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di Diego Celi

C'erano una volta i partiti che preparavano e formavano la futura classe dirigente "i cosiddetti rappresentanti del popolo". Erano questi conosciuti, avevano fatto gavetta e solo pochi erano figli d'arte. Il territorio li conosceva, parlavano e manifestavano idee e propositi, narravano una società, ascoltavano le istanze dei cittadini, regalavano un sogno. Tangentopoli fece tabula rasa di tutti i partiti, stranamente si salvò solo il PCI perchè il compagno Greganti tacque. Nonostante Craxi in parlamento sfidò tutti i segretari dei partiti ad ammettere la stortura del finanziamento illecito, l'ignavia ebbe il sopravvento.

La morale sovrastò la politica e la magistratura divenne trascendentale. Al dibattito e alla contrapposizione delle idee si sostituì l'avviso di garanzia come mezzo per abbattere l'avversario. La questione morale ebbe il sopravvento sulla politica "arte dello Stato". Scriveva A. Malraux: "Non si fà politica con la morale, ma di questa non si può fare a meno". Prima, avevano espresso lo stesso concetto, Niccolò Machiavelli e Max Weber. Ma il colpo ferale alla dignità della politica è stato dato dal porcellum e dal rosatellum, leggi elettorali che non eleggono ma nominano. Gli elettori non conoscono i propri rappresentanti calati dall'alto e decisi da un cerchio magico di fidelizzati al cosiddetto leader di turno: famigli, internauti o magistrati. In nessun Paese europeo la scelta dei parlamentari avviene in questo modo!

Una classe dirigente simile non ha storia, cultura politica o radicamento sul territorio. Esempio paradigmatico è l'ex presidente del Consiglio (Giuseppe Conte) che da emerito sconosciuto senza arte nè parte, privo di esperienza e competenza specifica è divenuto primo ministro. Purtroppo si è convinto non solo di essere Cesare Augusto, ha soprattutto assunto i toni moralizzatori di Savonarola.

Ma poichè le sciagure non sono mai isolate, il panorama dei candidati al prossimo parlamento europeo ha raggiunto l'apoteosi dell'assurdo. Mentre nel mondo soffiano venti di distruzione, sarebbe necessario che uomini e donne competenti e con una storia certificata venissero votati al parlamento europeo. Stiamo assistendo invece a candidature che lasciano sbigottiti e scoraggiati, prive di sostanza e di esperienza. Il dittico "uno vale uno" è una offesa all'intelligenza, soprattutto umilia l'elettore. C'è il rischio concreto che le urne restino vuote. 

NOTIZIARIOEOLIE.IT

13 DICEMBRE 2023

L’intervista del Notiziario al prof. Diego Celi, il chirurgo scrittore

Lipari, il bus elettrico che la giunta Gullo ha affidato alla ditta Urso è sempre piu' operativo...

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La crisi profonda dell'Antimafia 
Accessi abusivi, commissioni d'inchiesta, scioglimento di Comuni e patenti di legalità rivelatesi bufale (cfr. il caso Montante).  Eppure, grazie a questo Moloch, tanti hanno costruito la loro carriera, anche politica, con ruoli istituzionali di primissimo  piano. Lo sfavillante e quasi liturgico apparato ha palesato in più circostanze crepe dando l'impressione di essere una terra di mezzo, un'arma da brandire contro chi si vuole distruggere. 

L'evaporazione dei partiti ha causato una crisi profonda della politica, oggi rappresentata da nani e ballerine nominati dai  segretari di pseudo partiti, grazie ad una legge elettorale mafiosa retta da una Cupola. È stato facile per l'antimafia occupare il campo e sconfinare: esempio realizzato di campo largo. Leonardo Sciascia (a cui non può essere attribuito l'aggettivo fascista) coniò il termine di "mafia dell'Antimafia": aveva capito tutto! È buffo pensare che l'Istituto in oggetto venne istituito  da Giulio Andreotti, che per l'Antimafia si "baciò con Riina". 

Forse è il momento di rivedere questo Istituto e ricondurlo nell'alveo del diritto da cui sembra essersi allontanato come i fatti di cronaca documentano. Il Paese necessita di una "giustizia giusta" non autoreferenziale e dogmatica, i magistrati devono essere uomini di legge non apostoli di una religione. 

