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di Michele Giacomantonio

Insieme al problema dell’acqua, del depuratore, di Piazza Mazzini, dell’Ospedale che preoccupano i cittadini del Comune di Lipari non bisogna dimenticare il Cimitero di Lipari che ogni giorno di più appare un luogo abbandonato. Qui i problemi sono tanti e frutto di una incuria che viene da lontano. Nel 2001 l’Amministrazione Comunale fece un bando per la riqualificazione delle cuccette della parte bassa del cimitero che erano in condizioni di degrado e di pericolo. Vinse il bando il costruttore Angelo Biviano che però stava già realizzando, sempre in project financing, il cimitero di Canneto e così i lavori ritardarono anche perché dopo il Cimitero di Canneto vennero i lavori quel la ristrutturazione e riqualificazione di altre opere private. Fatto sta che cinque anni fa la situazione si aggravò, ci furono dei crolli e la Procura intervenne inquisendo il dirigente del Comune ed il costruttore ritardatario. Il Comune si svegliò e diede l’incarico della estumolazione delle cuccette e della loro messa in sicurezza ad una ditta chiamata Paradiso che portò a termine in lavoro in meno di un anno.

Quando l’attuale Amministrazione entrò in funzione io cercai di capire perché si tardava a mettere mano ai lavori. Si diceva, che la Procura aveva messo l’area sotto sequestro ma pare che non fosse vero. Il costruttore interpellato da più parti continuava ad assicurare che i lavori sarebbero iniziati presto ma i mesi e gli anni passavano e foglia non si muoveva. Intanto cominciò a farsi pesante il problema delle cuccette. Morire all’improvviso senza avere avuto il tempo e la possibilità di prenotare un loculo diveniva un problema: bisognava trovare un amico che te lo prestasse e che sperasse di non averne bisogno in tempi brevi. Nei mesi in cui collaborai con l’Amministrazione consigliai al Sindaco una strada da seguire. Visto che Biviano non iniziava i lavori forse anche per il fatto che bisognava rideterminare il costo dell’opera giacché una parte del lavoro era stato fatto dalla ditta Paradiso, visto che erano passati quindi anni dall’assegnazione dell’incarico a Biviano e che nel frattempo i costi erano cambiati notevolmente, visto la situazione di emergenza il cui il Cimitero veniva a trovarsi, il Sindaco annullasse in autotutela il bando precedente e ne indicesse uno nuovo stabilendo che i lavori sarebbero dovuti iniziare e concludersi in un arco breve di tempo.

Ma nulla si mosse e la situazione andò peggiorando. Oggi alla carenza di loculi si aggiungono nuovi problemi. Da quindici giorni ci sono zone del Cimitero che non sono servite da acqua corrente, pare che si sia rotto un tubo di adduzione e non si anno 7 (sette) euro per sostituirlo. In oltre da due mesi si è aperto un bel buco in un luogo centrale, l’area di smistamento fra i primo piano e quelli superiori e fra il lato est e quello ovest. Un bel buco transennato alla meno peggio con i problema che le acque piovane si infiltrano nel sottosuolo e scavano sotto le tombe ed il vicino edificio dei Cappuccini. Infine la settimana scorsa, improvvisamente, i quattro operai che coadiuvavano il custode provvedendo alla pulizia del Cimitero, a tagliare l’erba, a svuotare i raccoglitori di rifiuti sono stati inopinatamente spostati ai servizi generali della città e nessuno si occupa più del Camposanto. Siamo in primavera ed ormai la verdura ha coperto gran parte delle tombe a terra, inoltre col primo caldo vespe e zanzare sono attratte dei fiori in disfacimento.

Certo i morti per fortuna non ne soffrono ma i parenti dei morti si e si potrebbe fare un cattivo pensiero: che questa Amministrazione sia contraria al culto dei defunti e cerchi di scoraggiarlo in tutti i modi. Ma questa è solo una battuta cattiva, in realtà il problema è che questa Amministrazione fa fatica a risolvere non solo i problemi più complicati ( ospedale, aree protette marine, parco terrestre, gestione del sito Unesco, completamento piazza Mazzini, ecc.) ma anche quelli più semplici. Forse è tempo che passi la mano.

LE REPLICHE.

Il sindaco Marco Giorgianni interpellato per ora ha preferito non replicare.

Il dirigente Mirko Ficarra ha precisato che “il segretario ed il legale stanno per scrivere all’amministrazione per dare una risposta certa”.

L'assessore ai cimiteri Giovanni Sardella ha dichiarato: "il cimitero sarà ripulito entro due giorni. Per la buca sarà effettuato un sopralluogo dai tecnici comunali per risolvere il problema".

Non comment su tutto il resto.

LE CONTRO-REPLICHE.

di Michele Giacomantonio

Mi dispiace per l’Assessore Sardella che deve sentirsi sotto tiro ma a due giorni dalla pubblicazione delle osservazioni sul Cimitero nulla ancora si muove: né la buca; né l’erba, né le fontanelle come dimostrano le foto che allego. Altre due foto dimostrano l’incuria per le tombe che dovrebbero essere a carico delle famiglie dei defunti ma sotto il controllo e la supervisione del Comune. E per oggi non parliamo del project financing dimenticato su cui urla il silenzio assoluto.

cimitero Lipari

 LE REAZIONI NEL WEB.
Gesule Fonti: Ritorno a dire che oggi ci si accorge che nel cimitero di Lipari non ci sono loculi, ripeto a Pianoconte non ci sono da 20 anni...!
 
Gioconda Spinnato: Diciamo che è di buon auspicio!
 
Gesuele Fonti: Con l'ampliamento del cimitero di Pianoconte di potrebbero liberare un 40 loculi a Lipari. Spero che il Buon auspicio sia per i Pianocontari non avendo un posto dove riposare un pace. Anche se c'è da dire che recentemente l'amministrazione ha posto in essere le basi affinché si possa giungere all'ampliamento.
 
Venerina Pergolizzi: É un cimitero abbandonato!
 
Giovanni Sardella: Belle foto, bel verde, non vedo perché è abbandonato. Stia tranquilla che ci arriveremo.
 hotelcutimarelogo

 

Purtroppo a Lipari non sono molte le occasioni di iniziative di alto livello culturale e morale ma è un vero peccato che quando queste pure si realizzano non riescono ad avere quell’ascolto e la partecipazione che pure meriterebbero soprattutto per insufficienze organizzative. Parlo dell’iniziativa promossa dall’Assessorato Attività Culturali del nostro Comune ieri pomeriggio nella Sala delle Lettere per celebrare la “Giornata Internazionale per l’eliminazione della Discriminazione Razziale” e per l’integrazione degli emigranti con il coinvolgimento attivo e diretto di tutta la comunità nell’assenza della Amministrazione – salvo l’Assessore Centurrino e la dotto.ssa Paino - e del Consiglio Comunale. Eppure l’iniziativa era partita bene con l’istallazione artistica della barca, la rete-vela e i fenicotteri migranti alla fine del Torrente S. Lucia nello spazio dell’ex- Esso. L’installazione fa parte del progetto di arte virale Fenicotteri Migranti il cui scopo è quello di porre l’attenzione sul tema della accoglienza. Chi desidera partecipare al progetto può adottare gratuitamente un origami di fenicottero compilando il form sul sito www.fenicotterimigranti.it  .

