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di Patrizia Bova e Antonio Contino

Sin dal dominio normanno sono documentati i legami tra Termini Imerese e l'arcipelago delle Eolie, con particolare riguardo alla cittadina di Lipari.

I due centri abitati, del resto, sono accomunati dalla presenza di sorgenti termali (dedicate a S. Calogero) e per la loro spiccata vocazione marittima.
Nel 1094, Ruggero (I), Comes Calabriae et Siciliae, concedette la decima (tributo ecclesiastico corrispondente ad un decimo del raccolto, del pescato etc.) della città di Termini (Thermae) all’abate benedettino Ambrogio di S. Bartolomeo Apostolo nell’isola di Lipari (cfr. R. Pirri, Sicilia sacra, Panormi [Venetia], 1733, edizione anastatica, Bologna, 1987, II, 771-772; L. T. White jr., Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, trad. italiana di A. Chersi, Dafni, Catania 1985 p. 129). Nel 1108 (1107) indizione 15, la contessa Adelaide donò al detto Ambrogio anche decime degli ebrei di Termini (Cfr. Withe, op. cit. p. 136 ed appendice VII p. 391). Secondo Withe (op. cit., p. 136, nota n. 53), il copista Ioannes tuscanus, seguì lo stile pisano nella datazione del documento che, quindi, si colloca tra il 25 marzo ed il primo settembre dell’anno 1107.
Nell’anno dall’incarnazione del Signore 1122, papa Callisto II, con diploma dato in Laterano il 4 aprile concedette all’arcivescovo Pietro di Palermo la città di Termini con il suo territorio (Cfr. R. Pirri, op. cit., I, 82-83).

L’arcivescovo di Palermo, essendo ormai Termini compresa nella sua giurisdizione (nostra diocesis), ricorse contro la precedente concessione della decima alla chiesa abbaziale di Lipari e ne nacque una causa con l’abate Giovanni, che fu ricomposta tramite un accordo stipulato nel 1130 (o 1129), con l’assenso del Duca Ruggero figlio del Gran Conte Ruggero (cfr. R. Pirri, op. cit., t. I, 84-85; L. T. Withe, op. cit., pp. 140-141). Le decime vennero salomonicamente divise a metà (integram medietatem) tra Palermo e Lipari (quest’ultima, però, avrebbe mantenuto anche i diritti sulla chiesa di S. Egidio sita presso il castello di Termini).
Da notare che, grazie alle nostre ricerche d'archivio, è stato possibile scoprire che il testo dell'atto di ricomposizione di detta lite si trova inserito (trasuntato) in un rogito notarile del 26 maggio 1430 (Archivio di Stato di Palermo sezione di Termini Imerese, d’ora in poi ASPT, Fondo Notai defunti, d'ora in poi FND, atti notar Giuliano Bonafede di Termini, vol. 12833, f. 37r). Il rogito di Giuliano Bonafede ci informa che la copia pergamenacea coeva della detta transazione, a quel tempo si conservava presso la cancelleria della Maggior Chiesa di Termini, avendola presentata nell'ufficio del detto notaio, l’arciprete don Leonardo Ruzzolone. Nella prima metà del XV secolo, quindi, l'archivio della Maggior Chiesa di Termini conservava ancora una documentazione che ascendeva addirittura al Dodicesimo secolo e della quale, in tempi e in modi a noi ignoti, si sono perse totalmente le tracce.

Relativamente ai traffici commerciali lungo la rotta marittima Termini Imerese-Lipari e viceversa, questi sono ben documentati dal Quattrocento. Indubbiamente, già allora, Termini Imerese era il centro di rifornimento di cereali delle isole Eolie e, in particolare, della città di Lipari, soprattutto per affrontare le ricorrenti penurie.
Nei conti consuntivi annuali del «Mastro Portolano del Regno» di Sicilia relativi al 1407-8 (cfr. C. Trasselli, Sulla esportazione di cereali dalla Sicilia nel 1407-8, in Atti dell'Accademia di Scienze e Lettere di Palermo, Palermo 1955), risulta che in tale anno il movimento navi granarie dalla rada di Termini Imerese fu il seguente: 11 barche da Lipari; 1 barca da Gaeta; 1 barca di provenienza non specificata; 2 barche, una galeazza e 2 navi dalla Liguria; 2 navigli di Reggio Calabria; 5 navigli da Maiorca ed altrettanti dalla Catalogna.
Lo storico francese Henri Bresch ha sottolineato come già agli inizi del XV secolo gli armatori Liparoti acquistavano partite di grano da Termini per poi rivenderle nelle piazze commerciali di Messina e del Regno di Napoli (cfr. H. Bresch, Reflets dans une goutte d’eau: le carnet de Girard de Guy, marchand catalan à Termini (1406-1411)«Archivio storico messinese», 77, 1999, pp. 5-47, Doc. I, 18 octobre 1411, nota 64).

