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di Ennio Fiocco

Andreas Achenbach e la visione dello Stromboli del 1844

Andreas Achenbach (29 settembre 1815 - 1 aprile 1910) è stato un paesaggista tedesco del periodo romantico ed appartiene alla scuola di Düsseldorf.

Il tema dei suoi dipinti paesaggistici era, soprattutto, paesaggio marino.

Suo fratello Oswald Achenbach, invece, si concentrava sulla rappresentazione del paesaggio italiano. I due fratelli venivano scherzosamente definiti “A e O del paesaggio”.

L'Achenbach ricevette lezioni di disegno da bambino e iniziò la sua formazione artistica nel 1827, all’età di dodici anni, alla Kunstakademie di Düsseldorf con Wilhelm von Schadow, Heinrich Christoph Kolbe e Carl Friedrich Schäffer. Il primo quattordicenne Achenbach raggiunse il suo primo maggiore successo in una mostra del “Kunstverein für die Rheinlande und Westfalen”, fondato da Schadow nel 1829, quando non era solo uno dei pittori espositori, ma vendeva anche uno dei suoi dipinti. Il primo successo di vendite fu presto seguito da altri In The Old Accademia a Dusseldorf. Achenbach scelse il panorama da una finestra della casa dei suoi genitori nella Burgplatz 152. La scelta di questo argomento sobrio enfatizzò l’indipendenza dell’artista, perché la descrizione della “realtà” era considerata inartistica nell’accademia. Solo una personalità di artista solida poteva il coraggio di rendere un “quadro immacolato” soggetto al soggetto di un dipinto.

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Nel 1832 e nel 1833 il giovane artista con suo padre intrapresero un lungo viaggio di studio a Rotterdam, Scheveningen, Amsterdam e Riga.

Questo viaggio interessante gli offrì l’opportunità di discutere più intensamente i paesaggi olandesi e fiamminghi, interessandosi al mare e alle coste. Successivamente divenne il fondatore del realismo tedesco e nel 1885 divenne cittadino onorario di Düsseldorf.

Apparteneva alla selezione preferita di artisti contemporanei, che ha proposto il “comitato per l’acquisto e la valutazione di immagini stollwerck” al produttore di cioccolato di Colonia Ludwig Stollwerck per la messa in servizio di progetti.

L'Achenbach ha anche intrapreso numerosi viaggi di studio durante la sua vita, che ha usato principalmente per studi naturali. Nel 1835 intraprese un viaggio più grande in Danimarca, Svezia e Norvegia e ritornò in quest'ultimo paese nel 1839. Nel 1836, tuttavia, Alpi bavaresi e Tirolo erano anche tra le sue destinazioni Dal 1843 al 1845 soggiornò in Italia, in particolare nella Campania e a Capri. Brillante ed intensa è stata la sua attività degna di un artista che ha manifestato intensamente il suo io nelle opere artistiche. Achenbach muore nel 1910, quando già l’espressionismo è un fatto, e il suo periodo di maggior vena è a metà secolo, il tempo di Courbet e dei barbizoniens: ma il suo modo di far romantico negli anni ’30 è perfettamente pertinente, e non secondario.

I dati servono solo a suggerire i fattori di continuità generazionale che ne fanno una delle figure chiave della scuola di Düsseldorf. La sua personalità, poi, apre in Germania un’altra questione, il rapporto tra i meccanismi istituzionali di rigida professionalizzazione e il loro convivere possibile con atteggiamenti libertari, con radicalismi culturali che aprono le prime falle in cui s’insinua la tradizione di engagement specificamente tedesca: nel suo modo apparentemente blando, Achenbach è artista di rottura degno d’esser considerato l’antenato ideale dei rivoluzionarismi del secolo nuovo. Lo spostamento concettualmente decisivo tra il paesaggio guardato e la consapevolezza dell’io che guarda il paesaggio, quel filtro di trascendimento lucido, e con sovratoni appena percepibili, ma già di cromosoma che si vorrebbe dire visionario, del dato sensibile che scende per i rami dalla tradizione nordica grande (molta più Olanda che Italia, c’è nelle mitologie di Achenbach), il mutamento di cifra del rapporto tra orizzonte e primo piano rispetto al paradigma secentesco. Se si mette in mora la consuetudine di utilizzare la scuola francese come unità di misura del secolo, molto dell’arte tedesca si spiega non come aggiornamento affannoso e tendenzialmente in ritardo, ma come prodotto di un’evoluzione che, stante la situazione storica in cui si verifica, ha momenti di originalità che sorprendono. L'artista, come anzidetto, intraprende un viaggio nella nostra penisola, viaggio che è durato due anni durante i quali ha eseguito numerosi dipinti raffiguranti paesaggi italici. Tra queste opere vi è un quadro eseguito nel 1844 proprio in Sicilia ed esattamente durante il soggiorno Eoliano, che è attualmente è custodito al Museum Kunstpalast di Düsseldorf, che appare alquanto interessante. Nel dipinto, di rara bellezza, si nota una barca con a bordo l'equipaggio intento a remare, presumibilmente di pescatori, con in lontananza altre imbarcazioni e lo Stromboli che erge in lontananza nella sua magnificenza.