Con il termine origami si intende l'arte di piegare la carta (o-ri-gami, termine derivato dal giapponese, ori piegare e kami carta) e, sostantivato, l'oggetto che ne deriva. Gli origami dei fenicotteri-migranti sono una invenzione geniale di Ambra Mirabito che da anni gira per il mondo collocandoli in tutti le piazze. A Lipari ha trovato la collaborazione di Mia Caleca e dell’assessore Fabiola Centurrino che caparbiamente, nel disinteresse di una Amministrazione sempre più sorda al linguaggio dei valori, ha voluto questa iniziativa.

I fenicotteri-migranti rappresentano simbolicamente i viaggi della speranza verso l’Europa da parte di centinai di migliaia di persone - donne, uomini, bambini, vecchi – che scappano dalla fame, dalla guerra, dalla carestia nell’indifferenza dei più. “Migrare – sottolineano gli organizzatori - dovrebbe significare “spostarsi in cerca di un luogo più favorevole dove dare inizio ad una nuova vita”, in realtà oggi significa andare alla deriva e finire spesso nella rete dei trafficanti di esseri umani.

Oltre all’illustrazione di Ambra e Fabiola di decine di slides delle piazze col fenicottero dalla Cina all’Africa, all’Europa, agli Usa, ecc. la manifestazione ha visto l’intervento del dott. Samuele Amendola, educatore, che illustrando la sua ricerca “Lo straniero che è in me” ha parlato dell’educazione all’accoglienza. Tema su cui si sono soffermati poi il preside Renato Candia e lo scrittore Fabio Famularo dando vita ad una sorta di tavola rotonda diretta dalla dott.ssa Tilde Paino responsabile del settore Cultura dell’Amministrazione.

Quindi Ambra ha distribuito ai rappresentanti delle scuole di Lipari gli origami di fenicotteri, uno per ogni edificio scolastico con l’impegno di collocarli in modo che tutti possano vederli e riflettere sul dramma dell’immigrazione e del razzismo.

La manifestazione si è conclusa con l’intervento del diacono Santino Tornesi direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes della nostra Diocesi l’organismo pastorale che si occupa di tutte le persone coinvolte dal fenomeno della mobilità umana, che ha presentato il Coro interetnico promosso dal suo ufficio. Un coro, vuole testimoniare come sia possibile stare insieme e arricchirsi reciprocamente nella diversità, anche attraverso la musica. Il coro ha eseguito dei brani che appartengono alla tradizione dei diversi Paesi di provenienza mentre Santino negli intervalli mostrava quanti pregiudizi oggi vi siano intorno alle migrazioni e come su di esse speculino le correnti ed i partiti xenofili.

La gente in attesa della benedizione

Con la cerimonia della benedizione delle palme la Chiesa ed i cristiani entrano nella settimana santa. Il folklore che accompagna le liturgie – ieri appunto la benedizione delle palme e degli ulivi e la processione in Cattedrale, martedì  la benedizione degli oli, giovedì  la lavanda dei piedi, venerdì la sfilata delle navette della via crucis per le strade di Lipari e infine, domenica, la madonna e Gesù c di Pasqua, che si incontrano e si salutano a Marina Corta mentre cade il manto nero della Vergine e volano nel cielo le colombe in un tripudio di spari, di musica, di grida di gioia – tutto questo non deve fare dimenticare il grande mistero che queste manifestazioni adombrano: lo scontro drammatico fra il Figlio e l’Avversario, il travaglio della Resurrezione nel cuore stesso della Trinità, la grande rivoluzione che appunto la Resurrezione significa per la storia dell’uomo, del cosmo perfino dell’al di là.

Mons. Adornato benedice palme e ulivi

E questo intreccio di folklore e di fede traspariva nella tradizionale cerimonia che si è compiuta ieri mattina dinnanzi alla chiesetta del Pozzo con la benedizione da parte di Mons.Alfredo Adornato delle palme e degli ulivi, lo snodarsi della processione fra le preghiere i canti, lungo le vie del corso con i bambini in testa con catechisti e catechiste e poi le confraternite e gli officianti con al centro mons. Gaetano Sardella. Alla Cattedrale si è passati ancora una volta dalla Porta Santa dell’Anno Giubilare che è appunto la porta centrale della nostra chiesa Madre come, per volere di Papa Francesco, di tutte le Cattedrali delle Diocesi italiane.

Ed in Cattedrale don Gaetano ha celebrato la S. Messa caratterizzato dal lungo Vangelo, letto a tre voci, della Passione di Cristo.

La processione parte dal Pozzo verso la Cattedrale

 

La tomba di Gesù nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme

Ieri si è conclusa nella Chiesa dell’Addolorata la Via Crucis biblica iniziata a S. Pietro il 19 febbraio scorso. Cinque tappe che hanno ripercorso seguendo i Vangeli il cammino di Gesù verso il Calvario. Anche questa liturgia è stata presieduta da mons. Gaetano Sardella che ha intonato i canti della passione ed ha letto i passi evangelici relativi alle tre ultime stazioni. Quindi la breve introduzione di collegamento alle tappe precedenti:

“Gesù è in croce sul Calvario. E’ stata una giornata oltre che drammatica, intensa. Le giornate per Israele come ancora oggi nella liturgia della Chiesa iniziano la sera del giorno precedente e quella di Gesù è iniziata giovedì con l’istituzione della Eucarestia, l’ultimo compito per gli apostoli: “Fate questo in memoria di me”. Quindi avvia il lungo dialogo col Padre intramezzato da molti silenzi e da poche, scarne interlocuzioni con altri. Il rimprovero agli apostoli che dormono invece di pregare, il richiamo a Giuda “Con un bacio mi tradisci”, poche parole a Caifa ed a Pilato,  il dialogo con le donne, la rassicurazione al ladrone “Questa sera stessa sarai con me in paradiso”. Ora quando sulla croce giunge l’assenso del Padre che lo risusciterà e quindi il grande progetto è realizzato può dire “Tutto è compiuto” e spirare.

Tutto è compiuto della storia vecchia e comincia una storia nuova. Va agli inferi per  portare la misericordia  e annunziare la redenzione ai giusti ed ai colpevoli in questa periferia del creato: un luogo freddo e desolato e quindi ricomparire risorto col suo corpo trasfigurato. Tre tappe di grande significato cosmico e teologico che hanno rivoluzionato l’universo. Ascoltiamo”.

L’illustrazione della prima tredicesima stazione “Gesù muore sulla croce” è affidata ad Angelo Paino confrate della Confraternita Maschile come anche gli altri due lettori. “Il Figlio ha dimostrato attraverso Gesù, che l’uomo che ha perso il Paradiso perché si è lasciato tentare ed ha disubbidito, è veramente degno del perdono del Padre perché è capace di soffrire fino alla morte per la redenzione del mondo.  E la gloria di Gesù   viene rettamente compresa solo quando viene intesa come gloria del crocifisso che si manifesta nella resurrezione. E la sua gloria, mentre la gran parte dei discepoli fuggono o si nascondono, è sottolineata dagli sconvolgimenti della natura e da un centurione romano, un pagano, che non può non esclamare “Davvero costui era il figlio di Dio””.

