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La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato un documento sul disegno di legge relativo allo Sviluppo delle isole minori marine, lagunari e lacustri, recentemente approvato dal Senato e che ora è all’attenzione della Camera, che è stato trasmesso dal presidente Stefano Bonaccini al ministro per gli affari regionali e le autonomie, Erika Stefani e alle Commissioni bilancio e ambiente della Camera alle quali è stato assegnato il provvedimento.

Le Regioni ricordano che avevano già «rilevato nella stesura iniziale alcune criticità rispetto alle azioni e agli interventi che, in alcuni casi, incidevano in maniera pervasiva sulle competenze legislative regionali. Il testo approvato, che nasce dal lavoro della Commissione in sede redigente, è certamente migliorativo rispetto a quello iniziale, ma può “essere ulteriormente migliorato, anche in relazione ai meccanismi di ripartizione delle risorse finanziarie ivi previste»

Nella lettera inviata alla Stefani, Bonacini scrive che «Ora, alla Camera, Le chiedo di farsi portavoce delle istanze regionali».

Ecco il testo integrale delle Valutazioni in merito al disegno di legge sullo Sviluppo delle isole minori marine, lagunari e lacustri (s 497 e abb.) delle Regioni:

Questioni di carattere generale. Il disegno di legge AS 497, nel testo approvato dalla Commissione e ora all’esame dell’Aula, seppur migliorativo rispetto al testo iniziale presentato, disponendo su un ampio spettro di finalità e obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2, interviene in materie di competenza statale e regionale, a volte non tenendo conto delle prerogative riconosciute.

Le Regioni, esaminato il testo, rilevano la necessità di una profonda revisione utile a consentire – mantenendo inalterata la finalità del provvedimento – di pervenire ad una legislazione statale adeguata agli obiettivi che si intendono perseguire, alle risorse finanziarie disponibili, alla valorizzazione degli interventi delle Istituzioni locali interessate e, in particolare, al rispetto delle competenze costituzionalmente garantite.

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Pertanto appare necessario che il provvedimento: stabilisca, nelle materie di competenza regionale esclusiva o concorrente, la piena compartecipazione delle Regioni alla programmazione degli interventi aggiuntivi finanziati dallo Stato e da questo vincolati alle azioni di tutela e sviluppo delle isole minori; 

eviti, nelle materie di competenza regionale esclusiva o concorrente, disposizioni invasive non conformi al dettato costituzionale;  preveda le opportune discipline derogatorie di normativa di esclusiva competenza statale, evitando in particolare che in tali settori siano “chiamate in causa” le Regioni.
In questo contesto le singole disposizioni della legge attinenti a specifiche materie (articoli da 7 a 21) devono essere riformulate in coerenza con i due obiettivi di fondo della legge: indicazione delle disposizioni derogatorie di disciplina statale, indicazione delle azioni di rafforzamento per le quali sono previste le risorse aggiuntive statali. Pertanto, ogni prescrizione puntuale alla Regione su misure che devono essere adottate in via obbligatoria, al di fuori delle azioni di rafforzamento finanziate con le risorse aggiuntive che la legge mette a disposizione e nei limiti di queste, costituiscono oneri aggiuntivi per la Regione e devono essere dotate di specifica copertura finanziaria.

La programmazione degli interventi. Il testo del ddl ripropone la sostanza del sistema di programmazione (incentrato sul DUPIM) degli interventi aggiuntivi statali. Questa, tuttavia, non appare oggi una scelta adeguata, soprattutto in ragione dell’ampio spettro degli interventi aggiuntivi per i quali si prevede il finanziamento statale, spesso rientranti in materie di competenza regionale e, per questo, oggetto di programmazione, settoriale e/o territoriale, da parte delle Regioni.

Le Regioni hanno in corso numerose iniziative verso le isole del proprio territorio, a testimonianza del fatto che il tema dello sviluppo di questi territori non è un fatto nuovo (né per lo Stato né per le Regioni), e che una legislazione statale innovativa è tenuta a prendere le mosse da questa realtà, contribuendo con risorse aggiuntive a rafforzare l’impegno di tutte le Istituzioni della Repubblica.

