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Categoria: Opinioni

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di Carlo D'Arrigo*

Il caro biglietto per le Isole Eolie

Con casa a Pianoconte di Lipari da quasi vent’anni mi sento orgogliosamente Eoliano e, fino ad oggi, per raggiungere la “mia Isola” ho usufruito del biglietto a costo ridotto sugli Aliscafi della Liberty Lines. Lo stesso costo riservato ai residenti cui, di fatto, siamo equiparati nelle applicazioni di tutte le incombenze e balzelli comunali.

Chi ha casa in uno dei comuni Eoliani è soggetto, chiaramente, al versamento dell’Imu, alla Tari alla Tasi e così via. La Compagnia Trapanese degli Aliscafi dell’armatore Morace è sempre venuta in contro ai possessori di casa ed ha sempre applicato a questi lo stesso trattamento economico di chi vi risiede.

Fra possesso e residenza non c’è differenza. Peraltro chi lavora altrove non può avere residenza doppia, anche se raggiunge frequentemente l’abitazione Eeoliana.

Non nascondo che andando alla biglietteria di Milazzo per chiedere il biglietto per Lipari mostravo con orgoglio la mia Liberty Card, come a dire “Faccio parte della Comunità Eoliana”. Ma ora non è più così, chi è proprietario di casa dovrà pagare l’intero costo del biglietto, come un Turista. Ma il turista non paga Imu, non paga Tari e nemmeno Tasi.

Colpa della crisi pandemica si racconta, ma la Liberty proprio per questo ha specifici contributi regionali che, immagino, destini ad altre spese. E’ vero che sono stati approntati forme di abbonamento ma questi sono, ancora, pagamenti da “turisti”, mascherati.

Infatti offrire una riduzione del 15% su dieci corse da usufruire in un mese significa, forse, far pagare ancor più del residente. Chi raggiunge la seconda casa non si sposta dieci volte in un mese e, pertanto, l’abbonamento proposto è un biglietto intero camuffato, se non addirittura di più.

Ma ciò che stride è il fatto la Liberty ha riservato il trattamento di favore del biglietto residente agli appartenenti alle Forze dell’ordine, indipendentemente se viaggiano per motivi di servizio e meno. Chi ha casa, invece, va penalizzato. Tanto “se vuole paga”, un trattamento fuori luogo.

Peraltro se è vero che la pandemia ha creato un aumento dei costi per il vettore è anche vero che chi viaggia dispone di meno risorse, specie se fa parte di quelle categorie falcidiate come i ristoratori, i bar e simili.

Faccio appello alla Compagnia Liberty Lines perché torni sui suoi passi e ristabilisca le tariffe da residenti perché fra possesso e residenza il passo è veramente labile. Forse potrei arruolarmi nelle Forze dell’Ordine, ma non ho più l’età per farlo.

*fisico, Consulente di Acustica del Comune di Lipari carlodarrigo47@gmail.com

La grande Scienza si chiama Nano

Non spendete molto per il telefonino perché domani sarà vecchio, e questa volta sarà vecchio veramente dopo qualche mese, forse tre o quattro, e vediamo perché. Se l’ultimo telefonino ha una memoria così grande, se il vostro televisore ha un’immagine così definita e il GPS è così preciso tutto si deve alle nuove “nanotecnologie”.

Sono queste che permettono di realizzare materiali, dispositivi e sistemi complessi attraverso il controllo della materia su scala atomica, cioè “nanometrica”, qualcosa di infinitamente piccolo. Si pensi che un nanometro è un miliardesimo di metro e un foglio di carta A4 ha uno spessore di 100 mila nanometri.

Quando più di cinquant’anni fa si è iniziato a studiare alcuni oggetti su scala nanometrica, ci si è resi conto che alcuni materiali avevano delle insolite caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e questo ha focalizzato l’attenzione su questa tecnologia.

La Nanoscienza, e la Nanotecnologia, implementano la possibilità di vedere e manipolare singoli atomi. Tutto sulla Terra è fatto di atomi: il cibo che mangiamo, i vestiti che indossiamo, i palazzi e le case in cui viviamo e soprattutto il nostro corpo. Ma qualcosa di piccolo come un atomo è ovviamente impossibile da vedere ad occhio nudo e, in realtà, era impossibile da vedere con la tecnologia a nostra disposizione fino a qualche anno fa.

I microscopi necessari per vedere le cose su scala nanometrica sono nati, all’incirca, 30 anni fa e, quindi, si può datare allora la nascita delle nanotecnologie. Storicamente la nascita delle nanotecnologie è fissata al 1959 quando lo statunitense Richard Feynman, Nobel per la Fisica 1965, presentò un lavoro ad un Congresso di Fisica in cui mostrava che “Non c’erano ostacoli alla miniaturizzazione”. Ma quali sono le applicazioni delle nanotecnologie? 

Da sempre l’uomo ha osservato le meraviglie naturali nella loro maestosità e microscopicità, ammirandone l’aspetto esteriore, ma desiderando sempre di indagare tutti i meccanismi più nascosti. È questo l’avanzamento che ha portato allo sviluppo della nanotecnologia. Ma cosa nasconde ancora questa parola. I prodotti della nanotecnologia presenti oggi sul mercato sono, per lo più, prodotti che con il tempo sono stati migliorati nei processi produttivi grazie all’utilizzo di queste tecniche. Così come le 

memorie del telefonino (che impacchettano Giga), alimenti supermicroscopici di elevata digeribilità, particelle facilmente legabili per produrre farmaci, e così via. Un’applicazione di cui si parla spesso, e sicuramente una delle più interessanti, è l’utilizzo in medicina dei Nanobot, o robot piccolissimi.

Macchine di questo tipo permetterebbero di trasportare farmaci all’interno dell’organismo e di rilasciarli esattamente al posto giusto e nella quantità giusta, una molecola per volta. Un bel cambiamento rispetto al modo in cui usiamo i farmaci ora, cioè ingerendo una pillola il cui contenuto si disperde per via sistemica e solo in parte nell’organo cui è destinata.

Alcuni scienziati stanno sperimentando contenitori di dimensioni nanometriche in grado di entrare in circolo nel flusso sanguigno, raggiungere il sito di un potenziale tumore riconoscendo le cellule malate, grazie a nanosensori, e lì aprirsi per rilasciare le molecole di farmaco. La malattia oggi può essere riconosciuta, nella maggior parte dei casi, solo quando assume dimensioni macroscopiche ma noi sappiamo che è provocata, ai suoi esordi, da alterazioni molecolari a livello del DNA.

Strumenti capaci di entrare nelle singole cellule e scoprire dove e come si annida l'alterazione potenzialmente pericolosa sarebbero quindi preziosi. Le potenzialità sono immense anche se c'è ancora molto da studiare. La natura interdisciplinare di questo tipo di ricerca è anche la sua maggiore difficoltà.

Non ha senso che una singola istituzione crei il proprio laboratorio ma è più logico “globalizzare” le forze perché medici, biologi, fisici, ingegneri e tanti altri perseguano insieme lo stesso scopo.

 

 

 

La Scienza non è Politica. Che non si faccia confusione

“La pubblicazione scientifica rappresenta la principale forma di comunicazione ufficiale della Comunità scientifica, attraverso cui i singoli Ricercatori o i gruppi di ricerca rendono pubblici i metodi ed i risultati dei propri lavori scientifici”.

Nell’Editoria scientifica la “Pubblicazione” è uno scritto redatto in modo oggettivo in cui si evidenziano, in modo “trasparente e verificabile”, metodi e risultati della ricerca da parte di scienziati, su un argomento scientifico. Naturalmente parliamo di Scienziati veri non da “palcoscenico” o di “partito”. Assieme ai testi di studio e approfondimento, le pubblicazioni sono le forme più importanti di comunicazione all’interno della Comunità scientifica.

Certo, esistono anche pubblicazioni scientifiche non rigorosamente validate e diffuse su carta stampata quotidiana e, oggi, via web. Quest’ultima si differenzia dagli scritti prima citati perché hanno scopo divulgativo e non sono editi da editori di specializzati di riviste scientifiche come sono gli Editori Accademici.

Le pubblicazioni di questi editori sono regolamentate da procedure di accettazione e valutazione dei lavori presentati, mirate a stabilire quali lavori scientifici posseggano i requisiti per essere pubblicati. I lavori scientifici che superano tali procedure vengono pubblicati, divenendo così “Pubblicazione Scientifica”. Le maiuscole sono d’obbligo.

Quando uno o più autori giungono alla conclusione di uno studio o una ricerca sottopongono il manoscritto ai Referees (dall’inglese Arbitri) o comitato Scientifico Editoriale, scelto per disciplina, che redige un parere motivatamente favorevole o contrario alla pubblicazione (Referee’s Report) sulla scorta della correttezza, completezza, originalità e rilevanza del lavoro. Si verifica sovente che i Referees indichino modifiche o correzioni necessarie perché il manoscritto possa essere accettato.