Nella quattordicesima stazione Gesù è deposto nel sepolcro. Le scritture dicono che durante i tre giorni che rimane nella tomba Gesù discese agli inferi. “Cristo deve passare  – spiega Antonino Lo Rizio - l’Inferno per tornare al Padre. Il Figlio deve ‘osservare quanto di imperfetto, di deforme, di caotico c’è nell’ambito della creazione’ per riportarlo, in quanto Redentore, sotto il suo possesso”. La discesa del Figlio dai morti è necessariamente un evento salvifico ed un evento salvifico non si può limitare a priori. Sostenere che non c’é rimediabilità all’inferno vero e proprio vorrebbe dire che questo inferno è rimasto fuori dalla portata di Cristo. Ma per questa limitazione non c’è nessun riferimento biblico né indicazione dettata dalla ragione. Si può dire che Cristo con la sua esperienza dell’inferno, lo ha svuotato e, perciò, tutta la paura della dannazione è privata di contenuto? Possiamo solo dire con Origene che nell’essere con i morti Cristo introduce, in quello che potrebbe essere raffigurato come il fuoco dell’ira divina, il fattore della misericordia. Possiamo sperare nella salvezza di tutti,  ma di fatto non possiamo sapere se tutti si salveranno. La libertà di Dio, così come la libertà dell’uomo è un mistero insondabile”.

Infine l’ultima stazione, la quindicesima, che la Via Crucis tradizionale non contempla: Gesù risorge dai morti. La illustra Renato Russo: “La Resurrezione è un evento discreto: essa non avviene “davanti a tutto il popolo, ma solo davanti a testimoni preordinati da Dio “.

Quale era uno dei nodi più controversi che il Padre ed il Figlio discussero fin sulla croce? Proprio il fatto che una risurrezione per l’eternità era un atto così forte e clamoroso che avrebbe rischiato di coartare la libertà dell’uomo. Se fosse avvenuta dinnanzi al popolo, dinnanzi alle guardie, dinnanzi ai romani chi avrebbe più potuto negarlo?  E però questo evento portentoso doveva garantire anche  che coloro che avessero voluto credervi avrebbero trovato i riscontri, per quanto impervi, per quanto difficili.

Cristo si manifesta entrando nel nascondimento. “Voi mi cercherete ma non mi troverete “ (Gv 7,34), “a partire da adesso non mi vedrete più”(Mt 23,39). Anche ciò che lo Spirito rivelerà di lui nella storia, rimarrà sempre segno di contraddizione e non si affermerà mai in maniera diretta  nella storia del mondo.

Al momento decisivo, quando Gesù fu arrestato e giustiziato, i discepoli non nutrivano certezza alcuna che potesse esserci una resurrezione. Anzi ciò che li invade è un senso di fallimento e di paura. Dovette intervenire qualcosa che in poco tempo provocò il cambiamento radicale del loro stato d’animo, e  li portò ad una attività del tutto nuova e alla fondazione della chiesa. Questo qualcosa  è il nucleo storico della fede di Pasqua. 

Una forza di convincimento e di conversione  che solo il Risorto stesso con la sua persona può dare ad essi e che spinge i discepoli, per la prima volta, alla confessione della divinità del Risorto. Ed essi cominciano a capire che è il Padre che lo ha risorto e non è un caso che la Resurrezione del Cristo, fin dall’inizio, viene vista come primizia della vita eterna per molti. E come la Resurrezione trasforma gli Inferi liberando i giusti e forse lasciando Satana da solo a guardia del peccato dissociato dagli uomini, così trasforma anche il Paradiso che diventerà, con la presenza degli uomini risorti, dei loro valori, delle strutture di solidarietà e della creazione trasfigurata, il Regno di Dio, la patria promessa, la beata speranza”.

A conclusione della liturgia il Parroco ha voluto manifestare la sua soddisfazione per questa esperienza di una Via Crucis diversa che si è sviluppata lungo oltre un mese nella preghiera e nella riflessione. “Noi non siamo abituati a pensare mentre preghiamo, spesso ripetiamo meccanicamente alcune frasi cariche di significato. Dobbiamo imparare invece che si prega col cuore e con la mente ed anche in questo Maria che “serbava tutte le cose nel suo cuore” deve esserci maestra”.

 

La quarta tappa della Via Crucis delle Parrocchie di S. Pietro, Madonna di Portosalvo e Cattedrale si è tenuta nella austera ed elegante cornice della Chiesa dell’Addolorata. Ha presieduto la liturgia il Parroco Mons. Gaetano Sardella che ha intonato subito il canto “Ti adoriamo o croce santa…” quindi l’introduzione di collegamento con le tappe precedenti.

“Gesù è giunto in cima al Calvario dopo essere passato attraverso l’arresto, un processo irregolare, la flagellazione, avere compiuto con la croce il percorso dal Pretorio al Golgota, avere incontrato Giuda che lo tradisce, Pietro che lo rinnega, il sommo sacerdote Caifa, il governatore Pilato, Simone il Cireneo, un gruppo di donne di Gerusalemme a cui svela il destino della loro città e delle loro famiglie.

Sul Calvario è denudato e crocifisso ma lui é concentrato nell’attesa di un cenno di approvazione del Padre che tarda ad arrivare. Quando finalmente questo cenno arriva Gesù sussurra il salmo “Padre nelle tue mani raccomando il mio spirito“. Ora ha ancora due cose da fare. Iniziare ad attrarre tutti a sé a cominciare dal ladrone pentito, crocifisso alla sua destra, adempiendo quanto aveva predetto e cioè che le prostitute e i pubblicani ci precederanno in Paradiso; quindi  affidare Maria a Giovanni e Giovanni a Maria e tramite Giovanni dare a tutti noi dopo un padre, anche una madre in comune rafforzando così la nostra fratellanza”.

Tocca ad Enni Bernardi riflettere sulla decima stazione, la crocefissione. “Sulla croce  il Figlio ricorda al Padre che  ha portato a compimento il proprio compito e che ora toccava a lui intervenire e completare il disegno senza temere che questo l’atto della resurrezione sia talmente forte da coartare il libero arbitrio degli uomini. Una preoccupazione forte del Padre fin dal tempo della creazione perché vuole che lo si ami e gli si ubbidisca liberamente. Indubbiamente è il nodo di un dialogo muto fra il Padre e il Figlio dal Getsemani fino al Calvario. Il dramma è ora al suo culmine, in questo dialogo muto fra il Padre e il Figlio. Ora veramente l’Avversario è fuori gioco, non ha più nessuna carta da giocare. Potrebbe ancora sperare che il Figlio scenda dalla croce, ma sa che non lo farà. E quando Gesù pronuncia il secondo salmo, sa che ha perso la partita, sa che il Padre ha finalmente parlato e  lo risusciterà”.

Prima di esalare l’ultimo respiro Gesù deve compiere due atti di grande significato simbolico. Di essi si parla nella XI e XII stazione.