Occorrerebbe, pertanto, costruire un sistema di programmazione degli interventi finanziati con risorse statali che preveda, fin dall’inizio, una condivisione delle scelte di intervento tra i soggetti (enti locali-Regione-Stato) interessati.

Si possono a tal fine utilizzare diversi schemi di programmazione e finanziamento degli interventi, più flessibili, semplici ed efficaci. Sulla base delle esperienze già in corso (es. interventi in favore delle “aree interne”, sostegno all’associazionismo comunale, finanziamento interventi di edilizia scolastica, “Fondo nazionale integrativo dei comuni montani” del Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie, ecc.), nonché delle criticità o delle buone pratiche riscontrate, lo schema certamente più efficace appare il seguente:

– atto iniziale di riparto delle risorse statali, da effettuare sulla base di criteri condivisi tra Stato, Regioni e comuni isolani (nella sede istituzionale ritenuta più opportuna, Conferenza Unificata o “Comitato istituzionale per le isole minori”). L’atto di riparto dovrà tenere conto degli interventi che attengono alle competenze regionali e statali, e quindi sarà in favore delle Regioni interessate per gli interventi in materie di competenza regionale (esclusiva o concorrente), e in favore dello Stato per interventi in materie di sua competenza esclusiva (e che lo Stato gestirà secondo criteri condivisi con gli enti locali interessati e definiti nelle sedi istituzionali proprie);

– programmazione territoriale degli interventi e gestione delle risorse statali aggiuntive (vincolate) affidata ad accordi di programma o altri strumenti consensuali previsti dalla legislazione regionale tra Comuni e singola Regione, su proposta dei comuni medesimi, integrativa e/o attuativa degli interventi previsti negli atti di programmazione regionale, generali e/o settoriali. Nello strumento di programmazione, circoscritto – come si è detto – alle materie di competenza regionale, saranno specificati gli interventi da realizzare, le risorse finanziarie necessarie nonché i soggetti attuatori.

E’ importante che le risorse finanziare statali afferenti alle competenze regionali transitino dal bilancio regionale in quanto altri tipi di soluzioni che scollegano il soggetto che eroga risorse da quello che istruisce/valuta i progetti non sono risultati efficienti. Si veda, a questo proposito, la recente esperienza del bando relativo al “Fondo nazionale integrativo dei comuni montani” del Dipartimento per gli Affari regionali e le Autonomie (DAR), in cui alla Regione è stato affidato il ruolo di istruire le richieste pervenute elaborando una graduatoria basata sui parametri contenuti nel bando nonché di verificare i rendiconti e di inviare i risultati al DAR. La complessità di questa procedura comporta notevoli ritardi nell’adozione degli atti di impegno da parte statale, pur in presenza di “graduatorie” asseverate, cosicché progetti già “maturi” al momento della presentazione rischiano con il passare del tempo di diventare inattuabili o quantomeno poco efficaci.

Va da sé che un sistema di programmazione siffatto dovrebbe essere soggetto a monitoraggio statale, di modo che si possa far fronte anche ad eventuali inadempienze regionali. Peraltro, a questo inconveniente è possibile porre rimedio fissando come condizione del riparto delle risorse statali in favore delle singole Regioni l’adozione da parte di queste di un autonomo atto di programmazione degli interventi che si prevedono nei territori insulari sulla base delle risorse già gestite dalla Regione, di modo che le risorse statali aggiuntive abbiano già uno strumento generale a cui fare riferimento e da sviluppare secondo le indicazioni della legge.

L’alternativa a questo sistema basato sulla programmazione regionale e locale è una programmazione concertata, sul modello delle cd. “aree interne”, che consenta di condividere tra enti locali, Regione e Stato sia le esigenze del territorio sia gli impegni di ciascun soggetto, stipulando, Regione per Regione, un accordo sulla base del quale sono utilizzate le risorse statali (a integrazione di quelle gestite dalla Regione), sono individuati i soggetti attuatori, sono monitorati e controllati gli stati di avanzamento degli interventi; una programmazione di questo tipo – che comporta anch’essa un “riparto” delle risorse statali per Regione – consente peraltro di assumere decisioni su materie di competenza statale e regionale. Essa, tuttavia, presenta un grado di maggiore complessità rispetto a quella indicata precedentemente.

