fertile ed ogni angolo di terra offre svariale produzioni vegetali, i dintorni di S. Angelo il M. Rosa la contrada Valle la Guardia e le Coste del Cappero offrono buona messe al Botanico. Le roccie marittime di quest’ultima località producono la rara Centaurea aplolepis Moret, l’Helichrysum liltoreum Guss. e la Cineraria bicoIor Guss. piante quasi esclusive di Lipari e delle Eolie.
Restai molto sensibile alle tante gentilezze dei Liparoti che colle loro informazioni e colle cortesi esibizioni resero più facili le mie ricerche, la bontà la buona fede di quegli abitanti è estrema ed io non saprei quali termini usare per esprimere loro la mia gratitudine.
Fo voti assieme a loro, che il Governo Italiano pensi alla fine di migliorare le condizioni di tulle le popolazioni delle Eolie, procurando di connetterle più intimamente colla Sicilia, e col resto del Regno, e faciliti le comunicazioni, provvedendo Lipari di una stazione telegrafica, e di un cordone sottomarino che la riunisca col promontorio di Milazzo.
La scarsezza delle comunicazioni, la segregazione dal mondo intero, son queste i soli mali che si lamentano a Lipari. Le spese per siffatta istituzione non sarebbero gravi, il cordone sottomarino tra Lipari e Milazzo non potrebbe oltrepassare la lunghezza di 40 kilom., in ogni modo è un beneficio che quei buoni cittadini italiani che pagano le imposte meglio che ogni altro cittadino del Regno, che non hanno in cambio tutti gli altri vantaggi delle altre popolazioni, poiché non hanno ne potrebbero pretendere nè strade rotabili, nè tanto meno ferroviarie, è un benefizio replico che dovrebbesi ad ogni costo loro concedere.
Avevo scoperto M. LOJACONO POJERO quando, facendo ricerche sul Cappero, trovai riferimenti in FLORA SICULA, testo del 1888-1908, sulla pianta alle Eolie, ….”sulle rupi vulcaniche Stromboli Salina….”. Successivamente ho avuto modo di trovare in formato digitale il testo: LE ISOLE EOLIE E LA LORO VEGETAZIONE del 1878 di cui ripoterò a puntate alcuni stralci.
M. LOJACONO LE ISOLE EOLIE E LA LORO VEGETAZIONE 1 parte
RECATOMI a visitare il Gruppo delle Eolie per incarico avutone dal mio maestro Prof. Agostino Todaro, allo scopo di esplorare i loro prodotti vegetali in quel breve tempo che io potei dedicarvi giunsi a percorrere piuttosto esattamente tutte le Isole, meno di Alicuri e Filicuri a causa della loro posizione eccentrica dal gruppo di Lipari, e della incostanza del mare, e ciò con grande mio rammarico .
Ciò non pertanto il numero delle raccolte fu piuttosto ragguardevole, e nel loro complesso danno un'idea esatta della vegetazione spontanea del Gruppo, tanto interessante, parte della nostra regione Mediterranea . La parte seconda di questo mio scritto, dà un catalogo delle specie da me rinvenute .
La prima racchiude idee forse un po ' troppo lontane dallo scopo a cui mirò la mia escursione, sono osservazioni fatte e notate sul luogo, e valgono a dare un succinto prospetto della natura di quel suolo speciale, e tanto degno delle più serie investigazioni, del clima che tanta parte si ha nel carattere della vegetazione, su alcuni punti di geografia che è strano tutt'ora siano mal conosciuti, sullo stato di cultura , e di vegetazione che l'uomo vi ha importato, e sui costumi degli abitanti di tanta pregevole parte della nostra Sicilia.
Dedito al disimpegno della mia missione, nel percorrere quei fioriti sentieri, o ascendendo quelle roccie corrose dal fuoco io ebbi l'agio di acquistare nuove idee, e di seguire una serie di osservazioni , che io qui riunisco in un assieme, che spero varrà a completare le linee di un passaggio che io a grandi tratti espongo al mio lettore; del resto avrei temuto da un canto sembrare troppo arido, se mi fossi limitato alla semplice enumerazione delle specie da me raccolte, lungo le mie esplorazioni , e sebbene della botanica direi che io avessi fatto la mia speciale occupazione, avrei creduto essere pur troppo specialista se mi fossi tenuto negli stretti limiti di una nomenclatura, che alla maggior parte dei lettori resta incompresa.
Questo mio scritto è non per tanto dedicato a quei che come me si occupano di una scienza tanto vaga ed interessante che disgraziatamente fra noi non ha molto cultori; mira a far conoscere la Flora di questa regione che per la sua posizione geografica dimostrerebbe avere una individualità propria. E di questi studii parziali in date circoscritte regioni io opino potranno essere d’interesse e di aiuto, e saranno mi lusingo tanti briccioli di scienza che dovremmo tutti a gara portare alla formazione dui quel grande edifizio che uno dei più dotti nostri botanici sta elevando, colla compilazione di una completa Flora della nostra Italia. E tutte quelle osservazioni che io non ho temuto pubblicare sulla regione da me percorsa, io non credo potranno sembrare superflue, anzi mi fa piacere il pensare che siano tali da portare più luce sulla enumerazione delle specie da me rinvenute.
