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di Cristina Marra

Intervista a Claudia Fachinetti autrice di Lasciami andare – Il battello a Vapore

Claudia Fachinetti, giornalista e biologa marina è appassionata di natura e animali e a loro dedica romanzi rivolti principalmente a giovani lettori. Con “Lasciami andare” edito da Il battello a vapore è la storia dell’arrivo di un gruppo di orche nei pressi del porto di Genova a dicembre del 2019 a suggerirle il racconto di un approdo che presto diventerà una nuova partenza, di una famiglia unita e disorientata che nell’amore trova il suo faro, di una ragazza coraggiosa e fragile che sa ascoltare e non si arrende al dolore.

Claudia, benvenuta su Il Randagio, i tuoi libri partono sempre da storie vere. Dopo il riccio e il gatto stavolta dedichi un romanzo alle Orche. Quando hai incrociato la loro storia? Come ti sei documentata per scriverla?

Sì da giornalista mi piace scrivere partendo da fatti di cronaca e storie vere. La storia delle orche l’ho seguita in diretta perché da ex biologa marina sono ancora in contatto con molti ricercatori che studiano balene e delfini in Mediterraneo quindi ero costantemente aggiornata. In quel periodo stavo scrivendo Vito il gatto bionico e tra questo e la pandemia inizialmente non ho avuto modo di pensare che la vicenda delle orche di Genova potesse diventare un libro. Poi, un anno fa, ho capito che era il momento giusto e ho ricontattato tutti i biologi che in quei giorni hanno lavorato per aiutare e studiare le orche con i quali ho ripercorso passo passo la storia.

Alaska è la 14enne protagonista. Quanto la sua passione per i cetacei la aiuta nella sua formazione alla vita e al dolore?

Secondo me studiare la natura e seguire le sue regole aiuta a vedere con più distacco e onestà anche la vita umana. Spesso tendiamo a metterci al di sopra di tutto ma in fondo siamo anche noi creature animali di questo mondo. In generale poi, occuparsi di qualcun altro aiuta a distogliere l’attenzione dai propri problemi e alleggerirne il peso.

Lasciare andare significa anche ricominciare?

Esattamente. La vita è fatta di saliscendi, di ostacoli da superare e non accettare un evento che ci genera sofferenza ci impedisce di andare avanti. L’accettazione è la parte più dolorosa e difficile di un lutto, di una difficoltà, ma per andare avanti dobbiamo necessariamente attraversare il dolore e viverlo, solo così si ricomincia a vivere davvero.

Giganteschi, eppure le orche sono anche animali fragili?

Le orche sono i rappresentanti più grandi della famiglia dei delfini, hanno una società e socialità complesse e tecniche di caccia altamente specializzate, non hanno nemici naturali e possiedono una grande intelligenza e adattabilità, eppure la loro vita dipende dall’ambiente in cui vivono. Per cui l’inquinamento e la riduzione delle prede può mettere in pericolo intere popolazioni. In Canada, per esempio, la pesca eccessiva dei salmoni ha messo in crisi la popolazione di orche residente nell’area e che si nutriva di questi pesci.

Il romanzo ha la prefazione della biologa marina Lanfredi. Ti sei ispirata a lei per il personaggio di Caterina?

Assolutamente sì, lei è Caterina anche se la sua parte è romanzata e in quei giorni non si è dedicata realmente alla faccenda delle orche come, al contrario, hanno fatto Sabina Airoldi, Alessandro Verga, Alessandro Violi e Guido Gnone, anche loro protagonisti nel libro e anche nella realtà.

La storia familiare delle orche si intreccia con quella di Alaska. Quanto ci insegna la forza dell’unione familiare delle orche?

Gli animali cosiddetti sociali danno spesso grandi insegnamenti di solidarietà tra membri di un gruppo o di una famiglia. Per sopravvivere l’aiuto e il sostegno reciproco sono fondamentali così come dovrebbe essere anche per noi ma spesso facciamo prevalere l’egoismo e gli interessi personali.

Nel romanzo ci sono anche i sentimenti di amicizia e amore. Diego è un personaggio chiave nella storia di Alaska?

Sì, Diego è un personaggio chiave della storia e aiuta Alaska a mettere a fuoco i suoi obiettivi e a liberare le sue emozioni. Condividono una grande passione per i cetacei e questo inevitabilmente li unisce. Per una ragazza chiusa e in trasformazione come Alaska questo legame è fondamentale per crescere, per assaporare sentimenti mai provati.

Le orche nuotano in un mare a loro sconosciuto. La loro storia le accomuna ai migranti e ci esorta ad accogliere e comprendere?

Mi sembra un paragone corretto. Non deve essere affatto semplice trovarsi lontano dal proprio mondo, in balia delle correnti e in contatto con individui sconosciuti magari con abitudini molto diverse dalle nostre. Lo è stato per le orche e lo è per le persone costrette a fuggire da guerra e povertà con la sola forza della speranza.

La storia è intervallata da schede sulle Orche chi ti ha supportata?

A parte il box sul catalogo delle pinne per l’identificazione, per gli altri box è stato sufficiente approfondire con articoli scientifici e di cronaca quello che già sapevo. Le orche sono da sempre i miei animali preferiti e ho sempre letto e studiato molto su di loro anche se talvolta scopro cose di questi incredibili animali che ancora mi stupiscono.

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NOTIZIARIOEOLIE.IT

22 OTTOBRE 2022

L’intervista del Notiziario alla giornalista Cristina Marra, la sposa del libro

20 NOVEMBRE 2022

L’intervista del Notiziario allo scrittore Luigi De Magistris “Fuori dal sistema” ed. Piemme a cura di Cristina Marra e Gennaro Leone. Il libro del mese col Simbolo di Lipari

19 DICEMBRE 2022

 L’intervista del Notiziario alla scrittrice Eliana Camaioni per “Nessun Dorma” Algra Editore a cura di Cristina Marra e Gennaro Leone. Il libro del mese col Simbolo di Lipari

26 GENNAIO 2023

L’intervista del Notiziario allo scrittore Saul Meghnagi a cura di Cristina Marra e Gennaro Leone. “Ebreo Inventato” ed. Giuntina. Il libro del mese col Simbolo di Lipari

27 MARZO 2023

L’intervista del Notiziario allo scrittore Enzo Decaro a cura di Cristina Marra e Gennaro Leone. Il libro del mese col Simbolo di Lipari: “Il faro e la marea” illustrato da Loredana Salzano-edizione Centro Studi Eoliano.