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Athanasius Kircher e lo Stromboli del 1600

Il primo grande viaggiatore che visitò le isole Eolie, secondo la mitologia classica, fu Ulisse.

Le Eolie sono state nei secoli più recenti un regno lontano e sconosciuto, soprattutto per la loro posizione geografica e per le loro vicende storiche e sono state considerare protagoniste di una cultura e una civiltà proprie, autonome e spesso diverse dalla regione a cui geograficamente appartengono. Ne discende il mito incentrato sulla propria realtà geografica e sulla millenaria capacità umana di controllare un ambiente difficile e inospitale. Sono gli elementi naturali - acqua, fuoco, aria e terra - a costituire lo spazio eoliano, facendone un territorio singolare ed unitario.

E ciascuna isola che la compone è in grado di cambiare tra loro questi elementi, ricavandone un’immagine, una fisionomia e un'organizzazione spaziale e temporale. Fin dall’antichità queste isole, per la loro conformazione geologica delle coste alte e scoscese, degli scogli scolpiti dall’erosione del mare e del vento, per i vapori emanati dai loro vulcani, offrirono ai primi viaggiatori in transito nel Tirreno meridionale, un terreno fertile per indagini scientifiche, per ricerche di elementi curiosi, per le loro descrizioni e per gli avvenimenti ed impressioni da scrivere nei loro trattati. Un excursus che sappia tener conto dell’impronta personale delle opere di questi viaggiatori può fornire l’occasione per ricostruire uno scenario eoliano che tanto riuscì ad impressionare ed affascinare le menti di chi, a volte per caso, si sono trovati in questi luoghi mitici, rendendoci partecipi attraverso quelle testimonianze di una “scoperta” del tutto particolare ed irripetibile delle Isole Eolie.

L’Arcipelago di Eolo e di Vulcano, già descritto nell’antichità da autori come Strabone o Diodoro Siculo, e citato da poeti come Omero, non ha mai cessato di richiamare viaggiatori di ogni provenienza: dopo i rari dell’alto medioevo, nel `500 fu Tommaso Fazello a far tornare le Eolie alla ribalta, utilizzando numerose notizie di autori classici greci e latini: “….La Sicilia, essendo chiusa da tre lati, dalla parte del lato settentrionale ha vicine dieci isole, benché gli antichi ne abbiano poste solamente sette, comunemente dette Liparee, Vulcanie ed Eolie…… Ai nostri giorni, consumata ormai la materia, Lipari ha smesso di emettere fuoco da parecchi anni…”.

Viaggiatori dei secoli successivi ci daranno ragguagli precisi, descrizioni e disegni di cose viste e di episodi di vita vissuti.

Uno dei più importanti stranieri approdati nelle nostre Isole è Athanasius Kircher.

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Il Kircher nasce a Geisa, in Germania, nel 1602 ed entrò nella Compagnia di Gesù nel 1616. Lesse prima matematica e filosofia a Würzburg, trasferendosi quindi ad Avignone e infine a Roma, dove intorno al 1638, fu chiamato a insegnare matematica nel Collegio Romano. Scrittore prolifico di fama europea, fu autore di molteplici opere dedicate a vari campi del sapere, dalla filologia alla fisica, alla liturgia sacra, all'astronomia, alla storia naturale, alla matematica, alla musica, all'egittologia, alla geografia e alla civiltà cinese. Il Gesuita Athanasius Kircher già nel 1638 sfidò lo Stromboli come argomentato nello stesso in uno studio scritto sul campo e cioè nella monumentale opera scientifica del “Mundus Subterraneus”, pubblicata nel 1665.