E’ pertanto necessario effettuare un riorientamento generale del testo, incentrandolo sul livello di programmazione regionale di riferimento e di programmazioni locali condivise sul territorio con i comuni interessati, superando il sistema DUPIM-PIST, e comunque riorientando il contenuto del DUPIM in funzione del riparto delle risorse statali aggiuntive (verso Regioni e Stato).

Esame dell’articolato. In aggiunta alle questioni di carattere generale entrando nel merito dell’articolato si evidenziano criticità da superare per gli aspetti di interesse regionale:

Articolo 1. Al comma 1 si suggerisce l’inserimento, dopo le parole “sotto il profilo naturalistico”, delle parole “, paesaggistico, agricolo, produttivo e”. Il riferimento, contenuto al comma 2, alle disposizioni della l. 42/2009 appare incongruo, in quanto nessuna delle disposizioni citate innova il sistema dei decreti legislativi e delle norme transitorie ivi indicate.

Il comma 4 sembra abilitare, per inciso, i comuni isolani a costituire consorzi, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale per l’esercizio delle funzioni in materia di servizi sociali. Risulta evidente che, qualora questa fosse l’intenzione, la norma abiliterebbe i comuni isolani a costituire soggetti ulteriori rispetto a quelli (unioni di comuni – tra cui devono ritenersi che rientrano anche le cd. comunità isolane o di arcipelago – o consorzi sui servizi sociali) previsti per l’esercizio associato delle funzioni, i quali a oggi costituiscono riferimento necessario per la legislazione regionale.

La disposizione del comma 5 non ha effettivo contenuto normativo, e tuttavia appare necessario espungerla dal testo, in quanto pone le Regioni in una posizione impropria rispetto ai prevalenti obblighi di promozione dell’uguaglianza che sono in capo allo Stato. In sostanza, non risulta corretto che sia posta a esclusivo carico delle Regioni – con norma programmatica di dubbia valenza costituzionale, stante la lettera m) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione – la garanzia dell’attuazione dell’articolo 3 della Costituzione nelle isole minori, per il fatto che queste, ovviamente, sono – come ogni territorio nazionale – parte di una Regione.

Articolo 2. Si propone: a) l’inserimento, alla lettera d, dopo la parola “turismo”, delle parole “e gli sport legati al mare”;

b) l’inserimento, alla lettera q, dopo la parola “carceraria”, delle parole “e di quelle militari dismesse”.

Articolo 3. Sul sistema di programmazione si rinvia a quanto specificato al precedente punto del documento. In tale contesto, appare più corretto prevedere che il Comitato per le isole minori (comma 6), sia previsto con compiti specifici nell’ambito del sistema di programmazione prescelto, quale sede di concertazione Stato-Regioni-Comuni sugli atti statali che devono essere adottati (riparto delle risorse, eventuale gestioni diretta statale delle risorse in caso di inerzia regionale).

Infine, al comma 6, lettera c), relativamente alla composizione del Comitato istituzionale per le isole minori, occorrerebbe riformulare la norma prevedendo che il sindaco sia scelto d’intesa tra i comuni delle isole marine o dall’ANCI. Si segnala l’opportunità di prevedere sul Decreto del Ministro degli Affari regionali di cui al comma 1 il parere della Conferenza Unificata.

Articolo 4. Non risulta chiara la finalità del Fondo di sviluppo delle isole minori (di cui all’articolo 2 della legge 244/2007), la cui dotazione viene incrementata dall’articolo 4 del ddl per sostenere il finanziamento degli interventi. Il riferimento alle “finalità di cui all’articolo 1” della legge sembra porre il finanziamento aggiuntivo in una dimensione più generale e non in stretto collegamento con le azioni di rafforzamento previste dagli articoli 7 e seguenti. Sembra configurarsi un sistema a più “uscite” con interventi sicuramente ascrivibili al Fondo di sviluppo delle isole minori, interventi che vi possono rientrare, interventi probabilmente esclusi perché da finanziare con altri strumenti (o da parte delle Regioni), perfino interventi che possono essere finanziati “in concorrenza tra di loro”.