Il manoscritto è quindi inviato agli autori del lavoro, senza l’indicazione dell’identità del Referee e gli autori inviano quindi una nuova versione dell’articolo che tenga conto dei rilievi formulati, o anche contestare le obiezioni mosse. Naturalmente ciò richiede tempo, e soprattutto serietà e conoscenza della materia, che non è né di destra né di sinistra.

L’attendibilità scientifica della pubblicazione, determina quindi una rielaborazione più o meno ampia del manoscritto originale, in collaborazione fra gli Autori e i signori Referees, che non sono iscritti a nessun partito.
E andiamo all’odierno. Raccontare in televisione che lo stato dell’infezione o della pandemia scaturisce da dati scientifici è falso.

E’ solo l’osservazione di uno o più persone che contano quanti sono i malati, quanti sono gli infetti e….sulla scorta del proprio estro e pseudo-fiuto emettono una sentenza su come aprire e chiudere negozi e ristoranti. Il tutto con la convinzione che l’ascoltatore non capisca e creda ad una scienza che non esiste.

 

 

L’ingegnere del Comitato Tecnico Scientifico del Covid

L’organo ufficiale di osservazione della pandemia da Covid, il cosiddetto Comitato tecnico scientifico del Dipartimento per la protezione civile, si era dotato nel suo entourage dell’ingegnere Giovanni Gerli, esperto di modelli matematici e calcoli statistici. Una scelta coraggiosa destinata a matematizzare (parola giusto ora coniata) l’andamento della pandemia che, con l’elaborazione di dati, tabelle e curve più o meno apocalittiche avrebbe dovuto farci capire come stavano le cose. O meglio, come stavamo noi cittadini con l’infezione da virus Covid. L’ingegnere, subito al lavoro (anzi già ci lavorava), ha fatto una serie di previsioni, all’inizio sulla Lombardia e poi sul Veneto che si sono rivelate errate, con numeri di casi positivi che si discostavano del duecento o trecento per cento dai dati reali. Previsioni tanto ambiziose quanto sbagliate, modelli dai fondamenti scientifici fumosi, teorie anomale smentite puntualmente dalla realtà.

L’ingegnere, fortemente criticato da tutte le forze politiche, si è dimesso! Non sapeva fare i calcoli? aveva sbagliato algoritmo? niente affatto, l’ingegnere aveva lavorato bene e sapeva il fatto suo. Semplicemente aveva peccato di ingenuità sperando di risolvere tutto con i suoi complicati calcoli! perché nessun algoritmo predittivo di intelligenza artificiale potrà dirci come si evolverà la diffusione del Coronavirus. Al di la di ogni possibile previsione, l’affezione da Coronavirus ha disarmato le nostre certezze e ci ha costretto, quasi, a fermare tutte le possibili previsioni. I progressi della scienza e della tecnologia ci hanno abituato a vivere pensando al futuro, ma in questo momento come individui e come collettività siamo come sospesi in un tempo presente. Certo, i tentativi di disegnare l’evoluzione della curva dei contagi continuano a proliferare ovunque, dalle autorevoli Riviste scientifiche ai disegnini che vediamo apparire in ogni telegiornale. La verità è che è impossibile prevedere come si muoverà un virus nuovo e con caratteristiche diffusive e infettive tutte, ancora, da vedere. Forse possiamo prevedere la diffusione di una influenza stagionale, ma il Covid è un’altra cosa. E poi la risposta epidemiologica dipende da una sommatoria eterogenea di parametri e di valori difficilmente correlabili, semplicemente perché eterogenei e non 

rispondenti ad alcun calcolo matematico. Così è impossibile sapere quanta gente sarà infettata domani, è impossibile sapere se gli infetti faranno terapie, è impossibile sapere se una parte guarirà da sola o avrà bisogno di terapie ospedaliere. E potremmo andare avanti così con tanti “impossibile”. Ma l’ing. Gerli sperava di irreggimentare numeri che nemmeno Lui aveva, secondo calcoli di fantasia. Non dimentichiamo che il nostro organismo è una grande macchina analogica, che poco si sposa con i numeri, con i “digit”, e molto ha da mostrare all’osservazione continua, come quella che un bravo clinico fa con il suo paziente. Istante per istante, leggendo lastre, tracciati e numeri di laboratorio. Non sono chiari i criteri in base ai quali l’ingegnere Giovanni Gerli sia stato nominato membro del nuovo Comitato tecnico scientifico di certo, nonostante la visibilità mediatica, la sua funzione e le sue previsioni sull’andamento dell’epidemia erano fuori luogo. Non per incapacità ma semplicemente perché Lui, come ingegnere, era fuori luogo nel Comitato tecnico Scientifico.

 

 

Si può sicuramente dire che da un anno il Mondo è in allarme.

Un allarme sanitario che non tenta a regredire e che i media, soprattutto televisivi, hanno inconsapevolmente amplificato incutendo ansia e vere alterazioni psicofisiche sulla popolazione. Molte sono le organizzazioni che da mesi prestano interesse alla salute mentale e forniscono indicazioni per contenere l’impatto emotivo sugli operatori sanitari coinvolti in prima linea nell’epidemia di COVID-19. Fra queste l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che ha predisposto delle specifiche raccomandazioni per gli operatori sanitari, incentrate sul fornire indicazioni per un corretto utilizzo delle protezioni, per una sicura gestione clinica dei pazienti e per informare i lavoratori rispetto alla riorganizzazione delle attività ospedaliere.

Indicazioni per i sanitari arrivano anche dagli americani Centers for Disease Control and Prevention e dall’Istituto superiore di sanità. Ma più che curare i disagi psichici derivanti dalla pandemia è più opportuno osservare con cautela e serenità l’evolversi dell’infezione, soprattutto perché è con la calma che si risolvono i problemi. E’ proprio la serenità che manifesta il dottor Lorenzo Mondello, Infettivologo messinese, nel trattare l’aggressione del Covid. “Basta allarmismi sui contagi, occorre ragionare in termini di ricoveri”, è questa un’espressione del dottor Mondello che dà contezza del suo pensiero. Fin da subito, nel gennaio 2020, in più interviste, lo specialista si è affannato a consigliare terapie precoci, quasi immediate, al primo manifestarsi dei sintomi da Covid. Prima del risultato del tampone. Terapie precoci e domiciliari, quando tutti “intimavano” di chiamare il 118, intasando gli accessi alle strutture ospedaliere e lasciando che la patologia facesse il suo corso nefasto. Il dottor Mondello è l’inventore del Protocollo M, dove M sta per Messina e non Mondello, come lo stesso specialista ci tiene a precisare.

E ancora sono queste le sue parole: – L’idea del protocollo M, che prevede l’uso del betametasone e dell’azitromicina, è nata perché almeno fino ad ottobre le Istituzioni sanitarie preposte non ne parlavano e siccome c’era una ripresa dei casi e della mortalità rispetto all’estate, paragonabile alla primavera, ho pensato di mettere a frutto la mia esperienza nel campo delle malattie virali acute febbrili, ragionando per analogia ad altre patologie”. Il dottor Mondello, infettivologo specialista dal 1986 e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di infettivologia della Clinica Cappellani, afferma che il Protocollo M differisce anche da quello ministeriale perchè il betametasone ne è la base, ed è risultato particolarmente efficace. Su 590 pazienti trattati (7 erano bambini), con età media di 59 anni, si sono salvati 589. Purtroppo, a parere dello scrivente, la medicina territoriale non ha funzionato. La fase iniziale viremica con la sintomatologia che conosciamo (febbre, tosse secca, perdita di gusto e olfatto, dolori ossei) è quella della moltiplicazione del virus nel sangue.

Dura 8-10 giorni ed è questa la fase curabile in cui possono incidere il protocollo M e le cure domiciliari precoci. La fase successiva è quella infiammatoria o delle complicanze come la coagulazione del sangue e il meccanismo a cascata che porta a trombi intravasali. E’ quella della non curabilità e dove nemmeno le terapie intensive possono dar frutto, e quando si arriva in ospedale è già tardi. I pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio, con cure domiciliari, prima che si instauri la malattia vera e propria, ossia la polmonite interstiziale bilaterale, che quasi sempre porta il soggetto in Rianimazione. Ma di tutto questo i media hanno taciuto, raccomandando di pazientare in attesa del vaccino che ormai, ci auguriamo, venga fatto coralmente. Vorrei concludere questo pezzo evidenziando che a Messina, col dottor Lorenzo Mondello, abbiamo un’eccellenza della medicina che, con la “sua” lotta al Coronavirus, sta ricevendo messaggi di stima da tutta Italia. Il profondo sud, come in tante altre occasioni, ha tanto di che vantarsi.

 

 

Erano filosofi naturali, la televisione li ha fatti diventare scienziati

Appena due secoli addietro erano i Filosofi naturali che studiavano la natura, sia dal punto di vista che oggi chiamiamo scientifico o empirico, sia da quello metafisico “astratto”. Il termine scienza si affermerà solo più tardi, dopo Galileo e Newton con lo sviluppo dell’indagine sperimentale e della natura, regolata appunto dal metodo scientifico. Le varie scienze sviluppate dalla Filosofia si può dire siano sorte dalla filosofia naturale. Nelle Università di antica fondazione, le cattedre di filosofia naturale sono oggi occupate prevalentemente da docenti di Fisica. La nozione moderna di scienza e scienziato risale solamente al XIX secolo: prima di allora la parola "scienza" significava semplicemente conoscenza e non esisteva l’etichetta di scienziato come “uomo superiore della conoscenza”, perché la conoscenza o scienza era un concetto astratto ed universale. Mai associato al singolo.