Alla fine di marzo del 1638 era di ritorno da Malta e fu testimone diretto dell'eruzione contemporanea di due vulcani, lo Stromboli e l'Etna. Partito dalla Sicilia con alcuni pescatori alla volta di Sant'Eufemia in Calabria, siccome il mare s'era guastato restò qualche giorno al largo di Milazzo fra le Eolie e il Capo Vaticano, in un triangolo del Tirreno che potremmo definire "di Kircher". Di questa sua esperienza lasciò traccia nell'opera illustrata, che è un trattato di 800 pagine, «Mundus Subterraneus», con altre avventure estreme come quella della discesa nel cratere del Vesuvio per eseguire delle misurazioni. L'ansia di Kircher di sfidare il vulcano fu pari a quella di Plinio il Vecchio, disperso in mare nel golfo di Napoli nei tragici giorni di Ercolano e Pompei.

Fra le eruzioni dello Stromboli, quella del 27 marzo 1638 è registrata come violenta ma non parossistica, con emissione di ceneri e senza flussi lavici. La testimonianza oculare del gesuita potrebbe però far pensare che in quei giorni il materiale incandescente dello Stromboli finisse in mare a rivoli come oggi lungo la Sciara del Fuoco e fosse visibile a distanza di notte, sia pure per un tempo limitato. Il Kircher ricorda che mentre era in mare con i pescatori si verificò uno sciame di scosse sismiche che scossero la costa calabra con ingenti danni a persone e cose. I vulcani attivi degli ultimi diecimila anni sono più di millecinquecento, il tre per cento dei quali entra in eruzione ogni anno. La conoscenza della storia recente dei vulcani a pericolosità immediata, come l'Etna e lo Stromboli, può rivelarsi di grande utilità, per quanto empirica e priva di valore scientifico.

Il Mundus Subterraneus, pubblicato nel 1665, è un libro alquanto interessante che utilizza schede compilate nel corso di più di trent'anni, con notizie di eventi e reperti spesso recuperati durante ricognizioni personali. Il Kircher disegnò e incise tutte le illustrazioni nei suoi libri e questi disegni erano spesso basati su materiali antichi che aveva a portata di mano. In questo trattato di geologia e cioè nel Mundus Subterraneus in cui, oltre a localizzare Atlantide, si contrappone alle teorie della fisica meccanica, il Khircher introduce il concetto di “spiritus plasticus”, una forza elementare di origine divina che consente al mondo di mantenersi in perenne equilibrio armonico. Ma il lavoro della prima metà del seicento non è solo geologico.

Kircher continua con fantastiche speculazioni circa l'interno della terra, i suoi laghi nascosti, i suoi fiumi di fuoco, e dei suoi strani abitanti. I temi principali sono la gravità, la luna, il sole, le eclissi, le correnti oceaniche, le acque sotterranee e gli incendi, la meteorologia, fiumi e laghi, idraulica, minerali e fossili, giganti sotterranei, bestie e demoni, veleni, la metallurgia e le miniere, l'alchimia, il seme universale e la generazione di insetti, erbe, la medicina astrologica, la distillazione, e fuochi d'artificio. In questo lavoro si rivela la propria esperienza con la palingenesi. Gran parte delle offerte di lavoro sono con l'alchimia.

La ricerca del Kircher si basa principalmente sulla comprensione dei meccanismi cardine che regolavano la natura. In totale affinità con il sentimento neoplatonico di cui fu uno dei massimi esponenti concepiva tutti gli aspetti del mondo sensibile come emanazione dell'uno dal quale andavano prendendo forma attraverso una serie di stati degradativi.

Il fascino di Kircher è dovuto anche alla difficoltà di classificarlo. Il Mundus Subterraneus è un libro un po’ mitico per chi si occupa di grotte: antico, costosissimo, pieno di splendide incisioni. La sua lettura è veramente complessa, non solo perché si tratta di latino, lingua ormai poco praticata, ma soprattutto perché la scrittura di Kircher è studiatamente complicata. Kircher tenta, sì, una spiegazione con modelli fisici, ma in tutta evidenza senza capire come funzionano; utilizza più l’analogia che l’analisi, e crede di aver trovato la spiegazione del fenomeno perché gli pare che qualcosa del modello si comporti in modo simile.

È un autore che ha una concezione del cosmo essenzialmente immaginifica e religiosa. Finalistico e teologizzante, per lui la Terra è la sede della Redenzione e ha una fisiologia che va interpretata per analogie fra macrocosmo e microcosmo. Purtuttavia stiamo parlando di una persona che aveva a disposizione una tale dotazione di mezzi che all’epoca nessuno si poteva sognare.