La Repubblica è laica non confessionale e, anche chi amministra giustizia, è soggetto alla Legge. Errare è umano,  perseverare è diabolico. Il tema giustizia dovrebbe essere percepito dai cittadini come esistenziale, mentre è invece vissuto come un ring nel quale l'avversario diviene nemico. A volte succede, però, che il coltello della giustizia affondi la lama nella nostra carne.... lo spettacolo cambia, la vita diventa un inferno. Si spera che la giustizia sia giusta

L’Abruzzo non ama i pavoni
Gli abruzzesi non hanno tenuto in grande considerazione le metafore zoologiche di Bersani e l’alchimia elettorale di Bettini. Il centrodestra ha asfaltato in maniera netta il cosiddetto campo largo. In Sardegna, infatti, il centrodestra ha perso per propri gravi demeriti, ma è bastato proporre un candidato appena sufficiente per vincere a mani  basse:
Marsilio non è De Gaulle, ma al contrario di Truzzu era spendibile. Il popolo che vota per il centrodestra non ama i litigi, al contrario vuole essere rassicurato. 

Eppure la vittoria in Sardegna è stata considerata campale: “il vento è cambiato, le matite hanno vinto  sui manganelli”. Forte di questa convinzione la “nueva Evita” sarda è diventata il volto televisivo della riscossa e si è trasformata in una Ferragni del consenso. In realtà anche nelle elezioni regionali della Lombardia era assurta (ipse dixit) ad influencer del consenso ma con scarsissimi risultati. In riferimento a questi ultimi giova ricordare che il suo partito (M5S) in Sardegna non è stato un top player e in Abruzzo ha perso il 12 per cento rispetto alle  elezioni politiche del 2022 e alle elezioni regionali del 2019. 

Ma la “nueva Evita” sarda e Conte si sono atteggiati a pavoni e, come narcisi, si sono specchiati considerandosi belli, bravi e invincibili, ma l’Abruzzo è terra di lupi non di pavoni o galli cedroni. Suscita, poi, insofferenza leggere o ascoltare le analisi degli opinionisti schierati a sostegno del campo largo quando affermano: “l’astensionismo ha fatto vincere il centrodestra”. Una domanda: in Sardegna la percentuale dei votanti è stata sovrapponibile a quella
dell’Abruzzo, come mai in un caso è vittoria campale e nell’altro è una vittoria dimezzata? 
Quale valutazione matematica o filosofica supporta tale considerazione? La risposta è semplice: una sindrome rancorosa. 

Per meglio comprendere la vacuità e la inconsistenza dei pavoni descritti basterebbe leggere “Il cavaliere  inesistente” (Italo Calvino, 1958). I protagonisti di questo romanzo sono due paladini di Carlo Magno: il cavaliere  inesistente, di nome Agiulfo, è rappresentato da una lucida armatura vuota (leggi Conte), mentre Rambaldo è  figura insignificante (leggi Todde). Sarebbe opportuno che gli apostoli del centrosinistra riflettessero seriamente sul risultato elettorale del Portogallo che ha visto dopo dieci anni soccombere la sinistra. A meno che, le metafore  zoologiche e le alchimie elettorali, non vengano considerate pozioni salvifiche e assoluti strumenti del consenso. 

 

 

Spiare attraverso il buco della serratura

Gli accessi abusivi, perpetrati da un sedicente tenente della finanza in servizio all’antimafia, di cui si è venuto a conoscenza provocano paura, suscitano domande e necessitano risposte. Sembra di assistere alla recente serie Netflix: House of cards. Ritornano in mente pagine che si sperava non leggere più: P2, Gladio e il più recente Caso Montante che un vero giornalista (Enzo Basso) ha documentato in due recenti saggi.

L’inquietudine e la paura di essere spiati e intercettati come volgari delinquenti dovrebbe fare insorgere l’opinione pubblica e, i cosiddetti giornali, cani da guardia del potere dovrebbero essere in prima fila per garantire la vita privata dei cittadini, almeno con lo stesso impegno con il quale tutelano la vita di orsi e lupi. Non sembra che questi illustri opinionisti che vivisezionano l’attuale governo manifestino lo stesso slancio. Appare poi quantomeno inopportuno che i Procuratori nazionali antimafia siano stati posti su poltrone parlamentari europee e nazionali. A meno non si voglia fare credere che nel loro dna vi sia il gene della tuttologia. Ma già sono nominati non sono eletti! Una sorta di Spectre, attraverso il buco della serratura spia per mettere il bavaglio a chi non si vuole omologare al pensiero comune e alla ridicola teoria dell’imminente dittatura. Quanto è venuto alla luce è molto grave ed è espressione di menti raffinatissime che con il dossieraggio sistemico vogliono ottenere ció che il consenso popolare non ha loro permesso.

