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Categoria: Cultura

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di Tomi Larson

Questa è l'ultima parte di From the Islands. Consiste di foto e informazioni sugli immigrati. Questo è solo un piccolo esempio di ciò che c'è nel libro.

Ci sono 20 pagine di nomi di immigrati che si sono stabiliti a Oswego. Per il nome di ogni immigrato c'è anche il coniuge, se noto, la sua data di nascita e Isola, la data di immigrazione e la data in cui è diventato cittadino degli Stati Uniti.

Il libro contiene decine e decine di foto e documenti relativi agli immigrati eoliani a Oswego.

Island Connections è l'ultimo libro sulle Eolie in America.Il libro di 300 pagine si concentra sulle due piccole città di Cortland e Amsterdam, New York.È disponibile anche da Amazon.

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10. Gli Affari
Abbiamo chiesto dei lavoratori. Sono arrivate persone. Max Frisch
Gli eoliani stavano lasciandosi alle spalle il ruolo di manovali. Si specializzavano nelle fabbriche, costruendo caldaie e macchinari. Riparavano locomotive e si formavano come macchinisti. Altri abban-
donavano il lavoro a giornata come muratori, o nelle fabbriche e negli stabilimenti tessili, per diventare imprenditori. Nel 1911, gli italiani acquistavano proprietà e avviavano nuove imprese lungo Bridge Street e nel Second Ward.

La maggior parte di quelle prime attività imprenditoriali arebbero potute esistere anche nella loro vecchia patria: bancarelle di frutta e negozi di alimentari, calzolai, aziende agricole, barbieri, ristoranti, bar e panifici erano tutti modi familiari di entrare nel mondo dell’impren- ditoria. A volte le donne avevano un ruolo nella gestione degli affari di famiglia, spesso diventando abili sarte e lavorando fuori casa.
Molti dei botteghe a conduzione familiare o mom and pop stores in città erano gestiti da immigrati eoliani. Angelo Peluso, di Lipari, e sua moglie Gaetana Falanga, iniziarono come negozianti sulla East Ninth and Seneca, dove la Grosseria Italiana era specializzata nella vendita di prodotti italiani come olio di oliva, formaggi, carni, pane e noci, oltre che di prodotti per la casa. Nel 1913 era nell’elenco dei “Leading Merchants” di Oswego e partecipò al programma statunitense Mer- chandise Stamp con il quale ai clienti venivano regalati dei bollini, stamp, in base a quanto spendevano. Una volta completata la raccolta si riceveva un buono del valore di $2,50 da spendere nel negozio di Angelo.

Negozio che divenne un luogo di incontro per la comunità italiana, dove si organizzavano riunioni e la sagra della Altar Rosary Society di St. Joseph. La sagra fu un grande successo e con la vendita di dolci, gelati, fiori e bandiere vennero raccolti molti più soldi del pre- visto. C’era del buon cibo e una banda che suonava. Con il suo fiuto per gli affari, ben presto Angelo diventò anche rivenditore di biglietti di una compagnia navale italiana. In un solo inverno i biglietti per le quattordici traversate verso l’Italia andarono letteralmente a ruba: ottantacinque furono i connazionali che comprarono i biglietti nel negozio di Angelo solo quell’anno. Al Market di Peluso si effettua- vano anche trasferimenti di denaro verso l’Italia, e quando l’asilo del State Teachers College aveva bisogno di una nuova sede, Angelo gli fornì una sistemazione temporanea affittando la sua proprietà di East Seventh and Church Street.

A pochi passi da Peluso, Santori Onifora gestiva un’altro negozio di alimentari. Anche lo strombolano Gaetano D’Alia vendeva alimen- tari, a East Seneca Street, sede tra l’altro dell’ufficio postale italiano nel Second Ward. John D’Ambra aveva un negozio a 24 East Seventh Street ed in seguito un fruit market.

Salvatore Russo di Lipari e la moglie Frances Cannistra di Strom- boli gestivano una piccola bottega all’angolo tra East Tenth e Seneca Street nel Second Ward. Russo, i capelli mossi neri, i baffi e la camicia bianca, accoglieva i clienti con un cenno del capo. Il negozio era sem- pre ben rifornito di pane e cibo in scatola. Le mamme mandavano i figli per la spesa quotidiana: pane, burro e latte. Era anche rino- mato per il gelato e i sandwich di gelato. I bambini andavano matti per quelli a stecco: ghiaccioli, alla crema, al caramello.

La porta di Russo in estate era sempre aperta e la l’acchiappamosche marrone che pendeva dal soffitto era, seppur ripugnante, prova che ci tenesse all’igiene.
Le Muck Farms sono enormi appezzamenti di terreno paludoso, ricco e fertile, perfetto per la coltivazione di cipolle, sedano e lattuga. Situata a Hill Road, la Spano Gardens era una delle muck farms più grandi. Angelo faceva parte della Vegetable Growers Association, asso- ciazione dei coltivatori. Gli eoliani venivano da una lunga tradizione agricola, e molti altri seguirono l’esempio di Spano aprendo le proprie muck farms: Russo, Tesoriero, Natoli, Zagame e Stancampiano. Angelo Peluso e il figlio Frank ne aprirono uno a Kingdom Road, che poi ven- dettero a un altro eoliano d’origine, Patrick D’Ambra.

Erano tanti i barbieri eoliani nel Second Ward: Albert Famularo a 159 East Bridge Street, Joseph LaMote a 131 Wast Bridge, Angelo Natoli a 71 East Seneca e Anthony Natoli a 100 East Bridge. Angelo Marturano aveva lavorato come barbiere all’angolo di East Ninth e Shuyler Street, nel Second Ward.
Joseph E. Famularo aprì le pompe funebri Familo Funeral Home nella casa di suo padre a 100 East Tenth Street, dove offriva un servizio “coscienzioso e sincero”. Ben presto gli affari crebbero e si trasferì in una sede più grande all’angolo di West Fourth e Oneida Street, nei locali vendutigli dalla Oswego Historical Society. Si fuse poi con un’altra ditta e fondò la Sugar&Familo Funeral Home. Lawrence “Allie” Famularo era titolare della Familo’s Appliance and Heating, rivenditore di elettrodo- mestici, a 92 East Bridge Street, Samuel Famularo di un tabacchi a 129 E. First St nel 1927, e nel 1935 di un’officina.

La Oswego degli anni ’30 e ’40 era molto cambiata. Gli affari anda- vano a gonfie vele, le strade del centro erano piene di nuovi negozi e i clienti arrivavano in automobili. A guidare le navi in porto c’era un faro nuovo di zecca. Si costruivano silos e frangiflutti. I taxi sostitui- rono i filobus, mentre i treni viaggiavano veloci verso New York e oltre. Oswego era collegata a Ontario da un servizio di traghetti. I quotidiani venivano distribuiti per le case.
Puoi leggere molto di più sulle attività avviate da Aeolians a Oswego in FROM THE ISLANDS di Thomasina A. Larson da Amazon.com o Amazon.co.uk

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  1. Diventando Americani

Sei un cittadino e la cittadinanza porta con sé delle responsabilità.

Paul Collier. Era evidente che gli eoliani non solo si sentissero a casa loro a Oswego, ma che fossero pronti ad affrontare nuove sfide. Impa- ravano l’inglese, studiavano storia e facevano l’esame per diventare cittadini. Spesso gli isolani che avevano già preso la cittadinanza face- vano da testimoni a quelli che desideravano diventarlo. Nel 1900, la comunità italiana era a lutto per la morte del re Umberto I, ma non fecero una parata in suo onore. La loro alleanza adesso era con gli americani.

Prima del 1906 per diventare cittadino bisognava presentare una Dichiarazione di Intenti e una Domanda, ma tutto variava da un tri- bunale all’altro. Dopo il 1906, il Congresso approvò il Basic Naturali- zation Act - la legge base sulla naturalizzazione. Tra il 1906 e il 1924 si iniziarono a richiedere altri documenti durante il processo di natura- lizzazione. Uno di questi documenti era un certificato di residenza. Il richiedente doveva essere residente negli Stati Uniti da almeno cinque anni, residente a New York da un anno, prima di poter diventare citta- dino statunitense. Passavano due anni tra la presentazione della Dichia- razione di Intenti e della petizione.

Le naturalizzazioni venivano registrate su piccole schede che indica- vano il nome e l’indirizzo del neo-cittadino, il luogo di nascita, la data di immigrazione e di naturalizzazione oltre che il nome del testimone alla cerimonia di naturalizzazione. Gaetano D’Alia e Bartolo LaMote (LaMuta) furono testimoni alla cerimonia di naturalizzazione di Sal- vatore Cortese nel 1913. Tutti erano originari di Quattropani, a Lipari.

Nel 1911 ci fu una corsa da parte degli italiani di Oswego a presen- tare domanda di cittadinanza. Certamente molti desideravano farlo o progettavano di farlo prima o poi. Ma quando venne nominato un nuovo agente consolare italiano nella vicina Rochester, New York, gli italiani presero la repentina decisione di diventare cittadini americani. Uno dei compiti dell’agente era di trovare italiani sopra i 16 anni non ancora naturalizzati, i quali avevano l’obbligo di tornare in Italia per svolgere il servizio militare. Tuttavia, una volta che venivano presentati i First Papers, gli immigrati non erano più soggetti alle leggi italiane.