Una parola di scusa verso coloro che potrebbero attendersi la completa raccolta di una Flora Eolica.
Il Gussone che credo fu il primo che visitò il gruppo di Lipari, nella sua opera la Synopsis Florae Siculae dà la enumerazione completa (se mai tal parola può adoprarsi in investigazioni di simile fatta) delle specie che crescono alle Eolie. Le mie osservazioni mi hanno messo al caso di assicurarmi che le ricerche del Gussone non poteano essere più esatte e precise. E tutto ciò che noi ci abbiamo sul Gruppo per quanto riguardi il lato della Botanica; poichè quei che seguirono le sue ricerche nulla ci lasciarono da aggiungere alle prime del Gussone, il Calcara sia per vantare piuttosto una scienza geologica a quella delle piante, il barone Mandralisca per avere voluto, e ciò a sua lode, tentare sul gruppo le più svariate ricerche scientifiche su tutti i rami di Storia Naturale, a quale vasta mira non per tanto quegli riuscì egregiamente, e ancora Lipari e la nostra Sicilia parlano di quel genio pur troppo presto rapito alla sua terra , e che tanto illustrò quelle interessanti isolette.
Dal catalogo che io presento si scorge che il numero delle specie che io raccolsi si eleva a' più di 500 circa, tendo a far rilevare ciò unicamente allo scopo di accertare che perciò alla Flora Eolica si deve attribuire un maggior
numero di specie che non è quello che l'Illustre Gussone cita nella sua Flora di Sicilia, che non supera il numero di 600. Se le mie ricerche avrebbero potuto effettuarsi per una più lunga parte dell' anno o almeno se mi riuscirà altra volta recarmi in quelle Isole in stagioni diverse da quella in cui io le visitai, v'è dunque ragione di ritenere che la Flora Eolica, se non è delle più speciali, è certamente più ricca di quanto sinora noi abbiamo potuto ritenere.
L'esposto gioverà io spero a scusare l'esistenza di alcuni vuoti, che in appresso mi auguro giungere a colmare ed a far ritenere questo scritto un frammento della Flora delle Isole Eoliche…………………….
Il Gruppo comprese le Isole di Alicuri di Filicuri conta 13 isole, delle quali 5 cioè: Dattolo, Liscanera, Bottaro o Tilanavi, Lisca Bianca e Strombolicchio sono scogli.
Nessuna di queste ultime è abitata , nè potrebbe mai esserla , Dattolo e Strombolicchio sono scogli a picco , Liscanera , Panarelli , acute guglie spazzate dalle onde, e spauracchi dei naviganti , Bòttaro o Tilanavi , e Lisca Bianca due scogli piuttosto piani che assieme a Basiluzzo hanno una miserabile vegetazione, e quest'ultimo vasto baluardo di rocce a picco , una magra cultura che potrebbe sostentare qualche famiglia, e che un tempo senza dubbio fu abitata, osservandovisi tuttora vestigie di antiche fabbriche.
Lipari è la più grande del gruppo, dista dal Capo di Milazzo 22 miglia circa, Vulcano è la più vicina alla Sicilia, Stromboli la più lontana, Alicuri la più distante dal gruppo, è l'estrema ad Occidente. Salina sarebbe il centro dell'Arcipelago, e per la sua estensione e per la sua importanza è la seconda dopo Lipari. Tutte sono di origine vulcanica, le leve, le scorie, le pomici, i tufi vulcanici, e le materie vetrificate, come gli smalti e le ossidiane s’incontrano ad ogni passo, ed in vario modo ammassate e stratificate formano le montagne le più strane.
Che queste Isole sorsero dal mare in seguito alle più violenti convulsioni non v’ha dubbio, ma quando questi grandi fenomeni avvennero, nesuno lo sa, ed il fatto delle loro apparizioni sulle acque si perde nella notte dei secoli: lipari, Salina, Panaria, Alicuri e Filicuri debbono però ritenersi più antiche. Stromboli e Vulcano che tuttora mostrano i più spaventosi segni della loro attività sono di origine più recente. La comparsa di Vulcanello è l’ultimo fatto più recente dell’azione vulcanica del gruppo e questo fu secondo Posidonio e Plinio, 426 anni pria dell’era volgare.
La ipotesi di molti geologi che tutte le Isole, avessero avuta unica origine, e che formavano pria un'isola sola che potè sfracellarsi , e dai cui frantumi sono nate tutte quelle che noi vediamo oggidi , e ciò a furia di cataclismi o per l'azione distruggitrice delle onde , è un'ipotesi senza base e strana , dappoichè noi veggiamo che quasi ognuna di queste Isole ha un cratere , o un centro di eruzione, e le loro forme coniche, i segni evidentissimi che sovra ognuno di questi coni, si osservano delle estinte bocche , ora addimostrano chiaramente che ogni isola ebbe un'origine propria , ebbe le sue eruzioni, per le quali fu sollevata dal mare.
La posizione del Gruppo circondato dal mare battuto da tutti i venti fece dire che queste isole fossero quelle d'onde scaturissero i venti, e la favola die un corpo a queste ingenue espressioni dei nostri padri, creando Eolo re dei venti, che a suo maggior comodo li scagliava in ogni direzione.