L’edizione di un libro come il Mundus Subterraneus all’epoca aveva un costo immenso. Dai dati dell’epoca risulta che il salario di un “maestro da muro” era l’equivalente di circa 7 kg di pane, e quello di un garzone la metà. Possiamo dunque stimare che l’acquisto di una copia di un simile libro richiedesse il totale salario di 5-10 anni di un manovale, qualcosa di simile a centomila euro attuali. Le tirature erano limitate e riprese più volte, ma in genere di circa 500 libri. È dunque facile capire quali fosse la strabiliante entità dei mezzi a disposizione del Kircher.

Ma evidentemente l’epoca non era favorevole a indagini “laiche” sulla Natura, come pochi decenni prima aveva potuto constatare Galilei: c’erano solo spazi e strumenti per tentare di interpretare i fenomeni naturali in un contesto immaginifico ed essenzialmente religioso.

Kircher ha uno spirito curioso, ma egli è soprattutto un gesuita controriformista e quindi la sua indagine cerca di ricondurre tutto ciò che vede ad uno schema aristotelico-cristiano, nettamente prescientifico e anche i suoi “esperimenti” sono semplici osservazioni di fenomeni naturali che gliene evocano altri, senza modelli interpretativi.

Athanasius Kircher, con il suo trattato, ci continua a trasmettere emozioni a quasi 400 anni dal viaggio alle isole Eolie.

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Eolie. Il Viaggio di Lazzaro Spallanzani.

L'apporto che ha fornito Lazzaro Spallanzani, nato a Scandiano nel 1729 è stato notevole in vari settori. In particolare agli inizi della sua carriera insegnò matematica all'Università e Lingua Greca al Seminario-Collegio di Reggio Emilia. Successivamente decise di passare all’Università di Modena, dove per accedervi era però necessario essere sacerdote.

Ottenne, pertanto, l’ordinazione sacerdotale nel 1762 e nel 1763 entrò ufficialmente presso il Collegio S. Carlo di Modena come professore di Greco e Matematica e all’Università come Lettore di Filosofia, e fu proprio a Modena che gettò le basi della sua memorabile carriera e che si fece conoscere dal mondo scientifico a livello europeo.

Nel 1769 venne chiamato dall'imperatrice Maria Teresa d’Austria ad occupare la prestigiosa cattedra di Storia Naturale dell’Università di Pavia, con l’incarico ulteriore di dirigervi il Museo.

Per Spallanzani viaggiare significava avvicinarsi al mondo naturale che tanto lo affascinava.

Era solito documentare fedelmente il viaggio nei quaderni che quotidianamente redigeva, e non mancava di annotare descrizioni paesaggistiche e aspetti anche curiosi sulle popolazioni incontrate e sui loro usi e costumi. Tra i tanti spostamenti in Italia e in Europa, non va sottaciuto per documentare il vulcanismo organizzò un viaggio nel Regno delle Due Sicilie nel 1788 ed in particolare alle isole Eolie.

Era solito portare con sé: il microscopio, l’apparecchio per misurare l’elettricità dell’aria, l’eudiometro, il barometro, il tubo ferruminatorio, alcuni reagenti, e tutto il necessario per attrezzare piccoli laboratori nei quali svolgere osservazioni ed esperienze.

Per documentare le sue scoperte si avvaleva della collaborazione sia di disegnatori sia del cameriere Giovanni che si occupava della la preparazione degli esemplari.

Tra gli scopi dei viaggi c’era la raccolta di campioni per le collezioni del Museo pavese e per la propria collezione privata di Scandiano.

Il viaggio nelle Due Sicilie ebbe inizio nel 1788 allo scopo di reperire rocce vulcaniche che mancavano alla collezione del museo di Pavia, come anzidetto.

In quell’epoca il sud Italia era interessato da molti fenomeni eruttivi e terremoti.

Visitò l’Etna, Vulcano e Stromboli e il Vesuvio facendo pericolose ascensioni.

Spallanzani era un “filosofo naturale”, titolo che si usava prima dell'introduzione definitiva della parola “scienziato” intorno al 1830.

Fu uno dei primi a sottoporre i fenomeni del mondo naturale a una serrata analisi sperimentale, che conduceva con assoluto rigore, scomponendo i problemi complessi in problemi via via più semplici. Inventava esperienze, le ripeteva variando le condizioni, sottoponeva le ipotesi a prove e controprove: era la nascita del metodo sperimentale.

Nel 1788 Spallanzani si soffermò oltre 35 giorni sulle isole Eolie con scopo prettamente scientifico di ricerca. Il suo viaggio iniziò il 24 agosto 1788 da Napoli dove si imbarcò su un bastimento marsigliese diretto a Messina. Fu molto fiero di essere stato il primo naturalista a mettere piede ad Alicudi.