Dalle Eolie a Termini Imerese, invece, oltre ai vini (ad es. il Malvasia) ed ai frutti, si importavano soprattutto l'allume, particolarmente utilizzato nella concia del pellame e nell’artigianato tessile, e la pietra pomice.
Nella sua descrizione dell'Italia, edita allo scadere del secolo XVI, il bolognese fra Leandro Alberti, dell'ordine dei Predicatori, riferendo dell'isola di Lipari così scrisse: Ha ameno territorio questa Isola, & producevole [sic] di saporite frutta [sic], & gira dieci miglia intorno. Ritrovansi anche in essa le minere [sic] dell'Allume, per le quali, traggono gli habitatori grande emolumento. Veggonsi anchor quivi le scaturigini dell'acque calde, dalle quali escono ardenti fiamme. Come narra Strabone, & Plinio nel decimo terzo capo del trigesimo quinto libro dice esservi le minere [sic] del solfo (cfr. L. Alberti, Descrittione [sic] di tutta l'Italia. Et isole pertinenti ad essa, In Venetia, Appresso Paolo Ugolino, MDXCVI, Isole appartinenti [sic] all'Italia, p. 67r, Isole Liparee).
Da notare che l’Alberti, non fa menzione dell'estrazione della pietra pomice (roccia ignea effusiva riolitica, a tessitura bollosa) dalle Eolie. Nel XVII secolo, a Termini Imerese, la pomice di Lipari era ampiamente utilizzata come isolante termico e per rendere più leggere le volte delle strutture di edifici, non solo ecclesiastici. A titolo di esempio, ricordiamo un mandato del 4 ottobre 1639, inserito nel manoscritto cartaceo «Libro di Fabbrica», relativo alle fasi di costruzione della chiesa di S. Croce al Monte, da noi scoperto, che documenta l’utilizzo di tale materiale in detto edificio ecclesiastico (cfr. Anonimo, Libro di Fabbrica e conto a parte di loeri di case, 1616-1702. Ms. Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese, d’ora in poi AME, fondo Monte di Pietà, secc. XVII-XVIII, ai segni Eα3).

Nel Seicento, Termini Imerese continuò a sopperire alle penurie di cereali che affliggevano le Eolie. Emblematico, a tal proposito è un rogito conservato tra le minute di notar Matteo De Michele di Termini (cfr. ASPT, FND, notar Matteo de Michele, minute, vol. 13034, 1602-1606) e datato 4 agosto 1604 dal quale si apprende che una partita di grano fu venduta al comune (universitas) di Lipari che ne aveva bisogno per la penuria di tale prodotto. Il prezzo pattuito fu di tarì 3 grana 6 e piccioli 5 per ogni salma (antica unità di misura pre-unitaria equivalente al cambio del 1860 ad are 174,6258).
Le tracce di una vera e propria colonia di Lipari a Termini Imerese si reperiscono sin dalla prima metà del XVI secolo.

All'interno del più antico registro di battesimi (1542-48), conservato presso l'Archivio Storico della Maggior Chiesa di Termini Imerese (d'ora in poi AME), abbiamo scoperto diversi atti che attestano la presenza di famiglie oriunde di Lipari, con immigrati cognominati con la provenienza eoliana: di liparj (cfr. documenti nn. 1 e 3) o lu ljparotu/ljparoto (cfr. documenti nn. 5, 7 e 8). Altri immigrati, pur mantenendo il cognome sono qualificati con l’indicazione etnica: la porta liparotu (cfr. documento n. 2), oppure con quella di provenienza: Satarjano dj ljparj (cfr. documento n. 4). Curioso è un appartenente alla famiglia corsu che esibisce come nome proprio ljparo, quasi a sottolineare l'origine eoliana (cfr. documento n. 6). Da notare la ricorrente presenza del nome proprio Bartolomeo/Bartolomea, patrono di Lipari (cfr. documenti nn. 3. 4 e 5), che ancor oggi si festeggia solennemente il 24 Agosto di ogni anno.
Il documento n. 4, finalmente, attesta l’origine da Lipari della famiglia termitana dei Satariano, confermando, almeno in parte, quanto riferito dal genealogista seicentesco Filadelfo Mugnos nel suo Teatro genologico [sic] delle famiglie nobili, titolate, feudatarie, e Antiche Nobili del Fidelissimo Regno di Sicilia (Palermo, D’Anselmo, 1655, parte seconda, p. 229): la famiglia de’ Satariano nobile in Termini dove godé i primi carichi di quella Città, e l’officio di Portolano [sic, Vice-Portolano] della medesima, come ancora anticamente fù [sic] nobile in Lipari: e delle prime famiglie di quel [sic] Isola, d’onde discesero quei di Termini.

Nonostante la presenza di immigrati da Lipari sin dal Cinquecento, allo stato attuale delle ricerche, è stato possibile reperire indicazioni del consolato di liparoti a Termini Imerese solo nel Settecento. Infatti, il 26 aprile 1713, è attestato che Don Stefano Sceusa ricopriva la carica di console di Lipari a Termini ( cfr. Anonimo, Scritti diversi riguardanti Termini, ms. della Biblioteca comunale Liciniana di Termini Imerese, d'ora in poi BLT, ai segni AR e α 7, p. 170r e segg.).
Il detto console, reggendo la sua sede ufficiale ed essendo coadiuvato da un apposito ufficio di cancelleria con funzionari subalterni alle sue dipendenze (notaio, segretario, scrivano etc.), aveva il compito di tutelare gli interessi commerciali degli Eoliani che venivano a commerciare o che risiedevano a Termini, e dei loro eventuali eredi diretti, nonché amministrare beni, riscuotere tributi e dirimere eventuali liti legali.
La documentazione da noi ritrovata, pubblicata qui per la prima volta, costituisce un’ulteriore pagina, sinora dimenticata, riacquistata oggi alla memoria, dei vicendevoli plurisecolari contatti marittimi e commerciali tra Termini Imerese e Lipari.(esperonews.it)

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