Nel 1913 molti sfruttarono l’ultima opportunità di diventare citta- dini sotto il vecchio, e relativamente semplice, sistema. L’approvazione di nuove leggi di naturalizzazione nuove e più selettive avrebbero richie- sto una analisi più estesa delle conoscenze di un candidato. Avrebbero fatto parte del processo anche una analisi del carattere e un controllo della residenza. Il nuovo bureau di naturalizzazione situato a New York avrebbe mandato dei procuratori a Oswego per esaminare i candidati. Questi avrebbero controllato le domande originali per capire se fossero state compilate in modo veritiero. Veniva inoltre appurato se i candidati sapessero leggere e parlare in inglese.

I nuovi cittadini eoliani imparavano ben presto che la libertà e la giu- stizia americane erano per tutti. Il sogno americano stava diventando realtà. Le strade non erano esattamente lastricate d’oro, ma quelle strade potevano portarli ovunque desiderassero andare. Gli eoliani stavano iniziando a uscire dalla sicurezza delle loro case, e la protezione della famiglia, cercando di contribuire e cambiare per il meglio la comunità di Oswego. I partiti politici si aprivano a loro visto che iniziavano a votare, persino a candidarsi. Compravano case e terreni, e avviavano nuove imprese. Suonavano in bande e orchestre e si iscrivevano alle organizzazione civili. Nei tornei di bowling, baseball, football e basket gli italiani erano i benvenuti. Imparavano i meccanismi della demo- crazia e a lottare per i propri diritti. Anche se sarebbero sempre stati italiani nei loro cuori e nelle loro anime, erano finalmente americani!

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8. Società, Club, Sport e Bande
Da soli possiamo fare così poco; insieme così tanto.
•Helen Keller
Sempre più integrati a Oswego, gli italiani formarono molte società di mutuo soccorso, sostegno e beneficenza. All’inizio del ventesimo secolo i giornali di Oswego raccontavano di tantissimi esempi della generosità degli italiani. I soldi raccolti erano usati per sostenere fami- glie o vedove bisognose. Liste di membri mostrano che gli eoliani spesso appartenevano a diverse organizzazioni e in molti casi ricoprivano, al loro interno, un ruolo di leadership.

Una delle associazioni più grandi era la Christopher Columbus Society fondata nell’Ottobre del 1903, come Società di Mutuo Soccorso Cristoforo Colombo, con quaranta membri. Alcuni erano eoliani: il presidente Joseph Bontomase, il vice presidente Joseph Zaia, il segreta- rio Bartolo LaMuta, il consigliere Angelo Marturano, Ad ogni assem- blea entravano a far parte dell’associazione nuovi italiani.
A volte le associazioni si riunivano per dare informazioni o discutere dell’importanza dell’intera comunità eoliana. Nel 1904 un ragazzo italiano uccise a pugnalate un suo connazionale nella fab- brica Standard Oil. L’assassino aveva ventotto anni, una moglie e un figlio di un anno da mantenere. La comunità italiana lo sostenne in quel momento di necessità, ma durante la riunione successiva Rosario D’Angelo suggerì agli italiani di non portarsi dietro coltelli o altre armi e li incoraggiò a rivolgersi alle autorità quando si sen- tivano vittime di un torto, anziché rispondere alla violenza con la violenza.

Nell’Agosto del 1907, furono donati dalla Christopher Columbus Society $30 alla moglie e i figli di Murphy Cook, conosciuto anche come Noveau Lacoco, dopo che questi era stato ucciso. Tra i membri che con- tribuirono c’erano anche gli eoliani John Bontomase, Bartolo LaMuta, Antonio Cortese, Vincent Tesoriero, Anthony Paino, Bart Natoli, Angelo Marturano, Pietro Maiuri e A. Maiuri. Nel 1909 John Bontomase e Bart Famularo erano nuovamente presenti nel comitato che raccolse $323 per alleviare le sofferenze del terremoto che colpì le Isole Eolie.

Le associazioni raccoglievano inoltre fondi per comprare i biglietti per coloro che si trovavano ancora nelle isole e desideravano venire a Oswego per raggiungere i loro familiari. Furono fatte donazioni alla croce rossa e all’ospedale di Oswego. Le Liberty Bonds, obbligazioni vendute durante la guerra negli Stati Uniti per sostenere gli alleati nella Prima Guerra Mondiale diventarono un simbolo di patriottismo per molte organizzazioni, imprese e singoli cittadini di Oswego. La Chri- stopher Columbus Society veniva spesso citata tra quelle che a Oswego acquistavano Liberty Bonds. Nel 1911, l’Oswego Daily Times scrisse “La società ha delle solide basi finanziarie e sta portando avanti un lavoro splendido per gli italiani di questa città”. Gli eoliani ricoprivano dei ruoli di leadership all’interno di questa associazione, con Joseph Bon- tomase presidente, Gaetano D’Alia segretario, Peter Maiuri segretario finanziario e Bartolo Famularo tesoriere. Vincenzo Tesoriero era fidu- ciario, Anthony Paino portabandiera e Joseph Rodiquenzi guardia.

I cittadini provenienti dall’isola di Stromboli formarono la Isola di Stromboli Society, che contava circa venticinque membri. Anthony Gal- letta ne era il presidente, Joe Tesoriero segretario e Vincent Tesoriero il tesoriere. Gaetano D’Alia era un fiduciario della società. Il loro sim- bolo era un medaglione su un nastro tricolore recante la scritta “Mutual Aid Society, Stromboli Island, Oswego, NY”. Altri appartenenti a que- sta organizzazione erano Giuseppe D’Alia, Francesco Yacono, Antonio Peluso, Antonia DiPietro, Vincent Caruso, Frank Fortuna, Sam Bar- nao, Joseph Rando e John Rando. Nel 1918 l’associazione mandò aiuti ai ragazzi italiani che combattevano sul fronte nazionale.
La San Bartolomeo Society della chiesa di St. Joseph venne fondata intorno al 1920, probabilmente da una costola della Stromboli Society.

Speravano di preservare la cultura isolana e celebrare le loro nuove vite a Oswego. Gli uomini costruirono una piccola cappella nel lato nord della chiesa per ospitare la statua di San Bartolomeo, proveniente dall’I- talia. All’arrivo della statua la chiesa festeggiò e il santo fu portato in
processione per le strade. Nei registri del 1958, questo gruppo è citato come “la società più ricca di tradizione e storia”. Osservarono la festa del santo, quel 24 Agosto, con processioni, musica, cibo e balli. Gli eoliani Frank Zaia, Rose Murabito, Joseph Brancato, Peter Rodriguez, Joseph Marturano e Michael Restuccio portarono la statua dalla chiesa nel Second Ward nell’East Side della città e attraversarono il fiume. Bar- tolo Rodriguez ebbe l’onore di portare lo stendardo. Attorno al collo del santo venne legato un nastro rosso al quale i fedeli attaccarono dei soldi. In questo modo si raccolsero $203. Italiani residenti a Syracuse, Fulton, Norwhich, Oneida e Cortland parteciparono alla celebrazione. La pro- cessione terminò alla Chiesa di St. Joseph nel West Side della città. Ben presto, anche le donne entrarono a fare parte dell’ associazione guidata da Angelo Peluso.

Benché facessero parte della vita americana, gli eoliani continua- vano anche ad avere un forte legame con l’Italia. Nel 1918, quando gli italiani di Oswego raccolsero $500 per mandarli nuovamente alla regina Elena per dare sollievo alla devastazione nel paese, gli eoliani Bartolo Famularo, Gaetano D’Alia, Joseph Bontomase e Bartolo LaMacchia guidarono la raccolta fondi tra gli italiani dell’East Side, mentre Bartolo Saltalamacchia aiutò nella West Side della città.
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7. La chiesa italiana
San Giuseppe era solo un uomo, un lavoratore instancabile, guardiano di chi gli è stato affidato. Possa proteggere e illuminare sempre le fami- glie.
•Papa Giovanni Paolo II
Ai primi del novecento le tensioni tra cattolici italiani e irlan- desi erano alle stelle in tutte le città, grandi e piccole, degli Stati Uniti. La chiesa irlandese di Oswego era St. Paul. Era stata fondata nel 1830, molto tempo prima dell’arrivo degli eoliani. Gli irlandesi non amavano gli italiani perché in competizione con loro per case e lavoro. I primi immigrati eoliani, cattolici residenti nell’East Side della città, frequentavano in gran parte la chiesa irlandese su East Fifth street per ricevere i sacramenti. Vi erano in realtà diverse chiese cattoliche a Oswego, costruite da diversi gruppi etnici.

La gran parte degli italiani, tuttavia, non parlava inglese e sentiva che le chiese cattoliche non venivano incontro ai loro bisogni. Non erano in grado di confidarsi con il sacerdote o fare una vera confessione. In primavera, a Pasqua, qualche sacerdote italiano veniva mandato a Oswego dalle altre città dello stato di New York.

Mentre in altre parti d’America italiani del nord e siciliani non andavano d’accordo, a Oswego unirono le forze per assicurarsi una chiesa italiana. Già nel 1907 un giornale di Oswego scriveva che “gli italiani lottano per la costruzione di una chiesa italiana”. Fu il vescovo Patrick A. Ludden, il primo vescovo della diocesi di Syracuse, a inviare un sacerdote a Oswego per sistemare la faccenda. Una possi- bilità era che gli italiani acquistassero la vecchia White School a West Mohawk Street per farvi una chiesa, ma la cosa non andò in porto. Nell’attesa di raccogliere i fondi per costruire una vera chiesa, presero in affitto Hennessey Hall a East First Street.

La Domenica di Pasqua, il 4 Aprile 1915, venne celebrata la prima messa con Padre James F. Collins, sacerdote di St. Paul. Dai racconti pare che la chiesa improv- visata fosse gremita, e tra i cinquecento fedeli si raccolsero $184,30. La sala venne utilizzata per circa diciotto mesi, ma il vescovo Grimes era ansioso di dare alla comunità italiana di Oswego una chiesa tutta per sé, poiché già i polacchi, i francesi, i tedeschi e gli irlandesi avevano le loro.