Nella più diffusa accezione, la filosofia della scienza è l’indagine su come avviene la conoscenza. Il quadro che emerge oggi è di una comunità scientifica che fatica a uscire dalla torre d’avorio che di avorio non ha nulla. Il vero scienziato è riservato, stabilisce canali di comunicazione solo quando lo ritiene socialmente necessario e raramente pensa che la comunicazione pubblica sia parte integrante del suo mestiere. In questo quadro stupisce l’interazione tra scienziati e giornalisti. I due gruppi, scienziati e giornalisti, perseguono interessi diversi. I primi riconoscono che apparire sui media fa comodo perché aumentano le chances di incassare denaro o ricevere finanziamenti.

I secondi, in fondo, vogliono trovare storie interessanti per i lettori. Scienza e giornalismo producono conoscenza sul mondo secondo principi differenti. Televisione, giornali, radio e internet sono arene di discussione ugualmente implicate nella costruzione della scienza. È l’affermazione della “condizione postmoderna” della scienza in cui i momenti di produzione e diffusione della conoscenza non sono nettamente separati. È un approccio che

 

 

La giornata mondiale del sordo

La prima giornata fu organizzata il 28 settembre 1958, in memoria della fondazione del World Federation of the Deaf (WFD, Federazione mondiale dei Sordi) del 1951, a Roma.
L’iniziativa si sviluppa in ogni Nazione dove sia presente l’Associazione dei sordi ufficialmente riconosciuta dal proprio Governo, come nel nostro Paese. Ciò per spronare i Governi al dispensamento di ausili tecnologici per il recupero del deficit sensoriale e favorire l’insegnamento della LIS, la Lingua Italiana dei Segni.

L’ipoacusia investe ogni fascia di età ed è importante diagnosticarla precocemente. Fare prevenzione, infatti, ci permette di curare efficacemente la patologia e aiutare il Sistema Sanitario Nazionale evitando successivi ed elevati costi sociali. Più di 400 milioni di persone nel mondo soffrono di perdita di udito. Oltre gli anziani affetti da presbiacusia, vi sono oltre 30 milioni di bambini colpiti da perdita dell’udito e la causa principale sono infezioni dell’orecchio, semplici otiti facilmente curabili e diffuse soprattutto nei paesi a basso reddito. Malattie infettive come rosolia, meningite, morbillo e orecchioni acquisite durante la gravidanza possono causare la perdita dell’udito, oltre naturalmente all’esposizione a rumori eccessivi e cause genetiche. La sordità, oltre agli aspetti medici, impone riflessioni su tutto ciò che riguarda la percezione sonora della persona.

Educazione, informazione, comunicazione, collocamento al lavoro, vita sociale necessitano della funzione uditiva. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il 50% dei casi di ipoacusia può essere prevenuto con una maggiore informazione e con l’adozione di corretti stili di vita, soprattutto per i giovani come non abusare di cuffie o auricolari, oppure utilizzare sempre i tappi per le orecchie quando si frequentano luoghi di lavoro o di intrattenimento particolarmente rumorosi.

Il danno uditivo (superiore a 40 deciBell, circa il 35% di perdita) in età infantile limita lo sviluppo verbale del bambino e produce conseguenze sullo sviluppo psicologico, scolastico e sociale. Vari studi hanno persino correlato la salute mentale dei bambini sordi con la presenza di abusi in questa popolazione, rilevando come tali problematiche siano ben più presenti che nei bambini normoudenti.

 

LA LINGUACCIA DI EINSTEIN

Da qualche tempo è proiettatta sui canali televisivi la pubblicità di una rete di supermarket dove i personaggi, emulando Einstein, portano i capelli bianchi arruffati. Qui una bambina, dagli occhi spiritosi, mostra la “linguaccia” che rese celibre lo scienziato della relatività. Lo spot vuole stimolare l’orgoglio dei consumatori a essere intelligenti come Einstein e, come tali, ad acquistare i prodotti. Da qui la scelta di evocare nella pubblicità una figura iconica dell’intelligenza umana, come Albert Einstein. Sembrerebbe un azzardo quasi irrispettoso nei confronti di uno dei geni più grandi della storia, ma “Eurospin” lo fa in maniera talmente ironica da togliere ogni dubbio.

Ma Einstein fece mai la linguaccia? Sembra proprio di si, e ci sono le prove. Come tutte le persone sagge anche Einstein era ironico e amava scherzare. Al contrario del vecchio detto “il riso abbonda sulla bocca degli stolti” per il grande scienziato il sorriso era approccio di cordialità. Il 14 marzo del 1951, il giorno del suo compleanno, all’Università di Princeton, all’Istituto di Matematica di cui era direttore, venne organizzata una festa per il suo settantaduesimo compleanno.

Dopo i tradizionali brindisi, il Nobel salutò i suoi ospiti e decise di rientrare a casa accompagnato in macchina da altre due persone, il Dottor Frank Aydelotte, preside dell’Institute for Advanced Study, e di sua moglie. Ad attendere i luminari della scienza c’erano diversi fotografi tra cui un reporter della United Press Intrernational che chiese allo scienziato di sorridere e ottenne in risposta una “linguaccia” che ha fatto epoca. Ma non è solo quest’espressione a rendere ironico Einstein.

Ad un Congressista che chiedeva chiarimenti sulla teoria della relatività da Lui scoperta così rispose: “Quando un uomo siede due ore in compagnia di una bella ragazza, sembra sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa per un minuto e gli sembrerà che siano passate due ore. Questa è la relatività”. Una curiosità, una delle copie della foto che ritrae la linguaccia Albert Einstein, padre della fisica teorica, è stata battuta all’asta per 106 mila euro alla casa d’aste californese Nate Sanders di Los Angeles.

 

Questo piccolo grande chip, ha 62 anni ma rinasce ogni giorno.  

Smartphone, smart card, carte di credito e tanti altri dispositivi che scandiscono la quotidianità delle persone di tutto il mondo, non potrebbero esistere senza il microscopico chip. Questo prezioso componente elettronico, nato il 12 settembre 1958 dalle mani dell’ingegnere Jack Kilby dell’americana Texas Instruments, concentra in pochi millimetri migliaia di funzioni.

Il prototipo di quel 12 settembre si presentava come una piastrina di germanio su cui era attaccato un vetrino con transistor e altri componenti. Una forma rudimentale in seguito perfezionata dal fisico Robert Noyce dell’Intel Corporation (nota per i microprocessori), che sostituì il germanio con il silicio, tuttora il materiale più utilizzato. Kilby nel 2000 conseguì il Nobel per la Fisica, «per il suo ruolo nell'invenzione del circuito integrato e per il lavoro di base nella tecnologia dell'informazione e della comunicazione».

L’invenzione del circuito integrato costituisce certamente una delle innovazioni più significative del secolo scorso, forse la più importante. Lo testimoniano i grandi cambiamenti nella nostra vita, nel lavoro come nel tempo libero, in ufficio, in viaggio e in casa, che sono stati prodotti dagli impieghi pratici di questo prodotto. Innumerevoli chip sono infatti parte essenziale dei calcolatori, dei telefonini, dei televisori, dei riproduttori di suoni, degli elettrodomestici, delle automobili e di altro ancora che utilizziamo quotidianamente. Ma questo piccolo dispositivo è, praticamente, ogni giorno nuovo. Infatti le sue performance aumentano di momento in momento, con sempre più memoria e velocità di calcolo.

Si può dire che il miglior telefonino o PC di dieci anni fa equivale al più scadente ed economico di uno di oggi. Grazie ad essi sono sorte nuove industrie e nuove prospettive di assoluta rilevanza economica e occupazionale, basti pensare a Internet e al Web. Ciò ha creato nuovi paradigmi, impensabili prima, come la conoscenza distribuita quale obiettivo primario dell’umanità, un bene immateriale disponibile a tutti. Jack Kilby, l’inventore del mondo informatico, è deceduto nel giugno 2005 quattro anni dopo aver ricevuto il Nobel.

 

Per non dimenticare: otto settembre 1943, la gente esulta di gioia. Ma non è così. 

Venticinque luglio e otto settembre 1943 sono due date delicate nella storia d’Italia. Il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo approva l’ordine del giorno presentato da Dino Grandi che esautora Benito Mussolini da capo del governo. Poche ore dopo l’ormai ex duce è fatto imprigionare dal re Vittorio Emanuele III che nomina il maresciallo Pietro Badoglio capo del governo.

Si pone fine alla guerra di Mussolini, come veniva definito l’immane e illogico conflitto. Badoglio si affretta a reprimere gli entusiasmi popolari e annuncia alla nazione che “la guerra continua”. Contro chi non si è mai capito, considerato che l’armistizio era nei riguardi dei cosiddetti ex nemici Inghilterra, Francia e Stati Uniti. In realtà i nuovi nemici erano gli ex alleati, i Tedeschi. Il 3 settembre, a Cassibile una ridente frazione di Siracusa, Italia e Alleati anglo-americani firmano un armistizio che prevede la resa incondizionata dell’Italia.