Per le condizioni derivanti dalla posizione topografica delle Isole, la vegetazione di queste ha l'impronta la più caratteristica delle regioni essenzialmente marittime, e sebbene molte di esse elevano le loro cime, a delle considerevoli altezze sul mare, la natura del suolo, l'influenza di un vasto Oceano, che come tutti i mari , mitiga li eccessivi salti di temperatura dando un clima più uniforme e temperato, fanno si, che le loro cime non si vestono di una vegetazione il cui carattere ci potesse far credere , che dalla prima zona marittima noi ci elevassimo ad una regione collina superiore, ove noi potremmo riscontrare , le essenze sue caratteristiche come la querce ed il castagno ; e sebbene io abbia incontrato a Salina sull'alto monte che quasi elevasi a 1000 metri il Castagno , per la scarsità sua, io dovrei ritenere che questo albero non può es servi del tutto spontaneo, e che perciò questo non segna l'apparizione di una zona vegetativa più elevata , che in Sicilia vedesi produrre il Castagno appena a 500 m. sul mare. Onde i boschetti che i nativi non possono fare a meno di chiamare col nome pomposo di boschi , e che ora non come una volta vestono quelle colline ove la vanga ancora non è giunta , sono composti dell ' Erica arborea, dei Cisti, delle Ginestre (Spartium Cytisus , Genista), e dell'Arbutus unedo L. offrendo così il pieno carattere dei fruticeti marittimi.
Sino ai principii di questo secolo, ricordano i vecchi nativi che la maggior parte dei terreni (massime nell’Isola di Salina) eran coverti di dense boscaglie, l’Erica arborea di cui ora i più robusti campioni non vidi elevarsi al di là dell’altezza di un uomo, faceano gran quantità di legna non solo da ardere ma di costruzione, lo stesso dell’Arbutus unedo della quercia Elce che oggi osservasi in modo sparuto a Stromboli, a Lipari, alla Forgia Vecchia ed alla Serra.
La Phylliraea altro arbusto proprio del littorale Mediterraneo , si scontra ben di rado , il gigante dei Citisi il C. aeolicus Guss . di cui Vulcano e Stromboli sono la patria , specie endemica dell'Isole Eolie , è divenuto oramai una rarità , ed anche questo era una volta la più grande risorsa del legnajuolo, formando delle boscaglie assieme ai suoi congeneri gli Sparti , la Genista ephedriodes , il Cytisus candicans , e le Calycotome , di una tinta proprio locale . Un saggio di tali generi di boschetti é da osservarsi tuttora al Piano di Vulcano .
Si lamenta in tutte le isole la totale assenza dell'acqua , in un paese ove le piogge debbono ritenersi scarse , ove il suolo al massimo grado poroso , prestasi assai avida mente all'assorbimento delle acque piovane, e la evaporazione attivata da un sole cocente e da una stagione di siccità che si prolunga da aprile ad ottobre , e dalla natura stessa del suolo che tanto attira i raggi solari, la vegetazione graminacea deve essere magra, ed i prati di lieve durata, composte di erbe stentate, mal si prestano ad essere pascolati anzi di questi non ci è da tenerne alcun conto, ed i coloni che tutti posseggono chi il bove, chi la sua mandriuola di pecore, seminano al proposito i foraggi da apprestarsi a queste bestie, che sono la Fava comune ed il Lupino bianco.
Da ciò l'uso di alimentare nella stalla Te-specie bovine e le ovine, uso che non ritrovasi qui in Sicilia nonostante che i pascoli relativamente alla estensione dell’Isola, sono anche scansi e poveri, ma alle isole Eolie letteraImente manca lo spazio ove far vagare quelle bestie, ognuno procura trar profitti maggiori del suolo in molte parli insufficienti ai bisogni di u n'estesa popolazione, e Io industria colla vigna, col frumento a con l'ulivo, l’animale è dunque necessariamente confinato in ovili raramente in muratura costruito, ma aperti al sole ai venti, fatti alla meglio con delle siepi. delle spino di Ginestra, o del li massi di pietre sconnesse.
La mancanza dell'acqua bandisce dunque da queste regioni molte classi di piante paludose o che non possono fare a meno di una costante umidità.
Si potrebbe credere che tante culture dovrebbero non esistere alle Eolie, come l'arancio ed in generale gli agrumi, le piante ortalizie, e la massima parte degli alberi fruttiferi, ma la necessita è una seconda natura, e l'arancio prospera, mollo meglio i limoni, senza acqua, Cosi è di lutti gli alberi fruttiferi che non sono grandemente abbondanti ma che non mancano, e danno anzi fruiti molto saporiti.