Egli incaricò un sacerdote italiano, Padre Filomeno Geremia, di recarsi a Oswego e censire gli italiani. Molti eoliani, come Bartolo Famularo e Angelo Peluso, scortarono Padre Geremia in giro per la città. Trovarono circa 250 famiglie italiane residenti a Oswego. Quando Padre Geremia formò un comitato per trovare i fondi necessari alla costruzione di una nuova chiesa, chiamò gli eoliani, Anthony Galletta, Bartolo Famularo e Bartolo LaMuta. Un’assemblea di tutti gli italiani interessati si tenne presso la bottega di Angelo Peluso a East Ninth Street e Seneca Street. Il comitato voleva trovare una chiesa tra East Third e West Third affinché fosse facilmente raggiungibile per tutte le famiglie italiane della città. Venne presa la decisione di comprare un edificio nel West Side. Ne trovarono uno di proprietà della chiesa universalista a West Second Street.

Vennero raccolti $3.000 per il rinnovo del locale. Molti imprenditori contribuirono al completamento della chiesa.
Il Natale è una festa importante in tutti i paesi cattolici e per tutte le classi sociali. Nessuno era più fedele alle tradizioni di quel giorno di festa quanto gli italiani. Mentre si preparavano per la celebrazione del primo Natale nella loro chiesa, ebbero la possibilità di organiz- zare molti altri eventi religiosi e sociali. La fondazione di una chiesa italiana unì i diversi italiani di Oswego. Erano fieri di essere italiani e ci fu un revival delle tradizioni del loro paese. Quel primo Natale del 1916 vennero celebrate tre messe. La prima fu alle cinque del mattino del giorno di Natale. Debuttarono un nuovo coro e un nuovo organi- sta. Padre Geremia benedì il presepe con Gesù bambino, la Vergine Maria, San Giuseppe e gli animali. A casa il pranzo fu a base di carne speziata o maiale arrosto, maccheroni, vino fatto in casa, biscotti e dolcetti.

I fedeli della parrocchia di St. Joseph spesso organizzavano eventi anche al di fuori della chiesa. Feste a base di gelato si tene- vano all’angolo di East Ninth e Seneca street. Di solito presenziava anche una banda. Nell’estate del 1920, gli italiani tennero una sagra per raccogliere fondi per la nuova chiesa. La sagra, che si svolse a Richardson Park, ebbe grande successo con un guadagno pari a $2.125,16. Vi furono giochi, cibo, musica, balli e una lotteria a premi. I premi di cento anni fa erano sicuramente molto diversi rispetto a quelli che ci aspetteremmo oggi, ma danno un’idea di quel che veniva considerato, al tempo, di valore: una moneta d’oro da cinque dollari, donata da Bartolo

LaMuta, un copriletto, un centrotavola, un orologio d’oro, un sapone, una croce con catenina d’oro, un len- zuolo ricamato all’uncinetto dalle parrocchiane, venticinque libbre di zucchero, carbone, un maiale, una capra, un prosciutto, mezzo barile di farina, un panciotto di seta, due polli e sei paia di calze di seta. Negli anni la sagra venne chiamata bazar e successivamente festival, e si tenne nel parcheggio della chiesa. Anche i premi cam- biarono. Negli anni ’70 e ’80 venivano messi in palio contanti, TV, radio ed elettrodomestici. Il premio più ambito era una automobile nuova di zecca.

Una raffigurava San Rocco, venerato da molti italiani provenienti da Lazio e Campania e presenti in città. L’altra era una statua di San Bartolomeo, patrono e protettore delle Isole Eolie. Era uno dei dodici apostoli di Gesù. La festa di San Bar- tolomeo si celebra il 24 Agosto. Gli eoliani credono che fu ucciso, fla- gellato e crocifisso in Armenia, dove stava predicando. Nel luogo della sua morte avvennero dei miracoli, e i suoi resti furono posti in un cofa- netto e gettati in mare. Questo cofanetto arrivò a galla a Lipari. Le sue reliquie, la pelle e le ossa sono conservate a Lipari nella cattedrale di San Bartolomeo. A Lipari si racconta che durante una tradizionale pro- cessione con la statua del santo fatta di argento e oro, questa divenne improvvisamente pesantissima.

Alla fine degli anni ’20, gli immigrati eoliani iniziavano a sentirsi a casa loro nella città di Oswego. Progettavano elaborate cerimonie in onore di San Bartolomeo. Ogni anno ad Agosto una processione della statua, accompagnata da una banda, prendeva il via da East Tenth e Mitchell Street, nel cuore del quartiere eoliano nel Second Ward, e sfi- lava in direzione della chiesa di St. Joseph nel West Side. L’esterno 

della chiesa veniva decorato con luci e bandierine rosse, bianche e verdi. Questa processione segnava l’inizio della sagra, che durava tre giorni. Un articolo pubblicato sull’Oswego Daily Palladium il 24 Agosto 1923, racconta l’orgoglio degli eoliani.

La Chiesa di St. Joseph continua a essere centrale nella vita di molti discendenti di quei primi italoamericani. Non è solo il luogo della messa della domenica, è anche quello dove le famiglie ricevono i sacramenti, I neonati sono battezzati, i bambini ricevono la prima comunione e la cresima, le coppie si sposano e i ai defunti viene dato l’estremo saluto. Il giorno di San Giuseppe continua a essere festeggiato tutti gli anni il 19 Marzo. La parrocchia continua, inoltre, a organizzare i tradizionali tre giorni di festa a Luglio. Una bandiera dell’Italia viene issata a fianco di quella americana. Ogni settimana si gioca a Bingo, e i volontari cucinano. La storia della chiesa di St. Joseph affonda le sue radici della comunità italoamericana, ma, come le altre chiese cattoli- che, che una volta erano collegate a dei specifici gruppi etnici, oggi è considerata la chiesa di tutti.

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6. Una Nuova Scuola

“Notò che si trattava di un uomo dai capelli scuri. Per lui, biondo è buono e bruno è cattivo. Mia madre una volta mi disse che quando era bambina i bimbi biondi erano considerati superiori a quelli scuri.”
Da No Man’s Nightingale di Ruth Rendell

I primi immigrati eoliani, che venivano da una società contadina, non comprendevano a pieno l’importanza dell’istruzione. Preferivano portare avanti le tradizioni delle isole: i figli dovevano lavorare fuori casa per sostenere le famiglie numerose. Con il tempo però, si resero conto che andare a scuola era necessario affinché i figli si integrassero, diventassero competitivi con quelli degli altri gruppi etnici che stavano guadagnando successi e rispetto, avanzassero economicamente e facessero la differenza all’interno della loro comunità.
A Oswego gli immigrati italiani che vivevano nella zona est della città, dal lato “sbagliato” della ferrovia, erano spesso maltrattati da quelle autorità che avrebbero dovuto considerarli futuri cittadini, contribuenti ed elettori della città, nonché un elemento importante della crescente forza lavoro. La vicenda della Second Ward School dimostra la pochezza di certi uomini al potere, la discriminazione contro gli italiani e la determinazione di questi ultimi a lavorare in un sistema e dare una scuola ai loro figli.

Il Second Ward di Oswego comprendeva l’area a nord di East Seneca Street fino al Lago Ontario, dal fiume Oswego al City Line. In questa zona si trovavano il Porto, Fort Ontario, la Fitzgibbons Boiler Company e il cimitero di St. Paul. Molti eoliani si stabilirono in pensioni a nord della ferrovia. Già nel 1877 il Signor Reynolds, membro del comitato per l’istruzione, dichiarò che novanta bambini residenti in zona frequentavano scuole di altri quartieri perché la quella locale non era sufficientemente grande ad accoglierli, sollecitando provvedimenti che permettessero loro di studiare nel Second Ward. La questione non fu sottoposto a discussione o votazione. Una scuola per i figli degli immigrati non era in cima alle priorità del comitato o della città. Ma a mezzogiorno del 31 Gennaio 1907, poco prima della pausa pranzo, scoppiò un incendio nello scantinato della Second Ward School.

L’incendio, che distrusse l’edificio in legno costruito nel 1870, fu probabilmente dovuto ad una caldaia difettosa. A contribuire alla gravità dei danni fu sicuramente il fatto che mancasse la pressione nella pompa a Mitchell Street e che East Tenth Street fosse priva di idranti. Altre zone della città erano dotate di idranti adeguati, ma il quartiere degli immigrati era poco protetto. Il sovrintendente per le scuole, Mr Bullis, progettò di riaprire la più antica Second Ward School, situata a East Ninth e Seneca, per poter ospitare gli alunni più piccoli. Ma questa poteva essere solo una soluzione temporanea, e l’occasione sembrò giusta per costruire una scuola nuova per far fronte ai bisogni crescenti della popolazione, anche italiana, di quel quartiere.

Il 21 Marzo 1907 l’Oswego Daily Times riportò che un folto gruppo di genitori residenti a nord di Schuyler Street nel Second Ward, avevano partecipato ad un incontro con il dipartimento dell’istruzione. Avevano presentato, in questa occasione, una petizione firmata da tutti i residenti del quartiere, inclusi molti eoliani, nella quale si chiedeva di ricostruire la scuola di Mitchell Street. Così spiegavano la loro richiesta:

Innanzitutto, perché i bambini, tra i cinque e i nove anni, sono costretti ad attraversare i binari della ferrovia quattro volte al giorno. In secondo luogo, perché devono portarsi dietro un pasto freddo per l’ora di pranzo. In terzo luogo, perché in molti di questi casi i genitori sarebbero costretti ad accompagnare i propri figli e quarto, perché l’85% dei bambini che frequentavano la scuola distrutta dall’incendio vivono a nord della ferrovia, a Schuyler Street….