Delle oltre 1400 pagine dei volumi in cui fu pubblicata l’opera circa la metà sono le pagine che Spallanzani dedica all'arcipelago eoliano le quali sono un trattato scientifico e quindi sono più adatte a studiosi che si interessano di feldspati (un importante gruppo di minerali che costituiscono probabilmente il 60% della crosta terrestre) che ai moderni turisti che vogliono viaggiare ottenendo informazioni dalle guide turistiche

Nelle sue descrizioni così argomenta: mi soffermerò sul capitolo XXIV “Si finisce di ragionare delle Isole Eolie, facendo parola di più cose diverse dalle vulcaniche le quali meritar possono l’attenzione dei lettori”.

Spallanzani però si allontana dai temi vulcanologici e si accosta con stile unico alla descrizione tipica del diario di viaggio cogliendo, oltre all’aspetto faunistico ed agricolo, anche la variegata umanità e il substrato sociale dei posti visitati: “L’indole, e i costumi di quegli abitanti, la loro popolazione, l’agricoltura, il commercio e gli altri rami dell’industria, erano oggetti da non lasciare senza disamina, e tanto più meritevoli di essere notati, e descritti da un italiano, quanto che meno alla sua Nazione sono cogniti.”

Ad esempio lo scienziato scrive di quanto l’uva rappresenti per Lipari “il forte degli utili della produzione” si sofferma sulla malvasia, il famoso vino liquoroso che si produce a Stromboli, di cui si narra che l’autore abbia spedito a casa dopo il viaggio un’intera botte, sufficiente come scorta personale per un intero anno:

“Da una certa qualità di uve si ricava la famosa malvasia … vino d’uno schietto color d’ambra, generoso insieme, e soave, che inonda e conforta la bocca d’un’amabile fragranza, con un ritorno di soavità alcun tempo appresso di averlo gustato”. Ne descrive la produzione nei minimi dettagli soffermandosi anche nel raccontare come i “liparesi usciti di città si raccolgono in picciole brigate nelle casette presso i vigneti e villeggiano ivi…in braccio all'allegria e agli innocenti piaceri che concede la campagna”.

E’ una descrizione particolareggiata, colorita e travolvente quella che Lazzaro Spallanzani fa dei frutti a lui sconosciuti come i fichi d’India il cui “frutto pareggia un uovo di gallina, dolce e gustosissimo al palato e di una facilissima digestione”.

Descrive botanicamente questo arbusto e la facilità con cui esso si può moltiplicare ovunque. Espone un progetto per renderlo più fruttuoso avvalendosi delle sue foglie per alimentare l’insetto della cocciniglia, conosciutissimo in Messico, così come con le foglie del gelso si alimentano i bachi da seta.

Ci descrive nei suoi scritti eoliani, non senza ironia, come l’arrivo del nuovo parroco giovane e moderno - era infatti proprietario di uno dei due battelli che usava anche a scopi commerciali e turistici - avesse stravolto l’usanza secolare dei funerali.

Scrive, inoltre, che ad Alicudi e Filicudi non c’erano pescatori in grado di saper usare le reti; essi si avvalevano “solo dell’amo” oppure “li tirano a mano fuori dall'acqua e li lasciano su la secca spiaggia dove il mare non arriva, finché non torni il bisogno dell’uso. Quando a Felicuda moriva il marito o la moglie, sacro era pei parenti …. accompagnare il defunto con dirotto piagnisteo e finite le esequie gli si gettavano tutti addosso, lo abbracciavano, lo baciavano e gli parlavano a voce molto alta e gli davano commissioni per l’altro mondo. Questa ridicola usanza .... è stata levata dal moderno parroco”.

Lo Spallanzani, con riferimento agli abitanti di Lipari così afferma:

“I Liparesi sono in generale d’ingegno pronto e sveglio, presti all’apprendere, acuti nel penetrare, e vogliosissimi di sapere…questi abitanti sogliono essere robusti, forzuti, piuttosto di gran persona, e ben rispondente, ed anche avvenenti, e di faccia ben colorita nell’età più tenera, ma indurandosi alle fatiche, ogni avvenenza vien meno senza eccettuarne il bel sesso; al qual cangiamento concorre grandemente la sferza di quel cocentissimo sole, come nel mostrano le carni riarse, e i volti abbronzati…. Forse Ulisse non portò più amore alla sua Itaca, quanto ne portarono eglino alle loro Eolie, che quali che sieno, non le cambierebbero coll’isole fortunate”.

Si spera che il contributo offerto dallo Spallanzani non vada disperso e che anche a Scuola venga studiato dai ragazzi e giammai dimenticato.

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