La riflessione sulla XI stazione è affidata a Valeria Russo. “Il perdono pieno del ladrone pentito è il punto di arrivo carico di espressività di un comportamento che ha caratterizzato profondamente la missione di Gesù. L’amicizia con i peccatori fu il comportamento che provocò maggiore scandalo ed ostilità nei suoi confronti. Gesù  era amico dei peccatori, dei pubblicani che vivevano di espedienti quasi sempre poco limpidi e delle prostitute. Non lo era in modo generico, Gesù sedeva persino a tavola con loro, mangiava con loro e in Israele sedersi alla stessa tavola voleva dire fare parte dello stesso gruppo. Per Gesù invece nessuno deve sentirsi escluso dalla sua tavola, non occorre essere puri, non è necessario fare le prescritte abluzioni. Nel regno di Dio tutto dev’essere diverso: la misericordia sostituisce la santità. Gesù offre ai peccatori, ai pubblicani ed alle prostitute la sua fiducia, la sua amicizia. Li libera dalla vergogna e dall’umiliazione, li riscatta dall’emarginazione. E poco a poco si desta in loro il senso della propria dignità. Forse per la prima volta si sentono accolti da un uomo di Dio e d’ora innanzi la loro vita potrà essere diversa. Gesù  spezza il cerchio diabolico della discriminazione, aprendo uno spazio nuovo per l’incontro amichevole con Dio, fino ad andare con lui nel suo Regno, come promette al ladrone pentito”.

La riflessione alla XII stazione la illustra Emilia Gallo. “Per tutta la missione pubblica di Gesù, Maria è stata discreta e distante. Ma al culmine della missione, quando Gesù è arrestato, processato e condannato, Maria è lì e lo seguirà fino al Calvario, fin sotto la croce.

E sotto la croce accetterà in silenzio ed ubbidiente la missione che il figlio le assegna: essere la madre di Giovanni e tramite lui la madre di tutti noi, rafforzando così la nostra fratellanza.  E se c’è un motivo per cui Maria continua a comparire agli uomini nei secoli e quindi  a Lourdes, a Fatima, a Medjugorje non è certo per compiere nuove rivelazioni ma per esercitare la sua funzione materna, per incoraggiarci, per sostenerci, per confortarci, per ammonirci.

Da allora lo stabat mater…dolorosa et lacrimosa non è più presso la croce del figlio ma presso le milioni di croci su cui sono stesi, lungo la storia del mondo, i milioni di sofferenti che la invocano”.

Alla fine della liturgia e prima di iniziare la Messa che apre la novena a Maria addolorata, don Gaetano ha voluto sottolineare come questa Via Crucis fa parte di un percorso di preparazione alla Pasqua ma va anche oltre perché fa parte di una riflessione sulla misericordia che Papa Francesco ha avviato indicendo il Giubileo e che noi proseguiremo nel mese di aprile.

Ieri sera in Cattedrale la via Crucis biblica è giunta alla sua terza tappa: la settima, l’ottava e la nona stazione. Nelle prime due tappe ci sono stati il Getsemani, l’arresto, il processo e la condanna  con la flagellazione. Protagonisti oltre a Gesù e l’Avversario: Giuda, Pietro, Caifa e Pilato. Nella terza tappa Gesù percorre il cammino verso il Calvario: dalla Torre Antonia dove era il Pretorio al Golgota, seicento metri o poco più,  quanto il corso di Lipari. Ma sono i 600 metri più importanti della storia dell’umanità e della creazione.

Lungo la strada del Calvario Gesù fa due incontri importanti: Simone il Cireneo e un gruppo di donne di Gerusalemme. Chi è Simone? Perché è importante questo incontro? Che cosa vuol dire  l’incontro con le donne? Perché Gesù tace per tutto il percorso verso, come concentrato nello sforzo di arrivare in cima, ma fa una eccezione per le donne e si ferma a parlare con loro?

Come le altre volte presiede la liturgia mons. Gaetano Sardella che introduce le stazioni leggendo i riferimenti biblici quindi i commenti tratti dal libretto: “Una Via Crucis per pregare e meditare”.

La prima a commentare è Gisella Baiamonte a cui è affidatala settima stazione: “Gesù è caricato della croce (Marco 15,20)”.

“Quelle poche centinaia di metri divengono l’epicentro del mondo, lo scenario in cui si gioca non solo il destino dell’umanità ma dell’intero universo creato. Per questo la passione, è così singolarmente cruenta. D’altronde ai lati del Padre e del Figlio non c’è solo il diavolo con i suoi sodali che cercano di rendere più gravoso il cammino verso la croce. Ci sono anche tutti coloro che, con lo sguardo fisso alla Passione, hanno offerto, nel tempo, le loro sofferenze a sostegno della missione di Cristo.

E’ la grande partita ma essa non la si gioca realmente fra il Cristo e l’Avversario. La  si gioca fra il Padre ed il Figlio, un padre amorevole ed un figlio obbediente, e l’amore del Padre non è solo rivolto al Figlio ma a tutti gli uomini che vuole amare e da cui vuole essere amato liberamente e per questo ha consentito a questo progetto.  Ma anche se il Padre è un Padre amorevole ed il Figlio è un figlio obbediente  non per questo si tratta di una partita meno tragica. Il cammino della croce è il cammino per liberare il mondo dalla schiavitù del peccato e dalla morte e per rendere l’uomo libero, capace di redenzione e di vita eterna”.

Lungo questo cammino Gesù incontra – ottava stazione - un Cireneo che viene precettato per aiutarlo a portare la croce. Ne parla Guglielmo Sardella: “Passava di là un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna dove era stato a lavorare. I soldati lo fermarono e “lo costrinsero” a prendere la croce di Gesù e a portarla dietro di lui . Non fu quella di Simone una libera scelta, non lo fece volentieri, fu costretto. Probabilmente era un pagano visto che aveva dato ai suoi figli nomi pagani: Rufo e Alessandro. Comunque uno straniero che proveniva da Cirene una città sul litorale librico e certamente non amava impicciarsi nelle faccende ebraiche soprattutto quando c’erano di mezzo i romani. La decisione di dare un aiuto al condannato non dovette dispiacere all’Avversario perché avrebbe prolungato il supplizio di Gesù ed ampliato il tempo a disposizione per cercare di piegarlo, ma singolarmente dovette incontrare anche il favore di Gesù che voleva realizzare la sua missione fino in fondo. Niente ci dicono i Vangeli di uno scambio di parole o di sguardi fra Gesù e Simone ma qualcosa dovette avvenire se si sa di un Simone di Cirene che fu consacrato vescovo da san Pietro, predicò nella Spagna, e, ritornato a Gerusalemme, dopo una santa vita, si spense placidamente. Possiamo pensare che costretto ad aiutare Gesù contro la propria volontà, lungo il tragitto la sua contrarietà si muta in adesione, l’indifferenza in partecipazione alle sofferenze del Cristo. Questo vuol dire che anche per questo Simone c’è stato uno sguardo di Gesù che è sceso nell’animo in profondità perché non c’era nessun impedimento a contrastarlo”.

Infine l’incontro, nona stazione, con le donne di Gerusalemme. Ne parla Maria Rosa Moscato.

“Sulla via del Calvario impegnato in questo scontro frontale con l’Avversario, Gesù non parla con nessuno. E’ significativo che faccia un’eccezione rivolgendosi ad un gruppo di donne.

La condizione delle donne in Palestina al tempo di Gesù era di completa subordinazione agli uomini, e venivano considerate degli esseri inferiori. Un rabbino considerava il parlare con una donna in pubblico come una perdita della propria dignità.