Non tralascio di fare osservare che parte principale, nell'aspetto generale delle campagne Eolie tanto serie, e di una monotonia che potrebbe sembrare attristante, se non fosse sublime la sua semplicità, e per la fedele espressione di una natura grandiosa la cui storta misteriosa della sua origine è impressa ad ogni passo sulle sue arene, sulle sue roccie strane, si è dovuta all’assenza di quel gajo elemento che infonde la vita, ed è la parola della natura; sconosciuti i ruscelli che mormorano, i torrenti dai corsi tortuosi che nelle mille pieghe alimentano la frescura, e le ombre benefiche dei salici, dei pioppi anch’esse bandite da codeste Isole ove se mi si permette tale espressione il paesaggio è petrificato. Aggiungiamo alla mancanza dell’acqua, il difetto di alberi in massa che variano le tinte, che alterano gli effetti del paesaggio, e che danno ricovero ai mille ucceli cantori dei nostri folti boschi, e tuttociò basterà a dare un’idea di una campagna eolia, muta, severa, ma sublime sempre nella sua austerità
Il Vallone Bianco è il solo letto di rusciello che io avessi visto, è a Lipari e raccoglie lutti gli scoli piovani che dalle alte cime della Chirica, il più alto monte dell'isola e di S. Angelo scorrono sul centro dell'isola e vanno a sboccare sulle spiagge selvaggie del Palmeto e di Cala Sciàbica. Per quanto arido, e per la natura primiera del suo letto, o perchè in aprile già da un mese mancavano le piogge, pure i suoi fianchi tratteneano una certa umidità che dava ricetto a multe piante che altrove nelle Eolie non ho riscontrato.
Altrove, e a Lipari e neIle altre Isole, le acque si aprono delle vie fra le arene, fra li tufi e non hanno letto stabile, mancando il macigno e le argille e tulio ciò che ostacolando l'impeto delle correnti costringe le acque a crearsi un letto. Tulle le vie di Lipari (parlo di quelle rustiche e trazzere corno da noi si chiamano), asciutte ilo per la massima parte dell’anno nelle piogge diventano ruscelli più o meno torrentuosi e scoli naturali.
AI difetto di veri boschi potrebbero supplire quegli artificiali, dì ulivi, di carrubbi di cui questa sarebbe la zona produttrice, ma non è cosi, e non saprei spiegare pur qual ragione l’ulivo meno che a Stromboli ed a Panaria, e tanto poco diffuso, da non potere bastare il suo prodotto al consumo interno, è cosi il carrubbo.
Comunissimo è invece il Fico che nelle arene profonde di Stromboli mostrasi quasi spontaneo.
La vite è la base dell’economia delle Eolie, è la fonte della prosperità degli abitanti. Coltivati in modo stupendo, ed in niun luogo io ho visto le viti tanto bene coltivate come nelle Eolie, in suo luogo parlerò delle prodighe cure che il colono appresta a pianta tanto pregevole. Producesi in tutto il Gruppo la Passolina che è tanto rinomata quanto quella che apprestano le Isole dell'Arcipelago Greco. La Malvasia, i vini più squisiti ed alcoolici al massimo grado sono i prodotti di terre vulcaniche che parrebbero tante ingrate e sterili.
Il Cactus opuntia è diffuso anche dapertutto, il Cappero è una risorsa delle più importanti dell'Industria Eolica.
Le Ginestre, l’Erianthas Ravennae che è una alta pianta graminacea propria del litorale Mediterraneo e che assieme allo Spartitium junceum L. è comunemente adoperato ad uso di siepi per proteggere dai forti venti i vigneti che si scorgono lussureggianti sino alle più alte cime del monte S. Angelo a 600 metri circa, ed a Salina anche al di sopra di tale limite, addimostrano chiaramente quanto io dissi; che nelle Eolie difficilmente si potrebbe far distinzione di zone di vegetazione. E’ l’influenza marina che da ogni lato inviluppa tutte le pieghe del paese, e che dà a questo unico tuono ed analoghe produzioni.
Dalle condizioni su espsote si può rilevare che Flora Eolica, non può essere delle più svariate e ricca di forme, ed infatti poco offre di spedale e distinto alla vegetazione Siciliana. Ciò non pertanto, per la condizione insulare di codesta regione l’esame della sua Flora non può essere che interessante il confronto con quella di Sicilia che su questo caso potrei chiamare continentale, ci è dei più Istruttivi, si nell’esame delle specie di un identico genere ad insegnarci quali sono i suoi rappresentanti nelle stazioni marittime, si nell’esame delle identiche specie a farci rilevare quali effetti produce sulle forme, l'influenza della località.
E d’uopo che dopo aver fatto rilevare in riassunto le condizioni più salienti della vegetazione delle Eolie in generale io torni a dire gualche parola rispettivamente per ciascuna isola non senza prima far cenno di quegli abitanti la cui bontà di animo, e severi costumi fa senso ai forestieri che son venuti in contatto con loro. — Li non mi rammento quale sommo antico scrittore assicurava in latino aforisma, in generalo essere gli abitanti delle Isole, e della Sicilia in ispecie, cattivi per peccato originale. — Il solo accertarsi della patria di un individuo, se circoscritta o no dal mare, era per questi ragione a preconizzare sulla buona o sua cattiva indole. — Fu questi un di quei tali che scrisse di un luogo senza averlo visitalo.
Passiamo di sopra ai nativi di Sicilia pei quali la mia condizione, non mi farebbe essere giudice imparziale, e parliamo di quelli delle Eolie, non senza prevenire che per quanto io senta escissi dallo scopo non fare a meno di attirare un po’ l'osservazione, su cose die tanto attrassero la mia.