16 MAGGIO 2023

LE INTERVISTE DE "IL NOTIZIARIO". Lipari, De Magistris all'Istituto e al "Mea". Moderatrice e reporter Cristina Marra

villaggio stromboli

 

Intervista a Francesca Scotti autrice di Shimaguni- Atlante narrato delle isole del Giappone- Bompiani

L’ Atlante Shimaguni è un libro speciale, nato dalla passione dell’autrice per le terre e il mare giapponesi. Le isolette piccole, remote diventano i personaggi di questo racconto di emozioni narrate da Francesca Scotti e illustrate da Uragami Kazuhisa .

Il libro si percorre come un viaggio dell’anima e ci si lascia incantare dalle guide che accompagnano la protagonista e da quel mare buono e misterioso, feroce e spietato…dimora di spettri, relitti e divinità che di quelle isolette è parte integrante .

Francesca, Shimaguni è un Atlante che mescola realtà e finzione, come lo hai pensato?

Desideravo che questo Atlante racchiudesse la realtà delle isole ma che fosse anche un racconto, qualcosa in cui i lettori potessero sentirsi coinvolti emotivamente e non “solo” dalle informazioni storiche, culturali, naturalistiche.

Ho deciso così di immaginare una giovane donna che compie un viaggio attraverso cinquanta isole. La sua è un’esplorazione nella realtà dei luoghi ma anche interiore: ogni incontro con queste terre sconosciute e con la loro storia a volte misteriosa porta pensieri nuovi e nuove visioni.

“Scaglie, schegge, frammenti di terra che mantengono la loro individualità” come convivono insieme tutte le diversità dell’arcipelago?

Il Giappone è spesso percepito come un paese omogeneo, ma il fatto che si estenda dalle latitudini subartiche a quelle subtropicali determina una grande varietà di climi e di ecosistemi, e una prodigiosa biodiversità marina. Inoltre le sue isole sono state luogo di scambio, incontro, commistione. E così al mito del Giappone omogeneo si contrappone una realtà di ricchezza e diversità culturale, non soltanto alle estremità del paese – come Okinawa e Hokkaidō – ma anche a livello regionale. L’identità giapponese è il prodotto di influenze arrivate dal mare, e spesso tramite le isole, nel corso dei secoli.

Nonostante una narrazione di uniformità ho trovato che, soprattutto in anni recenti, queste diversità sono valorizzate. Temo però che sia un equilibrio fragile, anche visti i noti problemi di invecchiamento della popolazione e spopolamento delle aree remote: spero che si riesca a mantenere nel tempo questa ricchezza

La protagonista è guidata da spiriti, personaggi trascendenti, perché questa scelta?

L'esigenza narrativa era quella di avere una voce che sapesse tutto delle isole, fin dalla loro creazione e così ho scelto di affidarmi a queste guide trascendenti. Il termine “spirito” lo utilizzo però in maniera estesa e non ortodossa. Quando si parla di Giappone il concetto e l’idea di spirito appaiono spesso: la parola usata per “divinità”, kami, può essere letta come “dio” ma anche come “spirito” – e i kami sono connessi a moltissimi aspetti della vita e della natura. I luoghi vengono spesso associati a uno specifico ki: atmosfera, ma anche spirito. Le arti tradizionali sono spesso permeate di una propria essenza vitale, un proprio spirito. Ma quelli che incontra la protagonista dell’atlante sono altro ancora, forse una mescolanza di tutte queste declinazioni che ne formano una tutta narrativa. Spiriti della Natura, della Tradizione, della Battaglia, della Devozione, dell’Assenza che conoscono profondamente le isole e ne custodiscono segreti e l’energia sono guide speciali, capaci di accompagnare sia la viaggiatrice sia il lettore in questa esplorazione ricca di meraviglia.

Tradizione che guida è?

Se Natura, Devozione, Battaglia e Assenza credo non necessitino di ulteriori precisazioni perché si comprende immediatamente quali sono le conoscenze che riguardano questi spiriti-guida, Tradizione invece richiede forse qualche parola in più: ho scelto di utilizzare questo termine senza alcuna pretesa di correttezza filologica e con una finalità meramente narrativa affidandogli una serie di aspetti artistici, musicali, folklorici. E quindi la protagonista di Shimaguni, accompagnata dagli spiriti della Tradizione, visiterà isole come Sadogashima, legata al teatro nō, una delle più antiche arti tradizionali giapponesi, praticata ancora oggi e apprezzata nel mondo. Oppure Akusekijima, dove una volta all’anno, alla fine dell’obon (la festa degli spiriti degli antenati) i Boze – divinità dall’aspetto inquietante – lasciano la foresta per raggiungere le zone abitate contrastare gli esseri maligni. O ancora Taketomijima, dove visse la giovane e bellissima contadina Asato Kuyama, “protagonista” di una famosa canzone tradizionale, Asadoya Yunta.

Che rapporto ha il Giappone col mare?

Questa domanda richiederebbe una lunga e articolata risposta che attraversa la storia, la religione, l'economia e altro ancora. Per quanto riguarda la mia esperienza posso dirti che lavorando a questo atlante mi sono imbattuta in tante e diverse “forme” di mare: buono e misterioso, feroce e spietato, mare da navigare e vivere, da temere e arginare. Dimora di spettri, relitti, divinità, yōkai, fonte di sostentamento fin da tempi remoti. Il mare fa parte della cultura giapponese, dell’identità, dell’arte e dell’immaginario antico e contemporaneo. Basti ricordare che i tre panorami più belli del Giappone, secondo lo studioso neoconfuciano Hayashi Gahō, ne contemplano tutti la presenza, e che il pesce come il riso è un’offerta agli dei.

Ian Fleming Thrilling Cities- La nave di Teseo

Il mio sguardo era senz’altro lo sguardo di un autore di thriller, scrive Ian Fleming quando, da inviato del Sunday Times tra il 1959 e il 1960 visita e racconta quattordici città del mondo legate in qualche modo al suo James Bond. L’agente segreto 007 che ha reso celebre lo scrittore britannico diventa l’ombra protagonista di questo viaggio letterario scritto, come riporta Massimo Bocchiola nella prefazione, con un occhio un po' cinico, un po' spietato, un po' sciovinista, soprattutto di mirabile fotografica esattezza.

Gli articoli realizzati nei viaggi, tradotti pe La nave di teseo da Andrea Carlo Cappi, partono dalla città di Hong Kong e terminano a Montecarlo e diventano un tour delle città più appassionanti del mondo. Sono “pezzi di colore” da cui emerge l’animo thrilling di Fleming che ama addentrasi nei vicoli bui delle città anche se non si sottrae alla bellezza dei luoghi o alle sue eccellenze culinarie. Fleming parte il 2 novembre del 1959 munito di un fascio di visti , un vestito quattro stagioni con tasche nascoste per i soldi, una valigia piena come al solito di più cose del necessario e la macchina da scrivere .