Gesù rompe questa odiosa discriminazione contro di loro. Le donne divengono discepoli di Gesù, lo seguono nei suoi viaggi e  nel suo ministero. Un certo numero di donne, sposate e non, sono state regolarmente sue seguaci. In Luca molte sono menzionate nella stessa frase con i Dodici.
Alle donne che per quanto emarginate sono le più sensibili riguardo alle ripercussioni soprattutto sulle loro famiglie, Gesù parla di un agire così sconsiderato dei loro capi che perseguitano chi predica l’amore e la pace e forniscono alibi ai dominatori per la repressione. Così egli annunzia le sofferenze che si abbatteranno su Gerusalemme in futuro e di cui soffriranno insieme ai loro figli”.

Dopo la Cattedrale, per gli ultimi due venerdì (l’11 ed il 18 di marzo), la Via Crucis biblica si sposterà all’Addolorata, alle 17.30.

A sinistra la flagellazione di Gesù, a destra il martirio di San Bartolomeo

Ieri sera, venerdì 26 febbraio in Cattedrale, seconda tappa della Via Crucis nell’anno della Misericordia. 

La settimana scorsa abbiamo visto iniziare il grande scontro fra Gesù e l’Avversario annunciato già la domenica delle palme ma avvertito in maniera drammatica, fino a sudare sangue, nel Getsemani.

L’Avversario gioca duro, scatena contro Gesù il tradimento di un apostolo e la condanna del Sinedrio in un pronunciamento che è frutto di menzogna e corruzione. Ora – nella quarta e quinta stazione - ha altre due pedine importanti, Pietro il primo degli apostoli, che nega tre volte di conoscere Gesù, quindi il governatore romano Pilato che ha il potere di condannare alla crocefissione e al supplizio del flagello (sesta stazione) con cui l’Avversario spera di piegare l’uomo Gesù e farlo desistere dall’obiettivo di riscattare il peccato degli uomini. Ma si può resistere all’offensiva dell’Avversario? Si è veramente inermi di fronte alla sua strumentalizzazione?

Maria Lauricella ci racconta il tormento di Pietro: “L’arresto di Gesù, il suo apparire rassegnato di fronte ai soldati che erano venuti a catturarlo ha scosso profondamente la fede di Pietro come degli altri discepoli. Pietro non fugge come gli altri, ma segue Gesù da lontano, vuol vedere, vuol capire… Come è possibile che quest’uomo che ha ridato la vita ai morti, ha guarito migliaia di malati, ha scacciato centinaia di demoni, ha moltiplicato pani e pesci, ha camminato sulle acque, ha comandato ai venti ed alle onde del mare, non abbia mosso un dito per difendersi ed abbia permesso che lo arrestassero…? Pietro si interroga. Vuol capire e non capisce ed intanto una voce lo incalza: “Tu eri col Nazzareno…”. Una, due , tre volte. E per tre volte Pietro nega: no, no, non è vero. “E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò. E il Signore voltatosi, guardò Pietro...” (Luca 22:60,61)””.

Ecco quello sguardo… E’ lo sguardo di Gesù che scuote Pietro. A differenza di quanto è accaduto per Giuda il suo animo è sgombro, non è occupato dalla avidità e lo sguardo arriva fino nel profondo. Veramente anche per Giuda vi è stato (don Primo Mazzolari) chi ha parlato di pentimento. Un auspicio, una speranza…Ma per Pietro invece è una certezza. Lo sguardo di Gesù scuote Pietro liberandolo dall’influsso del maligno.

Ma per una mossa che fallisce, l’Avversario ne ha subito una di riserva: Pilato il governatore romano.

Ce lo racconta Claudia Schilirò. “Pilato non ama il Sinedrio e i suoi capi. Gli brucia ancora la brutta figura e l’umiliazione subìta quando aveva fatto introdurre nel tempio i medaglioni dell'imperatore sui labari dell'esercito, causando una violenta reazione degli ebrei che consideravano quel gesto un sacrilegio ed alla fine, malgrado una brutale repressione, era stato costretto a cedere. E così cerca in tutti i modi di intralciare i loro disegni. Stabilisce un supplemento di istruttoria; chiede al popolo presente di scegliere fra Gesù e Barabba; demanda Gesù  a Erode Antipa,…; fa la sceneggiata della lavanda delle mani ma alla fine deve cedere quando Caifa minaccia di appellarsi a Roma. Pilato non ha nessun interesse per Gesù e non può rischiare che questo piccolo agitatore ebreo gli comprometta la carriera. E così lo condanna al supplizio della croce e lo da in mano ai soldati perché lo flagellino”.

Il supplizio del “flagellum”o “flagrum” ha effetti devastanti sul corpo del condannato. Lo racconta Gaetano Barca con l’aiuto del dottor Pierre Barbet, un chirurgo dell’ospedale di Parigi che ha esaminato attentamente la Sindone e del profeta Isaia che sette secoli prima della nascita di Gesù aveva parlato del “servo sofferente”.

“Dell’opera del " flagrum " romano “- scrive Barbet - se ne trovano le tracce in abbondanza sulla Sindone, distribuite su tutto il corpo, dalle spalle all'estremità inferiore delle gambe; la maggior parte sono sulla superficie posteriore, il che dimostra che Gesù era legato con il viso rivolto alla colonna e con le mani fissate in alto, poiché non vi sono tracce sugli avambracci ben visibili; essi non avrebbero mancato di ricevere qual­che colpo sulla loro superficie posteriore, se fossero stati fissati in basso. Se ne trovano tuttavia in buon numero anche sul petto… Ne ho contate in tutto più di cento, forse centoventi: il che significa, dunque, che vi erano due corregge, circa sessanta colpi, senza contare quelli che non hanno lasciato traccia.... Diciamo anche che Gesù era interamente nudo. Si vedono le piaghe a manubrio su tutta la regione glutea altrettanto profonde che sul resto del corpo. 

Alla luce di queste osservazioni – continua Barca - la profezia di Isaia  appare stupefacente:

«Dalla pianta del piede alla testa 

non c'è in lui una parte intatta; ma ferite e lividure 

e piaghe aperte, che non sono state pulite né fasciate, né curate con olio ». 

« Ho consegnato il dorso ai flagellatori, 

la guancia ai depilatori; non ho nascosto la faccia 

agli oltraggi e allo sputo».

Conclusa la seconda tappa della Via Crucis con la VI stazione il Parroco, mons. Gaetano Sardella, ha iniziato la Messa della novena di” S. Bartolo dei contadini” la cui festività si celebra sabato 5 marzo. Don Gaetano all’inizio della celebrazione ha voluto sottolineare questa ulteriore vicinanza di S. Bartolomeo a Gesù. Gesù è stato flagellato e Bartolomeo scorticato, forse flagellato anche lui. Tutti gli apostoli hanno subìto il martirio ma il martirio di Bartolomeo, come quello di Pietro, è quello che più si avvicina al martirio di Gesù.

 

Uno scorcio del salone dell'Incontro al Palazzo Vescovile

 

Lunedì 22 febbraio al Palazzo Vescovile si è tenuto il programmato “Incontro di formazione diocesana” incentrato sul Convegno ecclesiale di Firenze del novembre scorso. In una sala dove ogni sedia era stata occupata, don Giuseppe Lonia, dopo che i partecipanti hanno ascoltato in piedi l’inno del Convegno, ha inquadrato l’incontro nel percorso formativo diocesano che ha un respiro decennale ma che è venuto  aggiornandosi praticamente di anno in anno fino alla lettera pastorale di Mons. Calogero La Piana dello scorso anno “Briciole che saziano”.