Ritornato di quella breve escursione in contrade tanto analoghe per tutti i riguardi alla mia terra nativa, e che solo un breve tratto di mare separa dalla Sicilia, io mi sono dimandato se è vero che la civiltà è la prerogativa delli grandi centri popolati, mi son chiesto se è vero che la buona indole é in ragione diretta del grado di istruzione di un popolo, e a tali dimande piane a prima vista io non ho saputo dare una buona risposta, e sono rimasto nel dubbio, tanta eccezionalità alla regola io ho trovato nei paesi che visitai. — Non è il momento di discuter problemi tanto filosofici, nè io sarei capace a trattare tale quistione; ma in ritengo che là ove meno l'uomo ha da ambire, più facilmente si può essere contenti — e che là ove è la calma felicità di una vita domestica menata fra i campi, al cospetto di tutte le bellezze di una natura selvaggia, alcuni istinti che l'uomo trae sin dalla nascita e che sono innati nel genere umano non si sviluppano per difetto d’incentivi, s'attutiscono, rimangono in istalo latente— Nelle piccole isole ove i costumi sono primitivi, ove la miriade di civiltà che l'uomo vi apporta sono sconosciute, i desiderii, anzi le ambizioni sono limitale; non cosi nelle grandi città ove la gerarchia sociale è estesa, e vasta è la scala delle ambizioni umane.
Bandite tante vane aspirazioni, le idee ristrette in una cerchia limitatissima, il paesano Eolico non desidera che quel che Dio solo può dargli, il pane quotidiano che si presenta al contadino sotto forma di una buona raccolta, e la stagione propizia, e per aver ciò bisogna mettere del suo, il sudore della sua fronte. — Chi lavora ha meno occasioni di cadere nel vizio. — Lavora egli dunque e con amore, perchè ogni colpo di vanga può accrescere il suo patrimonio, essendo il campo sua proprietà; è libero egli perciò più del nostro contadino. — E’ un gran bene la estrema suddivisione della proprietà fondiaria. — Se l’economia politica ne ritrae i suoi grandi vantaggi, la morale del popolo grandemente ne acquista! Se una legge potesse imporla alla Sicilia, e dapertutto ! Quanto bene noi ne avremmo!
Allo Eolie non è l'uomo solo che lavora, lavorano le donne e sono le più contadine, eseguiscono i lavori i più virili; zappano, fanno quel che richiede una cultura la più ragionata alle loro vigne, ogni cura del raccolto dei capperi, delle Uve, della Passolina è la loro. A Panaria le donne remano sulle loro barchette, e vanno alla pesca, a Lipari (ed è qui doloroso dirlo) giovanette ancora tenere portano sul dorso i gravi carichi di pietre pomici che dal Pelato e dal Campo Bianco cioè a dire da un’altezza di più che 300 m. scendono al villaggetto di Canneto, che ne è il caricatore.
L’attività del loro corpo giova al loro morale, vanno sole per tutta l'Isola svelte ed allegre, a pie’ scalzi sempre, e ciò non è segno come si potrebbe credere di estrema miseria, sembra fosse uso consigliato, o dalla natura dei terreni, o dal clima stesso. — Non fuggono il forestiere, tutt'altro gli si mostrano amabili, se questi loro rivolge la parola rispondendo gentilmente, procurano essergli utili. Lo guardano con estrema curiosità, tanto è nuovo per loro lo spettacolo di un signore che giri pei loro monti, ma tutto ciò con disinvoltura senza quell’aria di sfiducia, e di estrema suscettibilità a cui vanno soggette quelle di Sicilia e di altrove.
L’ingenuità, e credo di non errare, è la toro forza — quanto belle giovanette dalle mosse eleganti, dalle vesti variopinte, e dal rosso fazzoletto sul capo come pittorescamente si addobbano te donne delle Eolie per gli avvallati sentieri vedevo scorrere agili, e per i boschetti di Eriche o di Cisti balzare fiduciose in quelle solitudini come se fossero accanto alle loro mamme, di una fiducia che non può ispirare che il candore dei costumi che io chiamerei patriareali. — A Salina le donne non faceansi scrupolo alcuno di mostrare la maggior parte delle loro gambe, io non saprei dire se questi usi che da noi non esistono sono l’estremo della impudicizia, o la massima innocenza!
E sempre al lavoro che devesi attribuire la bontà d’animo di quelle popolazioni. Da noi la donna limitata fra quattro mura, poltrisce e spesso è cattiva.
Le statistiche provano quel che io ho asserito: gli attentati alla proprietà, i reati di sangue poi, sono sconosciuti, e non rammento in quale Isola mi si dica che da un ventennio non si contava un delitto! e l'argomento ha una prova nel vedere i 3000 abitanti di Stromboli, i 600 di Panaria i 2000 di Filicuri i 600 di Alicuri amministrati politicamente e spiritualmente da Curati, senza che si risentisse il bisogno della vigilanza del carabiniere — o d’ogni altro genere di forza che in quell’Isole benedette è sconosciuta.