Non si tratta solo di una mela marcia o di un infedele servitore dello Stato, è necessario, almeno questa volta, svelare il volto del burattinaio. La verità potrà permettere al Paese di avere le riforme necessarie e rafforzare le istituzioni indebolite dai fatti emersi. La delegittimazione è una tecnica antica e sperimentata: Giovanni Falcone ne è stato la vittima più illustre. Scrive Alessandro Barbano (La gogna): “Perchè gli errori si ripetono, i ritardi incancreniscono, le riforme saltano o quando pure si fanno sono irrilevanti?

Per questa domanda ci sono due risposte collegate fra loro. La prima riguarda la distanza dei cittadini dal problema. La giustizia è percepita come una cosa di altri, salvo poi scoprirne l’insostenibile prezzo quando se ne viene a contatto”.
Più che della Ferragni, la cosiddetta intellighenzia della carta stampata e della Tv dovrebbe interrogarsi su ciò. Non è possibile o non si vuole? La domanda necessita di risposta.

Il risultato elettorale in Sardegna può essere stato una slavina, ma l'esito negativo del voto in Abruzzo per il centrodestra può rappresentare una valanga.
Qualunque elezione ha un significato politico, sebbene ogni tornata elettorale presenta peculiarità diverse nell'approccio al consenso. Le elezioni amministrative (comunali e regionali) sono profondamente diverse dal voto nazionale. Nelle prime il cittadino ha la facoltà di scegliere simbolo e candidati, nelle seconde, in virtú di una legge elettorale iniqua e autocratica, l'elettore sceglie solo il simbolo: i rappresentanti del popolo sono, infatti, nominati nelle segrete stanze del partito e scelti dal leader del partito.

Diversamente, nelle elezioni locali, il candidato deve meritarsi il consenso convincendo gli elettori a votarlo. In Sardegna il centrodestra ha ritenuto che fosse bastevole l'appeal del Presidente del Consiglio. Era necessario invece puntare su un candidato-governatore che portasse un valore aggiunto alla coalizione. Non è stato cosí, lo dimostrano i numeri impietosi che hanno sancito la sconfitta. Che motivo c'era di piantare bandierine di appartenenza, quando con il premio di maggioranza FdI poteva avere una maggioranza schiacciante in Consiglio Regionale? Un vecchio saggio diceva "bisogna vincere ma non stravincere". La sconfitta possa essere da monito e insegnamento. Incombono le elezioni Europee: una disfatta in Abruzzo avrebbe conseguenze nefaste per l'esito di queste elezioni e sarebbe un vulnus per il governo. Le vittorie uniscono mentre le sconfitte dividono!

In Sardegna, il centrodestra non ha capito che non si trattava di elezioni nazionali e che non era sufficiente l'appeal del Presidente del Consiglio per vincere. Alessandro Magno conquistò mezzo mondo, partendo dalla piccola Macedonia, ma aveva generali competenti e soldati valorosi. Giorgia Meloni non ha con sé queste truppe e deve essere consapevole, altrimenti perirá. Un altro problema della coalizione del centrodestra è rappresentato da Salvini. Il leader della Lega si dimena in modo scomposto e rischia di cadere rovinosamente il 9 Giugno. La politica è arte che richiede competenza e capacità, non è un circo Barnum dove, per vanità, ci si può atteggiare a gallo cedrone. Il ruolo del pavone è occupato già da Conte e dal politicamente corretto del PD.

 

È morto in esilio. Il suo scalpo era il vero trofeo da esibire e lo scopo palese di quella campagna moralizzatrice definita "Mani pulite". Il suo discorso in parlamento, nel quale invitava tutti i partiti ad assumersi la responsabilità di dire come funzionava il sistema del finanziamento ai partiti, venne ignorato.

Tutti i partiti politici percepivano risorse illegali soprattutto il PCI, ma tutti pensarono di farla franca. Stranamente solo il Partito Comunista venne salvato: il compagno Greganti si sacrificò, ma prevalsero altre logiche presenti anche oggi. L' eliminazione prima politica e poi fisica di Bettino Craxi segna un punto di non ritorno caratterizzato dalla evaporazione dei partiti e dalla comparsa e affermazione di influencer della politica.