Nei reportage dei due viaggi, il primo in Medio Oriente e Stati Uniti e il secondo in Europa, emerge lo scrittore di classe che non indulge al bello scrivere, che si concede finezze e abbellimenti piuttosto inediti, che rendono Thrilling Cities una lettura ricca di spunti letterari oltre che di informazioni di viaggio. Fleming col suo stile sobrio cede spesso alla narrazione di fatti e vicende dal gusto crime. Se a Hong Kong le strade di notte sono tra le più incantevoli in cui abbia mai camminato...domina il profumo del mare, a Macao lo scrittore non trascura di segnalare i traffici della triade e i lingotti del dottor Lobo. Dal soggiorno a Tokyo scopriamo la sua superstizione che lo spinge a non viaggiare il venerdì tredici.

E ci sono ancora momenti thrilling, come quando il taxi supera la gobba di park Avenue all’angolo con la 69th Street, viene il rosso e in quel momento si vedono tutti i semafori fino alla 46th Street che diventano verdi...in quell’istante il cuore batte ancora per New York”. Per Fleming ogni capitale ha il suo odore caratteristico. Londra sa di pesce fritto e di sigarette Player’s, Parigi di caffè, cipolle e Caporal, Mosca di acqua di colonia da quattro soldi e sudore. Berlino di sigari e cavolo bollito, e il libro è anche il ricordo di incontri con colleghi o personaggi noti dei luoghi come quello con Lucky Luciano a Napoli e concludono ogni capitolo i consigli pratici su alloggi, cucina e vita notturna delle thrilling cities.

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Stanze parlanti di Genki Kawamura e Marie Kondo-Einaudi

Come si fa a scegliere cosa tenere in casa e di cosa disfarsi quando si riordinano stanze zeppe di oggetti? La risposta la dà Miko senza esitazione: è facile tocca l’oggetto e lo capirai. Miko esperta di riordino propone ai suoi clienti di scegliere in base alla gioia che trasmette un oggetto, se non capiamo quali sono le cose di cui abbiamo bisogno, quelle che davvero vogliamo, gli oggetti inevitabilmente aumentano e finiamo per essere seppelliti da cose inutili.

Spalleggiata dal suo assistente Box, un cofanetto parlante, da quattro anni aiuta a riordinare le case di persone confuse e indecise che si rivolgono a un’esperta come lei. Sì, è proprio così , Miko la protagonista di Stanze parlanti scritto da Genki Kawamura e Marie Kondo, edito da Einaudi e tradotto da Letizia Guarini, si occuperà di sette stanze a cui corrisponderanno sette storie, sette vite di uomini e donne che riordinando casa eliminano il caos o il superfluo anche alle loro esistenze o fanno venire fuori lati e aspetti della loro personalità nascosti come in un cassetto.

Miko ascolta e decide la strategia da adottare a ogni esigenza. Riordinare significa affrontare le proprie emozioni e i clienti si affidano alla sua abilità però non sanno che lei percepisce e sente parlare gli oggetti di casa, non solo i libri, anche gli abiti e i piccoli oggetti quando sono conservati a lungo senza essere mossi si addormentano” e allora bisogna svegliarli come i loro proprietari che si tratti della casalinga che non sa volersi bene, di un giornalista sommerso dai libri, una coppia con la cucina zeppa o di un accumulatore seriale.

Gli autori raccontano le vite dei personaggi legate alle stanze delle loro case restituendo il piacere di vivere e di riappropriarsi delle loro esistenze e delle loro abitazioni. Anche Miko non si sottrarrà alle scelte da fare a casa sua e rpercorrerà i momenti della sua infanzia con la nonna detta la strega dell’Ovest e il suo rapporto con le scatole fino all’arrivo di Box. Da un’esperta del riordino famosa in tutto il mondo e dall’autore del best seller “Se i gatti scomparissero dal mondo” viene fuori una favola moderna di grande impatto psicologico in cui un pizzico di magia e tradizione insieme al mistero rendono la lettura deliziosa e invitano all’ascolto del mondo che ci ricorda.

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La ballata del piccolo rimorchiatore di Iosif Brodskij - Adelphi

Eccomi, questo sono io si presenta così il protagonista de “La ballata del piccolo rimorchiatore” unica opera in versi pubblicata da Iosif Brodskij in Unione Sovietica prima di essere esiliato nel 1972 . Il grande poeta russo premio Nobel per la letteratura nel 1987, accusato di “parassitismo”, dopo diciotto mesi di lavori forzati emigra a New York dove resta fino alla sua morte nel 1996. Per Brodskij la “poesia esisterà sempre.

Possono trascorrere anni e anni di campi di concentramento senza che accada nulla, senza che un buon verso veda la luce, poi una notte un poeta è assalito dalla disperazione e nasce così una grande poesia” e con questa Ballata racconta una storia di solidarietà, accoglienza e dedizione che non ha età e che nella potenza dei suoi versi è di un’attualità disarmante.

La Ballata è pubblicata da Adelphi nella collana di illustrati per ragazzi con disegni di Igor Olejnikov e traduzione di Serena Vitale.

Il protagonista è Anteo, un piccolo rimorchiatore, il suo è un mestiere ripetitivo e faticoso, è utile alle grandi imbarcazioni che arrivano nel porto dopo lunghi viaggi. Anteo le accoglie, dà loro il benvenuto, hanno bisogno di riprendere fiato, di riposare al riparo, la solitudine del lungo periodo per mare deve essere ripagata e tutto in compagnia diventa più lieto.

Niente a che fare con l’Anteo mitologico e gigantesco figlio di Gea, quello di Brodskij è un piccolo ma grande eroe che esprime la sua forza nella volontà di accogliere e aiutare.

Tra cielo e il fumo delle ciminiere, Anteo è un rimorchiatore instancabile che porta a bordo il suo comandante, i macchinisti e la cuoca, e si lascia andare ai sogni e all’incanto delle nuvole che lo riportano nei luoghi della sua infanzia. Anteo di buon mattino vestito di nebbia dalla testa ai piedi va incontro alle navi che lo attendono e provengono da mari lontani con a bordo stranieri affaticati, ben arrivati, amici!.

Con semplicità e abnegazione, il rimorchiatore lavora e vive quotidianamente la sua missione dimenticando chi è sempre di corsa, in affanno e chiede alle navi che salpano di portare all’oceano natìo i suoi saluti, lui non può raggiungerlo, deve restare lì dove gli altri hanno bisogno fino al giorno in cui farà rotta verso un sogno beato.