A nome di Badoglio firma il generale Giuseppe Castellano, per gli Alleati è invece presente il generale Walter Bedell Smith. La sera dell’8 settembre 1943 tocca al maresciallo Badoglio leggere alla radio dell’EIAR (ex RAI) un proclama che annuncia al paese l’armistizio tra Italia e Alleati, ormai ex nemici, Americani, Francesi, Inglesi. L’accordo è reso noto solo dopo pesanti pressioni da parte anglo-americana: il generale americano Eisenhower, infatti, pretende che il governo italiano smetta di tergiversare e annunci la resa dell’Italia.

Nelle more, infatti, Eisenhower aveva già diffuso la notizia dell’armistizio alcune ore prima da radio Algeri. Il proclama di Badoglio, volutamente ambiguo sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli ex alleati tedeschi, è probabilmente uno dei testi più noti ed emblematici della storia nazionale. “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.” Quale provenienza poteva essere se non quella tedesca?

L’armistizio è interpretato da Hitler come tradimento dell’alleanza. Passano poche ore e i guerrieri di germania occupano quasi tutta l'Italia deportando e uccidendo centinaia di migliaia di civili e militari. Tutto questo avveniva solo 77 anni fa fra due popoli quasi amici, fisicamente e idealmente allora come oggi, e separati, solo e forse dalle catena alpina. Il filosofo Immanuel Kant, nella sua opera “Progetto per la pace perpetua”, afferma che la pace può esistere solamente se avviene la diffusione degli Stati liberali, cioè di stati in cui i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario sono suddivisi e c’è la supremazia del Parlamento.

E non del “potere giudiziario sul parlamento”. Secondo Kant lo Stato liberale, basato su libertà e diritto, è la contrapposizione alla sopraffazione ed alla violenza. Purtroppo la violenza non è finita, ha cambiato forma dalle armi da sparo alle armi economiche.

 

Quanti guai per non sapere

Non sapere e non capire, ambedue creano danni. A noi stessi e agli altri. Viviamo uno stato di evoluzione continua, che pone quesiti cui si può rispondere solo accedendo a informazioni precise, spesso note solo a pochi specialisti di settore. Così accettiamo “acriticamente” ciò che i media declamano in maniera demenziale.

In certi casi consultiamo internet rischiando, in certi casi, di fare ancor peggio e prendere lucciole per lanterne. Che si deve fare? Forse nulla di particolare, semplicemente essere capaci di valutare e non essere acritici, come prima dicevo. In altre parole essere capaci di ragionare o, come dicevano i nostri nonni, ragionare prima di parlare o decidere.

Perché al di là di quanto dicono gli altri, siamo noi a decidere della nostra vita. Gli esempi sono tanti. “Tutti con la mascherina”! Ma ci siamo chiesti il perché? Ovviamente quando siamo vicino ad altri. Il contaggio ci porta dritti in terapia intensiva per essere intubati! Questo lo dicono le statistiche, i cultori dei grafici, gli aritmetici. Ma qualcuno di questi soloni ha comunicato una terapia, che non sia l’intubazione? No, solo percentuali e numeri. Sembrano specialisti di pseudostatistica, di avvezzi al pallottoliere e non infettivologi. Quindi, da quanto sento, se sono positivo mi spetta di essere intubato.

E’ così, no? E nessuno si chiede se c’è uno straccio di farmaco da poter ingoiare o iniettare? E invece si, esistono terapie di pronto intervento e sistemiche, come i veri studiosi e i medici di corsia vanno dicendo. A dispetto degli specialisti da palco scenico. Ma il non sapere non si ferma al “virus”. In questi ultimi giorni ho sentito persone sulla bella spiaggia di Canneto che non usavano l’aria condizionata durante la notte perché porta il virus! E questo perché in tv qualche stupido di turno ha detto questa gigantesca cavolata.

E poi c’è l’effetto “nefasto” del 5G e del telefonino, percepito tale perché orde di ignoranti raccontano fregnacce di tal fatta. Si può continuare all’infinito ma desidero ricordare solo il detto “chi sa impara chi non sa insegna”.

 

LA TRUFFA CORRE SUL VENTO 

C’è una truffa che, puntualmente, si presenta sul WEB nella stagione estiva: è quella dei “rinfrescatori d’aria”, chiamati sovente così ma in certi casi sono persino dichiarati condizionatori d’aria, certificando il falso. Si tratta di semplici ventilatori, grandi o piccoli, ma semplici ventilatori. Alcuni prevedono un piccolo serbatoio d’acqua o di ghiaccio da far evaporare con una ventola o “ventolina” posta davanti. La chiamo “ventolina” perché spesso questi aggeggini usano una di quelle piccole ventole che si trovano nei computer per raffreddarli. Queste ventoline si trovano al costo di un euro nei negozi cinesi ma vengono venduti a caro prezzo dopo averle inscatolate dentro accattivanti contenitori colorati. Ma come l’abito non fa il monaco la scatola non fa il freddo.

Di solito, per una evaporazione veloce sono inserite delle spugnette nel serbatoio dell’acqua attraverso cui far passare l’aria della ventola e creare una sorta di brezza che rinfresca la persona che la investe. Ma attenzione, non si abbassa la temperatura ambientale come invece fa un normale condizionatore. E poi si aumenta, e tanto, il tasso di umidità. Spesso le pubblicità si guardano bene da chiamare condizionatori questi “accrocchi”, ma sovente la gente è poco attenta e li prende per piccoli condizionatori d’aria.

Il prezzo poi è pochi decine di euro e, per quanto possa essere più o meno efficiente, ci si abbocca. In effetti di condizionare, o raffreddare, l’aria non se parla nemmeno e al loro posto molto meglio sarebbe l’acquisto di un ventilatore che può trovarsi oggi a basso costo nei negozi di elettrodomestici. Un attento lettore dovrebbe chiedersi perché si è così stupidi da comprare un condizionatore che costa 500 e più euro quando con una spesa di 20 o 30 euro, e un consumo minimo, posso ottenere la stessa cosa?

Il potenziale acquirente di questo oggetto dovrebbe pensare che è troppo bello per essere vero. Nessuno fa miracoli e c’è solo da rievocare l’antico detto “cosa si deve fare per campà”.

 

E’ IL GRAFENE, BELLEZZA 

Piccolo, piccolissimo, sempre più piccolo oltre ogni limite immaginabile: è il “grafene” il materiale della nanotecnologia, la scienza capace di manipolare i più piccoli elementi della materia. Quando si parla di nanotecnologia si fa riferimento a quell’insieme di metodi e tecniche capaci di controllare la materia su scala atomico-molecolare e di creare strutture “atomo per atomo” con una organizzazione sconosciuta fino a qualche decennio addietro. Le dimensioni dei nanomateriali sono dell’ordine del miliardesimo di metro (nm, 10−9 metri), oltre la fantasia più spinta. Nella realtà in cui viviamo le dimensioni tipiche vanno dal millimetro (mm) al chilometro (Km); queste dimensioni sono ben lontane da un nanometro che risulta essere cinquantamila volte inferiore al diametro di un capello.

Con la nanotecnologia si entra nel mondo dell’invisibile all’occhio umano, dove la distanza quasi immisurabile tra le particelle si traduce in maggiore velocità di funzionamento e minor spreco di energia. La scoperta del grafene avvenne nel 2004 ad opera dei fisici russi Andrej Konstantinovič e Konstantin Novosëlov, entrambi dell'Università di Manchester, in Inghilterra. I due scienziati giunsero quasi per caso alla scoperta di questo materiale, mentre utilizzavano scaglie di grafite, con l’intento di indagare sulle proprietà elettriche di questa. Al fine di ottenere scaglie sempre più sottili, i due idearono un metodo semplice ma efficace che è conosciuto come metodo “scotch-tape”. In pratica, fu utilizzato semplicemente del nastro adesivo per strappare strati sottili da un pezzo di grafite.

L’operazione ripetuta per decine di volte sugli stessi frammenti di grafite, consentì di ottenere strati di spessore infinitesimo. L’analisi di tali strati mostrò che alcuni di essi avevano lo spessore di un solo atomo: era stato isolato il “grafene”. Un singolo strato di atomi di carbonio, con lo spessore di un atomo ma con potenzialità talmente elevate da essere oggi considerato un “materiale meraviglioso”. E’ leggerissimo, sottile, flessibile, più resistente dell’acciaio ed è un ottimo conduttore di calore ed elettricità. Il grafene risulta essere un ottimo candidato nella tecnologia dei computer quantistici super-veloci, di dimensioni molto più piccole di quelli oggi in uso.