Infine, deve notarsi che non vi è alcun riferimento alle risorse previste dalla legislazione statale su piccoli comuni (l. 158/2017), cosicché non è dato sapere se quelle del Fondo di sviluppo delle isole minori sono utilizzabili in via alternativa o sono cumulabili.

Ciò per dire che la norma presenta notevoli criticità, sia di impostazione sia applicative. Appare pertanto necessario, nell’ottica dell’intervento statale di rafforzamento, che la finalità del Fondo di sviluppo delle isole minori sia chiaramente indicata, quale strumento volto a rafforzare in via prioritaria talune azioni, in materie di competenza statale o regionale, in settori specificamente indicati dalla legge (articoli 2, articoli 7 e seguenti eventualmente riformulati).

Se invece, in realtà, la volontà è di costituire, tramite il Fondo di sviluppo delle isole minori, una occasione per dotare gli enti locali interessati di risorse aggiuntive avulse dalle priorità strutturali indicate nella stessa legge, quindi al di fuori di ogni sinergia interistituzionale, non vi è alcuna necessità di progettazioni e cooperazioni, essendo sufficiente stabilire un sistema di “bando” o di riparto delle risorse per ogni comune interessato, indicare le spese ammissibili, e disciplinare le rendicontazioni. Ciò, ovviamente, comporta la riscrittura complessiva del testo e la soppressione di ogni norma riguardante le competenze regionali, secondo una scelta in linea con il sistema di relazioni istituzionali prevista dalla l. 158/2017 sui piccoli comuni. Della qual cosa le Regioni prenderanno atto, richiedendo unicamente di essere adeguatamente informate degli interventi finanziati, in modo da evitare inutili e costose sovrapposizioni.

Articoli 7, 8, 9 e 10. Il meccanismo di censimenti e ricognizioni previsto, oltre alla complessità dal punto di vista amministrativo, prevedendo il ricorso a intese e negoziazioni, non è chiaro negli effetti che intende produrre nei confronti delle amministrazioni interessate.

Articolo 11. Relativamente al fabbisogno di personale destinato all’accoglienza turistica e alla sua qualificazione professionale, la norma non tiene conto che in materia di organizzazione dei servizi turistici e di formazione professionale le Regioni hanno competenza legislativa primaria, per cui lo Stato dovrebbe limitarsi a prevedere norme che ampliano la capacità assunzionale dei comuni isolani finalizzata al rafforzamento dei servizi di informazione e accoglienza turistica direttamente gestiti dai comuni medesimi.

Articolo 12. Le disposizioni riguardano il diritto all’assistenza sanitaria, materia di competenza regionale concorrente. Le Regioni operano già nel senso indicato dalle disposizioni, che tuttavia non tengono conto della diversa realtà delle isole dell’allegato A e delle riorganizzazioni già avvenute, dei progetti regionali che sono scaturiti dal progetto nazionale pilota per l’ottimizzazione dell’assistenza sanitaria nelle isole minori e località caratterizzate da difficoltà di accesso[1], nonché degli impegni assunti in presenza di risorse statali insufficienti.

Si ritiene pertanto necessario che la norma sia riformulata, in accordo con le Regioni, affinché siano individuate le misure effettivamente innovative da inserire, ne siano quantificati gli oneri e assicurato il finanziamento statale.

Articolo 14. In materia di protezione civile, stante le competenze dei sindaci e dei comuni, appare improprio stabilire l’avvalimento della Regione per la predisposizione dei piani.

Articolo 16. In tema di trasporti, si segnala in particolare la necessità di chiarire se al primo comma, oltre alla consolidata competenza regionale per i servizi contrattualizzati, vi sia l’intenzione di estendere la competenza regionale anche ai servizi di trasporto di libero mercato.