Pur essendo vero che i bambini irlandesi e di altre famiglie frequentavano le scuole cattoliche, la maggior parte delle quali distavano un miglio, il numero crescente di abitanti nel Second Ward, incluse le famiglie eoliane, rendeva necessaria la presenza di una scuola sul posto.

Ci erano voluti cinque anni per costruire una scuola nel Second Ward. La questione è: perché ci volle così tanto tempo? La risposta la si trova sepolta nella politica di Oswego del tempo: la paura, la sfiducia, persino l’odio nei confronti degli immigrati italiani da parte di altri cittadini e da parte anche dei potenti che avrebbero dovuto superare la meschinità di quegli argomenti. Il senso di vittoria che gli italiani provarono nel vedere quella nuova scuola per i loro figli diede loro il coraggio di uscire dall’isolamento del loro quartiere ed entrare a far parte del tessuto di Oswego. Avevano imparato una preziosa lezione di civiltà.

Avevano conosciuto le assemblee pubbliche, le petizioni e la politica. Con questa nuova comprensione dei meccanismi democratici, e con la forza dei loro numeri, i residenti di Second Ward presentarono una petizione il 16 aprile 1913, nel quale si richiedeva un ufficio postale nel negozio di un eoliano, Gaetano D’Alia. La richiesta venne accettata. Lentamente, gli eoliani stavano uscendo dalle loro case per aiutare a costruire un nuovo capitolo nella storia di Oswego.

 

5. Superare le discriminazioni

“Ragazzo americano, mi fa le smorfie. Mi chiama ‘dago’. Gli do la caccia
Non vedo quello più grande che mi ruba la frutta”
da “Fruit Peddler’s Idea”, 22 Maggio 1902 Oswego Daily Palladium

Per molti secoli le Isole Eolie avevano tollerato raid e occupazioni. Gli invasori avevano portato lingue, religioni, cibi e culture. A volte, come per esempio gli Arabi, avevano arricchito la vita delle isole, portando anche nuove tecniche agricole, scienza e ingegneria. Ma spesso gli isolani si erano dovuti nascondere dagli invasori per evitare di essere uccisi o schiavizzati. Il costante andirivieni di conquistatori in Sicilia lasciarono la gente con una sfiducia di fondo nei confronti degli estranei. Non c’è dunque da stupirsi che quando gli eoliani arrivarono in America continuarono ad attuare queste tecniche di auto-conservazione su cui avevano fatto affidamento nel loro vecchio paese.

Come altri italiani del sud, gli eoliani spesso vivevano e interagivano in un cerchio ristretto di amici e parenti. Vecchi registri matrimoniali delle isole mostrano che per secoli la gente di un paesino con determinato cognome si sposava con gente che portava un altro particolare cognome. I cugini spesso si sposavano con i cugini. Questa cerchia di persone parlava dialetto, poiché spesso non conosceva l’italiano che si usava al nord. Il dialetto li rendeva parte di quel gruppo e contribuiva a mantenere intatto il loro senso di identità. Come in passato, ancora oggi molti immigrati in America tendono a raggrupparsi negli stessi quartieri e nelle stesse città. Questo da loro un senso di casa, familiarità, sicurezza.

La maggior parte degli immigrati eoliani erano stati contadini, marinai, pescatori. Spesso non sapevano leggere e scrivere nella loro stessa lingua. La pelle olivastra, la resistenza a interagire con altri gruppi e la lentezza nell’accettare l’inglese, distingueva gli italiani del sud da quelli più istruiti e integrati del nord. In tutta America venivano descritti come riservati, inaffidabili, pigri e pericolosi. Per tutti questi motivi, trovavano i lavori più umili e venivano pagati meno rispetto ad altri gruppi etnici.
Idealizziamo gli Stati Uniti come terra di opportunità e libertà per tutti. Crediamo che qui si accolgano gente di qualsiasi paese e di qualsiasi razza. Ma in passato, così come oggi, questo è vero solo in parte. Ogni nuovo gruppo deve affrontare l’ispezione e l’accettazione di coloro che sono arrivati prima di loro. Mentre gli irlandesi, i polacchi e altri ebbero i loro problemi nell’ambientarsi a Oswego, gli italiani dovettero subire molte più discriminazioni. Sembrerebbe logico pensare che chi aveva dovuto affrontare durezze e discriminazioni al loro arrivo in America avrebbe provato empatia per chi si trovava in quella stessa situazione.

Ma a Oswego come altrove in America, solitamente non era così. Le peggiori discriminazioni spesso venivano proprio dagli irlandesi, felici di non essere più loro ad occupare il gradino più basso della società e della forza lavoro. Sapendo di essere svantaggiati dal loro aspetto rispetto ai più chiari, e anglofoni, irlandesi, gli italiani accettavano lavori che erano sporchi, difficili e non specializzati….

Uno dei modi in cui si palesava la discriminazione nei confronti degli eoliani di Oswego era la separazione delle tombe di italiani e irlandesi nel cimitero cattolico di St. Paul’s, nella zona est del Second Ward. Gli irlandesi erano arrivati prima in città e avevano costruito quel cimitero, dove il monumento più grande è quello in memoria di un prete irlandese, Reverendo Michael Barry, che celebrò i sacramenti di molti eoliani prima che fosse costruita la chiesa italiana. Per molti anni le tombe degli irlandesi occupavano l’entrata e la parte centrale del cimitero, mentre gli italiani erano sepolti lungo le rotaie della ferrovia o sulla collinetta confinante con un bosco. Con il passare del tempo, le divisioni etniche iniziarono a sparire dalla vita quotidiana, e le tombe degli italiani si mischiarono con quelle degli irlandesi. Oggi, il cimitero è cattolico, senza connotazioni etniche….

Anche se le relazioni tra italiani e irlandesi pian piano iniziavano a migliorare, l’arrivo della Mano Nera a Oswego all’inizio del 1900 promosse ulteriori discriminazioni nei confronti degli italiani, minacciando di mandare all’aria i progressi fatti fino a quel momento. La Mano Nera si occupava di rapine, estorsioni, incendi dolosi, esplosivi, rapimenti e persino assassini nelle comunità italiane più numerose, in particolare a New York, New Jersey, Boston, Chicago e New Orleans. I Siciliani e gli immigrati del sud Italia erano visti come gli elementi chiave all’interno di questa organizzazione. I membri alla Mano Nera si presentavano nelle case e nei negozi a riscuotere il pizzo. Quando le vittime non pagavano ricevevano lettere di minaccia con disegni a inchiostro nero raffiguranti coltelli grondanti di sangue, pistole fumanti, teschi e cappi. Queste immagini erano viste come sufficienti a intimidire gli immigrati spesso analfabeti. The Sun di Pittsburgh, pubblicò il 27 Luglio 1911 una foto con un articolo che raccontavano della scuola dove venivano insegnate le tecniche della Mano Nera.

Situata a Clay Alley, nel Lower Hill District, una zona italiana di Pittsburgh, qui ai giovani si insegnava a uccidere per conto della Mano Nera con lo stiletto. Durante un blitz della polizia vennero trovati un fantoccio, usato per far pratica di assassinii, e disegni di cuori sanguinanti trafitti da pugnali. Questi appartenenti alla Mano Nera spesso viaggiavano in altre città per mettere in pratica le loro tecniche intimidatorie. Mentre le gang della Mano Nera nelle grandi città americane sembravano essere abbastanza ben organizzate, quelli delle località più piccole come ad esempio Oswego erano probabilmente formate da piccoli delinquenti che cercavano di sfruttare il timore che poteva suscitare il nome della Mano Nera. Imitavano la Mano Nera. Ci furono vari casi che fecero notizia a Oswego.

Nell’estate del 1915, la Mano Nera alzò di nuovo la cresta a Oswego, stavolta ai danni di Joseph Cosentino, nipote del liparoto Bartolo Famularo. A Cosentino fu intimato di lasciare $1000 sotto un albero all’angolo tra West Utica e First Avenue. Come Alfred D’Amico, Joseph Cosentino girò la lettera incriminata all’ufficio del magistrato distrettuale. A differenza dei casi precedenti, le lettere della Mano Nera continuarono e alla fine venne piazzato un ordigno davanti al portone di Cosentino. Non ci furono feriti ma ci fu qualche danno e shock per la famiglia e il vicinato. Lo sdegno della comunità italiana fu totale per questo atto di violenza senza precedenti contro uno di loro e fecero sentire la loro condanna nei confronti delle attività della Mano Nera. Il direttore della ufficio postale di Oswego notificò Washington D. C. delle minacce che venivano recapitate tramite il Servizio postale americano e la polizia locale fu affiancata dall’FBI nella caccia ai criminali.