I ricercatori sono già riusciti a produrre singoli transistor al grafene e semplici circuiti, capaci di funzionare a frequenze elevatissime, pari a centinaia di gigaHertz (GHz). Le sue applicazioni le troveremo, ben presto, su dispositivi elettronici su plastica flessibili, iPhones arrotolabili, tablets pieghevoli e televisori arrotolabili. Ma il grafene e' un buon candidato anche per realizzare batterie ad alta capacità. Dopo quella delle plastiche e del silicio prepariamoci ad una nuova rivoluzione industriale, quella del grafene.

 

TESLA, UN’AUTOMBILE O UN GRANDE SCIENZIATO 

Il nome Tesla richiama un brand automobilistico, in specie un’auto elettrica fortemente innovativa. Tesla è la Casa produttrice più affermata e competitiva nel settore della mobilità elettrica. Ma come spesso capita in campo commerciale, il nome dell’azienda o del prodotto identifica un inventore, uno studioso di quel settore tecnico-scientifico vissuto tempo fa e che, nell’odierno campo merceologico, viene solo richiamato per dare lustro.

Nikola Tesla, scienziato di origine Serba, fra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, è stato determinante nelle applicazioni dell’elettromagnetismo e fu riconosciuto come uno dei più grandi ingegneri elettrici statunitensi. Sicuramente è questo il motivo che ha portato la Californiana Tesla Motors ad appropriarsi di un così prestigioso nome.

Ma al di là degli interessi commerciali della Tesla Motors, Nikola Tesla qualcosa di molto vicino all’automobile elettrica ce l’ha. Lo scienziato ha infatti dato applicazione al “campo magnetico rotante”, inventato in vero dall’italiano Galileo Ferraris, ma che fino alla fine dell’800 era rimasto solo sui quaderni. Qualunque motore elettrico di oggi fa quindi tesoro delle applicazioni di Tesla, e il motore di un’automobile elettrica non si sottrae a questi studi.

Nikola Tesla può essere giustamente annoverato fra gli inventori del ventesimo secolo. Tutti i moderni motori elettrici a corrente alternata funzionano grazie ai suoi brevetti e i suoi studi han dato vita a centinaia di invenzioni comprendendo i sistemi di volo, ma anche la candela elettrica dei motori a scoppio e persino le porte logiche implementate nella circuitistica informatica.

Individuo fuori dagli schemi, sognatore ma capace di controllare la sua immaginazione per concepire nuove tecnologie, Nikola Tesla contribuì a rivoluzionare conoscenze ed usi dell’elettricità nel contesto dei suoi tempi. Grazie a una doverosa opera di revisionismo scientifico è oggi annoverato tra i geni più grandi.

A Palo Alto, citta della California, dal 2003 (anno di fondazione) la Casa automobilistica Tesla perpetua il suo ricordo, dando vita a modelli avveniristici spinti ovviamente da potenti motori elettrici. Il nome è quindi un chiaro omaggio all’inventore Nikola Tesla.

 

TANTA ACQUA CONTRO TANTO CALDO 

All’afa estiva non si sfugge, e il caldo estremo ci sorprende con sbalzi termici che ci buttano giù, fisicamente e moralmente. Cerchiamo allora di gestire il caldo nel modo più semplice, applicando le poche regole che conosciamo da sempre e come sempre dimentichiamo, come il bere in grande quantità. Il nostro organismo ha bisogno di acqua, tanta acqua, anche due litri al giorno.

Parliamo soprattutto di acqua perché succhi e bibite industriali sono sconsigliati per l’alto contenuto di zuccheri. Il nostro corpo è composto per grandissima parte da acqua. L’introduzione dell’acqua nel nostro organismo è indispensabile per la vita, infatti il digiuno idrico non può essere protratto per oltre due giorni, forse tre. Dobbiamo considerare l’acqua come le vitamine e i minerali, senza però apportare calorie.

I nostri organi e i tessuti sono fortemente idratati. Da giovani siamo più ricchi d’acqua, soprattutto nei tessuti molli, nella pelle e nei tessuti connettivi. Crescendo la percentuale d’acqua si riduce, dal 70-80% nel bambino piccolo a circa il 50% nella terza età. Infatti negli adulti e negli anziani osserviamo una pelle più secca e tessuti meno lisci. L’età biologica della pelle, e di tutto l’organismo, si determina facilmente dal suo stato di idratazione. Anche le ossa contengono acqua, sebbene in misura molto minore rispetto ai tessuti molli.

La maggior parte dell’acqua corporea è contenuta all’interno delle cellule, costituendo il cosiddetto liquido intracellulare. La rimanente parte è negli interstizi tra le cellule, e costituisce il liquido extracellulare. L’acqua è per natura un solvente e ha la funzione di sciogliere e trasportare i principi nutritivi in tutte le cellule e promuovere la digestione. In specie l’acqua è determinante per il trasporto degli elettroliti come sodio, potassio e magnesio che permettono alle cellule il loro scambio vitale nutritivo e informazionale.

L’acqua garantisce la termoregolazione mediante la sudorazione, anche quando non si avverte, e trasporta le scorie fuori dal nostro organismo. L’acqua svolge inoltre una certa funzione di ammortizzatore nei confronti degli organi più delicati quali l’occhio, l’orecchio interno e il sistema centrale,

il cervello. Questi infatti sono ricchi d’acqua, o circondati da acqua oppure posati su cuscinetti d’acqua. Ma queste sono solo le funzioni vitali più evidenti perché i liquidi che coinvolgono il nostro organismo svolgono funzioni ancor più importanti e, in parte, sconosciute. Magari portiamo sempre con noi una piccola bottiglia con acqua fresca e beviamola a piccoli e frequenti sorsi, evitando di ingerire grosse quantità di acqua in poco tempo.

Per fare scorta di liquidi e sali minerali consumiamo tanta frutta, verdura e insalate, sia nei pasti principali sia come spuntino. E infine, ma non per ultimo, viviamo in ambienti rinfrescati da salutari e innocui condizionatori d’aria che, superando fantasiose credenze popolari, non fanno male alla salute ma anzi aiutano la fisiologica termoregolazione compromessa dall’alta temperatura. Non c’è che augurare buona estate.

 

Vent’anni fa moriva Bruno Martino, un gigante della musica confidenziale. 

C’è un’Italia poco lontana la cui musica risuona ancora. C’è un nome importante intorno al quale rimbomba il silenzio e c’è una ricorrenza che mi piace ricordare. L’Italia è quella degli anni ‘60, fatta di canzoni balneari, di musica confidenziale, come quella del compositore, musicista e cantante Bruno Martino. Un gigante della canzoni d’amore di quel felice decennio.

E’ l’Italia che mi piace ricordare perché è stata l’Italia del fare, del boom economico, del lavoro e della serenità. Perché dove c’è lavoro c’è serenità. E’ l’Italia degli anni ’60 che ancor oggi tutti sognano, anche se ai nostri tempi sarebbe accompagnata dalla “connessione perenne”. E’ l’Italia che rievochiamo (per chi l’ha vissuta) ogni volta che la supponenza e l’ignoranza dei nostri economisti e dei nostri governanti aprono bocca: “facciamo un piano di rilancio…”, ma che rilanciamo se siamo sempre più poveri.

Vissuto fra il 1925 e il 2000, Bruno Martino ha cantato in formato jazz l’amore in tutte le sue espressioni. Bruno Martino debutta come pianista jazz nel 1940 suonando di nascosto in un'orchestrina jazz. Il Fascismo odiava il jazz che considerava espressione della degradata società americana.

Negli anni seguenti ottiene grande successo nel Nord Europa, con un genere musicale che è un mix di jazz e canzoni napoletane. Forte dei consensi ottenuti, torna in Italia nel 1958 e compone canzoni per Caterina Valente, Renato Rascel, Wilma De Angelis e altri ancora. In quell’anno forma un gruppo, il Quintetto Bruno Martino. Il suo primo successo fu Kiss me Kiss me, ma seguirono brani che divennero celebri come Nel duemila, Estate, E la

chiamano estate, Cos'hai trovato in lui, Baciami per domani, Ma tu chi sei e tanti altri. Bruno Martino doveva avere un debole per la stagione estiva: l’estate compare nei titoli di tante sue canzoni famose, nella già citata Estate, nella E la chiamano Estate, in Odio l’Estate e in altre ancora.

Lo conobbi a Taormina negli anni ’80, non sapevo che fosse nel locale dove stavo per entrare ma la sua voce mi richiamo subito il grande cantante. In una trasmissione televisiva il critico Vincenzo Mollica definì la sua voce di “carta vetrata”. Si, la sua voce era “graffiante” di belle parole che toccavano il cuore della gente e, soprattutto, degli innamorati. Mai dimenticato dal pubblico, neanche dopo la fine del suo periodo d’oro, scomparve a 74 anni il 12 giugno 2000.

 

L'INTERVENTO 

di Felice D'Ambra 

Complimenti Carlo hai ricordato alla grande il cantante gentiluomo, elegante, il romantico Bruno Martino, che assieme a tanti altri cantanti di quegli anni sessanta, in poi per citarne alcuni, hanno fatto la storia delle belle canzoni italiane d'allora 
soprattutto nei Night Club, Discoteche, Piano Bar, Disco sul mare: Nico Fidenco, Peppino di Carpi, Fred Buongusto, Umberto Bindi, Franco Califano, Umberto Balsamo e tanti, tanti altri, che hanno fatto sognare intere generazioni italiane e no solo. 
 