Nella prima Repubblica si chiamavano nani e ballerine, oggi in ossequio al politicamente corretto, si preferisce una dizione anglosassone.
Di fatto la politica è morta, le urne sono vuote, il declino è inarrestabile. In campo e fuoricampo personaggetti incolori e privi di visione, dediti a scrivere post senza argomentare temi e incapaci di progetti. Lo Stato è un pandoro, la giustizia un mezzo per disfarsi dell'avversario, i diritti civili una foglia di fico per nascondere il vuoto e mascariare l'incapacità di progettazione.

Paragonare questa pseudo classe politica con Bettino Craxi è una offesa alla ragione. Egli resta l'ultimo vero patriota! Vero uomo di Stato, sapiente politico e gladiatore. Il Paese gli deve tanto. La storia un giorno di certo gli renderà onore, oggi le sue idee e il suo carisma mancano. Ma questo è un Paese che discute di Chiara Ferragni e di Selvaggia Lucarelli, invece di vergognarsi delle monetine lanciate contro un italiano capace e competente.

 

 

La semplice storia di mio padre è un breve pamphlet scritto da Gaetano Falcone (Lithos Edizioni 2003). Lo scritto narra la  storia del padre Bruno, che come tanti emigranti lascia la propria terra in cerca di fortuna. Bruno Falcone, a 11 anni, viene  affidato dai genitori ad un amico di famiglia che partendo da Tramonti (SA), definita la repubblica dei pizzaioli migranti, si era  affermato. Anche Bruno Falcone realizza il suo sogno e, infatti dopo anni di duro lavoro diviene titolare della pizzeria Maxim a Padova. 

Spesso i figli manifestano quella che il grande Konrad-Lorenz definì l’ubbidienza ritardata, ma che nel rispetto dei genitori e  della tradizione, garantisce il fondamentale equilibrio del vivere. Non è un testo celebrativo, ma una storia vera perchè il  racconto del figlio non nasconde i limiti e i difetti di un padre per il resto tanto amato e venerato.  

Persino i suoi vizi che non vengono annullati in una catartica abreazione, sono mostrati mentre accompagnano la sua  fortuna professionale (dalla postfazione di Raffaele Manduca). Nel Veneto divenuto dagli anni ‘70 terra di immigrazione,  Bruno Falcone si inserisce, lotta e si afferma portandosi dentro tuttavia la Costiera Amalfitana ricca di colori e piante  mediterranee, i muretti a secco a difesa delle frane, un modo di sentirsi sospesi per sempre in bilico sull’emozione di sinfonie e richiami che ti entrano dentro... (dalla prefazione di Enzo Basso). In questa avventura la moglie Raffaella è stata il porto sicuro, la pietra angolare. 

Mia madre, scrive l’autore ha governato la biga alla quale era attaccato mio padre, ma questi da purosangue spesso ha mal sopportato le briglie. Divenuto paron, Bruno deve affrontare la crisi finanziaria del 2008 nata in America in seguito ai mutui subprime che investe tutto il mondo. In seguito a ciò la ristorazione è duramente colpita e le banche non brillano per generosità. Ma il carattere indomito, l’ottimismo e la professionalità permettono di superare il momento di difficoltà.

Quando tutto sembra rasserenarsi, Bruno Falcone muore per ischemia miocardica acuta. Aveva 56 anni. Per la famiglia Falcone è un duro colpo: al dolore per la perdita del caro congiunto si associa il disagio per la gestione dell’attività lavorativa. Fu in quel momento che Maria mia sorella, scrive Gaetano Falcone, dimostra il suo carattere di leonessa: è presente in questa giovane madre un carattere indomito, un attaccamento viscerale alla famiglia e alle tradizioni alle quali è stata educata fortissimi. 

Come nella saga dei Florio, in questa famiglia, ci sono donne eccezionali che sacrificano tutto per la stabilità come Raffaella  o per continuare una tradizione lavorativa come Maria. Nell’arte ereditata, si perpetua la memoria del padre: una memoria  fatta del palpitante, ma immateriale affetto dei figli e della sposa. Questa storia, che il figlio narra è anche un riuscito  esempio di integrazione di chi ha inciso positivamente nel territorio del suo nuovo insediamento. Un lascito, quello di Bruno  Falcone, che la seconda generazione dovrà trasmettere a sua volta in futuro. 

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