 

Quindi dopo la preghiera iniziale si è entrati nel merito dell’argomento. Lo si è fatto con un metodo innovativo collegando pezzi di filmato di Firenze con commenti di approfondimento.

 

Ancora la parola a don Lonia che si è soffermato sul discorso cardine che è stato quello di Papa Francesco. Questa volta il Papa non è intervenuto a conclusione dei lavori come era accaduto nelle edizioni precedenti ma praticamente all’inizio chiamando i 2200 delegati rappresentanti di tutte le diocesi italiane a ripensare questo nostro umanesimo in crisi alla luce di Cristo e cioè di quelli che lo stesso Papa ha definito i caratteri fondamentali della sua personalità: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine.

 

La suggestione di sentire le sue parole risuonare nella splendida Basilica fiorentina mentre le riprese inquadravano il giudizio raffigurato nella volta con al Centro il Cristo che mostra i fori delle sue mani, si accompagnava al commento del relatore che ricordava come il Papa  metteva in guardia da mali antichi della Chiesa come il Pelagianesimo (la fiducia nelle strutture prima che nello Spirito) e il Docetismo (innamorarsi delle teorie al di là della concretezza della vita) ed allo stesso tempo suggeriva l’esempio assieme ai santi di figure, come don Camillo, ormai entrate nella cultura popolare.

 

Su questa strada si è proseguito affrontando il tema della “Cinque vie: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare”, utilizzando un filmato di TV2000 intercalato, ad ogni via, da suggerimenti affidati al dott. Michele Giacomantonio, anche lui come don Lonia delegato della Diocesi a Palermo. In particolare Giacomantonio parlando del verbo “uscire” ha sottolineato come questo vuole essere lo stile della Chiesa di oggi ed infatti Papa Francesco non perde occasione per ricordarci che chi costruisce muri e non ponti e piazze non è cristiano. Ed a proposito del verbo “annunciare” ha ricordato il messaggio di un gruppo di giovani nel corso del Convegno: “Noi figli – hanno detto questi giovani – abbiamo bisogno di fare pace con un mondo adulto che  non vuole lasciarci le chiavi, che ci nega la fiducia ed al tempo stesso non esita a scandalizzarci ogni giorno”.

 

Infine l’intervento di padre Nico Rutigliano, guanelliano, anch’egli delegato a Firenze che ha illustrato il metodo sinodale che il Convegno ha sperimentato come metodo da diffondere in tutte le diocesi e le parrocchie perché cresca veramente una chiesa sinodale. Ricordando che il Convegno praticamente non ha avuto relazioni introduttive oltre il discorso del Papa ma solo degli interventi di stimolo sulle cinque vie tesi soprattutto a chiarire i concetti, ha spiegato che i 2200 delegati del convegno sono stati divisi in cinque sezioni, una per ogni via da approfondire, ed ogni sezione in gruppi di centro distribuiti nei vari saloni della Fortezza fiorentina, quindi i gruppi di 100 in dieci gruppetti di dieci persone ciascuno facendo attenzione che in ogni gruppo ci fosse almeno un vescovo, religiosi e laici, giovani ed anziani, uomini e donne. Ed è stato ogni gruppo di dieci ad approfondire, sulla scorta di una scaletta, il tema assegnato. Quindi la collazione del risultato dei gruppi nel gruppo più ampio dei cento e dal gruppo dei cento all’assemblea dei 2200. Certo nei vari passaggi molte riflessioni rischiano di smarrirsi ma certamente nessuno potrà dire di non avere partecipato alle osservazioni finali.

 

Vivace il dibattito che ha concluso i lavori nel quale è intervenuto anche Mons. Gaetano Tripodo, Vicario generale della Diocesi o, come si dice in situazioni di sede vacante, “delegato ad omnia”. I partecipanti che provenivano da tutte le isole dell’arcipelago mentre hanno espresso il loro gradimento per una presentazione del Convegno a cui i media avevano prestato una attenzione insufficiente, dall’altra hanno manifestato la difficoltà a realizzare nelle parrocchie questo metodo sinodale sia perché i parroci risultano troppo occupati nelle incombenze d’ufficio ed hanno poco tempo per dedicare alla formazione dei fedeli, sia perché la gente che vuole impegnarsi veramente è poca e fra questi pochi si alimentano spesso antipatie, gelosie, pregiudizi. Bisognerebbe, è stato detto, ripartire dal Consiglio pastorale e renderlo veramente operante con incontri almeno mensili nei quali tutti sono stimolati a prendere la parola su temi ben definiti. Un Consiglio pastorale che affronti i problemi delle parrocchie ma che sappia anche interfacciarsi con gli altri consigli delle altre parrocchie e sappia rivedere le funzioni dei ministeri ordinati come mezzo per promuovere un discernimento collegiale e non per definire posizioni di prestigio personale.

 

---Venerdì 19 febbraio ha preso il via nella chiesa parrocchiale di S. Pietro, con la meditazione delle prime tre stazioni, la Via Crucis biblica che si snoderà lungo le cinque settimane che ci separano dalla settimana santa.

La Via Crucis è stata presentata all’inizio della liturgia dal dott. Michele Giacomantonio che ne ha fatto la storia sottolineando come può farsi risalire, in maniera embrionale, ai primi secoli dell’era cristiana con la visita dei pellegrini ai luoghi della Passione. Ma nella forma attuale la Via Crucis tradizionale, chiamata anche “compassionevole”, perché mira a destare nei fedeli la compassione per le sofferenze di Cristo nasce nei paesi fiamminghi e probabilmente ha ricevuto la sua forma definitiva attuale in Spagna da parte dei frati minori all’inizio del XVII secolo. Dalla Spagna, la Via Crucis a 14 stazioni fu esportata in Sardegna e in Italia, dove fu diffusa dai francescani.

Con lo sviluppo degli studi biblici anche presso i laici e in particolare, a partire dal Concilio Vaticano II, matura l’esigenza di riportare questa devozione alle fonti evangeliche liberandola da tutte quelle incrostazioni provenienti dai vangeli apocrifi e da tradizioni spesso leggendarie. Nasce così la Via Crucis chiamata biblica per distinguerla da quella tradizionale, che ebbe il momento di suo massimo riconoscimento nel Venerdì Santo del 1991 quando Papa Giovanni Paolo II cominciò a praticarla.

Praticare la via crucis biblica non vuol dire denigrare quella tradizionale. La via crucis cosiddetta compassionevole ha avuto un grande merito storico. In un tempo in cui imperava l’analfabetismo e anche la cultura religiosa era poco diffusa nel popolo essa ha avuto il grande compito di alimentare la fede e la pietà nella gente comune sollecitando il cuore più che la mente. Per questo grandi santi come Bernardo, Francesco e Bonaventura vi si sono dedicati con passione. Ma oggi che il Popolo di Dio è cresciuto nella cultura ha bisogno di una devozione più matura. Ed appunto per questo Mons. Gaetano Sardella ha voluto sperimentare questa Via Crucis biblica.

Dopo la Presentazione di Giacomantonio il Parroco ha presieduto e diretto la liturgia. I commenti alle stazioni tratte dal libretto “Una Via Crucis per pregare e meditare” distribuito gratuitamente ai partecipanti sono stati lette da Suor Teresa, Superiora delle Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari, alla cui fondatrice il libretto è stato dedicato, dalla signora Maria Corrado, Superiora della confraternita femminile dell’Addolorata, e la prof.ssa Elvira Casaceli.

