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di Francesco Aloisi

I fantasmi del Castello di Cesarò.
Carissimo Italo, ritenuto che sicuramente non potrò essere presente alla presentazione del tuo ultimo libro- I fantasmi del Castello di Cesarò, Ti trasmetto questo mio piccolo contributo per esprimerti con stima la mia ideale vicinanza poetica, oltre che fraterna.
Ho letto il libro che mi hai dato qualche giorno fa tutto di un fiato (perché così si devono leggere i tuoi lavori per immedesimarsi nei tuoi pensieri e comprendere il vero significato di quello che tu vuoi effettivamente esprimere) e ho capito che anche questa volta, nell’affrontare il tema della spiritualità, hai lasciato il segno tangibile della tua mistica vena poetica.

Il percorso narrativo del lavoro di Italo tocca vari punti e può suddividersi in varie parti: dalla descrizione del Castello di Cesarò ( paese che ricordo con piacere in quanto lì ho vissuto i primi anni della mia vita) e da cui è possibile ammirare scorci panoramici unici, dalla sua storia dalle origini ad oggi, dai racconti orribili e dalle leggende che lo circondano tramandate da generazioni in generazioni, alla bellissima e commovente storia di due giovani, sapientemente coinvolti nelle vicende che hanno caratterizzato la storia del Castello, dapprima luogo di demoni e creature spaventose, poi sconfitti con l’aiuto di esorcisti e delle persone vicine alla chiesa e a Dio.

Alle terribili immagini demoniache, l’autore contrappone le figure semplici dei due fidanzatini, legati da un sentimento tanto puro quanto forte, capace di combattere le forze del male, cresciuto nel tempo fino a diventare indissolubile davanti all’onnipotente così da essere scelti da una Signora avvolta in una luce divinamente splendente (la madre di Cristo), quali angeli da portare in cielo per poi essere mandati sulla terra a combattere il male e a invocare la pace di cui oggi abbiamo tanto bisogno.

Nella seconda parte l’autore immagina anche di coinvolgere nella battaglia contro il male due popolazioni, quella puramente montana degli abitanti di Cesarò e quella tipicamente isolana di Lipari, facendo incontrare le due statue dei rispettivi patroni (San Calogero e San Bartolomeo) in mezzo al mare su due barche che riusciranno a raggiungere, malgrado la tempesta provocata dal Demonio, la tanto sospirata terra di Marina Corta. L’autore nella sua ricerca del bene cerca di coinvolgere non solo il popolo ma anche chi dovrebbe controllare perché tutto, dalle cose più semplici a quelle più importanti, vada per il verso giusto; immagina che al corteo si uniscano il Prete, il Sindaco, il Vescovo, e persino il Papa, mandando, così, un chiaro messaggio affinché tutti, anche i grandi e nessuno escluso, si rendano parte attiva e partecipino per risolvere i tanti problemi (economici e di pace) che affliggono il mondo intero.

Nella narrazione degli eventi, benché qualche lettore non riuscirà forse a cogliere il messaggio lanciato dal nostro autore, emerge quel filo conduttore che caratterizza la vena poetica di Italo, che, a mio giudizio, non può che essere individuato nella continua ricerca della verità e del bene e nella battaglia senza sosta contro il male, affrontandola con tutte le proprie forze, fisiche e soprattutto interiori e superare così i momenti difficili. Ma soprattutto che durante l’intera nostra esistenza non possiamo fare a meno di essere vicini a chi ci ha creati, con la fede e la preghiera.

L’opera che oggi Italo presenta è, però, anche profondamente autobiografica: riporta, infatti, con garbo, pacatezza e semplicità, alcuni profili e aspetti della propria persona e delle vissute esperienze (che ha visto in qualcuna di essa partecipe anche chi scrive), tutte contraddistinte dal rispetto verso il prossimo, dal biasimo verso il male e dalla ricerca del bene in ogni azione e momento della vita quotidiana, senza mai abbandonare o allontanarsi dalla fede e dalla preghiera.

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