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di Pippo Pracanica*

Suor Angelica, con gioia quasi fanciullesca, ricorda anche un simpatico episodio, l’invito della superiora delle suore di S. Anna, rivolto alle clarisse, ad andare nel vicino istituto per giocare a tombola, durante le feste di Natale.

Naturalmente il progetto, che doveva essere presentato al Consiglio Superiore dei LL.PP., su precise disposizioni di Mons. Paino fu predisposto come se si trattasse effettivamente di ricostruire la sede dell’Episcopio dell’Archimandritato.

 Pertanto giustificabile fu lo sconcerto del prof. Impallomeni quando ebbe modo di esaminare la relazione ed il progetto relativi alla ricostruzione del monastero e della chiesa redatti dall’ufficio tecnico della Curia. Nel progetto, in corrispondenza del frontespizio, al di sopra del portone centrale, vi era scritto Archimandritato e, sopra, veniva riprodotto lo stemma dell’Archimandrita, mentre nella relazione venivano descritti gli uffici dell’Archimandrita, del suo Vicario, altri uffici, gli appartamenti privati, mentre quella che sarebbe diventata la chiesa di Montevergine, veniva descritta come la cappella privata dell’archimandrita. L’unico ad aver intuito le effettive intenzioni dell’Arcivescovo fu il prefetto dell’epoca che, con molta ironia, il 28 agosto del 1926, gli scrisse una lettera per sapere se, nelle spese previste per il progetto dell’Episcopio, circa sei milioni di lire, erano comprese anche quelle per il seminario e per la cattedrale dell’Archimandritato. Senza scomporsi, mons. Paino gli rispose di non preoccuparsi, perché la spesa per le altre opere era già stata prevista nel decreto ministeriale, come certamente era a sua conoscenza. Dalle carte della prefettura, conservati all’Archivio di Stato, non risulta che il prefetto informò Mussolini di quanto aveva intuito. Molto probabilmente sapendo dei buoni rapporti che intercorrevano tra i due, non ritenne opportuno mettere a rischio la propria carriera con iniziative avventate. Quindi, non sappiamo se Mussolini si fece prendere in giro intenzionalmente o meno, anche se era molto attento all’attività di mons. Paino, come si è ricordato prima, a proposito dei due telegrammi, inviati in occasione della ricostruzione del Duomo.

Ulteriore prova che mons. Paino non pensava di rimettere in vita l’Archimandritato, cioè la Chiesa di rito greco di Messina, a prescindere dal fatto oggettivo che non ne esistevano le condizioni, giacché mancavano, nella diocesi, assolutamente, sia il clero che i credenti di tale rito, si ha dal fatto, inoppugnabile, che attese oltre trent’anni, fino al 1963, per ricostruire il capitolo archimandritale. Solo, infatti, in tale anno nominò rettore e canonico della Cattedrale Archimandritale del SS. Salvatore, il salesiano don Francesco Ferlisi, nonché altri 11 canonici e 6 mansionari, come ricorda don Santo Russo nel bel libro che ha dedicato al SS. Salvatore. Naturalmente nessuno dei prescelti seguiva il rito greco! La motivazione effettiva fu dettata dalla necessità di poter far assegnare, ad un buon numero di sacerdoti, la congrua da parte dello Stato, secondo quanto ha confidato uno degli interessati.

 Fece ritornare a Messina anche molte altre Congregazioni che erano andate via in seguito alle leggi eversive o dopo il terremoto del 28 dicembre 1908. La sede dell’Archimandritato, come abbiamo visto, la spartì tra le suore Figlie di S. Anna e le Clarisse della Beata Eustochia; costruì e consegnò case e chiese ai Minori Conventuali, S. Giuliano e S. Francesco all’Immacolata; ai Gesuiti, S. Maria della Scala e l’Ignatianum; ai Salesiani, la Cattedrale dell’Archimandritato ed il Domenico Savio, la chiesa di S. Leonardo in S. Matteo della Gloria ed alle Figlie di Maria Ausiliatrice, il Don Bosco; ai Domenicani, la chiesa di S. Maria del Graffeo, oggi S. Domenico; ai Camilliani, S. Camillo di cui l’annessa canonica fu poi trasformata in Clinica; ai Frati Minori, Porto Salvo e S. Maria del Gesù; ai Rogazionisti, l’orfanotrofio Cristo Re e l’Istituto per sordomuti; ai padri del Terz'Ordine Francescano, S. Andrea Avellino; agli Orionini (Piccola Opera della Divina Provvidenza) l’istituto don Orione e la Chiesa S. Maria Consolata; ai padri Redentoristi il Santuario di Montalto; tre case alle Ancelle Riparatrici.