Dopo una ricerca nazionale e internazionale vennero arrestati tre uomini, poi processati nel tribunale di Oswego nel 1916. Un grafologo aiutò a condannare Mariano Pagone, Tony Pasco e Colegero Taina. Il giudice Francis D. Culkin, che aveva già indagato nei casi D’Amico e Cosentino, annunciò che gli italiani d Oswego avrebbero potuto incontrarsi al tribunale della città per formare una associazione al fine di estirpare ciò che restava della Mano Nera. Mr Culkin spiegò che i leader degli italiani ritenevano che questa organizzazione avrebbe scoraggiato altri elementi criminali dall’operare a Oswego. La verità era che gli eoliani non volevano avere niente a che vedere con la Mano Nera, né nelle isole, né a Oswego. Nel suo libro del 1974 The Aeolian Islands, Philip Ward dice “Le Isole Eolie stesse sono libere da Cosa Nostra”. Gli italiani di Oswego furono sostenitori entusiasti di Mr Culkin e dei suoi sforzi per sconfiggere la Mano Nera…

La discriminazione contro gli italiani sarebbe per certi aspetti rimasta fino alla Seconda Guerra Mondiale, ma nel 1920 i successi, la laboriosità e la dedizione dei eoliani, così come del resto degli italiani, iniziava a essere notata nei media di Oswego sempre più frequentemente. Stavano diventando parte integrante della città: avviavano imprese, scendevano in politica, diventavano cittadini, si univano alle squadre sportive, compravano case e vivevano il Sogno Americano….

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4. Eoliani a casa

La casa eoliana era un luogo di amore: amore per la famiglia, amore per il cibo, amore per la vita. Sulle isole era naturale che le famiglie vivessero una accanto all’altra negli stessi paesini e nelle stesse case per secoli. Il padre era il capo indiscusso, mentre la madre gestiva la casa e, cosa più importante, la cucina. Le famiglie, individuali e allargate, erano piuttosto numerose. I matrimoni erano spesso combinati, anche tra cugini. Fin dai primi tempi a Oswego alcune delle vecchie tradizioni vennero messe in discussione e cambiate, altre invece resistettero.

Nel 1909 un giornale locale raccontava che gli italiani a Oswego avevano smesso di “fare gruppo” ed erano diventati dei proprietari di immobili. Mentre gli eoliani preferivano ancora vivere in determinate zone della città, alcuni a ovest della città nei quartieri First, Third e Fifth Ward ma soprattutto a est nel Second Ward, uscivano da camere e appartamenti in affitto. Nel 1913 una pubblicità sull’ Oswego Daily Times incoraggiava la gente a comprare un appezzamento di terreno su Mitchell Street lungo la tranvia per $75, con la possibilità di pagare un dollaro al mese con un deposito di un dollaro. “Un luogo dove un povero potrà costruirsi una vita senza vincoli.” Il Second Ward vedeva un aumento nel numero di case vendute e opportunità di impresa per gli itailani e rifletteva ciò che accadeva agli immigrati italiani nel resto del paese…..

Bartolo Famularo, di Quattropani, Lipari, era il tipico immigrato lavoratore. Secondo i documenti di naturalizzazione, era arrivato nel 1883, e fu uno dei primi italiani ad arrivare a Oswego. Bartolo lavorò per la compagnia ferroviaria Ontario and Western Railroad, costruendo le rotaie e lavorando a esperimenti riguardanti la velocità dei treni per calcolare gli orari. Lavorò anche in un negozio di alimentari. Bartolo, che era diventato cittadino americano nel 1891, fu un leader nella comunità italiana. Spesso veniva chiamato per aiutare i nuovi arrivati ad ambientarsi nelle loro nuove case a Oswego. Il nome di Bartolo si trova come testimone in molti documenti di naturalizzazione di suoi connazionali. Fece parte di molte società italiane e guidò la fondazione della chiesa italiana di Oswego.

Bartolo Famularo scelse di emigrare in America per la libertà e per avere una opportunità. Rappresenta un esempio di immigrato eoliano che si impegnò nella sua nuova comunità sia a livello pubblico che privato. Era considerato da chi lo conosceva come un onesto cittadino. Pubblicò un annuncio sul giornale per trovare il proprietario di un portafogli trovato, fu nominato tesoriere per le feste religiose. Ma a volte ebbe qualche piccolo guaio con la giustizia….

Bartolo capiva che le leggi americane erano fatte per aiutare gente che aveva subito un torto. In Italia, la politica e le leggi spesso non favorivano gli italiani del meridione. Ma a Oswego Bartolo scoprì che poteva contare in tribunale così come qualsiasi altro cittadino.

Nel 1907 denunciò la grande Oswego Oil Well Supply Company, aperta nel 1900, che dava lavoro a un centinaio di operai.
Nel 1904 una gru operata elettricamente all’interno della fabbrica ferì Bartolo. La gru era utilizzata per trasportare carichi pesanti e placche utilizzate per coprire le caldaie. Secondo la sua istanza la gru era difettosa e operata da un uomo inesperto.
Durante il processo si scoprì che l’operatore della gru era nuovo il giorno che Bartolo fu ferito. La compagnia gli aveva fatto fare solo mezza giornata di addestramento quando avrebbe dovuto farne almeno un paio prima di poter operare la gru. Questa aveva tre livelli usati per sollevare e abbassare e trasportare i carichi in diverse direzioni per tutta la fabbrica.

Ad assistere l’operatore della gru era il hooker-on, un operaio che accompagnava il carico trasportato. Sistemava i cavi sulla gru che trasportava il carico e dava il segnale all’operatore per indicare in quale area della fabbrica doveva spostarsi, come per esempio l’area cesoie e l’area rulli. Ad esempio il hooker-on alzava il palmo della mano per indicare che il carico doveva essere sollevato. Inoltre muoveva le mani per dare la direzione.

Il giorno dell’incidente Bartolo era hooker-on. Sistemò i cavi e fece all’operatore segno che il carico doveva essere sollevato e spostato verso un camion che lo avrebbe trasportato verso la zona rulli. Ma l’operatore o non capì o non eseguì l’ordine e il pesante carico di lastre colpì il camion. I cavi cedettero e le lastre caddero sulla gamba destra di Bartolo, fracassandola e causando altre ferite.

Bartolo dichiarò che, oltre alla poca esperienza dell’operatore, i ganci che tenevano le lastre da un lato erano difettosi, per questo cedendo e facendo sì che il carico gli cadesse addosso. Circa un anno prima dell’incidente quegli stessi cavi erano stati rotti da un martello. La riparazione era stata approssimativa. Un altro uomo che aveva ricoperto il ruolo di hooker-on confermò che i cavi erano difettosi, la riparazione difettosa e dichiarò di aver informato un supervisore del pericolo. Nel Settembre 1910 il giudice De Angelis emise la sentenza che prevedeva per Bartolo un compenso di $12.500, equivalenti a circa $300.000 di oggi. Per i tempi era una fortuna.

Come Bartolo Famularo, molti altri eoliani si stavano dando da fare e iniziavano a soddisfare le esigenze della comunità italiana. Nelle isole le donne lavoravano soprattutto in casa, facendo le pulizie, il bucato, il pane, prendendosi cura dei molti figli e cucinando i prodotti dell’orto e il pesce fresco. A Oswego, le nostre nonne eoliane continuavano a essere orgogliose casalinghe. Le loro case erano pulite e ordinate. Le foto di famiglia e le immagini del Sacro Cuore e della Vergine Maria decoravano i muri. Croci, santi, angeli e acquasantiere erano onnipresenti.
Le donne erano maestre del “vestiario di seconda mano”.

Abbassavano e tiravano su orli sui vestiti affinché tutti i figli potessero indossare gli stessi vestiti. Sostituivano bottoni prendendoli dalle loro vaste collezioni di bottoni di ricambio: bottoni di ogni colore e dimensione conservati gelosamente in scatole e vasetti. Rammendavano calzini e strappi. Tutto  questo lavoro veniva inizialmente fatto a mano, ma non appena avevano abbastanza soldi, molte comprarono le nuove macchine da cucire Singer. Risparmiavano cucendo vestiti per l’intera famiglia: gonne e camice, abiti e pantaloni, pigiami e camice da notte. Il bucato si faceva in lavatrice. Ogni capo doveva essere passato separatamente nello strizzatoio a manovella. Poi tutto il bucato veniva steso nel cortile durante i mesi estivi e in cantina durante quelli invernali…..

Quando si bucavano le suole delle scarpe, si metteva il cartone per potere continuare a usarle. Lavoravano a maglia producendo guanti, maglioni, calze e sciarpe. Facevano all’uncinetto tovaglie e copri divani, federe e ricamavano fiori sui centrini. Da vecchi vestiti facevano coperte, presine, grembiuli e copri cuscini. Cucivano tende per coprire le porte degli armadietti e per fare le sporte della spesa, o per decorare la biancheria da letto. Non si buttava via niente. Cent’anni fa le donne conoscevano già l’arte del riciclo!

Cucinare era uno dei compiti più importanti delle donne, un insieme di tradizione, orgoglio e amore. La pasta fresca era stesa e tagliata in forme fantasiose sul tavolo della cucina, poi cotta e condita con il sugo. L’odore del sugo fatto in casa con il pomodoro fresco, l’aglio e il basilico cotto lentamente per ore si spandeva per tutto il vicinato. La pasta era onnipresente durante i pasti. C’erano pasta con i piselli, con i fagioli, con il formaggio, aglio e olio, con le verdure, con il pollo, la carne, il maiale e a volte il vitello. Queste carni divennero le più comuni a Oswego, sostituendo capra e agnello tipiche della Sicilia e delle isole.

Poiché le estati più brevi e fresche di Oswego non permettevano la coltivazione di olive, arance e limoni, gli uomini piantavano ciò che era tipico degli Stati Uniti: ciliegi, meli, prugne, albicocche e pere. Alcuni avevano addirittura alberi di fico nei giardini dietro casa. Durante i tanti viaggi a casa, gli eoliani riportavano ritagli da piantare a Oswego. Trovavano sempre il modo di tenerli in vita durante le traversate oceaniche e nel freddo dell’inverno. Quando cadevano le foglie, si potavano i rami. Gli alberi poi venivano delicatamente piegati e avvolti in vecchie coperte. A Oswego la copertura contro le abbondanti nevicate proteggevano i fichi contro il gelo.