Occorre chiarire se per “trasporto marittimo da e per le isole minori” di cui al comma 1 si intenda esclusivamente il trasporto via mare, poiché, se tale lettura fosse confermata, dovrebbe escludersi, da parte delle regioni sprovviste di isole marine, l’esercizio di compiti di monitoraggio e vigilanza sui servizi previsto dall’articolo in oggetto; in caso contrario l’aggettivo marittimo, utilizzato con riferimento al trasporto, in quanto riduttivo, non sembra appropriato.

Articolo 18. La disposizione prevede che, per esigenze di tutela ambientale, paesaggistica e sanitaria, i comuni delle isole provvedano, attraverso specifiche misure e prescrizioni, quali il reimpiego, il riciclaggio, l’incentivazione del compostaggio domestico, alla riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti.

La disciplina dei rifiuti è riconducibile alla “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, di competenza esclusiva statale (ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) anche se interferisce con altri interessi e competenze. Se da un lato viene riservato allo Stato il potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale, dall’altro rimane pur vero il fatto che la molteplicità degli interessi coinvolti comporta un’inevitabile interferenza tra titoli di competenza formalmente attribuiti allo Stato (tutela dell’ambiente) e quelli assegnati in via concorrente alle regioni (tutela della salute, governo del territorio). Peraltro, si ricorda che le Regioni, ai sensi della Parte Quarta del d.lgs. 152/2006, esercitano in materia di rifiuti rilevanti funzioni di legislazione attuativa, pianificazione, organizzazione e gestione, anche in materia di incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti e al loro recupero, alle iniziative dirette a limitare la produzione dei rifiuti e a favorire il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero, ecc.

Articolo 19. Si segnala che la norma, rispetto alla formulazione originaria (accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni), non prevede più un coinvolgimento delle regioni nella disciplina delle modalità di sperimentazione del sistema di vuoto a rendere per specifiche tipologie di imballaggi ma la demanda ai singoli regolamenti comunali.

Articolo 20. Per quanto concerne la disciplina giuridica delle aree naturali protette, essa è riconducibile, per determinati aspetti, alla materia della protezione della natura e, per altri, al governo del territorio.

Ove l’istituto o la disciplina siano finalizzati alla tutela della salubrità dell’ambiente in relazione alle esigenze dell’uomo, la Corte Costituzionale ha riconosciuto allo Stato il compito di dettare standard minimi uniformi, lasciando alle Regioni la possibilità di intervenire mediante i suoi titoli di legittimazione concorrente o residuale.

In particolare, ai sensi degli articoli 2 e 23 della l. 394/1991, l’istituzione delle aree protette a gestione regionale, provinciale e locale avviene con legge regionale che individua, per ogni area, i confini, il livello di gestione regionale, provinciale o locale, la classificazione, il soggetto gestore e i finanziamenti. Si rileva, pertanto che la previsione del disegno di legge, nello stabilire che la gestione delle riserve naturali e dei parchi di competenza regionale compresi nel territorio delle isole di cui all’allegato A sia affidata ai Comuni competenti per territorio, determina in realtà un processo di riordino obbligatorio di funzioni che attualmente sono svolte da altri soggetti, costituendo un’impropria interferenza in una consolidata sfera di competenza legislativa regionale.

[1] Il progetto nazionale pilota “Isole Minori e località caratterizzate da difficoltà di accesso”, promosso dal Ministero della salute d’intesa con le Regioni, si articola in tre aree: Assistenza territoriale, Integrazione ospedale-territorio, Emergenza-urgenza. Nel progetto pilota sono indicati, tra l’altro: il Modello per le strutture assistenziali territoriali, che distingue due tipologia di assistenza (di I livello, per le zone disagiate in cui non sono presenti le strutture ospedaliere, e di II livello per le aree in cui sono presenti le strutture ospedaliere); il Modello per il sistema di emergenza-urgenza e punti di primo intervento, articolati nei livelli Base e Avanzato; l’operatività dell’elisoccorso; le caratteristiche del soccorso terrestre, di quello navale e dell’autosoccorso; il Modello per le strutture ospedaliere; le dotazioni tecnologiche; il Percorso nascita; i Protocolli operativi per il trasporto farmaci e trasferimento pazienti.(greenreport.it)

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