Grazie Carlo per tutto per quello che scrivi. 
A presto a Lipari, anche se non solo quando! 

 

Tutti a bucare il video con la pseudovirologia  

Li abbiamo visti a tutte le ore e in tutti i programmi. Alcuni anche sui social con utenti che hanno rilanciato, con convinzione, le loro parole: sono i Virologi, chiamati spesso grandiosamente Scienziati. Bucano il video e sono, ormai, le star di questa infinita pandemia.

Superando specializzazioni e titoli accademici, che sovente non sono stati coerenti con l’argomento trattato, non hanno parlato e non parlano di terapie e possibili farmaci ma ci mettono in guardia sciorinando statistiche e grafici di tendenza evolutiva della malattia. Snocciolano numeri di contaggi, veri e presunti, di nuovi affetti dal virus e, purtroppo, anche di decessi.

Avrei desiderato sentir parlare dell’effetto dei vari farmaci (perché nonostante tutto i farmaci, sintomatici e non, esistono) e, soprattutto, di quelle terapie che alcuni medici hanno somministrato, quasi di nascosto, per risolvere la malattia. Cosi l’Agenzia del Farmaco ammette la sperimentazione dell’idrossiclorochina, ma la notizia va letta solo fra quelle giornalistiche del telegiornale, e lo “Scienziato” la ignora.

A Napoli un medico “di corsia”, non docente universitario, sperimenta il Tocilizumab ma vien guardato con diffidenza dai tanti bambolotti imbambolati che ingombrano il teleschermo. Il dottor De Donno, direttore della pneumologia dell’ospedale di Mantova scopre che con il plasma dei guariti si possono salvare i nuovi infetti, ma le sue parole e il suo protocollo terapeutico non trova spazio nelle televisioni, sia pubbliche sia private.

Anzi la sua immagine passa veloce e subito oscurata dopo qualche breve domanda d’occasione. Imperano solo le solite facce tetre, sinistre, quasi accusatorie verso la gente che non fa abbastanza per evitare il virus. E le terapie? Le osservazioni cliniche? I “giri” in degenza? Mai una parola ! Gli “scienziati” si presentano più come studiosi di statistica che medici.

E quando i clinici dell’Ospedale San Raffaele di Milano, prof.ri Zangrillo e Clementi annunciano che il Covid-19 non ha più valenza clinica, la comunità scientifica, giornalistica e televisiva accoglie la notizia con scetticismo. No, il Virus non può allontanarsi così ! non può farlo ! come si sono permessi a farlo allontanare ? qualche “mascalzone” ha trovato la cura ? e ora come si fa, dopo aver investito tempo e denaro per un improbabile vaccino?

Beh, sembra un racconto ironico o del terrore, ma è la realtà. Ho letto su facebook un post che recitava “Gli scienziati non sanno come è arrivato il virus, non sanno perché ha perso virulenza ma sono certi che in autunno tornerà”. Non so se tornerà, non sono uno statistico e nemmeno un virologo e ho timore che non lo siano nemmeno i tanti “attori” che si sono professati tali in questi ultimi mesi.

Non nascondo che ho paura a vivere in una società di affaristi, siano essi di destra di centro o di sinistra, che a fronte di 33.000 morti pensa solo a fare soldi. Un’ultima nota: in tutto questo tempo sono riusciti a convincere la gente a casa che non si può fare a meno degli “scienziati”, che loro sono il tutto nel bello e nel cattivo tempo. Probabilmente il popolo si è affezionato ai nuovi attori, un po’ come induceva la Sindrome di Stoccolma dove le vittime si affezionano ai loro carnefici. 

 

Con tanti guai che abbiamo c’è, ancora, chi parla di 5G 

A Londra, in tanti hanno incendiato antenne e apparecchiature della rete telefono-dati 5G. È capitato a Birmingham, a Liverpool, a Belfast e in altre città. Per di più gli incendiari hanno mostrato la bravata sui social per farsi…arrestare. Ma anche i Palermitani si sono ribellati all’installazione delle antenne del 5G.

A firmare l’atto di accusa è stato un avvocato del capoluogo regionale che, con articolata e “profana” relazione, ha chiesto al Comune di bloccare le antenne 5G. Naturalmente non mancano richiami ai decreti legislativi, alle norme europee e locali, ai dinieghi comunali e persino a sentenze scaturite da Consulenti Giudiziari “ignoranti”.

A Caserta migliaia di persone sono rimaste senza linea telefonica e internet dopo l’incendio di un parco antenne. Anche qui, dietro il rogo, c’è la paura per il 5G che, secondo i complottisti, sarebbe tra le cause della pandemia covid 19. Alcune pseudo teorie legano, senza alcuna prova scientifica, la diffusione del covid 19 all'introduzione della rete 5G. Gli osservatori sostengono che le reti 5G indebolirebbero il sistema immunitario, rendendoci così più esposti al coronavirus. In Inghilterra la teoria è sostenuta persino da docenti di materie umanistiche (non scientifiche) che giustificano il loro pensiero secondo “teorie tomistiche” o, a seconda dello “studioso”, esoteriche.

C’è persino chi sostiene che grazie alle reti 5G "i virus riuscirebbero a comunicare e a diffondersi più velocemente" e, pertanto, in questo caso anche il coronavirus sarebbe agevolato nella sua azione. Si può dire chi più ne ha più ne metta. Ma la cosa sorprendente è che la maggior parte della gente non ha la più pallida idea di cosa sia il 5G e non sa nemmeno cosa sia un’onda elettromagnetica. In pratica si instaura un discorso fra sordi o fra “ignoranti”.

E, come sempre accade in questi casi, meno si sa e più si presume di sapere. Ma cos’è il 5G? È una rete simile alla 4G esistente da quasi dieci anni e di cui nessuno si è mai lamentato, che connetterà tutto, non solo i nostri smartphone, ma anche le auto a guida autonoma, i nuovi elettrodomestici smart e cioè comandabili dalla cosiddetta “app”, e molto altro. Ciò che si implementa, rispetto alle reti già esistenti, è una maggiore velocità e quantità di dati trasmessi.

Ma ciò non rende la rete lesiva per la salute. Le frequenze utilizzate sono come quelle già utilizzate per la radio e la televisione e, cosi come queste, non arrecano danni alla salute se non nella fantasia di chi non ha dimestichezza con lo spettro elettromagnetico e con la sua interazione con la materia. E, naturalmente, nella fantasia di chi, pur sapendo come stanno le cose, crea allarmismo per interessi economici come il tenere in piedi inutili istituzioni di pseudo-ricerca.

La tecnologia 5G utilizza onde elettromagnetiche non ionizzanti, come la altre tecnologie, cioè che non ionizzano la materia biologica e non alterano le molecole (cosa che, invece, fanno i raggi x). Nonostante diversi studi, anche sulla potenziale pericolosità del 5G non esistono prove. Ma c’è di più, le onde impiegate dal 5G (a frequenza maggiore) hanno più difficoltà di penetrazione attraverso l’aria e le pareti, e ciò vale quindi anche per i tessuti organici.

La tecnologia 5G prevede l’implementazione di microripetitori di piccolissima potenza, ben inferiori a quelli utilizzati per la trasmissione radio, radiotelefonica, televisiva, radar e così via. Questi saranno finemente diffusi in modo da essere vicinissimi ai dispositivi da collegare. Un po’ come avere il wi-fi fuori casa. Tutte le argomentazioni sulla pericolosità del 5G non hanno riscontro scientifico e vanno quindi relegate come bufale.

La nuova rete utilizza segnali di potenza inferiore a quelli delle reti esistenti e i “cosiddetti effetti negativi” sono quindi paragonabili, o addirittura inferiori, a quelli derivanti dall’uso delle tecnologie già esistenti. Supposto che queste siano pericolose.

Ma cosa sono i campi elettromagnetici? I campi elettromagnetici sono l'insieme di un campo Elettrico e uno Magnetico. Un campo elettrico è dato da una differenza di potenziale (o tensione) che per esempio spinge gli elettroni a muoversi lungo un cavo. Ad esempio la tensione di casa che è di 220 volt. All'aumentare della tensione il campo elettrico aumenta la propria forza. I campi elettrici si misurano in volt per metro (V/m).

Un campo magnetico si genera col movimento di flussi di elettroni, cioè col passaggio di corrente elettrica attraverso fili o dispositivi elettrici, e aumenta di intensità all'aumentare della corrente. La forza di un campo magnetico diminuisce rapidamente con l'aumentare della distanza dalla sorgente. I campi magnetici sono misurati in Tesla o microtesla (μT).

I campi elettrici vengono prodotti indipendentemente dal fatto che un dispositivo sia acceso o meno, mentre i campi magnetici vengono prodotti solo quando passa la corrente, il che di solito richiede l'accensione di un dispositivo. Le linee elettriche producono continuamente campi magnetici perché la corrente passa sempre attraverso di loro.