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Intervista a Francesco Vitucci docente e esperto di letteratura giapponese

Nella vasta libreria di Eolo uno spazio speciale è riservato al Giappone. Dal Sol Levante giungono romanzi, racconti, saggi che riscontrano un crescente interesse tra i lettori italiani e Francesco Vitucci, professore associato di linguistica Giapponese all’università di Bologna e traduttore delle opere di Y. Seichi per Sellerio, uno dei massimi esperti di cultura e letteratura giapponese è in libreria con l’ultima uscita delle indagini del detective Kindaichi di Seichi e con la collana Arcipelago Giappone di Luni Editrice. Anche le Eolie non sono poi così lontane…

Francesco sei curatore della collana Arcipelago Giappone di Luni editore giunta alla settima pubblicazione con Favole del Giappone. Che libri propone la tua collana?

Arcipelago Giappone apre al lettore una nuova dimensione nella quale ogni opera, proposta sempre in traduzione dal giapponese, rappresenta un'esperienza letteraria orientata verso il Giappone moderno nella sua complessità. La finalità è quella di offrire un ampio affresco di generi e concetti che sorprendono tanto per la loro originalità quanto per le profonde e imprevedibili analogie con correnti letterarie di respiro mondiale. Ecco perché accanto al giallo (Edogawa Ranpo, Yumeno Kyūsaku), abbiamo pensato di accostare autori di narrativa (Nakajima Atsushi), letteratura fantastica (Izumi Kyōka) e per l'infanzia (Niimi Nankichi). Tutti nomi del tutto sconosciuti in Italia, ma doverosamente citati nella critica letteraria, nonché richiamati nella storia della letteratura giapponese.

Sei traduttore di Seishi, considerato il Simenon del Sol Levante, proprio in questi giorni è in uscita il quarto libro edito da Sellerio, anticipi ai Libri di Eolo qualcosa?

Il prossimo volume raccoglie il romanzo Una testa in gioco in cui il detective Kindaichi – goffo, trasandato, di intuito acutissimo – è alle prese con un caso che sembra il macabro rovescio dei «gialli col cadavere senza volto», poiché nell’appartamento di una spogliarellista viene trovata la testa della donna sopra un tavolo da poker. Sempre all'interno del volume troviamo il secondo romanzo Il teatro fantasma che assume quasi i toni di una fiaba thriller. L'ambientazione è suggestiva perché la storia si svolge all'interno di un teatro kabuki e vede come protagonisti tre fratellastri e la loro rivalità sotterranea, un vecchio e fedele assistente di scena, un’impresaria cieca coinvolta giocoforza nella sparizione inspiegabile del fratello attore - avvenuta sul palco sedici anni prima - ma destinata a ripetersi come una sfida rivolta a Kindaichi, questa volta in forma di omicidio. Il volume si conclude con il racconto Il corvo ambientato in uno stabilimento termale annesso a un santuario shintoista. Quella che doveva essere una vacanza ristoratrice si trasforma per Kindaichi in una nuova indagine: tra corvi sacri che stillano sangue, la maledizione di una dea gelosa, e il più antico dei moventi: ovvero, l’invidia.

Il tuo legame col Giappone è molto profondo. Perchè secondo te la sua narrativa piace tanto in Italia?

Bisogna innanzitutto riconoscere che la letteratura giapponese sta riscuotendo un buon successo in Italia ormai da alcuni anni e, proprio per questo, il parterre dei lettori oggi è ormai più che maturo per orientarsi in diversi generi e altrettante nicchie. Di base, penso che la curiosità verso il Giappone sia giustificata prima di tutto dalla ricchezza contenutistica che la letteratura giapponese offre ai nostri lettori, stimolata altresì da un indubbio aumento delle traduzioni in italiano che hanno raccolto, a loro volta, un pubblico estremamente trasversale: da appassionati di letteratura classica e poesia fino agli amanti delle opere più contemporanee e moderne. Di certo, anche il soft power della cultura giapponese ha giocato a favore di questo avvicinamento. Ecco perché il Giappone, nonostante lontano, in Italia viene percepito come un paese molto affine e con il quale poter sviluppare una certa empatia.

Alle Eolie ci sei stato lo scorso anno, cosa ti hanno trasmesso i luoghi di Eolo?

Di sicuro lo spazio geografico delle Eolie, che è di per sé aperto, assomiglia molto all'arcipelago giapponese perché permette lo scambio, l'avvicinamento, l'incrocio culturale. È uno spazio vivo, complesso, curioso. Personalmente, grazie alla mia esperienza alle Eolie, ho avuto modo di entrare in contatto con scrittori, traduttori, giornalisti e imprenditori potendo ampliare la mia visuale accademica, troppo spesso costretta nell'ambito meramente linguistico, traduttivo e traduttologico. Di certo, questa esperienza mi ha permesso di comprendere a fondo il valore della divulgazione e dell'incontro,fondamentale per connettersi con il pubblico dei lettori e, più in generale, con la società nel suo complesso, nonché di focalizzarmi su quelli che sono gli obiettivi del mio lavoro, ovvero arrivare alle persone portando loro delle storie e dei racconti. 

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Materazzo e Sarnataro- I campioni del grande Napoli- Newton Compton Editori

Giampaolo Materazzo e Dario Sarnataro sono due napoletani doc, insieme hanno documentato e firmato libri dedicati alla squadra di calcio che quest’anno ha vinto il suo terzo scudetto e con “I campioni del grande Napoli” edito da Newton Compton raccolgono tutti le figure di spicco che hanno fatto della squadra del Napoli una delle più seguite e apprezzate. Il libro è una volata a ritmo battente attraverso le storie calcistiche e private dei grandi fuoriclasse che hanno fatto palpitare e sognare i tifosi azzurri di tutte le epoche come riporta Gianfranco Lucariello nella prefazione.

Gli autori percorrono un viaggio nel tempo e nei cuori dei campioni e dei tifosi con tutte le emozioni di una stesura work in progress mentre la vittoria dello scudetto diventava partita dopo partita realtà grazie ai calciatori guidati dal mister Spalletti. Dai nuovi eroi alle leggende ai dirigenti e agli allenatori, Materazzo e Sarnataro raccontano e omaggiano queste figure con ritratti dettagliati dei loro talenti, con curiosità e aneddoti accompagnati dai disegni di Fabio Piacentini e dalle icone di Thomas Bires. Il libro diventa un grosso grazie azzurro ai campioni che con il loro impegno quotidiano hanno ispirato la realizzazione di questo libro e un imperdibile volume per ogni tifoso di una squadra e di una città che sa dimostrare sempre la sua bellezza e i suoi talenti.