Per chi come me proveniva da contrade che soggiacevano all’incubo fatale di un tremendo brigantaggio, l’andare per quei luoghi tranquilli era un piacere insolito. Potrei citare i più bei tratti della più larga ospitalità, tralascio però dal dilungarmi, sebbene il parlarne mi sarebbe dolce, risvegliando in me tutti i sensi della più vera gratitudine; passo a discorrere perciò di alcuni dettagli sulle varie isole.
EPOCA 21 GIUGNO 1964 EOLIE LE LEGGENDARIE ISOLE DELLE SIRENE
foto di Giac Casale testi di Guido Gerosa.
I 117 chilometri quadrati delle Isole Eolie racchiudono un sogno millenario: dalla più remota antichità queste sette gemme del mare (Lipari, Vulcano, Stromboli, Panarea, Salina, Filicudi, Alicudi, incastonate a nord-est della Sicilia nel purissimo azzurro del Mediterraneo, sono la terra del mito. Qui, forse, Ulisse invocò una tregua alle sue peregrinazioni senza fine, rifugiandosi presso Eolo dio dei venti, in un’isola “cui tutta un muro d’infrangibil rame – e una liscia circonda eccelsa rupe”. Il paesaggio vi appare veramente omerico: le monumentali masse grigieparlano di un mondo perduto, quando queste pietre erano squassate dalla furia dei vulcani e le pareti a picco strapiombavano sul mare ruggente e le caverne misteriose erano popolate da mostri. Cos’ Virgilio immaginò “Lipari aspra dai sassi fumanti”.
Ma questa terra, ieri come oggi, accanto alle smisurate ombre del mito esprimeva la luminosa serenità dei grandi spazi mediterranei. Queste isole erano la superba dimora degli dei, di Eolo e di Vulcano: e, secondo la leggenda, le anime del dei morti, nel compiere il viaggio senza ritorno, passavano accanto ad esse, per capitarvi un’ultima volta il fulgore della natura, mentre di scoglio in scoglio, nella luce abbagliante, si levano sulle acque le voci incantatrici delle divine Sirene.
Giac Casale è nato a New York il 1° dicembre 1926. Fotografo e regista, è laureato in storia dell’arte alla Wesleyan University, Connecticut e in Cinematografia alla U.C.L.A. California. Prima pittore, negli anni ‘50 si appassiona alla fotografia, “un’arte più attuale, tutta da scoprire”.
Giac è cresciuto professionalmente nella sua città fotografando per le famose riviste come LIFE, LOOK, Vogue e Harper’s Bazaar e per le grandi agenzie che hanno rivoluzionato la comunicazione pubblicitaria negli anni ‘60. Con Anna Marina, sua moglie veneziana e “bellissima modella preferita” (da ragazza lei ha lavorato con Orson Wells) nel 1963 si sono trasferiti a Milano. Hanno quattro figli e 7 nipoti, una famiglia d’artisti fra cui la cantante e compositrice Rossana Casale.
Nella sua lunga carriera, 60 anni, ha ottenuto i più importanti premi e riconoscimenti internazionali fra cui il GRAN PRIX KODAK, un “LEONE” a Cannes, i premi europei EUROBEST, EPICA, e il PREMIO ALLA FOTOGRAFIA dall’Art Directors Club italiana, Per tre anni, dal ’94 al ’96, Giac ha ricevuto il PREMIO AFIP PER LA RICERCA (per “I FUOCHI”, per ”STORIES OF GOLD”e per “JAZZ”) e al New York Festivals ’93 il GRAND AWARD, primo premio a livello mondiale alla fotografia.
SICILIA AMOROSA Giuseppe Patanè 1946
I GIGANTI TRANQUILLI E LE BELLE PESCATRICI
(operai pomice e pescatrici panara)
SETE, nella valle della pomice. Una sete che luccica sulla polvere bianchiccia dei crateri e delle cave aperte nei fianchi del monte Pelato e del monte Chirica, sui tetti zincati e ondulati dei cantieri, sulle case basse di Canneto.
Sete e solitudine. Un aridore immobile dinanzi al mare blu che bagna la riviera liparese di tramontana, la verde isola di Salina, a ponente, e lassù, lontano, Panarea, gialla, simile a un bosco di ginestre e, ancor più lontano, lo Stromboli, cinereo, il cui fumo placido serpeggia sotto un corteo di candide nubi che naviga scompigliato verso oriente.
Stormi di colombi selvatici si levano dal cratere della Forgia Vecchia contornato di raggiere di capperi giganti nitide nel sole alto. I colombi si spargono sul luccichio rossigno delle vetrose lastre di ossidiana fasciami dalla cima in giù il, monte Pelato, poi si sbandano nella densa azzurrità del cielo.
Nel gran silenzio lo stridio delle macchine che tagliano e triturano la secca e acre pietra grigia dentro i cantieri dai portoni serrati sulle stradette polverose, sembra suscitato da un tenace rancore dei liparesi dediti all’aspra fatica (tagliatori, crivellatori,- impacchettatori), sembra la voce di un tormento antico di tutta la gente eolia isolata presso i vulcani dell’arcipelago.
Ma dentro i cantieri, nel lacerante stridio delle macchine, nel polverio che si sventaglia dalle ruote delle spezzataci, delle triturataci, delle limatrici e dei rastrelli girevoli, si scopre lo spettacolo della più vera natura dell’isola, lo spettacolo della serenità del lavoro liparese, della sana energia, dello spirito alacre e lieto della gente rimasta attaccata alla sua montagna.
