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di Alfredo Adornato

Carissimi Eoliani residenti in patria e all’estero, ’Ringrazio il caro Dott. Bartolino Leone che ancora una volta mi offre l’opportunità di formularvi gli Auguri più affettuosi per il Santo Natale e per il nuovo Anno 2017!

Vi giungano come un messaggio di gioia che canta il dono della vita ed è l’eco dell’annuncio in cui rifulge la grande luce di Cristo, portatrice di pace.

Sia per tutti voi un Natale di speranza, quella speranza che per i credenti si è fatta Persona nel Figlio di Dio nato a Betlemme. Questo è il Natale! Evento storico e mistero d’amore, che da duemila anni interpella gli uomini di ogni epoca e di ogni luogo.

Sia questo il segreto del saper vivere con cristiana fortezza la pace, la gioia, la giustizia, la fraternità universale che Gesù è venuto a portare con l’annuncio del suo Regno.

Mistero di gioia; Mistero di amore; Mistero di pace sia il Natale; Mistero adorabile del Verbo Incarnato, l’unico Salvatore del mondo, fonte inesauribile della pace vera, a cui nel profondo aspira ogni cuore.

Questa gioia ineffabile entri allora in tutte le case, si posi come una divina carezza sul capo dei nostri bimbi, come dolce conforto nelle sofferenze dei malati, come una mite consolazione nelle pene dei tribolati, come una presenza rasserenante nel deserto di chi si sente derelitto e solo, come un’energia di vittoria nella debolezza di chi è tentato, come una certezza per tutti di un esistenza più significante e felice.
AUGURI! e Buon Anno!

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L'«ego» del fariseo e il «cuore» del pubblicano

 

 

XXX Domenica


Tempo ordinario – Anno CIn quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l'intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell'altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».Due uomini vanno al tempio a pregare. Uno, ritto in piedi, prega ma come rivolto a se stesso: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri...».
Inizia con le parole giuste, l'avvio è biblico: metà dei Salmi sono di lode e ringraziamento. Ma mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è centrato su se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago. Ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Pregare è dare del tu a Dio. Vivere e pregare percorrono la stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di un tu, un amore, un sogno o un Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero.
«Io non sono come gli altri»: e il mondo gli appare come un covo di ladri, dediti alla rapina, al sesso, all'imbroglio. Una slogatura dell'anima: non si può pregare e disprezzare; non si può cantare il gregoriano in chiesa e fuori essere spietati. Non si può lodare Dio e demonizzare i suoi figli. Questa è la paralisi dell'anima.
In questa parabola di battaglia, Gesù ha l'audacia di denunciare che la preghiera può separarci da Dio, può renderci “atei”, mettendoci in relazione con un Dio che non esiste, che è solo una proiezione di noi stessi. Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull'uomo, su noi stessi,

sulla storia, sul mondo (Turoldo).
Il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, ci insegna a non sbagliarci su Dio e su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
C'è una piccola parola che cambia tutto nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu». Parola cardine del mondo: «Signore, tu abbi pietà». E mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno...), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: un io e un tu entrano in relazione, qualcosa va e viene tra il fondo del cuore e il fondo del cielo. Come un gemito che dice: «Sono un ladro, è vero, ma così non sto bene, così non sono contento. Vorrei tanto essere diverso, non ce la faccio, ma tu perdona e aiuta».
«Tornò a casa sua giustificato». Il pubblicano è perdonato non perché migliore o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si apre – come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento – si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che ripartorisce in noi la vita.

Impariamo dunque a vivere la preghiera che piace al Signore, quella a cui lui continuamente ci invita. Una preghiera che ci spinge a essere solidali con gli altri, che ci fa stare davanti a Dio con l’umiltà di chi riconosce il proprio peccato; una preghiera che ci impedisce di giudicare gli altri perché svela la verità su noi stessi. Una preghiera che salva, perché autentica.

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