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di Silvano Bertaino

Non so se per la mia famiglia fu una bella giornata, oppure no.

A ricordarla c’è solo più mia sorella, che ne conserva un’immagine vivissima.

Ogni tanto la gita al Sestriere riappare nei momenti nostalgici, in cui riemergono i ricordi di ciò che eravamo, di quanto tempo è passato, delle avventure vissute in gioventù.

Si sa, nelle narrazioni di quel genere i fatti sono inevitabilmente filtrati, cambiati o modificati, la memoria è selettiva e a volte ce la costruiamo un po’ da soli.

Ad ogni buon conto, nel 1960 il turismo di giornata si faceva anche così.

Di certo c’erano quelli che si potevano permettere spostamenti più comodi, in automobile, o che stabilivano mete più ambiziose e utilizzavano il treno: ad esempio so di visite a Venezia da Cuneo, con 12 ore di treno e il tempo di arrivare in Piazza San Marco, scattare un paio di foto e tornare alla stazione.

E comunque non era meno ambizioso progettare la gita al Sestriere partendo da Busca, in tre sulla Vespa 150, e la borsa del pic nic sul portapacchi, con panini e tovaglia da stendere sui prati di corredo.

Sono 105 km, niente di che, visti con l’occhio di oggi.

Ma bisogna considerare alcuni aspetti.

Le strade dell’epoca erano quel che erano, anche se non sfiguravano poi così tanto rispetto alle odierne, e soprattutto il mezzo non era di certo concepito per trasportare tre persone, di cui una bambina e una signora, che indossando la gonna, non poteva certo posizionarsi sul sedile a cavalcioni: mia madre se ne stava seduta di sbieco, in equilibrio precario, nel caso di curve o buche, e doveva esser brava, sia a non cadere, sia a non sbilanciare tutto il sistema, che ci voleva un attimo.

Anche mio padre doveva padroneggiare la Vespa con una certa abilità, altrimenti sarebbero già finiti in un fosso a Verzuolo.

Dunque si partiva allegramente al mattino, senza caschi, senza tute protettive, senza consultare Meteo.it, con un bel foulard a proteggere i capelli e un sacco di voglia di vedere il mondo.

Mio padre voleva, nello specifico, osservare da vicino le famose torri-albergo di Sestriere, quelle fatte costruire dal senatore Agnelli negli anni prima della guerra. Forse ne aveva sentito parlare durante il periodo in cui fu partigiano in valle Maira, che da quelle parti alberghi del genere non ne aveva notati, e quindi si domandava che diavolo ci andassero a fare tanti turisti in quelle strutture così avveniristiche. D’altronde non eravamo una famiglia di viaggiatori, nemmeno una famiglia borghese che poteva permettersi qualche villeggiatura al mare.

In fondo anche oggi non tutti possono fare i turisti, e c’è chi al Sestriere non è mai andato, nonostante ci abbiano disputato pure un’Olimpiade, ma questo è un altro aspetto.

Essenziale fu la curiosità, allora come oggi.

Un luogo lo si va a visitare perché se ne sente raccontare e si vuol vedere davvero com’è, senza doversi sorbire i resoconti di chi c’è stato.

E allora si preparano i panini e si parte da Busca senza sapere se pioverà oppure no, e si cammina tutto di traverso fino agli ultimi tornanti, quando la Vespa davvero non ce la fa più, e le due donne devono scendere e farsi l’ultimo tratto a piedi.

Avranno mugugnato? Mia sorella non ricorda più, e non ricorda nemmeno bene com’erano fatte quelle torri – era una faccenda che riguardava mio padre – e alla fine piovve davvero: Meteo.It li avrebbe avvertiti, avrebbero rimandato e chissà, forse non sarebbero mai saliti al Sestriere. Invece potevano raccontarlo, una soddisfazione.

Non siamo sicuri che l’umore di mia madre al ritorno, dopo tutti quei chilometri ad evitare lo svolazzo della gonna, fosse allegro. Ma tant’è …

Era turismo anche quello, da “poveracci” direbbe qualcuno.

Ma dignitoso. Perché c’era curiosità, coraggio, spirito di adattamento, voglia di stare insieme, voglia di vivere e di scrollarsi di dosso il quotidiano, semmai una guerra.

Un turismo mordi e fuggi che rendeva solo ai distributori di carburanti, perché ci si portava appresso anche il caffè zuccherato giusto, nel thermos, e di sicuro un mezzo litro di Barbera.

Però pieno di poesia e di vita.

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