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Categoria: Cultura

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di Ennio Fiocco

Licenze e Corsari

La Sicilia è stata da sempre una terra di frontiera, a causa del vicino ed esteso Impero Ottomano il quale aveva chiuso l'Europa in una morsa, soprattutto nel XVI secolo. Quindi, nel secolo successivo il Parlamento isolano stabili un finanziamento straordinario diretto all'aumento delle galere, ma che invece non venne attuato per la crisi finanziaria spagnola, incappata in una serie di rovesci militari.

Permaneva, pertanto, un problema ineliminabile ed esattamente quello di contrastare l'attività imperante corsara da parte dei musulmani sull'intero mare meditterraneo.

Si intervenne solamente con il rafforzamento delle difese delle coste e con l'ausilio delle torri.

In quel periodo gli armatori intravedevano la possibilità di incamerare guadagni consistenti sfruttando la presenza nel Mediterraneo di un gran numero di natanti musulmani. In particolare venne ripresa l'attività corsara in quanto la stessa fu vista come beneficio economico e di investimento. In sostanza, gli armatori siciliani si spingevano sulle coste dell'Africa per catturare non solo il naviglio e le mercanzie, ma anche schiavi che venivano venduti nei mercati dell'isola.

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Questa attività redditizia, anche se regolata da norme, aveva preoccupato i Viceré per le implicazioni politico-militari che comportava, tanto da costringere le autorità a pubblicare periodicamente dei bandi per tenerla sotto controllo. Gli schiavi venivano considerati come “la più degna, la più gradita, la più eccellente di tutte le possessioni”, avendo il padrone un dominio totale e assoluto che così veramente “può dominare gli uomini”. Va detto che nel linguaggio comune siciliano del tempo tutti erano detti pirati: eccezionalmente quelli patentati erano considerati come « affidati a Pyratycam Exercendam». In particolare, mentre i pirati erano dei fuorilegge dediti ai saccheggi e al brigantaggio, i corsari, pur compiendo azioni apparentemente similari, erano diversi, sia dal punto di vista prettamente giuridico che strutturale.

La c.d. «guerra di corsa», o semplicemente la corsa, era organizzata con il sostenuto e l’approvazione della Monarchia che favoriva l’allestimento di una nave da parte di volontari che pur non essendo militari di carriera, erano pronti ad intraprendere una spedizione, detta mprisa, per la quale erano stati autorizzati, previo rilascio di lettere patenti di corsa o di marca, per intraprendere atti di guerra ed usufruire del “diritto di preda” contro le navi nemiche.

La corsa, quindi, restava attività promossa dalla corte sicliliana, bramosa per i lauti guadagni, previe concessioni di esenzioni e benefici, concessi agli armatori e agli imprenditori che armavano le navi e poi dividevano le prede e il bottino. Numerose furono la città siciliane per detta pratica che fu legata, pertanto, al mercato della schiavitù con guadagni molto consistenti. Nel 1700 vi fu un incremento delle agevolazioni da parte dello Stato a favore dei padroni di navi e relativi comandanti, con rilascio delle autorizzazioni per praticare «la corsa contro gli infedeli», ufficialmente allo scopo di porre rimedio alle continue minacce provenienti dal Nordafrica, ma di fatto per incamerare i ricchi bottini nelle quote stabilite.

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Venne inaugurata la fase statale del fenomeno corsaro dove lo Stato concedeva ai privati le licenze per andare in corsa provviste di varie agevolazioni, ma sottoposte a precise restrizioni. Il rilascio di dette petenti di corsa non erano solo per la difesa costiera, ma soprattutto a livello economico per rimpinguare le casse statali. L'isola siciliana fu esposta, come notorio alla scorrerie dei pirati tunisini e ottomani e, pertanto, venne riattivato il servizio di sorveglianza costiera da parte delle galere militari. Furono accordate delle patenti di corsa il 17 aprile 1714 ai liparoti Giuseppe Casella e Giuseppe Cundo, i quali erano proprietari ciascuno di una «filuca longa» e che s’impegnarono ad uscire in mare col solo proposito di perseguire gli infedeli musulmani previa “sottomissione avanti la Corte Capitanale di Lipari di non offendere altri”, ed in

caso di catture avrebbero condotto nei porti di Palermo o Messina o “altro principali di questo Regno”, dandone avviso alle istituzioni, i navigli barbareschi. Quindi, anche Lipari fu protagonista in tale senso come guerra di corsa. Furono concesse molteplici agevolazioni ai proprietari e capitani di navi per intraprendere la rischiosa attività di corsari, tra cui il rifornimento a titolo gratuito de “las necessarios municiones de Guerra como tambien el Bischocho corrispondiente a la manutencion de sue tripulacion”, nonché a prestare le armi per l’intero arco del semestre in cui erano valide le patenti di corsa, che contenevano la suddivisione del bottino che era da considerarsi di proprietà dei corsari, eccezion fatta per gli schiavi utili al lavoro che venivano impiegati nelle regie galere. Il bersaglio dei corsari erano le imbarcazioni con i loro ricchi carichi di mercanzie, le attrezzature, e soprattutto le prede umane. Nel fondo della

Redenzione dei Cattivi di Palermo, si parla una relazione su una nave siciliana in navigazione nel mare di Sicilia catturata da una nave corsara francese comandata da un certo Antonio Barranco di Cefalù, che era partita da Agrigento il 14 giugno 1807 e diretta a Palermo con a bordo un carico di orzo, 16 marinai di equipaggio e 5 passeggeri: “Or mentre il suddetto Sciabecco insieme con le 22 persone indicate facea vela di Girgenti a Palermo, alli 15 giugno 1807 alle ore 13 sopra il Capo Granito Mare di Mazara fu predato da un Corsaro francese, e trasportato in Tunis, ove ancorò il giorno 16 dell’istesso mese alle ore due di notte, non ad altro oggetto, se non che per vendersi in Tunis dai francesi la barca, il carico dell’orzo, e ritirarsi presto il denaro, e quindi trasportarsi a Marsiglia li n.22 persone come prigionieri di guerra». Catturata la nave il comandante trasferì metà delle prede nella sua nave, mentre le altre dieci

prede (compreso il comandante) rimasero in quella siciliana con a bordo parte dell’equipaggio francese che teneva sotto controllo gli uomini catturati. Stranamente l’arrivo a Tunisi delle due imbarcazioni avvenne in date diverse, infatti la nave predata attraccò nel porto di Tunisi il 16 giugno, mentre l'altra vi giunse il giorno 18. Giunto a Tunisi, il comandante francese, riuscì a vendere l’imbarcazione predata e l’orzo, mentre le 22 prede umane avrebbero dovuto essere trasferite a Marsiglia come prigionieri di guerra. Per evitare che il corsaro francese potesse attuare il suo piano, il comandante della imbarcazione siciliana riuscì ad avvisare

tempestivamente il console Generale Inglese a Tunisi il quale riuscì a bloccare nel porto di quella città la nave francese assicurando ai prigionieri siciliani non soltanto la sua protezione, ma si impegnò anche “a mandarli liberi in Sicilia”. L'operazione riuscì completamente. Il trasferimento avvenne con un lardello turco, comandato da Patron Giovanni La Barbera di Lipari che, imbarcati gli uomini il 24 giugno di quell’anno raggiunse Palermo il 29 dopo cinque giorni di viaggio e che, approdati a Palermo da liberi furono rinchiusi nel Lazzaretto a “purgar li 28 giorni di contumacia”, come imposto dalle regole del tempo.

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