Valeva la pena fare questi sacrifici poiché in estate i fichi freschi venivano aggiunti alle insalate o spalmati su crostini di pane con ricotta e noci, avvolti in prosciutto o pancetta e cotti alla griglia con il pollo. L’aria era invasa dall’odore di biscotti ripieni di fichi. La stagione dei fichi è breve, ma questo frutto era prezioso non solo per la sua dolcezza, ma per i ricordi che riusciva a evocare. Gli uomini costruivano pergolati nei loro cortili con la legna di scarto. Piantavano la vite che diventava tettoia di grandi foglie verde brillante e viticci attorcigliati che in tarda estate producevano l’uva scura e gonfia a fine estate. Producevano vino di tarassaco e sidro di mele. In alcune case più vecchie dell’East Side ci sono ancora i barili, dimenticati, che rievocano un tempo pieno di famiglia, terra e amore….

Inizialmente la vita per gli immigrati eoliani fu per molti versi simile a quella che avevano vissuto in Italia. Vivevano per la famiglia e continuavano le tradizioni, parlavano dialetto tra di 

loro, e lavoravano duramente. Per altri aspetti però, la vita a Oswego era più facile. Avevano più confort, più scelta, più beni e servizi, una sanità migliore e più soldi. Dovevano imparare ad adattarsi alle consuetudini e alle tradizioni americane. Per andare avanti, per non essere più operai non specializzati, per avviare delle imprese e per diventare proprietari di case, dovevano imparare a parlare, leggere e scrivere in inglese. Nel 1915 il Dipartimento di Istruzione degli Stati Uniti iniziò ad incoraggiare gli immigrati a diventare cittadini con litografie che recitavano “L’America prima di tutto. Impara l’inglese, vai alla scuola serale, diventa cittadino”. Gli eoliani che si erano decisi a restare a Oswego sapevano di dover diventare cittadini americani per sentirsi davvero parte del loro nuovo paese.

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3. Perché Oswego?

Hai navigato con rabbia lontano dalla casa paterna, attraversando i mari, e ora vivi in un paese straniero. - Medea

Gli emigranti eoliani non furono i primi ad attraversare il mare per iniziare una nuova vita a Oswego. I primi abitanti nel tardo 1700 erano un misto di britannici, olandesi, francesi e franco-canadesi; alcuni erano soldati, altri mercanti. Poi vennero i tedeschi e gli irlandesi a metà del 1800. I tedeschi avevano la reputazione di essere dei gran lavoratori, rispettosi della legge e intelligenti, ma gli irlandesi, il più grande gruppo etnico della città, dovettero combattere i pregiudizi: erano cattolici e avevano la reputazione di essere dei chiassosi bevitori, dalla rissa pronta. Svolgevano spesso i lavori più pesanti, quelli che gli altri non volevano fare. Non ci volle molto perché anche gli irlandesi diventassero parte integrante dello sviluppo economico di Oswego.

Antonio e Rosalia Russo, originari della Sicilia, arrivarono a Oswego nel 1874. Allora gli italiani in città erano pochissimi. Gli irlandesi avevano, rispetto agli italiani, due vantaggi: parlavano l’inglese assomigliavano per il loro aspetto ai primi coloni protestanti. Il signor Russo aiutò quegli italiani che immigrarono negli anni a venire ad adattarsi alla città facendo loro da interprete.
Nel 1883 due nuove compagnie di navigazione, Anchor e Florio Lines, si aggiunsero alla lista di navi che trasportavano gli italiani in America. Visitavano i porti del Mediterraneo e navigavano direttamente verso New York, evitando Liverpool, Le Havre e Amburgo, fino a quel momento porti principali dell’emigrazione. Questa rotta più diretta comportò per gli italiani un costo minore. Intorno al 1885, persino i più poveri eoliani potevano permettersi il biglietto e si univano agli altri italiani che partivano per New York e si insediavano a Oswego.

In altre zone del paese nacquero distretti chiamati Little Italy dove gli immigrati potevano continuare con le loro tradizioni e la loro lingua anche nella loro nuova madrepatria. Anche a Oswego vi erano delle zone dove vivevano molti italiani. La maggior parte delle famiglie siciliane di Messina si stabilirono nel quartiere Second Ward, lungo la riva del lago sull’East Side. Si trattava di una delle zone meno desiderabili della città, ma era vicina alla ferrovia e alle fabbriche che fornivano lavoro. Gli italiani provenienti dalla terraferma invece si stabilirono nel Fifth Ward a sud e nel Third Ward: Willow, Liberty, Babcock, Herrik e Utica Street. Alcuni dei nuovi arrivati trovavano alloggio nelle casette di legno, altri in delle pensioni più grandi. Spesso trovavano ospitalità presso familiari, amici o compaesani. La famiglia Manfre è un tipico esempio di coloro che arrivarono a Oswego dalle Eolie e che qui misero radici. Giuseppe Manfre aprì la sua casa a ospiti come Giuseppe Cortese, anch’egli di Lipari, e ad altri italiani….

Nonostante gli inverni rigidi, l’offerta di lavoro a Oswego bastò ad attirare gli immigrati e incoraggiarli a restare…. Il 

fiume Oswego fu strumentale nello sviluppo di molte fabbriche e stabilimenti tessili in città. ….. Nel giugno 1900 una nuova fabbrica di conserve cercava oltre cento operai attraverso una inserzione che prometteva “Molto lavoro”. Il fatto che ci fosse molto lavoro non vuol dire che non vi fosse competizione tra coloro che lo cercavano. Il Brooklyn Eagle pubblicò una articolo nell’estate 1902 nel quale si raccontava di tensioni crescenti, a Oswego, tra italiani portati lì dalla cartiera Battle Island Paper Mills Company e i portuali italiani locali per lo scarico delle chiatte. Fortunatamente un forte temporale aveva evitato che vi fossero violenze.
Nel 1900 a Oswego vi erano diverse grandi fabbriche, che sfruttavano l’acqua ed i trasporti ferroviari, le tasse basse ed i costi relativamente bassi degli immobili. La Pittsburg Oil Supply Company, la Herman Lumber Company, la Oswego Preserving Company, la Stevenson Malt House e la McGowan Brewery erano alcune tra le più importanti. La Kingsford Starch Factory era la più grande produttrice di amido al mondo, mentre la Oswego Shade Cloth Company era leader mondiale nella produzione di panni multiuso. Nel novembre 1911 l’Oswego Daily Times citava quarantatré imprese a Owego, incluse le seguenti:

- Diamond Match Factory - la più grande al mondo
- New York Central Railroad - compagnia ferroviaria
- Kingsford Boiler and Machine Shops - fabbrica di caldaie
- Ames Iron Works - acciaieria
- George Bessler Foundry - fonderia
- Fitzgibbons Boiler Works - caldaie
- Standard Yam Mills - stabilimento tessile
- Mohawk Manufacturing Company - manifatture
- Ontario Knitting Company - lanificio
- Oswego Knitting Company - lanificio
- Frederic Conde Knitting Mills - stabilimento tessile
- Oswego Candy Works - fabbrica di caramelle

A volte le donne gestivano le pensioni, ma presto iniziarono a lavorare anche fuori casa. Nelle Isole Eolie non era inusuale che le donne vivessero e lavorassero con le loro famiglie nelle aziende agricole come contadine, sarte o come levatrici nei paesini. A Oswego le donne andavano a lavorare al fianco degli uomini negli stabilimenti tessili in giro per la città, mentre i figli più grandi le aiutavano a prendersi cura dei più piccoli. Inoltre, esse trovavano impiego nelle fabbriche di caramelle, nei negozi e nei grandi magazzini. Altre guadagnavano facendo le pulizie o i lavori di cucito. Le banche del posto pubblicavano inserzioni sui giornali per incoraggiare le donne ad aprire conti correnti per far fronte alle spese familiari “in modo moderno”.

Anche se per alcuni eoliani il piano era di fare soldi e poi tornare a casa, molti, come Giuseppe D’Alia di Lipari, decisero di rimanere a Oswego. Questi immigrati misero su famiglia e si misero all’opera per cominciare la vita che avevano sognato. Giuseppeera una calderaio e la moglie, Augostina Famularo, lavorava in un cotonificio. I loro figli nacquero tutti a Oswego, come Augostina e i suoi fratelli.

Questa è stata solo una piccola parte del Capitolo 3, Perché Oswego? Leggi di più della storia in From the Islands disponibile su Amazon.com e altre librerie online.

 

2. Lasciandosi le isole alle spalle

Datemi la vostra gente stanca, i vostri poveri. Le vostre masse rannicchiate, che sognano di respirare libere. I disgraziati rifiuti delle vostre coste affollate. Mandate questi, senza casa e in balia delle onde, a me: Io sollevo la mia lampada sopra questa porta dorata.
- Emma Lazarus

Da quando l’uomo abita la terra, per un gran numero di motivi, ha lasciato la sua casa per spostarsi altrove: da un villaggio ad un altro, da un paese ad un altro, attraversando fiumi, attraversando oceani. I siciliani, eoliani inclusi, hanno anch’essi abbandonato le loro case, attraversato i mari e messo radici in altri continenti. Negli anni che precedono la Prima Guerra Mondiale, la maggior parte andò negli Stati Uniti e in Argentina.

