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di Francesco Biancheri

Il Ferragosto è trascorso e mancano alcuni giorni "a Festa i San Vartulu" (di Liparuoti). Si, perché a beneficio di molti popoli non autoctoni, occorre precisare che alle Eolie c’è un santo protettore per ogni evenienza. Lui è sempre lo stesso Santo Apostolo, ma ciascuno lo celebra per eventi ed in date diverse.

Unico caso nella storia millenaria della Chiesa. La data del 24 agosto è la più importante, mentre, nei ricordi della mia infanzia Liparota, il Ferragosto scivolava via inosservato, anzi, devo dire, visto piuttosto di maluocchiu, infatti mia nonna soleva dire “ austu, riustu e capinviernu”.

Sempre a beneficio dei furistieri. Il Ferragosto determinava con la “ruttuta di tiempi” la fine dell’estate e l’inizio di quell’autunno che già profumava di vendemmia. Adesso non è più cosi, i cambiamenti climatici hanno spostato in avanti questo fenomeno che sempre di più si accompagna a cataclismi di una violenza tale da produrre vittime e danni. Dunque, torniamo al tema.

La “ festa” per eccellenza. In questo mondo globalizzato e “fluido” di feste se ne fanno ogni giorno e per ogni evento. E’ nata addirittura una classe professionale nuova, quella degli influencer, gente che guadagna più di un primario mettendosi i calzini spaiati. Ma anche questa è un’altra storia .

Quanto ero piccolo a Lipari (cioè metà anni 60 primi 70 del 1900) "u vapuri per andare da Lipari a Milazzo impiegava oltre due ore, partendo alla cinque del mattino e solo due volte a settimana. Erano piccole navi che ignoravano i marosi ed arrancavano fermandosi a Vulcano Porto e "o Cievusu, unni Tanu cu rollu acchianava e scinnia genti e nimali. Poi u vapuri si mullava a vota i Milazzu" e quanto passava il Capo, con due segnali di sirena omaggiava la villa dell’Ammiraglio Luigi Rizzo “l’affondatore” .

La Festa era l’evento centrale di tutta la stagione. Talvolta emigranti da Paesi lontani tornavano per ritrovare le loro origini, i loro affetti o per ostentare l’opulenza raggiunta al di la del mare con anni di privazioni e duro lavoro. Dalle campagne (che ora vengono definite borgate e/o periferie ) i contadini scendevano a valle con "lapi o scecchi mbardati" per partecipare ai festeggiamenti o per fare “u viaggiu a San Vartulu” in ringraziamento per una provvidenza ricevuta.

Questo “ viaggio” terminava spesso con un ultima parte del percorso verso la Cattedrale posta "Supa a Civita" in ginocchio o a piedi nudi (quando girare a piedi nudi non era un vezzo dei VIP) .

I Canonici della Cattedrale indossavamo i loro paramenti migliori ed il Vescovo, che a quel tempo era residente a Lipari, la Diocesi più antica della Cristianità, e che faceva compagnia al Pretore che amministrava la Giustizia, all’Intendente di Finanza, che rappresentava il Pubblico Erario ed altre figure ormai archiviate nell’armadio dei ricordi, scarificate alla “razionalizzazione “ della spending review, a cui tra un po' faranno compagnia i mezzi busti dei Primari del nostro ex ospedale, e magari, tra qualche anno anche il mezzobusto dell’ultimo Sindaco perché anche i Comuni possono essere soppressi ed accorpati. Ma anche questa è un’altra storia.

Solenne pontificale ed altrettanto solenne processione, con la statua argentea del Santo ed il Vascelluzzo portati a spalla dai "babbaluci", le autorità religiose, civili e militari con scorta d’onore , la banda ed il popolo orante. Durante il percorso spesso il Maestro di cerimonia ordinava una sosta , perché u* devot* (metto l’asterico perché mi hanno detto che altrimenti si fa sessismo) appuntava una carta "i decimila liri" al bandone rosso al collo del Santo per “acquistare una grazia“.

Ricordo che una volta una devota nel dare il contributo – grazia al Santo, sotto il balcone "du Puzzu" dell’Avv. Saltalamacchia" esclamò a gran voce :” San Martulu. I vidi sti sordi ? O mi fa a razia o u ni vidi chiù“. A raffinati Teologi, squisiti Filosofi questo può far sorridere, ma Gesù disse che solo chi si fa bambino guadagna il Regno dei Cieli. Penso che questa fede bambina porti più dritti al Paradiso che non quella di eminenti studiosi della Teologia o della Filosofia che con tutta la buona volontà non riescono a sondare neppure il primo metro della profondità Divina. Non me ne vogliano i Teologi ed i Filosofi.

La piazza "nta Marina", con i forti odori di capperi e pesce salato diventava un grande circo dove bancarelle allestite da gente venuta da fuori vendevano ogni ben di Dio: stoviglie, tovagliati per corredi a ragazze da marito, tendaggi, utensili da cucina, e poi giocattoli, zucchero filato, "calia, pinozza e turruni, banchetti du juocu i tri carti", cantastorie (quelli seri, non i politici) che narravano le gesta di Orlando ed altri eroi, tiro a segno, il “palco di cantanti”…

Un mondo in cui per tre giorni c’era da perdersi. Per noi piccoli una festa nella festa, perché durante tutto l’anno non era facile soddisfare in un sol colpo tutti i capricci, e “ quannu veni San Vartulu” per molti era molto più importante di Babbo Natale.

A mezzanotte, "sparavanu i bummi", a Marina sembrava Beirut durante la guerra civile, e tutti con gli occhi in su (quasi tutti, c’erano le coppiette o le turistellete che spesso, chissà come mai erano più interessate agli aspetti di carpenteria nautica in quanto si raccoglievano "arriedu e vuzza" ascoltando affascinate le descrizioni tecniche che i giovanotti locali le propinavano. Francamento non ho mai capito come la passione "pu jaciu" fosse prevalente rispetto ad un colorato fuoco d’artificio. Mah ….

Il giorno dopo "nta" Marina c’era aria di smobilizzo. I bancarellari più piccoli avevano fatto fagotto, gli isolani della “periferia” Filicudari, Salinari (pochi) "Vurcanari" ecc. erano tornti alle loro isole. Resistevano le bancarelle di stoviglie e prodotti per la casa, e i venditori al grido di “a mari mi jettu” svendevano i loro prodotti a proterve casalinghe che a metà prezzo portavano via dieci portacenere di vitrazzu per una casa dove nessuno fumava, chilometri di stoffa per fare corredi a figlie che poi puntualmente "fujanu" con il primo militare che gli prometteva di portarle via dall’isola, e quindi credo che lo facessero solo con gli indumenti che avevano in dosso.

Ora nessuno "fuj" più. Per fortuna l’emancipazione culturale, la possibilità di viaggiare e di una autonoma economia ha messo in soffitta questa usanza antica.

La festa si fa e si continua a fare,e menomale, ma non credo rappresenti più un momento di aggregazione sociale, un momento di incontro e di ritorni attesi, ma un “evento” dell’estate. Uno dei tanti, mentre quel sapore di festa paesana è già del vento. Cosi chi scrive, “vecchio dinosauro, codino, reazionario e conservatore “ vaga per i piccoli comuni montani del Lazio aiutando i Sindaci a non fare morire Santi, "Maduonni e caliari".

Roma agosto 2023

L’intervista del Notiziario al dr. Francesco Biancheri, l’emigrante eoliano di alte vedute e sentimenti. La nota

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