Un capannone improvvisamente spalanca la sua porta.
Guardati dalla soglia, i pomiciai sembrano, a prima vista, nella luce dorata che cala dai lucernari, file di statue solenni. Grigi, gagliardi, taluni addirittura giganteschi, fanno subito pensare al mito di Vulcano che insieme coi Ciclopi fece sentire, precisamente dalle isole Eolie, il peso della potenza terribile della sua officina, sulle città e sulle marine tirrene e ioniche. Sono però Vulcani miti, Ciclopi tranquilli. Stanno presso le macchine come musici intenti al risonare dei loro strumenti. Laceri, con le brache cascanti, il petto grigio di polvere di pomice, le maniche della camicia rimboccate, il parabocca legato dietro la nuca, parlano con gli occhi che hanno la ciglia anch’esse grigie. Salutano dietro il parabocca. Scuotono ripetutamente il capo. « Sì... Sì... Parleremo. Benvenuti. Abbiate un tantino di pazienza », ci dicono con l’ardore lucido e cordiale degli occhi e guardano l’orologio appeso a un’alta parete, un grande orologio di cui si vedono le sole sfere unite sul mezzogiorno. A poco a poco le macchine rallentano 1 loro giri, lo stridio si calma, un frastuono di piccozze si leva dai banchi ad avvisare che è l’ora della colazione, la pioggia di polvere si quieta. Vecchie e corpacciute operaie addette alla raccolta e alla cernita delle scaglie di pomici, drizzano la schiena e sospirano:
« San Bartolo sia lodato », sorridendo con dolcezza, poi si dirigono verso il fondo del capannone, in un brusio allegro, verso un breve corridoio che conduce nel refettorio che è anche cucina e dove la minestra fuma entro i calderotti e il pesce frigge nei padelloni. Lesti i garzoni corrono ad aprire le finestre: appare la valle, intorno, assolata, il mare con Panarea lontana, il monte Pelato coi suoi luccicori rossigni e le bocche delle sue cave, dalle quali escono, lentamente, gruppi di cavatori che si spargono sugli spiazzi, nei sentieri, sugli scogli, a ricrearsi.
— Benvenuti a Lipari. Che cosa possiamo offrirvi?
Il capomastro Carruggio apre le braccia come se volesse aprire il cuore.
— Una scodella di minestra. Due alici. Un bicchiere di malvasia temperata.
— La pomice raschia i metalli ma non è grattugia per i nostri polmoni, — dice lo Sparanello, un pomiciaio riccio, dalle sopracciglia a freccia sulle tempie larghe.
— Qua, — esclama il Brigio con ingenua e sonante spavalderia, battendosi la cassa toracica col pugno (i compagni ridono ma sono fieri del Brigio.) — Qua. Tonnellate di polvere di pomice son passate per questo crivello. E ho settant’anni. Quando sarò morto, sopra la mia fossa' cresceranno alberi di ginestre alti quanto questi cavalieri.
— Cavalieri?! — interrompe il Gabelloto torcendo il muso in un sorriso dimesso.
— Cavalieri. Sissignore. Cavalieri di Lipari. Senti, tu che non vuoi mai capire. Quando sarai morto, sulla tua fossa non crescerà neanche un’ortica. Senti. Vulcano fu fulminato da Giove perchè non era mai sazio di oro. Tutti i crateri delle Lipari servivano a serbare l’oro che egli rubava nelle città dopo averle distrutte con i terremoti e con le eruzioni. È vero o non è vero? È vero. — (E chi oserebbe contraddire il Brigio?) — Giove lo fulminò e trasformò l’oro dei crateri in pomice. Poi venne Dio e disse ai liparesi: l’oro vero è il pane che vi guadagnerete col sudore della vostra fronte. E questo, com’è vero Dio, è il nostro oro. — Muove con le scarpacce la polvere di pomice godendo nel sentirla fina e soffice sotto i suoi piedi. — Pomiciai liparesi partirono, di poi, per le Crociate accompagnati dalla Peppa Maria, la moglie del pomiciaio Alicudi, paladina e santa.
—La minestra si fredda! — grida un vocione dalla soglia del refettorio.
I pomiciai non si scompongono. Continuano a discorrere.
— Assassina, sicuro, la pomice. Una pietra che ti vuol far morire di mal sottile e pare chieda pietà.
— È come le pescatrici di Panarea.
— Ragazzi, la creanza, — raccomanda il capomastro.
— Le pescatrici di Panarea hanno i mariti in Australia e in America, — brontola arrochito Giuttù che ha l’abitudine di caricare pianamente la pipa, prima di mettersi a tavola.
— Il liparese Giuttù sa il dover suo, sempre, — inter-viene, con voce nasale, il Brigantino, il solo pomiciaio tozzo e sbilenco della compagnia. — Il liparese, piano piano, prende il diavolo per mano e lo posa sul canterano. Piano piano si assetta sul terremoto e ferma il terremoto. Piano piano suona l’ocarina davanti alla lava che scorre c ferma la lava.