Nella seconda stazione Maria Corrado , parlando del tradimento di Giuda, cita don Primo Mazzolari ed una sua predica del giovedì santo del 1958:  “Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola amico, che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore. E forse all’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo riceveva tra i suoi di là. Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni. Un corteo che certamente pare che non faccia onore al figliolo di Dio, come qualcheduno lo concepisce, ma che è una grandezza della sua misericordia”.


Nella terza stazione, Elvira Casaceli, dopo aver sottolineato come quello a Gesù - alla luce della Mishnah, la grande collezione delle tradizioni rabbiniche - é un processo irregolare con una sentenza illegittima, commenta: “Questa ignominia compiuta dal Sinedrio che rimarrà come un marchio indelebile nella storia dell’umanità non bolla il popolo di Israele ma i suoi capi degeneri, corruttori e corrotti tanto è vero che Dio per dare vita ad una nuova alleanza riparte proprio dal cuore del popolo di Israele.  Ed è l’ebreo Gesù, figlio di Davide, chiamato all’epica lotta per riscattare tutto il genere umano”.

Concludendo la celebrazione con la benedizione don Gaetano ha sottolineato come questa Via Crucis proposta non serve solo per pregare e meditare ma per farci affrontare la vita di tutti i giorni. Questa immagine della misericordia che don Mazzolari invoca per “nostro fratello Giuda” ci riporta alla misericordia che ogni giorno Papa Francesco chiede per gli uomini ed agli uomini del nostro tempo e quando si parla di dirigenti corruttori e corrotti sembra di sfogliare la cronaca dei nostri giorni.

Lunedì 22 febbraio a Lipari presso il Centro giovanile, alle ore 15 avrà luogo l'Incontro di formazione diocesana per la zona delle Eolie dedicato al Convegno della Chiesa Italiana tenuto a Firenze nello scorso novembre. Ecco il programma:

ore 15 . Inizio lavori. Presentazione del Momento formativo e inquadramento nel cammino che stiamo percorrendo, relazione p. Giuseppe Lonia

ore 15,15 - Momento di preghiera iniziale

Il Convegno Ecclesiale di Firenze 2015:

ore 15,30 - L’intervento di Papa Francesco . Proiezione di un video quindi le sottolineature del Delegato  p. Giuseppe Lonia e per la riflessione.

ore 15,45 - - "Le cinque vie".  Proiezione di un video, quindi le sottolineature del Delegato Michele Giacomantonio

ore 16,05 - Il metodo sinodale vissuto a Firenze . Intervento del Delegato p. Nico Rutigliano.

ore 16.20 - Interventi in assemblea

ore 16,45 - Conclusioni.

All'incontro sarà presente anche il Vicario Generale Mons. Gaetano Tripodo.

I delegati della Diocesi di Messina

Venerdì 19 febbraio prossimo alle ore 18 nella Chiesa parrocchiale di S. Pietro avrà inizio l'esperienza, voluta dal parroco Mons. Gaetano Sardella, della Via Crucis biblica composta da 15 stazioni perché si concluderà con la Resurrezione. Non sarà solo "Una Via Crucis per pregare e meditare", come si intitola il libretto che verrà donato a tutti i partecipanti e farà da guida lungo i cinque venerdì di Quaresima che portano alla Settimana Santa, ma anche per aiutarci a vivere da cristiani in quest'anno della Misericordia.

 

La Via Crucis biblica diversamente da quella tradizionale non ha come obiettivo quella di suscitare compassione nei fedeli nei confronti delle sofferenze di Gesù ma quello di capire attraverso il racconto dei Vangeli che cosa ha significato concretamente quel percorso dal Pretorio fino al Golgota nella storia della Salvezza. Non incontreremo quindi le famose tre cadute, né la Veronica col suo telo per asciugare il sangue sul volto di Gesù che sono tutte immagini prodotte dalla pietà popolare ma non trovano riscontro nel racconto degli evangelisti. Ci interrogheremo invece con che animo Gesù ha affrontato questa prova ed il significato degli incontri con Giuda, Caifa, Pilato, Pietro, Simone il Cireneo, le donne di Gerusalemme, il ladrone pentito, sua madre Maria. Ci chiederemo con don Primo Mazzolari se non è esistito per "nostro fratello Giuda" una possibilità di salvezza, ci chiederemo come Pietro si è pentito del rinnegamento, cosa voleva veramente Pilato e perché voleva sottrarre Gesù a Caifa, cosa ci dice la Sindone della flagellazione, perché sulla strada del calvario Gesù parla solo ad un gruppo di donne e che cosa vuole dire loro, chi è il Cireneo e se dopo che ha portato la croce è scomparso dalla scena, cosa fa Gesù nei tre giorni che è nella tomba, perché la Resurrezione avviene pressoché in segreto.

 

Venerdì 19 affronteremo le prime tre stazioni: Gesù nell'orto degli ulivi, Gesù tradito da Giuda, Gesù condannato dal Sinedrio. Gli altri appuntamenti il 26 febbraio all'Addolorata alle 17,30, il 4 marzo sempre all'Addolorata alle 17.30, l'11 marzo alla Cattedrale alle 17.30 ed il 18 marzo ancora alla Cattedrale alle 17.30. Per chi fosse interessato al libretto "Una Via Crucis" per pregare e meditare che farà da guida ai cinque venerdì, oltre che ritirarlo in Chiesa venerdì prima della Via Crucis, potrà scaricarlo dal sito della parrocchia:

 

http://www.farecomunione.it/content/pregare-la-crucis-parrocchia-questa-quaresima

 

 

Era visibilmnente soddisfatto e commosso il Parroco don Gaetano Sardella durante l'Omelia di mercoledì delle ceneri a S. Pietro.

Erano tanti e lo si è visto al momento dell'imposizione delle ceneri quando il Parroco ha voluto iniziare da loro il rito. E certo erano loro uno dei motivi di grande soddisfazione di don Gaetano che nell'Omelia aveva parlato dell'importanta che i ragazzi partecipino alle funzioni perchè sono essi la Chiesa di domani ed il fatto che siano numerosi fa ben sperare per il futuro della fede nelle Eolie.

Nell'omelia don Gaetano ha annunziato anche  che la tradizionale Via Crucis che si terrà il venerdì sera, a cominciare dal 19 febbraio e fino a a tutta la Quaresima,  sarà quest'anno dedicata in particolare a Madre Florenzia Profilio che a questa devozione era particolarmente legats, e sarà guidata seguendo un libretto che verrà donato ai partecipanti e che è stato scritto e pubblicato proprio per questa occasione: una Via Crucis, come dice il titolo del libretto,  per pregare e per meditare ma anche , come ha aggiunto il Parroco, per sostenerci nella vita di tutti i giorni con l'esempio di Gesù che sul Golgota ha sconfitto la morte ed il peccato per aprire a noi tutti il suo Regno.  

I fedeli in fila al momento dell'imposizione delle ceneri

---Pubblichiamo questa lettera in un momento in cui tanto si parla di unioni civili, di matrimonio e di famiglia e lo facciamo con umiltà e nell'intento di promuovere una riflessione al di là delle posizioni preconcette e nella speranza di contribuire a far crescere lo spirito di misericordia che come ci ricorda Papa Francesco è il nome di Dio.