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Americana- a cura di Elio Vittorini- Bompiani

Fortemente osteggiato dal regime fscista, il volume “Americana” curato da Elio Vittorini uscì nel 1942 dopo il sequestro della censura e proposto con un’introduzione di Emilio Cecchi e senza le pagine critiche e di presentazione alle varie sezioni dello scrittore siciliano. Il volume antologico, uscito per inaugurare la nuova collana Pantheon diretta da Vittorini, raccoglie racconti di autori americani celebri e significativi e copre un arco temporale che va dagli inizi dell’800 al primo trentennio del Novecento. “Americana” torna in libreria nella nuova edizione Bompiani con l’introduzione di Giuseppe Zaccaria e quella originaria di Cecchi in appendice e tutti i contributi di Vittorini.

Dalle origini con Washington Irving fino a John Fante, il volume che supera le 1200 pagine “ è un viaggio- fitto di luoghi, di presenze e di incontri- nella letteratura, e la letteratura, contenendo in sé tutte le storie, divien strumento di significazione e rappresentazione universale”. La scelta di Vittorini ricade su trentatre scrittori, da Melville, a Poe, a Fitzgerald, a Steinbeck e sulle traduzioni di maestri come Montale, Pavese, Moravia che per Vittorini “ valeva soprattutto come un gesto tracciato nella vita e nella storia, come sfida e provocazione. Era un appello rivolto agli scrittori perché riscattassero la loro posizione di inerzia acquiescente, facendosi promotori di un disegno più autenticamente e incisivamente culturale”.

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Intervista a Daniela Pareschi autrice e illustratrice di Animali bellissimi- Il Barbagianni

Animali bellissimi” è un albo illustrato che comprende diciannove categorie di animali accomunate da caratteristiche particolari e inedite frutto di un gioco scientifico-fantasioso dell’autrice e illustratrice Daniela Pareschi. Edito da Il Barbagianni, il libro è uno scrigno di bellezza e ci invita a osservare con attenzione chi ci circonda e a essere accoglienti con chi è diverso da noi perché in fondo qualcosa di comune lo abbiamo tutti.

Daniela, cominciamo dall’idea dell’albo. Divulgazione, fantasia, inclusione caratterizzano le 19 categoria di animali, da quale sei partita e come ti è venuta l’idea?

Da bambina mi divertivo a riunire animali accomunati da una caratteristica simile. Mi sembravano più simili tra di loro piuttosto che rispetto agli esemplari della loro stessa specie. Così da illustratrice adulta ho mantenuto la memoria di quel gioco e l’ho riproposta in maniera strutturata.

Sei autrice e illustrazione e il libro è stato visionato e approvato dallo zoologo Rufino, la scienza e la creatività insieme, com’è stato il vostro confronto?

Abbiamo avuto, io e gli editori, da subito l’esigenza di riportare informazioni esatte. Non vuole essere un libro di fantasia o di animali fantastici (a parte l’ultima categoria). Con il suo aiuto ogni animale è stato rivisto, corretto e approvato. Davide ha dato quell’attendibilità che rende il libro un vero testo di divulgazione scientifica che dosato con criterio si accompagna armonicamente alle illustrazioni più oniriche.

Racconta la bellezza degli animali, il loro essere piumati, cornuti, colorati. Li guardi con gli occhi di bambina ma li disegni con l’esperienza dell’illustrazione, è stato un bel gioco questo libro?

Splendido, anche perché da subito è nata con l’editore una stimolante collaborazione che ha posto domande, portato a prendere decisioni, a fare ricerca, creando giorno dopo giorno la struttura e poi i dettagli di tutto il libro. Direi assolutamente che l’approccio è stato proprio quello del gioco, della scoperta e della condivisione. A pensarci bene ecco perché ha funzionato: ha messo in campo tante competenze in una giusta misura.

L’approccio è nuovo, bisogna sempre guardare il mondo con occhi pieni di stupore e curiosità?

Soprattutto bisogna guardare il mondo usando stupore e curiosità per porsi delle domande e vedere le stesse cose in maniera diversa. Questo ho fatto nel libro, ho rimescolato le carte sul tavolo e le ho raggruppate in maniera diversa. Si vedono aspetti che prima non erano messi in evidenza.

Nel libro emerge anche il tema dell’inclusività, dell’essere famiglia pur apparendo diversi o appartenendo a specie non uguali?

Assolutamente. È evidente che le diversità sono annullate nel senso che a seconda del punto di vista io non sono più una cosa sola, ma posso essere tante cose. Una coccinella è un insetto, ma utilizza anche le sue macchie esattamente come le usa il polpo dagli anelli blu, ecco qui!

A quale degli animali dei disegni in tavola grande ti senti più affine? O meglio se dovessi inserirti in una categoria quale sentiresti più simile a Daniela?

Senza ombra di dubbio ad un orso. Come lui, cerco l’isolamento, amo la solitudine, trascorro lunghi periodi in uno stato di torpore in cui mangio e disegno al caldo della stanza, riducendo al minimo ogni mia attività sociale. Ecco, il mio stile di vita è molto più simile a quello di un orso, piuttosto che ad un organizzatore di eventi festosi.

Torniamo al libro e alla sua realizzazione, spesso i lettori sono curiosi di sapere i tempi e anche il metodo di scelta , in quanto tempo Animali bellissimi è venuto al mondo?

Inizialmente ho proposto due tavole finite: il levriero (Quelli con i capelli) e il cervo (Quelli con le corna). Da lì per sviluppare tutto il libro ci sono voluti un paio di mesi fatti di lavoro intenso. Successivamente un altro mese per revisioni, messa a punto, rifacimento di alcune tavole, piccole correzioni ai disegni.

La casa editrice ha accolto il tuo progetto, come sta procedendo la promozione del libro?

La parte di promozione e presentazione del libro, semplicemente lo fa esistere. La casa editrice ha fatto finora un lavoro molto importante per sostenere l’uscita del libro e, adesso che il libro è uscito, ne farà uno altrettanto importante: sviluppare il progetto attraverso presentazioni.

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Intervista a Andrea Farotto autore di “Ci sono giorni…” Caissa Italia editore

Ingegnere petrolifero con la passione per i viaggi, Andrea Farotto è anche autore di libri per bambini e con Ci sono giorni… illustrato da Lucia de Marco edito da Caissa Italia, racconta l’importanza del tempo, del sapersi fermare e notare qualcosa di bello che ci circonda. La quotidianità abitata dallo stress e dai ritmi veloci fa perdere l’approccio con la bellezza che soltanto i bambini sanno ancora cogliere e scorgere. Il viaggio, tra parole e disegni, in scene che ci sono familiari e abituali diventa un monito e un invito alla leggerezza, a seguire un palloncino rosso, a diventare magari come lui, e a dedicare più tempo agli altri e anche a noi stessi.

Andrea, quanto è necessario riappropriarsi del tempo per poter notare il bello che ci circonda?

Quanta meraviglia c’è intorno a noi, ma noi lasciamo che ci passi accanto!