Gli abitanti dell’Italia meridionale ed i siciliani, eoliani inclusi, si resero conto che dovevano lasciare le loro case. La grande migrazione eoliana ebbe inizio, e i motivi che spinsero così tanti ad emigrare tra i 1880 e il 1920 furono al contempo semplici e complessi. Il motivo dominante era che erano poveri, e non avevano speranza di riscatto. Ma la loro povertà era dovuta a un insieme di fattori.
Nella sua introduzione a Novelle Siciliane di Giovanni Verga, D.H. Lawrence spiegò che negli anni ’60 del diciannovesimo secolo, la Sicilia era considerata il luogo più povero d’Europa e che un contadino siciliano poteva vivere una vita intera senza mai arrivare a guadagnare un dollaro. Verga descrisse le vicissitudini dei più poveri e l’insensibilità di chi aveva autorità, anche della chiesa….

Il livello di tassazione divenne fuori controllo. I ricchi evitavano le tasse con la corruzione, mentre i poveri le vedevano aumentare. Un esempio dello squilibrio nella tassazione è illustrato dal fatto che i bovini e i cavalli dei proprietari terrieri settentrionali non venivano tassati, mentre muli, capre, suini e asini degli agricoltori poveri del sud si. In “Don Licciu Papa”, Verga racconta di un contadino che cerca di evitare con tutte le sue forze che gli sia confiscato il mulo….

Il nuovo governo italiano, inoltre, cercò di sopprimere l’espressione di idee politiche.
I politici erano corrotti e presto la mafia guadagnò terreno in Sicilia. I siciliani tentarono di ribellarsi, ma i loro sforzi si rivelarono vani. Tuttavia, mentre le difficoltà politiche e la corruzione diedero a molti siciliani un motivo in più per emigrare, questo non fu l’unico fattore scatenante dell’esodo dalle Isole Eolie. Un’altra ragione fu la leva….

Ironicamente gli Stati Uniti non richiedevano un passaporto per entrare nel paese all’inizio del ventesimo secolo, così molti italiani riuscivano ad arrivare nei porti, salire sulle navi e partire per l’America o l’Argentina. L’idea però era che se un giovane avesse lasciato il paese sarebbe tornato quando chiamato a prestare servizio nell’esercito italiano. Chi non si presentava veniva segnalato come disertore e spedito in prigione al suo ritorno.
Nel 1911, molti italiani di Oswego, come Giuseppe Cortese e Girolamo Cincotta, che spesso tornavano a Lipari, decisero di combattere nella guerra contro la Turchia. In un articolo apparso su ll’ Oswego Daily Times l’11 Novembre del 1911 si raccontava che, benché l’America fosse la terra promessa e avesse conquistato il cuore di molti italiani, a volte sentivano forte la mancanza del soleggiato bel paese. Molti uomini decisero di attraversare il mare e correre in soccorso dell’Italia nella sua lotta contro la Turchia, sua nemica storica.
La storia di due fratelli, Gaetano e Bartolo Reitano, che viaggiarono da Quattropani a Lipari a Oswego, New York, è esemplare di ciò che accadde a molti altri. Quando Gaetano emigrò per la prima volta sul Trojan Prince, partendo da Napoli, fu ospite del fratello maggiore Antonio, che già viveva nello stato di New York. Dai documenti militari risulta che Gaetano fu coscritto nell’esercito italiano nel 1907. Tornò a Lipari per arruolarsi.

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Gaetano Reitano nell'esercito italiano, WWII
Thomas Reitano in the Italian Army, WWII
Courtesy of Tom and Kathy Reitano
Dopo il congedo, Gaetano rientrò a Cortland, New York, da suo fratello. Avendo prestato servizio per il suo paese, era libero di andare e venire da Lipari e nel 1910 tornò per sposarsi con Maria Concetta Cesareo a Quattropani, nel 1911. Ancora una volta Gaetano ritornò a Cleveland per stare con suo fratello. Nel 1913 Maria Concetta si imbarcò sulla Carpathia e raggiunse Gaetano nella loro nuova città, Oswego. Vissero al numero 25 di Mitchell Street, nel quartiere Second Ward, dove erano presenti molti cugini e amici della comunità eoliana. Poiché aveva prestato servizio militare in Italia, Gaetano era libero di viaggiare da e per Lipari a suo piacimento e fu esonerato dal combattere per l’America nella Prima Guerra Mondiale.
Bartolo, fratello minore di Gaetano, emigrò nel 1905 a quindici anni e la sua fu una storia diversa. Lasciò il paesino di Quattropani e andò a Napoli per prendere la nave che lo avrebbe portato in Nord America. Quando arrivò a New York, Bartolo raggiunse per un breve periodo i fratelli Antonio e Gaetano, a Cortland. Poi si trasferì a Oswego, dove trovò lavoro come operaio in una fabbrica tessile. Trovò ospitalità da Giovanni Natoli al numero 3 di Mitchell Street. Cinque anni dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, all’età di vent’anni, anche Bartolo ricevette la chiamata di leva in Italia. Nel 1910 gli furono recapitate a Oswego le carte della coscrizione attraverso il Consolato Italiano di Albany, NY. Ma Bartolo aveva un lavoro e una nuova vita in America e così decise di non tornare a Lipari. Ignorò la chiamata…

Nel 1915 Bartolo sentì di non avere scelta. Aveva sposato Giuseppina Famularo nel 1914, a Oswego, e la sua prima figlia, Nancy, era nata nel Maggio 1915. Capì che la sua decisione di ignorare la chiamata alle armi avrebbe significato non potere mai più vedere la sua amata Quattropani. Anni dopo Bartolo ricevette un altro documento ufficiale dall’Italia, che lo esonerava dal servizio militare qualora non fosse stato necessario entro il 1937. Da quella data in poi sarebbe stato nuovamente libero di tornare nella sua madrepatria. Ma nel 1937, con sei figli e una moglie da mantenere, Bartolo non aveva né le risorse né il tempo di ritornare a Lipari. Bartolo amava il suo nuovo paese e divenne uno studente modello di storia americana e inglese in una scuola serale gestita da una delle associazioni italiane. Fu orgoglioso di diventare cittadino americano nel 1938….

Oltre alla leva, un altro fattore catalizzatore per la grande emigrazione eoliana furono le catastrofi naturali. Intorno alla fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo secolo si susseguirono sulle isole violenti terremoti ed eruzioni vulcaniche. A metà giugno 1888 ci fu la terribile e inaspettata eruzione di Vulcano, che durò due anni. Nel 1908 un violentissimo terremoto colpì Messina ed ebbe effetti anche sulle isole eolie, provocando angoscia tra la popolazione e la distruzione di edifici, aziende agricole e case. Anche a Stromboli vi erano state una serie di eruzioni tra il 1902 e il 1916, che ridussero quasi ai minimi termini i raccolti di fichi e uva che un tempo erano stati così abbondanti. I titoli dei quotidiani dello stato di New York descrissero questa devastazione e disperazione….

Mentre sempre più eoliani decidevano di emigrare, molti vendevano i terreni e le case a familiari e vicini che desideravano rimanere. Altre volte la terra era abbandonata e ben presto le tristi casupole si deterioravano e crollavano. La natura si riappropriava dei terreni agricoli. Alcuni dei proprietari più benestanti furono in grado di lasciare le isole con abbastanza fondi per poter vivere discretamente, ma la maggior parte degli emigranti erano contadini, che avevano sempre più difficoltà a portare il cibo in tavola. Quando lasciavano le loro case lo facevano portandosi poche cose per loro di valore e pochi soldi, di solito ciò che bastava per pagare il viaggio….

Quando arrivavano a Castle Garden o Ellis Island gli eoliani subivano gli stessi controlli da parte degli ispettori di quarantena che subivano gli altri immigrati. Era una esperienza stressante. Dopo aver ricevuto dei cartellini con i loro nomi e le informazioni di viaggio, attendevano in fila per sottoporsi a controlli di occhi, polmoni, piedi, schiene, cuoio capelluto e cuore. Si cercavano malattie fisiche e mentali, tosse, difficoltà nel camminare. Gli uomini dovevano essere capaci di lavorare sia mentalmente che fisicamente. Le donne e i bambini che viaggiavano da soli dovevano dimostrare che qualcuno li attendeva e si sarebbe preso cura di loro. Dopo le ispezioni fisiche, che duravano solo pochi minuti, gli eoliani venivano spediti dagli ispettori legali, che parlavano loro in italiano. Gli veniva chiesta l’età, lo stato civile, quanti soldi avevano con loro, la loro occupazione e dove intendevano vivere. Se per la maggior parte degli immigrati tutto il procedimento durava poche ore, alcuni venivano fermati per una notte o addirittura per qualche settimana, per motivi medici o legali. In alcuni casi veniva negato l’ingresso e dovevano intraprendere il lungo viaggio di ritorno verso l’Italia….

I primi immigrati sfuggirono a queste difficili condizioni di vita non appena ne ebbero l’opportunità. Giovanni D’Ambra, arrivato nel 1882, Bartolo Famularo, arrivato nel 1883 e Giuseppe Bontomase, arrivato nel 1896 furono tra i primi eoliani a recarsi a Oswego, più a nord. Intrapresero questo difficile viaggio con pochi soldi e una limitata conoscenza dell’inglese, spianando la strada per quelli che sarebbero venuti dopo. In seguito immigrati come i fratelli Reitano furono più fortunati perché in grado di trovare direttamente una sistemazione migliore piuttosto che passare molto tempo nelle note case popolari, ospiti di padri, fratelli, cugini o compaesani.
Dalle liste passeggeri si vede che mentre molti italiani del nord tendevano a migrare in California ed i calabresi spesso si trasferivano nel Midwest, i siciliani e gli eoliani finivano a Brooklyn o in New Jersey. Altri viaggiarono verso lo stato di New York a nordest, dalle città di Norwich e Cortland a Rome e Utica, Syracuse e Auburn. Altri finivano sulle rive del lago Ontario nelle città di Rochester, Buffalo e Oswego. Cognomi eoliani come Manfre, Iacono, Biviano, Spano, Cannistra, Reitano, Russo, Tesoriero, Natoli, Saltalamacchia, Cortese, Rodiquenzi, Famularo, Mirabito, Rando, Barnao, D’Alia, Cincotta, Bontomase, Paino e molti altri sono ancora presenti nella zona settentrionale dello stato….