Trae dal petto villoso un’ocarina rabescata. Le rughe della faccia storta gli si spianano. Si toglie la calotta dal bastone e la butta sopra un banco, e poggia l’ocarina con delicato gesto sulle labbra che si socchiudono rimpicciolite. Una luce verdemare scaturisce all’improvviso dai suoi occhi, una melodia dallo strumentino, una canzone a ballo rusticana, vispa, trillante. Di tanto in tanto egli strizza l’occhio agli astanti allegrati. Poi borbotta con la bocca umida:
— Questo è il ballo della Reseda. (La Réseda : una giovane pescatrice di Panarea). E riprende a sonare.
Dalla cucina, le cuciniere gridano :
— Si fredda, la minestra!
— Meglio fredda che niente, — rispondono pacatamente, in coro i pomiciai, deliziati dalla musica del Brigantino. (« Piano piano mangeremo anche la minestra. Piano piano la pomice mangia la lima. ») Una musica che pizzica le gambe e chiama, dalle finestre cariche di sole e di odor d’alghe, le pescatrici di Panarea, che ogni giorno, all’ora della colazione dei pomiciai, sbarcano sulla riva di Canneto con le ceste colme di pesce pescato di fresco.
Le barche sono già sulla riva piene di nasse. Davanti a ogni barca, brulica una folla di cavatori vocianti. Le pescatrici strillano, vogliono spazio, minacciano di tornarsene a Panarea.
Giuttù, il Brigio, il Brigantino, si sporgono dalla finestra, chiamano:
— O Résedaa!. O Pollàraa!. O Scoglittaa!. O Strombolicchiaa!...
— La minestra s’è freddata!
— Suona, Brigantino! È qui, è qui, la Rèseda!... Guarda!.., Non le hai detto che ha un passo da regina?... Guarda come cammina, la furbona!
— Ragazzi, la creanza, — torna ad ammonire il capomastro.
La Resèda, la Pollàra, Scoglitta, Strombolicchia, lentamente arrivano sotto le finestre del capannone traendo per mano i loro bambini. Giovani, prosperose, odorose di mare, scarmigliate, sbrindellone, le gambe nude sotto le vesti bagnate, strette come calzoni fin sulle ginocchia.
I pomiciai le accolgono raggianti ma quasi intimiditi, quasi in silenzio. Aprono un largo passaggio. Le donne consegnano i loro piccoli dai musetti selvatici, a Giuttù, a Sparanello, al Brigio, che se li pongono solleciti sulle spalle come fossero anfore, e li fanno saltellare al suono dell’ocarina del Brigantino; quindi li portano nel refettorio e li mettono a sedere alla lunga tavola, in mezzo a loro. All’opposto lato della tavola, le pescatrici si seggono tutte sulla stessa panca, tra le vecchie operaie, e restano vigilate dalle vecchie operaie austere come gendarmi. Si asciugano il viso fresco di salsedine, si legano il fazzoletto attorno alla testa. Poi il capomastro reca le scodelle per le ospiti e per i loro bambini.
— Capomastro, sono inquieta, — dice la Rèseda.
— Che cosa è successo? — domanda il Carruggio.
— Guardate mio figlio. Guardate come è brutto e pallido. Ha sette anni ed è un vagabondo.
— E mio figlio no? — aggiunge Strombolicchia. — Questo screanzato che vuol dormire con le tartarughe e non più con me...
— Anche il mio, Carruggio, — fa la Poliàra. — Ieri sera è andato a nascondersi nella Grotta del Mulino a Vento, il malfattore...
— Vagabondi... — continua la Réseda. — Come i loro padri. Scappano ogni giorno. Si sperdono nei crateri. Vogliono andarsene. Partire. Lontani. Carruggio, prometteteci che li terrete qui nel cantiere, con voi.
Carruggio non risponde. Gli altri pomiciai guardano i monellucci con simpatia quasi paterna, mangiando.
A un tratto il Brigio sentenzia :
— La Peppa Maria che partì per le Crociate era di Panarea. — E alza il bicchiere traboccante di malvasia. — Se i vostri ragazzi un giorno vorranno partire, lasciate, figliuole, che partano. Il liparese sta nella sua isola o in capo al mondo.
E beve, il Brigio, alla salute dei liparesi emigrati.
La Rèseda depone il cucchiaio sull’orlo della scodella.
— Su, Reseda!
Le compagne la esortano a mangiare, ma hanno deposto il cucchiaio anch’esse.
— E brave! E brave! — scoppia a dire il Brigantino. — Avete fatto cattiva pesca, stamane?
— No — balbetta la Rèseda.
— E allora? Perchè non ci avete portato niente da Panarea?
— Vi abbiamo portato i nostri bambini. Non vi bastano? — dice la pescatrice, risedendosi. I lacrimoni le rigano le guance.
I pomiciai accarezzano e rimbrottano i piccoli liparesi diventati subitamente smaniosi di scappare, di volare sul soffiar del grecale che porta, attraverso alle finestre, fremiti vaghi di lontananze misteriose. Poi guardano le belle pescatrici di Panarea, con tenerezza, e sono così puri, così fraternamente coniugali i loro occhi, che sembrano gli occhi dei mariti lontani.