Ci sono giorni in cui la gente è così indaffarata da non avere tempo di stupirsi, di meravigliarsi per il bello che ci circonda.

Eppure basterebbe riorientare lo sguardo, anche solo per un istante.

Riappropriarsi del tempo è fondamentale, ed è stupefacente come un attimo fuggente di meraviglia procuri tanta felicità.

La vita frenetica ci assorbe e ci distoglie dalla meraviglia, dalla natura e dalle piccole cose che stanno accanto a noi. Gli occhi curiosi dei bambini riescono a spostar lo sguardo degli adulti verso ciò che ha intorno?

La vita frenetica ci porta a trascorrere il tempo con l’ansia che non sia mai a sufficienza. Le distrazioni non sono ammesse, la fretta diventa il modo di vivere e capita spesso di dover trascinare i bambini lungo il tragitto al comando di “Presto!”, negando loro il diritto di rallentare, fermarsi per osservare ciò che li attrae. Dare ai bambini la possibilità di esplorare richiede tempo, ma le cose da fare sono sempre così tante che siamo convinti di non avere via d’uscita dalla nostra tabella oraria.

L’albo illustrato Aspetta, di Antoinette Portis, è stato per me fonte di ispirazione, in quanto si rivolge anche agli adulti, mostrando loro come a volte è necessario fermarsi, per non perdersi le cose belle - e forse veramente importanti - della vita.

Gli occhi curiosi dei bambini riescono a cogliere l’inaspettato e il loro invito ad aspettare offre allo sguardo degli adulti l’opportunità di scorgere ciò che di meraviglioso ha intorno.

Quando nasce l'idea di raccontare questa storia?

L’idea di raccontare questa storia è nata nel momento in cui i miei figli mi hanno ricordato l’importanza di vivere la vita con uno spirito di meraviglia.

Quando, nei momenti di sconforto, ho ritrovato il sorriso scoprendo tra le mie carte i disegni di mia figlia Antonella, che mi ritraggono al suo fianco, incorniciati in cuori rosa.

Quando, a fine giornata, mi sono sorpreso ad aprire lo zainetto di scuola di mio figlio Angelo, trovandolo pieno di rametti, foglie, sassi e gusci di lumaca.

Quando, ancora oggi, l’unica parola che mia figlia Allegra all’età di due anni pronuncia in maniera chiara è “papà”.

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Intervista a Babas autrice di “Come addomesticare un umano” Giunti

di Cristina Marra

Babas, alias Barbara Capponi è un’artista con lo sguardo rivolto alla natura che interpreta nel disegno, nella scultura, nella fotografia e nella scrittura. Con il libro “Come addomesticare un umano”,illustrato da Andrea Ferolla e con prefazione di Daria Bignardi, l’autrice dà voce all’universo felino e a scrivere in prima persona accorgimenti, comportamenti, tattiche, azioni da utilizzare per ammaestrare un umano è proprio un gatto. Forte di una grande e lunga esperienza da “addomesticata” dai suoi gatti di casa, Babas parte dai cenni generali sulla specie umana e sviluppa la narrazione con aneddoti, curiosità, indagini, rivelazioni sull’universo umano e felino, che diventa un inno al rispetto e all’amore reciproci.

Barbara, il libro è scritto dal punto di vista del gatto, quando ti è nata l’idea?

Immaginare come ci vedono i gatti è una cosa che mi è sempre venuta naturale. Sarà perché volevo fare l’etologa, ma guardare alla specie umana come i ricercatori guardano gli (altri) animali è una seconda natura, per me. Avendo sempre vissuto con i gatti, mi chiedo spesso come appariamo ai loro occhi. Sono anni che parlo di me, a loro, dicendo “la scimmia”. Poi, siamo stati così fortunati da non trovarci in città durante il lockdown: siamo rimasti bloccati a Monterosso al Mare, in questo universo bellissimo, tra i giardini e il mare, i cui abitanti eravamo Stefano, io e i gatti. Le uniche altre creature che incontravamo erano gli abitanti del bosco sopra casa e occasionalmente altri gatti, che passavano nel nostro giardino. Era un mondo essenziale, un Eden domestico fatto di quattro persone (per me anche gli altri animali sono persone). Lì, in maniera spontanea, il libro ha iniziato a uscire dalla mia stilografica. Si vede che era pronto per prendere questa forma.

Dare voci ai gatti, tradurre in parole i loro comportamenti è stato anche un omaggio ai tuoi mici di casa?

Certo. Per me sono molto importanti e dedico loro moltissime energie ed attenzioni; come loro a me. Credo che questo libro sia sicuramente un atto di amore nei loro confronti. E anche nei confronti di tutti i gatti che mi hanno fatto l’onore di condividere una parte di esistenza con me.

L’io narrante compie un’indagine e una ricerca sul mondo degli umani. Quanto ti sei divertita a entrare negli occhi di un gatto e a percepire con le sue vibrisse?

Mi sono divertita moltissimo. Sia a pensare ai contenuti, sia nel lavoro stilistico. Quando ti applichi a un tema che conosci bene emergono continuamente cose, a cui sei abituato e che non hai mai formalizzato. Per esempio, non avevo mai messo a fuoco l fatto che il gatto spesso viene in bagno con te e spalanca la porta nei momenti più delicati. O la dinamica precisa, il rituale con cui cerca di smuoverti quando vuole che tu faccia qualcosa per lui. Come si pone rispetto alle migrazioni, che la nostra specie compie nella stagione calda. O come deve vivere il fatto che tu quotidianamente vada a frugare nella sua lettiera e ne sottragga il contenuto (per farne che? Si chiede). Emergono dei dettagli che inanelli e prendono il loro posto nel grande disegno della relazione felini-umani. Non c’è fine alla meraviglia. Poi c’è lo stile. I gatti sono creature superiori, di eleganza inarrivabile, e quindi volevo anche un tono un po’ alto: tra il ricercatore distaccato e lo snob perplesso. Mi è stata di ispirazione la letteratura inglese di fine ottocento e inizio novecento, che amo molto - e in particolare Saki, che sospetto fosse in parte gatto e il cui umorismo trovo irresistibile. Poi ogni tanto mi sono usciti anche degli sprazzi di tenerezza condiscendente, che probabilmente a Saki avrebbero fatto orrore. Invece secondo me i gatti ce li hanno e qualche volta ci vedono davvero come dei “poveri bestioni” – idea che continua a procurarmi un divertimento insensato ogni volta che ci penso.