I campi elettrici sono facilmente schermati o indeboliti da muri e altri oggetti, mentre i campi magnetici possono passare attraverso edifici, esseri viventi e la maggior parte dei materiali. I campi elettrici e magnetici insieme sono indicati come “campi elettromagnetici” e sono presenti ovunque nell’ambiente. Per esempio le particelle cariche che si accumulano nell'atmosfera dopo i temporali generano campi elettrici, mentre la Terra possiede un proprio campo magnetico.

Accanto alle sorgenti naturali ne esistono anche molte artificiali: televisori, schermi del computer, forni a microonde, telefoni cellulari, telecomandi, rasoi elettrici, asciugacapelli, ma anche alcuni dispositivi sanitari come gli apparecchi per radiografie, tac, risonanze magnetiche.

I campi elettromagnetici si classificano in base alla frequenza, ovvero al numero di onde che si propagano in un secondo (misurata in Hertz). Abbiamo così: campi a frequenza estremamente bassa (fino a 300 Hertz), ad esempio generati da tutti i dispositivi elettrici presenti nelle nostre case; campi a frequenza intermedia (tra 300 Hertz e 10 megaHertz), ad esempio generati dai computer; campi a radiofrequenza (da 10 megaHertz a 30 gigaHertz), come quelli prodotti da radio, televisione, antenne per la telefonia cellulare, radiotelefonia come quella usata sui natanti, forni a microonde, sensori per impianti di allarme, telecomandi e chi più ne ha più ne metta.

A proposito, quando poggiate le dita sulla tastiera del vostro PC siete esposti al campo elettrico prodotto dall’elettronica che sta sotto la tastiera. Finirete per non usare più il PC? Non credo.
Da cosa è nata l'ipotesi che i campi elettromagnetici possano far male o provocare il cancro?
È scientificamente provato che i campi elettromagnetici interagiscono con i tessuti biologici. L'interazione è tanto più potente quanto più ci si trova vicini alla sorgente e varia in base alla frequenza.

Il principale effetto dei campi elettromagnetici sul corpo umano è il riscaldamento: lo stesso principio su cui si basa la radar terapia o il forno a microonde per riscaldare i cibi. Tuttavia i livelli ai quali siamo normalmente esposti, per esempio mentre guardiamo la televisione o utilizziamo il computer, sono molto, molto inferiori ai valori richiesti per produrre un riscaldamento significativo.

La legge italiana, e non solo italiana, prevede limiti di esposizione che sono molto al di sopra dei valori di intensità prodotti da tutto quanto sopra citato, compresi i dispositivi 5G. Se tali limiti sono rispettati, e lo sono con ben uno o addirittura due ordini di grandezza, non vi sono prove scientifiche di rischi per la salute.

Ma anche se fossero più alti dei limiti normati non accadrebbe proprio nulla! A semplice completezza posso dire che il campo elettrico creato da un’antenna 5G, nel punto più esposto, è dell’ordine di qualche (cioè 1) V/m mentre la norma prevede un valore di 6 V/m, il campo magnetico è poi così basso che non può essere misurato. Un’ultima nota, le onde elettromagnetiche naturali sono nate con l’Universo, con quelle artificiali ci conviviamo da oltre un secolo, almeno dall’invenzione della radio a fine 1800 e, in tutto questo tempo, la vita media si è allungata e non accorciata.

 

L’Atomica cinese  

No, sicuro, non è ancora arrivata. E’ solo il titolo di un album dei Nomadi, gruppo musicale degli anni ’60, dove cantavano un testo scritto negli anni ’70 da Francesco Guccini, dal titolo “Noi non ci saremo”. Era il tempo della guerra fredda, il muro di Berlino era ancora lì forte e pronto a far abbattere chiunque tentasse di valicarlo. Angela Merkel viveva nella Germania Est, e non credo che avesse già l’ambizione di comandare l’Europa. Ma il pericolo era un altro, tutti avevano paura della bomba, quella atomica già ben sperimentata in Giappone negli anni quaranta e che faceva capolino nei tanti arsenali dei vari Paesi più “orientati” alla guerra.

Ovviamente prima l’America, che subito dopo aver concluso il progetto Manhattan con lo sgancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki continuò a dotarsi di “atomiche” sempre più potenti, ma non fu sola perché l’Unione Sovietica le segnava il passo. Ma anche tanti paesi, piccoli e grandi, sognavano con fantastica follia di occupare il mondo. Ero piccolo negli anni ’60 e ricordo uno slogan, che era poi il titolo di un film, “La Cina è vicina”. In effetti “La Cina è vicina” divenne un’espressione spesso adottata da chi vede la prossimità di un pericolo e replica il titolo di un film del 1967, diretto da Marco Bellocchio, che evocava i timori del comunismo maoista nella borghesia perbenista dell’epoca.

Da quegli anni sono cambiati i condottieri al Governo cinese ma forse non gli obiettivi ed, infatti, ora più che mai assistiamo al fatto che la Cina è vicina, anzi è già dentro con un largo e lungimirante piano di espansione. In questo tempo ci siamo abituati a vedere nelle nostre città la trasformazione, o sostituzione, di siti commerciali venduti a famiglie cinesi, la fioritura di ristoranti, bar e pizzerie con lanterne rosse come insegna.

Ma “Pecunia non olet” dicevano i Romani, e tante aziende italiane sono passate in mani cinesi. L’obiettivo odierno della Cina è il controllo sulle rotte delle sue merci e di ogni suo interesse economico e politico. La Cina, più che vicina, è nelle nostre comunità, in attesa di entrare a far parte della classe dirigente del Paese che li ospita, nello specifico il nostro.

E l’atomica cinese di Guccini che c’entra? Forse cantava una terra globalizzata, uno stato unico che riunisse il mondo in un unico abbraccio mortale. Era lungimirante. In “L’atomica cinese” viene narrata l’esplosione di una bomba nucleare che si alza precisamente nella Mongolia occidentale creando una nuvola che copre tutto e tutti: copre un continente, corre verso il mare, oscura il cielo e prosegue senza limiti, le onde sembrano fermarsi, si sente solo il silenzio di un cielo che non è mai stato così livido.

E le parole della canzone continuano: “Ma le nuvole si rompono e la pioggia lenta cade, solo che sarà una pioggia senza arcobaleno, che va, che va, che va! Ma noi non ci saremo, Noi non ci saremo. E il vento d'estate che viene dal mare intonerà un canto fra mille rovine. Ma noi non ci saremo”. Chissà cosa voleva dire Guccini…? Allora, negli anni ’60, lo spauracchio era l’atomica, dopo tanti anni potrebbe essere qualche altra invenzione, qualche altra cattiveria. Le voci arrivano e si smentiscono, per politica, per fazioni diverse. Spesso le chiamano fake-news, ma chissà se sono veramente false. Noi speriamo di esserci, sempre. Perché il desiderio di vivere è insito nei buoni e la cattiveria, anche se “ingegnerizzata”, viene da chi non ama la vita. 

 

A fine 1800 nascono i raggi x, storia e attualità.

In una memorabile serata del 1895, Wilhelm Konrad von Roentgen, fisico e cattedratico, fece diventare la mano di sua moglie la mano più celebre del mondo. Roentgen presentò al Convegno della Società Fisico-Medica tedesca la fotografia dell’interno della mano di sua moglie Berta, presa con una nuova specie di raggi: era la prima fotografia ai raggi X, chiamati X per la loro natura incognita. In pochi anni le foto “dell’invisibile” diventano uno strumento diagnostico essenziale, liberando la Scienza di fine 1800 dai residui della “filosofia del naturale” che ancora la dominavano. I nuovi raggi avviano un filone di ricerca che, nel 1896, porta alla scoperta della radioattività naturale con l’identificazione del radio da parte dei coniugi Curie. Le applicazioni dei raggi X in medicina sono tanto numerose per poterle elencare. Storicamente la radiografia ha consentito la diagnosi precoce della tubercolosi che, a inizio 1900, falcidiava intere generazioni.

La radiologia ha conquistato meriti indiscutibili nella lotta ai tumori. Qui il suo ruolo è diagnostico, specie nei tumori del polmone e nelle neoplasie cerebrali, ma anche curativo perché la terapia radiante è pratica di routine dopo l’intervento chirurgico che ha asportato il tumore. Negli ultimi quarant’anni nasce “l’uomo fatto a fette” ossia la TAC, Tomografia Assiale Computerizzata. Essa utilizza un sottile fascio di raggi x fatto passare su piani paralleli attraverso la sezione dell’organo da indagare e rilevato dalla parte opposta rispetto alla fonte di raggi x. La tecnica presenta grande risoluzione grazie all’elevato valore di confidenza dei dati rilevati. Ma dopo la storia vado all’attualità dei raggi X che, al momento, sono tristemente alla ribalta. Il riconoscimento da parte del Medico radiologo delle caratteristiche più peculiari all’imaging della polmonite COVID-19 è di cruciale importanza nella identificazione iniziale della malattia, nella valutazione di severità e nella corretta interpretazione delle modificazioni temporali del quadro radiologico durante il follow-up.