Ma cosa portò gli eoliani a Oswego? Gli indiani Mohawk avevano battezzato il luogo Oswego (osh-we-geh) ovvero dove il fiume incontra il lago. Per questi isolani, cresciuti sul Mar Tirreno, l’acqua e la pesca avevano rappresentato una parte importante della loro vita. Forse erano attratti dal maestoso fiume Oswego, sulle cui rive alberi fogliosi offrono un luogo tranquillo in cui pescare durante le calde giornate estive. Nel porto quello stesso fiume è pieno di ogni tipo di navi impegnate a caricare merci, e pescherecci di ogni dimensione. Il lago Ontario, a volte verde e tempestoso on gigantesche onde bianche e altre volte tranquillo e blu sembra più un oceano che un lago. Forse ricordava il mare mediterraneo, spesso tormentato dal mitico dio Eolo, ma in altre occasioni un brillante specchio nel quale si riflette il sole. Magari gli accecanti tramonti di Oswego richiamavano il sole dorato che si inabissava dietro Filicudi e Alicudi: quel panorama mozzafiato che conoscevano così bene e avevano dovuto lasciarsi alle spalle. In realtà, ciò che li attirò così numerosi fu l’offerta di lavoro. Gli uomini che in altre parti dello stato lavoravano nelle miniere, nelle ferrovie, a scavare fosse o a bitumare strade sentirono parlare delle tante opportunità di lavoro nella crescente, piacevole e vivace città di Oswego…

 

 

... dalle isole Dalle Isole Eolie a Oswego, N.Y. 1880-1920

Introduzione “Pronti per una nuova vita” - Sylvia Plath

Era la fine di Marzo, ed era il terzo viaggio che mio marito ed io facevamo alle Isole Eolie. Quella mattina c’era il sole. Il cielo era azzurro, solo qualche nuvola era sparsa qui e là, come un velo delicato. La primavera stava arrivando. La Marina Garibaldi, la via principale di Canneto, aveva l’aria sonnolenta del mattino. I bambini erano a scuola, gli isolani al lavoro, e la maggior parte dei negozi era chiusa, sicuramente in attesa che Aprile, portasse temperature più calde e folle di turisti desiderosi di un po’ di sole mediterraneo. Non c’era un’anima sulla spiaggia rocciosa alla ricerca di pezzi di ossidiana, vetrini, ceramica o qualsiasi altro tesoro che il mare può fornire durante l’inverno. I muri color crema del Blu Caffè ci ricordarono che era l’ora della colazione. Situato alla fine della marina, dava l’impressione di avere un piccolo cortile per via delle grosse piante da vaso poste sul marciapiede, a delimitare lo spazio per qualche sedia e qualche tavolo di plastica bianca. All’interno, appoggiato al bancone un signore anziano con un berretto in testa, un po’ trasandato e con dei baffi sale e pepe, parlava fitto fitto col barista e beveva il suo caffè tutto d’un fiato.

Optammo per cappuccino e biscotti piuttosto che l’espresso gradito alla gente del posto. Portandoci il caffè fuori per poter sedere al tavolo, ci meravigliammo ancora una volta della mattinata stupenda, della spiaggia deserta e del Mar Tirreno così calmo e luccicante quel giorno. Sulla spiaggia i pescherecci di varie dimensioni e condizioni attendevano di essere messe in mare dai loro capitani. Terminata la nostra colazione, andammo in spiaggia anche noi a cercare vetrini, souvenir poco costoso ma che avrebbe fatto bella mostra di sé in un vaso di vetro a casa nostra. Qualche ora di relax a Canneto, e poi ci incamminammo nuovamente verso la fermata dell’autobus. Il piccolo autobus dell’isola ci avrebbe riportati a Marina Lunga nel centro di Lipari, a pochi passi dalla casa che mio cugino aveva messo a disposizione per il nostro soggiorno.

Notai che uno dei negozi che prima era chiuso aveva aperto. Si scorgevano all’interno un gruppetto di uomini anziani, che parlavano a voce alta e gesticolavano. Il negozio, con i suoi intonaci malandati ed il pavimento di cemento era vuoto se non per qualche contenitore di metallo e degli scatoloni con dentro dei semi sfusi. Su scaffali di metallo, come in qualsiasi altro negozio di prodotti agricoli, erano esposti dei pacchi colorati di semi. Timidamente entrai e diedi un’occhiata alla mercanzia: piselli, cetrioli, pomodori e ogni varietà di fagioli. I fagioli erano indubbiamente i semi più gettonati: fagioli piatti, fave, fagiolini, fagiolini lunghi e fagioli larghi. Fui attratta da un pacco con una foto di una rosa screziata dall’aspetto esotico e un fagiolo bianco. Decisi di comprarlo per mio zio di Oswego, che ancora curava lo stesso giardino creato da suo padre, immigrato eoliano di Quattropani, un secolo prima. Nonno Reitano aveva sempre voluto tornare alla sua amata isola e non ne ebbe mai l’opportunità. Che gioia sarebbe stata per lui sapere che un giorno, dopo tanti anni, una dei suoi nipoti avrebbe fatto il viaggio di ritorno alla sua madrepatria.

Presi il pacco di semi di fagioli, e, nel mio italiano stentato, ne chiesi il prezzo. I semi, il mio piccolo tesoro, costavano pochi spicci e li misi in borsa.
Quando ebbi finito di pagare il negoziante mi chiese, “Sei della Germania?” Mio marito è alto, biondo e con gli occhi azzurri ed anch’io sono alta - indizi che lo avevano portato a questa conclusione. In questo periodo dell’anno erano in maggior parte tedeschi quei pochi turisti che visitavano l’isola. Li avevo visti io stessa, così organizzati con i loro orari degli autobus, le loro mappe, i loro zaini robusti ed i sandali indossati con i calzini.

“No, di New York. Mio nonno è nato a Quattropani”
“Ah, tutti i nipoti vogliono tornare a Lipari adesso!”
Sorrisi a questa sua osservazione e annuì. Si, era vero. Noi “nipoti” avevamo tanta voglia di esplorare queste meravigliose, piccole isole. Volevamo contemplare la loro bellezza ma anche scoprire le nostre radici. Avevo letto in un libro qualche anno prima che gli italiani trovavano strano il fatto che americani e australiani fossero alla ricerca delle loro famiglie. Nelle loro isole, le famiglie li circondano, vivono nelle loro stesse case e negli stessi paesini, sono sepolti negli stessi cimiteri, da secoli.

Noi, i nipoti di quei primi immigrati, siamo impegnati a riscoprire le nostre radici italiane. Usiamo internet per imparare il passato e parlare con i nostri cugini in giro per il mondo. Visitiamo i cimiteri, raccogliendo cognomi, cercando di ricordare i racconti che abbiamo ascoltato in modo distratto da piccoli. Esaminiamo vecchie foto trovate in soffitta, nei cassetti dei comò, ed in scatole di cartone. Le foto sono spesso conservate alla rinfusa, prive di nomi e date, oppure sono state appiccicate con amore in quegli album dalle pagine nere che tanto andavano di moda una volta.

Abbiamo degli splendidi ricordi di domeniche e cenoni a casa della nonna. Un piatto di pasta con una salsa rossa era una prerogativa. Il menù tipico comprendeva carne o pesce, verdure fresche, spesso dell’orto, ed un dolce fatto in casa con amore. Noi eravamo i bambini che mangiavano lasagne per il Giorno del Ringraziamento come accompagnamento del tacchino e braciole a Pasqua insieme al tradizionale prosciutto. Noi mangiavamo tante cose buone che i nostri amici non conoscevano nemmeno: parmigiana di melanzane, calamari fritti o alla griglia, gigi, sfinci, biscotti all’anice, frittelle di fiori di zucca e gnocchi.

Quegli eoliani che arrivarono in America tra il 1880 e il 1920 erano fieri della loro cultura, ma trovarono al tempo stesso molti modi di scrollarsi di dosso la loro “italianità”. Non è vero che i nomi venivano storpiati dagli ufficiali a Ellis Island. I nomi degli emigrati erano scritti sui documenti nel porto di partenza. Ma, quando arrivavano in America, a volte erano gli immigrati stessi a cambiare lo spelling dei loro nomi, in maniera permanente o temporanea. Reitano a volte diventava Rose o Rice. Falanga poteva diventare Flang. Famularo veniva trasformato in Famalaro, Familo o persino Adams. LoSchiavo diventava Loschiavo. Natoli si poteva scrivere Natole oppure Natale, e Paeno si poteva scrivere Paino. Spesso i nomi perdevano l’apostrofo. Dalia o Daley sostituiva D’Alia e Damico D’Amico. Nella maggior parte dei casi i nomi non venivano cambiati ufficialmente, perché non era necessario. Tuttavia la famiglia Rodiquenzi pubblicò un annuncio sull’Oswego Palladium il 1 Agosto 1941 nel quale dichiaravano che il richiedente, Bartolo Rodiquenzi, avrebbe da quel momento in poi preso il nome di Bartolo Regan.

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