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Giuseppina Turiano col racconto “Stromboli” vince il premio Mare Nostrum Mediterraneo 2022

di Cristina Marra

La scrittrice messinese Giuseppina Turiano è la vincitrice della sezione Racconti della dodicesima edizione del premio Mare Nostrum Mediterraneo organizzato dall’Associazione culturale Accademia Euromediterranea delle Arti. Turiano autrice di numerosi racconti in cui intesse trame fortemente radicate nel territorio siciliano, si è aggiudicata il primo premio con il suo racconto “Stromboli” con la seguente motivazione : un accattivante, intrigante racconto che si snoda sul filo dei ricordi dipanati dalla scrittrice con semplicità ma con altrettanta incisività, tanto che la

lettura, per il registro linguistico adottato da Turiano, non lascia al lettore il tempo di qualche pausa, curioso di conoscere l’epilogo del racconto in cui il mare dentro, quello isolano, che circonda l’isola di Stromboli si fa complice ed al tempo stesso compartecipe del narrato, che affonda le sue radici nell’emigrazione siciliana e nello struggente ritorno alla terra natìa, al Mare Nostrum Eoliano”. La cerimonia del premio presieduto da Maria Teresa Prestigiacomo si è svolta a Messina alla Corte dei Mari.

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Il romanzo “Su per antiche strade”(Edizioni Smasher) di Giuseppina Coppolino sarà presentato a Castroreale mercoledì 28 settembre alle ore 17,00 a piazza Pertini. All’incontro con l’autrice che converserà con la giornalista Cristina Marra parteciperanno la professoressa Mariella Sclafani e l’editrice Giulia Carmen Fasolo. Promosso dalla Proloco Artemisia in collaborazione col comune di Castroreale e la casa editrice Smasher, in caso di maltempo l’incontro si svolgerà presso i locali del bar Al Duomo.

Giuseppina Coppolino, castrense, alla sua seconda pubblicazione di narrativa, con “Su per antiche strade” propone un romanzo introspettivo e fortemente radicato nel territorio di Castroreale che con le sue peculiarità paesaggistiche e le sue suggestioni diventa personaggio testimone di eventi e scenario di vicende. L’autrice ripercorre le strade del borgo che si fanno metafora di un percorso introspettivo, storico e personale che parte dall’infanzia della protagonista Anita negli anni Sessanta e arriva ai giorni nostri in pieno periodo pandemico.
La storia di Anita, che interseca passato e presente, sentimenti e sfide, affonda le sue radici in un lontano passato e si snoda tra la Danimarca e la Sicilia.

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di Cristina Marra

Intervista al giallista greco Petros Markaris

Di Cristina Marra

Con “La congiura dei suicidi” (La nave di Teseo) Petros Markaris torna in libreria a raccontare la sua Atene dei nostri giorni con gli occhi del commissario Kostas Charitos e il suo stile inconfondibile che lo rende uno degli autori di noir più apprezzati al mondo. Markaris sceneggiatore, traduttore, autore televisivo e teatrale Ha collaborato con Theo Angelopoulos a diverse sceneggiature, tra cui L’eternità e un giorno, Palma d’oro a Cannes nel 1998.  Nel 1995 ha creato un personaggio seriale di Charitos, definito “il fratello di Maigret”, un uomo solido, umano e dalla grande caparbietà che legge e cerca risposte nel dizionario e non ha simpatia per i giornalisti e i bancomat. Sposato e con una figlia, Kostas Charitos vive e indaga nella sua Atene una metropoli in cui convivono Oriente e Occidente, echi del passato e crimini del presente.

Hai iniziato come traduttore, pensare in tante lingue ti ha aiutato quando hai iniziato a scrivere?

Sono nato negli anni Quaranta e sono cresciuto nella Istanbul degli anni Cinquanta. A quell’epoca Istanbul era una città molto cosmopolita. Passeggiando per Beyoglu, uno dei quartieri principali della città, si poteva sentir parlare sei lingue diverse: turco, greco,armeno, giudeo-spagnolo, italiano e francese, la cosa non mi sorprendeva affatto,perché in quel periodo era normale a Istanbul. La ricchezza e la varietà di lingue ha avuto un forte impatto in me sia come scrittore che come traduttore. Quando ho lasciato Istanbul nel 1960 ero trilingue. Parlavo correntemente greco, turco e tedesco. A Vienna ho deciso di scrivere nella mia lingua madre, il greco. Questa è stata la ragione principale che mi ha portato a trasferirmi ad Atene. Ho iniziato a lavorare come traduttore dal tedesco e le traduzioni dei diversi testi mi hanno aiutato sia a sviluppare uno stile personale di scrittura, che a saper spaziare tra i diversi generi.

Dal 1993 Charitos fa parte della tu vita e segue mutamenti personali e sociali. Che rapporto hai col tuo protagonista? Charitos e la sua famiglia sono parte della mia vita di tutti i giorni. Sono quotidianamente in contatto con loro anche quando non scrivo. Credo che sia per via della straordinaria somiglianza di Adriana con mia madre. Mi sono accorto di questa somiglianza grazie a un piatto di pomodori e peperoni ripieni. Gradualmente, da un romanzo all’altro, Adriana è diventata identica a mia madre. Se la conosci, conosci anche mia madre.

Dopo una raccolta di racconti scritta in piena emergenza pandemica è in uscita in italia il tuo nuovo romanzo. Com’è cambiato il modo di scrivere con la pandemia e la guerra in corso? Scrivere durante la pandemia è stata la mia salvezza. Fortunatamente non ero a corto di idee. Ho scritto una raccolta di racconti e un romanzo che è stato appena pubblicato in Italia. Ora sto scrivendo un altro libro, anch’esso iniziato durante la pandemia. Non so ancora se la guerra in Ucraina mi spingerà a scrivere un nuovo romanzo. Quello che so è che questa guerra mi rende furioso, e quando sono furioso finisco sempre col cominciare un nuovo progetto narrativo. È il mio modo di ritrovare la pace interiore.

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Intervista a Claudio Gallo autore della biografia “Emilio Salgari – scrittore di avventure” Oligo Editore

Per celebrare i centosessanta anni della nascita di Emilio Salgari, arriva in libreria la biografia scritta da Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi, edita da Oligo . Il testo corposo e ricco di notizie e documenti è il frutto di un lavoro di ricerca a quattro mani e racconta la vita dello scrittore amato da intere generazioni senza cedere a facili interpretazioni romanzate ma ripercorrendo le tappe di una vita intrecciata con il contest storico, sociale e editoriale del tempo. Il testo si avvale anche di due contributi su Salgari di Luca Crovi e Mino Milani.

Claudio, “Salgari come nessun altro scrittore del nostro paese sapeva creare storie, eroi e scenari avvincenti”. Quanto è ancora attuale e insuperabile la sua scrittura?