 Mons. Paino aveva più volte sostenuto che se il Clero era il braccio destro del Vescovo nel governo delle anime, l'Azione Cattolica era senza dubbio alcuno il braccio sinistro. Ecco perché, fra i primi problemi che Egli impostò, fu quello di dare alle Organizzazioni di Azione Cattolica una sede. Prima dell'ultima guerra essa era in via S. Filippo Bianchi e dopo la guerra fu trasferita nell'altra ala del Palazzo Arcivescovile, in modo da occupare tutto il piano terreno, con due ampi saloni e numerose sale per i vari rami maschili, mentre quelli femminili ebbero la loro sede negli appositi locali predisposti accanto alla Chiesa di S. Caterina. E non semplicemente l'Azione Cattolica, ma anche le Organizzazioni affini trovarono in mons. Paino il padre generoso ed ospitale. Nel Palazzo Arcivescovile ebbero infatti la loro sede, oltre le Organizzazioni maschili di A. C., propriamente dette, le A C L I, l'Associazione Artigiani Cristiani, l'Apostolatus Maris, il CIF, il Comitato Civico, l'Ufficio Diocesano Missionario, la presidenza del comitato cittadino delle Dame di Carità e delle conferenze di S. Vincenzo dei Paoli. In altri locali, pure dell'Arcivescovato, sorse la scuola per Assistenti Sociali, dove insegnò anche Ossicini .

L’Arcivescovo si impegnò anche, tenacemente, perché la Corte d’Appello ritornasse a Messina, alla fine avendola vinta. Il declassamento della Corte d’Appello di Messina a Sezione di quella di Catania, sancito con il regio decreto 28 giugno 1923, n.1360, fu motivato dal fatto che, in seguito alle conseguenze del terremoto, le cause in trattazione erano notevolmente diminuite.

 Tali dati furono duramente smentiti, il 26 febbraio 1925, dagli Ordini degli Avvocati di Messina e di Reggio Calabria, che inviarono un memoriale, firmato anche dal sen. Ludovico Fulci, al ministro della Giustizia, che documentava l’attività svolta dai Tribunali di Messina, Reggio Calabria e Patti, nonché dalla Procura della Re e dalla Corte d’Appello, paragonandola,, anche, con quella di altre Corti d’Appello. Le motivazioni del provvedimento legislativo, pertanto, andavano ricercate altrove, forse nella resistenza dimostrata dalla magistratura messinese nel dare corso alle pressanti richieste avanzate dai gerarchi fascisti e dallo stesso Mussolini, specie in occasione di un evento che si era verificato all’inizio di quell’anno, come sostiene Marcello Saija, nel suo volume Un “soldino” contro il fascismo.

 Comunque, a prescindere dalla motivazione effettiva che aveva portato al declassamento della Corte d’Appello di Messina, il 28 ottobre 1928, quando si inaugurò il nuovo palazzo di Giustizia progettato da Marcello Piacentini, Messina era ancora sezione della Corte d’Appello di Catania.

 All’inaugurazione intervenne, in sostituzione del ministro Rocco, impegnato altrove, il sottosegretario di Stato al ministero di Grazia e Giustizia ed, anche, agli Affari del Culto, on. Paolo Mattei Gentili, un deputato popolare che aveva aderito al fascismo.

 Ad accoglierlo, alla stazione marittima, alle 7 del mattino, era  presente, oltre alle autorità cittadine ed ai magistrati, anche mons. Angelo Paino, che aveva lunga dimestichezza con il sottosegretario per aver trattato con lui, dopo il via libera di Mussolini, tutte le pratiche relative al patrimonio edilizio ecclesiastico della Diocesi di Messina, dalla ricostruzione del duomo alla costruzione delle nuove chiese.

 Ed appunto come sottosegretario degli Affari del Culto, secondo quanto riferito dai giornali dell’epoca, finita la cerimonia ufficiale, Mattei Gentili, accompagnato dall’Arcivescovo, volle visitare il Duomo e la chiesa di S. Francesco all’Immacolata, i cui lavori erano in fase di ultimazione e dove ritornò anche il pomeriggio. Visitò anche la chiesa di S. Lorenzo, più nota come Madonna del Carmine, i cui lavori di costruzione, su progetto dell’architetto Bazzani, erano iniziati da qualche giorno. A proposito di Bazzani, che tra l’altro aveva progettato il Palazzo del Governo, mons. Foti raccontava che in un colloquio chiesto a mons. Paino si era lamentato che, in seguito alla politica antimassonica portata avanti da Mussolini e dai fascisti in genere, lui non riusciva a trovare lavoro. Paino lo rassicurò che lui non subiva imposizioni da parte di nessuno e che anche la famiglia dell’architetto aveva diritto a mangiare, per cui commissionò la realizzazione di due chiese, S. Lorenzo, meglio nota come Madonna del Carmine, e S. Caterina Valverde. Mons. Paino che tutta la vita aveva combattuto contro la Massoneria, sapeva distinguere tra la struttura e l’uomo massone!  

Fu durante uno dei sopraluoghi, ricordati sopra, che mons. Paino ebbe a dire, scherzosamente, all’on. Mattei Gentili “Lei non partirà di qua se non ci assumerà formale impegno di ridarci la Corte d’Appello.” E Mattei Gentili mantenne l’impegno, anche se, nominato senatore, non era più sottosegretario al Ministero di Grazia e Giustizia. Infatti, con il decreto 23 ottobre 1930, n. 1428, che riordinava gli ambiti delle Corti d’Appello, Messina ritornava ad essere sede di Corte d’Appello con competenza sui tribunali di Messina, Reggio Calabria e Patti.

*Medico

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