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di Enrico Pinna

“La fotografia è quella di strada in cui si esce dal proprio nido protetto e si va ad incontrare e esprimere gli altri. Nelle strade l’umanità vive, si dibatte, soffre. Tutto questo è a disposizione di chiunque abbia una macchina con un obiettivo”. Cecilia Mangini spiega così, in occasione della grande mostra che celebrava i suoi 90 anni, la sua idea di cinema e di fotografia tesa sempre a rappresentare gli ultimi.

Il suo debutto nel 1958 con Ignoti alla città, ispirato a Ragazzi di Vita di Pasolini: la cineasta contatta lo scrittore che accetta di scrivere un testo per il film. Il corto viene censurato dal ministro Tambroni, con l’accusa di istigazione all’immoralità, ma è l’inizio di una fruttuosa collaborazione che si rinnoverà per Stendalì (Ancora suonano) nel 1960, tratto da Morte e pianto rituale di Ernesto De Martino, giocato su un canto sacro funebre in dialetto greco delle donne di Martano, in Salento. Ancora La canta delle marane (1962), documentario sulle periferie cittadine, ispirato ancora dal romanzo Ragazzi di vita.

A fine anni ’50, insieme a  Lino Del Fra, marito e compagno d’arte, realizza, tra gli altri, All’armi siam fascisti!, Fata Morgana, Leone d’oro a Venezia nel1961, Antonio Gramsci – I giorni del carcere, Pardo d’oro a Locarno nel 1977, Comizi d’amore ’80 (1982) che vent’anni dopo il film di Pasolini torna a indagare il rapporto fra sesso e famiglia in Italia. Sempre presente nel lavoro di Cecilia Mangini, uno sguardo sulla vita in fabbrica, da Essere donne, racconto sulle difficoltà quotidiane delle operaie a Brindisi ’66, sull’impatto della Monteshell in città.

Questa lunga permessa per inquadrare una figura molto nota nel campo del cinema ma abbastanza sconosciuta al mondo della fotografia Le sue immagini riemergono dalle nebbie del tempo in una mostra, “Isole, un viaggio a Panarea e Lipari”, organizzata dall’ISRE. Una rassegna che sarà ospitata nel Museo del costume di Nuoro sino al 22 ottobre e e che fa parte della seconda edizione di IsReal, Festival del cinema del reale, che si aprirà a Nuoro il con la proiezione in anteprima nazionale del film Surbiles di Giovanni Columbu .

Cecilia Mangini è un’autrice che si è sempre concessa grande libertà nella pratica cinematografica e in quella fotografica”, ha detto Alessandro Stellino, direttore artistico di IsReal, nella conferenza stampa in cui era presente la stessa Mangini che ha donato le diapositive  alla collezione dell’ISRE, l’Istituto superiore regionale etnografico.

Cecilia Mangini ha avuto, in passato, diversi incontri con la Sardegna come lei stessa ha raccontato in una lunga intervista: «Torno in Sardegna – spiega – dopo un’assenza lunga quasi sessant’anni, ma di quest’isola non ho dimenticato nulla. Arrivai a Olbia alla fine degli anni cinquanta, chiamata dall’Istituto Luce che mi affidò una commessa dell’Anas: stavano realizzando dei documentari sulla nascita delle strade in Italia, a me affidarono le riprese della Carlo Felice. Ho impresso il primo sguardo che mi si posò addosso: ero ancora “il continente”. Quello sguardo di una fierezza radicata era figlio non tanto dell’isolamento, quanto di una totale, assoluta libertà. In Sardegna non scattai fotografie – ero molto concentrata sulla narrazione– ma conservo moltissime immagini: sono impresse, ieri come oggi, nella mia memoria».(sardianiapost.it)

«Oggi – prosegue – le isole non sono più quelle di allora: sono state rovesciate come un guanto. In Sardegna arrivano turisti come onde, la considerano – a ragione – un paradiso terrestre. Panarea e Lipari sono diventate i pied-à-terre dei miliardari di ogni mondo. Però… però per fortuna – per un miracolo – questo cambiamento non ha compromesso l’anima più profonda delle isole: la bellezza del paesaggio».

Le immagini di Cecilia Mangini, scattate a Panarea e Lipari nel 1952, hanno un sapore e una visione “Pasoliniana” che ci riporta a tempi  e battaglie sociali ormai lontani. Lo stile fotografico è fortemente orientato verso un taglio “cinematografico”, quasi  una lunga sequenza di fermoimmagine successivi che si fanno testimonianza muta e meditata, sempre soffermata sul racconto degli ultimi che ha segnato la vita artistica di questa attenta e ancora energica testimone del nostro tempo.

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