giovanni giardinaNon chiusi n'occhiu
recitata da Giovanni Giardina 

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Tratta da “ ARSURA D’AMURI “   Omaggio di Alfio Patti

La biografia della poetessa Graziosa Casella

(Catania 1906-1959) adesso è in un saggio dal titolo “Arsura d’Amuri” scritto da Alfio Patti e pubblicato dalla Bonanno editrice con la prefazione di Giovanna Summerfield. Una vera e propria scoperta se consideriamo che di questa poetessa catanese si conosceva poco o nulla.

Unica donna assidua frequentatrice di circoli culturali, apprezzata in vita dai migliori poeti dialettali del Novecento ma anche molto chiacchierata a seguito delle sue tempestose passioni amorose che tanto scandalo a quel tempo destarono, Graziosa Casella tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento impose il proprio sigillo di libertà alla claustrale condizione femminile del suo tempo.

I suoi scritti rispecchiano fedelmente uno stile di vita aperto e disinvolto; l’accostamento alla più celebrata poetessa Mariannina Coffa Caruso che figura in prefazione non è perciò del tutto azzardato.

Partendo dalla rivista “Arte e Folklore di Sicilia” che negli anni ‘70 dello scorso secolo aveva inserito il nome della Casella tra i poeti dimenticati, con raffinata abilità filologica Patti è riuscito a mettere insieme e ricucire brandelli documentali sparsi qua e là. Il nome di Graziosa Casella non figura in nessuna antologia.

Prima di morire avrebbe consegnato due manoscritti a poeti catanesi perché li pubblicassero; si trattava-sostiene Patti-di due raccolte che non videro mai la luce: “Ciuri di spina e “Autunnu e primavera”. Focosa,libera, pungente, Graziosa Casella

Lottò con determinazione contro quel mondo che da subito le si mostrò ostile: “Chi cunta lu giudiziu di la genti/ca  nenti sapi di la me pirsuna?/ C’è ‘ncelu Gesù Cristu onnipotenti/e lu me cori ad iddu s’abbannuna./(…). Dai suoi versi in vernacolo Siciliano ma anche in lingua, traspare una padronanza espressiva molto rigorosa.

Quando nel secondo dopoguerra scoppiò la diatriba tra i poeti siciliani innovatori e i cosiddetti “Parnasiani”, ella non esitò a schierarsi con questi ultimi: “Oh! Bedda puisia ‘nta quali manu/ cascasti e quali sorti avisti ria!/a vidiri li sfregi ca ti fanu/vugghi lu sangu e l’arma s’angustìa!/ Sti barbari vinuti di luntantu/vili mircatu ficiuru di tia.

Molti tra gli oltre duecento titoli rintracciati, scritti per la rivista “Lei è lariu”, hanno in comune l’amore struggente per un uomo più giovane di lei sposata e madre di cinque figli. Un amore che la devastò dentro fino a farla sentire autenticamente schiava: “E’ veru si, s’avissi diciottanni,/ o puru vint’ottanni, comu a tia,/non li patissi tanti disinganni/né mi vinissi ‘sta malinconia.