Gentile direttore,

UN'ESTATE AL MARE CON I DOLORI ALLA SCHIENA MA ANCHE TANTA UMANITA'.

Sono una turista abruzzese che da anni viene in vacanza a Vulcano e vorrei raccontare la mia calda estate del 2015. Una storia significativa di buona sanità, ad onta dei tanti pregiudizi negativi che spesso circondano il sud e la Sicilia in particolare.
Quest'anno, purtroppo, il mio periodo di vacanza è stato rovinato da un forte mal di schiena, che mi sono trascinata da casa e che è letteralmente "esploso" dopo qualche giorno di permanenza a Vulcano. Al punto da rendere necessari ripetuti interventi della guardia medica e infine anche il trasporto e il ricovero all'ospedale di Messina.
Ed è di questa esperienza che voglio parlare, per rivolgere un sentito ringraziamento a quanti mi hanno amorevolmente assistito e contribuito a superare il problema. Ho misurato e apprezzato lo sforzo di uomini e donne della sanità siciliana, medici della guardia medica dell'isola purtroppo lasciati soli anche di notte in turni massacranti, personale dell'ambulanza che presta servizio sull'isola, ma anche gli addetti dell'elisoccorso e dell'ospedale di Messina. Da tutti ho avuto un'assistenza di alto livello professionale ma soprattutto umano, un esempio da additare alla sanità di tante più ricche e blasonate regioni del nord.
Spesso l'informazione si sofferma sulle cose che non vanno, sui servizi che non funzionano ed è giusto sia così perché c'è sempre da migliorare e progredire, ma è giusto e doveroso rimarcare anche le cose che vanno bene, specialmente quando sono sospinte da un grande senso di umana solidarietà. Il mio ringraziamento vada dunque a tutto il personale medico e paramedico, agli addetti dell'elisoccorso, ma anche quei siciliani comuni che hanno fatto di tutto per alleviare le mie sofferenze. Mi piace nominare Anna, Teresa, Manlio, Paola, Cristina, Carmelo, Giuliano, Michelina, Giuseppina, Bartolo, Nino e tanti altri di cui adesso - e me ne scuso - dimentico il nome. Un ringraziamenti anche a voi che ospitate e rendete pubbliche queste righe.

Vincenzina Vagnoni