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QUELL'INCIDENTE DEL 1966 A STROMBOLI: A MESSINA PER RIVEDERE I POSTI DOVE È MORTO IL PADRE

dI Domenico Bertè 
 
È un percorso che si chiude. Anzi, sono due. Quello attorno a quell’incidente dimenticato e quello di un uomo che aveva bisogno di vedere Messina per scoprire una parte di sé stesso che aveva cancellato. I fatti li riporta la "Gazzetta del Sud" con un articolato servizio in prima pagina. Il 17 novembre del 1966, vicino all’isola di Stromboli è in corso una mareggiata. Siamo in piena guerra fredda e si sta svolgendo un’esercitazione della Nato che coinvolge mezzi navali italiani e olandesi. A bordo dell’incrociatore dei Paesi Bassi “De Zeven Provincien”, però l’ancora di destra non è posizionata in maniera corretta. Nonostante quel tempaccio, qualcuno deve uscire sul ponte per sistemare il problema. In quattro vanno a prua e proprio mentre l’indagine è in corso, una violenta onda spazza il ponte colpendoli tutti e quattro.

Due di loro, i quartiermastri Leen Oosterom e Pieter Stupers, rimangono appesi alla ringhiera fino all’arrivo degli aiuti. Sono feriti e dopo le cure non potranno più salire su una nave militare. Il nostromo Klaas Flens finisce il mare e verrà recuperato, poco dopo, cadavere dai nuotatori della marina olandese. Il comandante in seconda Jacob Bolhuis, viene sbattuto dall’onda assassina contro uno dei cannoni. Muore sul colpo. Con i due cadaveri a bordo e i due feriti gravi da ricoverare, l’incrociatore fa rotta su Messina. Ad attendere la De Seven Provincien alla banchina Colapesce ci sono tanti messinesi, chi operava al porto, chi nella Marina e le due bare avvolte nella bandiera vengono fatte scendere fra gli onori e poi trasferite in Olanda in aereo. I due feriti, invece, ricoverati all’ospedale militare.

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«Per me Messina è stato per anni un punto nero sulla cartina del mondo». Lui è René Bolhuis ed è il figlio del comandante in seconda morto in quell’incidente che la storia ha dimenticato, ma che lui, solo in questi giorni, ha metabolizzato. René aveva dieci anni quel maledetto giorno del 1966. Era a casa quando il cappellano e due ufficiali suonarono alla sua porta per dare la tragica notizia alla madre. Lei non ebbe nemmeno il tempo di piangere perché svenne sulla soglia di casa. Oggi René, che è diventato uno psicoterapeuta, è tornato a Messina a chiudere il cerchio della sua vita, per sempre segnata da quella notizia.

«Con il mio amico Wilfred, durante la pandemia – racconta – abbiamo voluto visitare tutti i posti simbolo della nostra gioventù: le nostre case natali, le scuole, i luoghi dei giochi. Ad un certo punto mi disse che mancava ancora un luogo e che era in Sicilia, a Messina. Scoppiai in lacrime e organizzammo il viaggio».

E mercoledì scorso i due amici, sono tornati lì, al molo Colapesce. Dove le due Marine e la città resero gli onori alla bara di suo padre. Pioveva. Anche in cielo era commosso. Ad accogliere René c’erano i vertici dell’Autorità di Sistema ( il segretario Domenico La Tella e Maria Cristiana Laurà) a cui aveva chiesto aiuto dall’Olanda e i comandanti della Capitaneria di Porto Andrea Tassara e di Marisuplog Mario Lauria. Renè ha consegnato al mare, scrivendole su un foglio trasformato in una barchetta di carta, le sue emozioni, le parole che non aveva mai detto a quel suo padre marinaio. «Dovevo colmare un vuoto – dice Renè – Durante la mia vita ho dovuto sopravvivere a questi dolori che erano così profondi da non poter essere raggiunti.

Per chiudere il cerchio e completare una parte della mia vita, di cui non facevo parte. Al mare ho restituito il messaggio che potevo ridare a me stesso una vita che fino ad adesso non potevo concedermi. Non sono più quel ragazzino di 10 anni che tenta di sopravvivere con questi dolori. Dovevo perdonare me stesso per vedere più chiaro come è stata la mia gioventù. E anche se oggi piove, adesso il cielo si è rasserenato».(gazzettadelsud.it)

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