                                                                                                

Caro don Gaetano,

stamattina ti ho detto che volevo riflettere con te sul problema del matrimonio e delle unioni civili, non era certo quella l’occasione perché eravamo troppo a ridosso della Messa, per cui volevo fissare solo un appuntamento. Ma tu hai reagito come a volere chiudere il problema

dicendo che bisogna riconoscere i diritti di tutti e quindi ben vengano le unioni civili ma non si devono confondere col matrimonio e la famiglia, come ha ribadito ancora Papa Francesco in questi giorni, perché si tratta non di norme della Chiesa ma della legge naturale. Poi nella Messa hai ripreso più volte il concetto soprattutto sottolineando il ruolo della donna nella famiglia come madre e custode del valore della tenerezza. Tutte cose che condivido pienamente ma che non mi risolvono il problema che  da qualche tempo mi vado ponendo e  che soprattutto è riemerso con forza in questi giorni in cui si rischia di dividere la gente fra chi vuole la famiglia arcobaleno e quelli che vogliono la famiglia vera e già si vedono le strumentalizzazioni della Lega con il Pirellone illuminato a favore del “family day”.

Voglio fare ancora una premessa. Tutta la mia formazione è stata rigorosamente ortodossa e sul tema del matrimonio ho anche superato un esame di teologia e di morale alla Cattolica di Milano. Non ho mai avuto una posizione “omofoba” come si dice oggi, ma diffidente nei confronti della omosessualità e degli omosessuali sì. Fino a pochi anni fa mi faceva specie dovere riconoscere omosessuali nell’ambito dei miei amici ed ho fatto fatica a superare questo pregiudizio soprattutto riflettendo sul fatto che non si tratta di una libera scelta ma di un effetto della natura, che spesso confonde i cromosomi e fa nascere uomini in un corpo di donna e viceversa, o della cultura per indirizzi che si radicano fin dalla più tenera età. E’ già questo dovrebbe renderci più prudenti quando si parla di legge naturale.

Ma non è tanto questo il nodo del problema che voglio porre. Il problema è quale sia il cuore della famiglia e del matrimonio cristiano. Quando ero ragazzo  si diceva che il cuore era la procreazione ed ancora prima si insegnava alle giovinette timorate che l’atto sessuale non dovevano farlo per il loro piacere ma per volontà di Dio. “Non lo fò per piacer mio ma per amor di Dio”, così si usava scrivere in alcune famiglie cattolicissime sulla vestaglia da notte della figlia che affrontava la prima notte di nozze. Nei moralisti più rigidi si insegnava che era peccato ogni atto nel matrimonio di carattere sessuale che non era orientato alla procreazione. Poi si fece strada la linea che a fianco alla procreazione come finalità secondaria del matrimonio c’era anche “la mutua assistenza fra i coniugi” . Quando io diedi l’esame di teologia e morale non si parlava ancora di amore ma di “mutua assistenza”. Forse un salto di qualità si compie con Il Vaticano II dove, in particolare nella Gaudium et Spes, si giunge praticamente ad una inversione rispetto alla dottrina tradizionale mettendo al primo posto l’amore coniugale (G.S. n.48) ed al secondo posto la doverosità di una procreazione responsabile a partire dalla ritrovata centralità della coscienza dei coniugi, pur nella consapevolezza che «i coniugi cristiani... non possono procedere a loro arbitrio ma devono essere sempre retti da una coscienza che si deve conformare alla legge divina e permanere attenta al magistero della Chiesa» (GS, n. 50).

Non credo che sia un caso che proprio in quest’ultimo decennio si faccia strada una lettura del tutto nuova del Cantico dei Cantici grazie soprattutto al grande teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer  con le sue Lettere dal carcere e ad Enzo Bianchi il priore di Bose. Enzo Bianchi sulla scia di Bonhoeffer sottolinea come questo libretto dell’Antico Testamento, che fin dagli anni 80 d.C. i rabbini inclusero nel canone biblico ereditato poi dalla Chiesa, parli dell’amore di due ragazzi, un amore molto carnale, probabilmente non regolamentato dal matrimonio, che diventa immagine dell’amore di Dio per Israele nella visione ebraica e di Cristo per la sua Chiesa in quella cristiana. Se addirittura l’amore di Dio per il suo popolo e di Cristo per la sua Chiesa non teme di venire tradito o sminuito dal paragone con l’amore umano tanto più questo deve valere per l’amore fondamento del matrimonio e della famiglia. Oggi forse si può finalmente dire che l’amore, senza se e senza ma, è il fondamento del matrimonio e della famiglia. Tutto il resto viene dopo: la procreazione, l’educazione dei figli, ecc. Perché se non c’è l’amore la famiglia di fronte alle difficoltà rischia di trasformarsi in un inferno e non ci può essere comunione ed educazione.

Proprio per questo matrimonio e famiglia hanno una tale forza attrattiva che tende a diventare modello di tutte le comunità create degli uomini fondate  su sentimenti condivisi anche se non si tratta di “amore umano carnale”.  E giustamente la Chiesa non ha alcun problema a estendere il termine di famiglia anche alle comunità religiose, agli istituti di suore, di monaci, di sacerdoti… Si blocca invece di fronte alle unioni civili. Invece di cogliere in positivo l’ esigenza del definirsi famiglia di questi “diversi” che sulla base di un sentimento di amore (certo particolare, ma chi siamo noi per negare che non sia amore?) ambiscono in qualche modo a rientrare nella “norma” uscendo dalla marginalità non solo culturale e sociale ma anche istituzionale, applicando a se stessi i valori della famiglia tradizionale, la Chiesa si impegna in una battaglia, che mi sembra di retroguardia, perché questi “diversi” non ardiscano  definirsi famiglia. E così rifiutando di prendere sul serio i loro sentimenti non si può sviluppare una vera e propria pastorale nei loro confronti, non si può, per esempio,  parlare di fedeltà, di reciprocità, di tenerezza a chi  ama di un amore “diverso”.

E cosa vuol dire che la Chiesa rispetta tutti, anche i “diversi”? Che li tollera, che non li insulta, che non li scaccia dalle chiese ? Ma non era quello che faceva Gesù con i pubblicani e le prostitute. Gesù li accoglieva, parlava con loro, si accostava alle loro difficoltà. E qui siamo di fronte a gente che è tale senza loro colpa …..

Questo avrei voluto discutere con te. Non sono sicuro di avere ragione ma mi sembra che non siamo ancora arrivati al cuore della misericordia.

Un’ultima considerazione. Ho visto ieri i telegiornali che mostravano le piazze delle “unioni arcobaleno”. Rispetto agli altri anni mi sono sembrate più composte, senza slogan aggressivi, senza azioni provocatorie. Ho pensato che forse è dipeso anche dalla testimonianza di questo Papa, dal fatto che il PD si sia fatto promotore di una legge per regolamentare le unioni civili, del fatto che qualcosa va comunque maturando. Mi auguro che domenica prossima ci sia altrettanta compostezza nelle piazze del "family day" e non ci si lasci strumentalizzare da chi tende a trasformare tutto in polemica politica.

Ti ringrazio per essermi stato ad ascoltare. Con tanta amicizia

Michele

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