Come da bibliografia, in questo caso i reperti radiologici, per quanto aspecifici, presentano aree di visione a “vetro smerigliato”, torno a dire “come da bibliografia”, non essendo la radiografia mia disciplina. Ma la diagnosi a questa affezione non si fonda solo sulla diagnostica per immagini ma fa tesoro, anche, della combinazione dei dati epidemiologici e clinici, in attesa di un farmaco che ci faccia tornare a giorni sereni. Al momento i media ci informano solo di un farmaco “anticorpo monoclonale”, già brillantemente sperimentato in varie Unità ospedaliere e, in specie, negli ospedali della Campania e, in Sicilia, nella nostra Barcellona. Speriamo che dal Sud Italia possa partire la buona notizia.

 

Alessandro Volta, il genio che inventò la pila 

“Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno”, così inizia il primo capitolo de I Promessi Sposi. Con questa frase Manzoni introduce la descrizione del paesaggio sulla riva orientale del lago, lasciando che la fantasia del lettore si perda tra monti e valli. Ma Manzoni non poteva preconizzare che quei monti e quelle valli avrebbero dato i natali a uno dei più grandi geni italici. Quante volte abbiamo letto o espresso il nome Volta?

Molti risponderanno mai! e invece lo abbiamo nominato spesso. Perché Alessandro volta è stato l’inventore della Pila elettrica, e l’iniziale V del suo nome primeggia su tutte le pile del mondo, da quella che sta nel telecomando della tv alla batteria del telefonino.

“Quanti Volts è la pila del telecomando”, ci viene chiesto quando andiamo a comprarla. Chissà come sarebbe stato il mondo senza Volta? Un mio amico mi ha risposto “al buio”. Beh, forse esagerava ma è sicuro che a Volta si può ascrivere l’inizio degli esperimenti sui generatori elettrici, la Pila appunto. Presentata al mondo il 20 marzo del 1800 scrivendo una lettera al presidente della Royal Society (l’Accademia inglese delle Scienze), la Pila ebbe un successo immediato. La pila di Volta si può definire il primo generatore di elettricità e funziona grazie a delle reazioni chimiche. Naturalmente è completamente diversa dalle pratiche ed efficienti pile moderne. La sua costruzione era una colonna composta da una serie di dischetti di zinco, feltro imbevuto di acqua salata e rame impilati l’uno sull’altro. Appunto “pila”. Collegando un filo elettrico alle due estremità della pila si poteva prelevare l’elettricità generata dalla reazione chimica. Senza la pila la nostra vita sarebbe stata molto più scomoda.

Ad esempio non avremmo il telefono cellulare né il tablet lontano da una presa di corrente e nemmeno la piccola lucina che ci illumina quando manca la “luce”. Le auto partirebbero solo a spinta, o ruotando la manovella come nei modelli antichi e molto altro. Volta era nato a Como nel 1745 e la città lo ricorda attribuendo il suo nome a strade, strutture pubbliche e soprattutto con la maestosa opera del Tempio Voltiano adiacente al Lago di Como, un’opera che ho avuto il piacere di visitare. Prima dell’euro la banconota da 10.000 lire era dedicata ad Alessandro Volta con la sua effigie sul fronte e con il Tempio Voltiano raffigurato sul retro. L’euro ha cancellato anche questo ricordo.

 

Lord Kelvin, lo scienziato di precisione 

“Quando puoi misurare ciò di cui parli, ed esprimerlo in numeri, puoi affermare di saperne qualcosa; se non puoi esprimerlo con numeri la tua conoscenza sarà povera: forse un inizio di conoscenza ma non sarà mai scienza”. Parole di Lord Kelvin, uno scienziato vissuto in Inghilterra nell’ottocento.

Kelvin fu un eccellente matematico che amava la precisione tanto da sviluppare strumenti di misura di grande praticità come le bussole per la navigazione e i galvanometri o voltmetri per le misure elettriche. Sconosciuto ai più, è interessante sapere che a Lui dobbiamo l’avvio delle ricerche sull’elettricità e sui processi termici. Avete sentito parlare della temperatura assoluta? Beh, si deve proprio a Kelvin l’aver teorizzato il valore termico più basso raggiungibile, -273 gradi!

A quei tempi un freddo così non lo immaginava nessuno, nemmeno Kelvin che lo preconizzò con i suoi studi come la temperatura più bassa raggiungibile da un corpo. Non un corpo umano, per carità, ma da un qualunque elemento della natura. Ma di Kelvin c’è un pochino anche nella nostra auto. L’inutile (quasi) radiatore, unitamente al circuito refrigerante e a tutte le diavolerie che ci portiamo nel cofano motore per raffreddarlo, sono il risultato di studi di Kelvin.

L’enunciato di Lord Kelvin afferma “è impossibile ottenere una trasformazione in cui tutta la quantità di calore si possa trasformare completamente in lavoro”. In tal caso è il calore prodotto dalla benzina che in parte va a muovere le ruote e, in gran parte -oltre il 70%-, va a perdersi nell’aria col radiatore…appunto. Con queste poche note Kelvin potrà sembrarci meno lontano di quanto si possa immaginare. Ma a Lord Kelvin dobbiamo la nascita delle scale termometriche, compresa la Celsius con cui misuriamo la febbre. E’ proprio inutile sconoscere che sia esistito uno Scienziato così preciso? Credo di no.

 

La pentola di Papin 

“Lo fece per i poveri”, infatti la Pentola a pressione nata nella mente del francese Denis Papin (1647-1713) era destinata a permettere ai più poveri di estrarre qualcosa di nutritivo dalla cottura dei residui di macellazioni. L’invenzione -del 1679- è così descritta “Processo per cuocere ossa e qualsiasi pezzo di carne con meno tempo e meno spesa”.

Comunque ci sarebbe voluto molto tempo prima che la pentola a pressione assumesse la forma che si può trovare oggi nei negozi di casalinghi. La pentola di Papin, chiamata inizialmente con il nome di “digestore”, preconizza l’applicazione della pressione del Vapore per azionare le macchine. Con il vapore acqueo imprigionato si ottenevano pressioni molto forti tanto da far funzionare macchine di grande potenza.

Papin perfezionò la macchina a vapore con cui riuscì a muovere alternativamente un pistone dentro un cilindro e descrisse l’invenzione in un libro pubblicato col titolo: “Nuovo modo per produrre con poca spesa grandi movimenti.”. Nella fertile Europa del 700 le idee circolavano rapidamente fino ad arrivare, nel 1768, all’inglese James Watt che perfezionò la macchina di Papin tanto da farla lavorare a ciclo continuo.

Era l’alba delle macchine termiche e della “termodinamica” e, ancor più, della Società industriale. Si può dire che con la macchina di Papin, e poi di Watt, nasce la prima vera Rivoluzione Industriale. La macchina a vapore può funzionare con qualunque fonte di calore. Si sono sviluppate macchine funzionanti a carbone, legna, gasolio e altri combustibili.

Queste macchine hanno fatto girare pompe idrauliche, hanno fatto marciare navi e treni rappresentando la maggiore applicazione pratica del vapore. Papin finì i suoi giorni nel 1713 a Londra, povero e dimenticato dai più, ma non da James Watt che perfezionò tanto il ciclo del vapore da renderlo fruibile fino ai giorni nostri. La prima rivoluzione industriale si sviluppa fra la metà del 18° secolo e il 1830 circa a partire dall’Inghilterra.

Un cambiamento epocale per l’umanità se si pensa che prima di allora il mondo aveva come unica fonte di forza meccanica, per la lavorazione agricola o per la trazione di mezzi di trasporto, solo le braccia dell’uomo e gli animali come il cavallo o il bue. La nuova forma energetica si fece conoscere in brevissimo tempo dall’Inghilterra all’Europa e, via via, negli altri paesi.

La locomotiva, il mezzo che fornisce la trazione di un intero treno è la macchina a vapore più nota anche se, dopo essere stata utilizzata per quasi due secoli, è praticamente scomparsa dalle ferrovie attuali. La prima locomotiva a carbone in Italia entrò in servizio nel 1839 sulla linea Napoli-Portici, una delle prime ferrovie europee. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, le locomotive a vapore vennero sostituite dalle più efficienti motrici diesel ed elettriche.

E’ curioso osservare che in Cina le locomotive a vapore siano tuttora di uso comune. In questo paese infatti il costo del carbone è bassissimo, grazie ai grandi giacimenti e ai bassissimi salari pagati ai minatori. Ma dopo due secoli il vapore non è per nulla in pensione. Ancora oggi macchine a vapore particolari, a turbina, sono fondamentali nella produzione di energia tramite le reazioni nucleari.

Nelle centrali nucleari infatti, nel cuore del reattore, si produce una reazione di fissione e l’energia termica da questa sviluppata sarebbe inutilizzabile se non fosse convertita in una altra forma energetica. È a questo punto che interviene la turbina a vapore: l’energia delle reazioni nucleari è utilizzata per produrre vapore che mette in movimento una turbina che, girando, produce energia elettrica. Esattamente come fa il generatore della nostra auto o la dinamo della bicicletta. Dalla “pentola a pressione per i poveri” alla turbina nucleare il passo è stato breve, appena due secoli.

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