La narrativa salgariana ha un carattere universale, recepibile ben oltre i confini nazionali. I suoi romanzi proposero un’esperienza narrativa nazionale che a fine Ottocento non aveva avuto possibilità di affermazione. Poco incline alle riflessioni poetiche, al saggio, ma conscio del proprio ruolo, grazie alle sperimentazioni del Movimento Scapigliato di cui aveva fatto tesoro, Salgari introdusse il romance, per spiegarci quello di Robert Louis Stevenson, che conquistò il pubblico e modificò l’assetto e le strategie di numerose case editrici. Si può discutere il suo stile, ma è unico e non imitabile. Oggi alcuni dei suoi romanzi sono pubblicati da tutte le grandi case editrici italiane; Salgari è un classico della Letteratura Italiana. La lotta tra Bene e Male, Amore e Odio, Solidarietà e Vendetta, Vittoria e Sconfitta, Coraggio e Viltà, Crudeltà e Generosità sono temi universali, quasi shakespeariani, sempre presenti nella sua personalissima poetica.

La biografia inizia col suo ultimo viaggio e il suo arrivo in una bara gialla a Verona. Che impressione ha fatto la sua morte violenta all’opinione pubblica e al mondo editoriale?

Del suicidio ha parlato ampiamente la stampa del tempo senza però i necessari approfondimenti, forse  

per rispetto all’autore. Il mondo editoriale perse uno scrittore moderno e innovatore che avrebbe potuto offrire ancora molto. Tuttavia sono le lettrici, i lettori, giovani e no, a manifestare il loro affetto come si può constatare dalla partecipazione ai due funerali (nel 2011 a Torino e nel 1912 a Verona) e dalle straordinarie sottoscrizioni promosse in tutta Italia sostenute dalla generosità dei suoi ammiratori.

Che i suoi viaggi fossero solo sulla carta è una verità assodata?

Studiava e si informava. Ma nessun viaggio è mai stato documentato anche se in lacune biografie gliene vien attribuito uno da Venezia e Brindisi in età giovanile. Viaggi sulla carta geografica supportata nozioni naturalistiche e ambientalistiche. Per rendere meglio l’idea ricorro a una citazione da Claudio Marazzini ed Elisabetta Soletti che anni fa hanno avuto l’esclusiva possibilità di vedere le carte dello scrittore: «La lettura [delle carte] suggerisce invece l’immagine di uno scrittore appassionato di scienze naturali, teso con inesausta curiosità ad ordinare, catalogare. Non gusto esotico accompagnato da superficiale informazione […] ma mentalità pienamente positivista che non trascura nulla e parte dal più elementare per arrivare al più complesso».

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J.J. Ellis – I fiori del male – Ponte alle Grazie

Con I fiori della morte di J.J. Ellis esordisce il personaggio dell’ispettore Tetsu Tanaka dell’ufficio stranieri della polizia metropolitana di Tokyo, che indaga insieme alla giornalista inglese di cronaca nera Holly Blain. La Tokyo di Ellis è colorata dai ciliegi in fiore e le tinte pastello della fioritura si scontrano col nero del crimine e col rosso del sangue che irrompono con la morte di una ragazza svedese e contemporaneamente con la scomparsa di un’altra di nazionalità francese. L’ispettore sa che il Giappone aveva una delle percentuali di crimini più basse all’impantanata nella burocrazia e nell’inerzia istituzionale mondo, non solo per l’efficienza della polizia troppo spesso impantanata nella burocrazia e nell’inerzia istituzionale mondo, le cause erano da ritrovare nella società giapponese e nel culto della non violenza e del rispetto reciproco.

Tanaka si chiede da subito se alla base della scomparsa della ragazza non ci fosse proprio questo, la mancanza di rispetto e riflette sul il male che si insinua nella società e miete vittime tra i giovani, e il pensiero va alla figlia perduta da non troppo tempo, la parte mancante della sua piccola famiglia. Il sospetto di un killer seriale si fa strada ben presto e a Tokyo, immensa città che non finisce mai, contraddizioni e alternanze di bellezza abbagliante e crimini morbosi sembrano non avere più fine. Alle indagini partecipa l’androgina giornalista inglese Blain appassionata di cronaca nera e impeccabile nel suo modus operandi che la rende quasi trasparente quando si infila negli ambienti più rischiosi della città.

Il thriller diventa ben presto adrenalinico ed emergono le vite dei personaggi tutti accomunati da un senso di solitudine e vuoto che convive con la determinazione e la forza di andare avanti e perseguire i loro obiettivi. L’autore, alla sua esperienza narrativa, di quella che sarà una trilogia, attinge dalla ritualità e dalla tradizione per raccontare l’evoluzione tecnologica e sociale di un Giappone dal doppio volto, dove il rosa abbacinante del negozio di Hello Kitty contrasta con il rosa tenue e gradevole dei ciliegi che adornavano il palazzo imperiale.

società e miete vittime tra i giovani, e il pensiero va alla figlia perduta da non troppo tempo, la parte mancante della sua piccola famiglia. Il sospetto di un killer seriale si fa strada ben presto e a Tokyo, immensa città che non finisce mai, contraddizioni e alternanze di bellezza abbagliante e crimini morbosi sembrano non avere più fine. Alle indagini partecipa l’androgina giornalista inglese Blain appassionata di cronaca nera e impeccabile nel suo modus operandi che la rende quasi trasparente quando si infila negli ambienti più rischiosi della città. Il thriller diventa ben presto adrenalinico ed emergono le vite dei personaggi tutti accomunati da un senso di solitudine e vuoto che convive con la determinazione e la forza di andare avanti e perseguire i loro obiettivi.

L’autore, alla sua esperienza narrativa, di quella che sarà una trilogia, attinge dalla ritualità e dalla tradizione per raccontare l’evoluzione tecnologica e sociale di un Giappone dal doppio volto, dove il rosa abbacinante del negozio di Hello Kitty contrasta con il rosa tenue e gradevole dei ciliegi che adornavano il palazzo imperiale.

AUTORE J.J ELLIS TITOLO I FIORI DELLA MORTE TRADUZIONE GAJA CENCIARELLI
EDITORE PONTE ALLE GRAZIE PREZZO EURO 18,90

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Anna Vera Viva – Questioni di sangue- Garzanti

Napoli è un teatro a cielo aperto, ogni vicolo racconta una storia, e musiche, chiacchiere, urla o sussurri diventano dialoghi e confessioni o semplicemente narrazioni infarcite di sentimenti e suggestioni che rivivono in romanzi senza tempo. Anna Vera Viva, napoletana di azione sceglie il rione Sanità per indagare il cuore della città partenopea con “Questioni di sangue” edito da Garzanti. Sceneggiatrice, scrittrice e appassionata di viaggi e di arte, la Viva racconta una storia di sangue inteso come legame familiare ma anche sangue versato in quei vicoli-personaggio, sofferenti e vittime, ma anche coraggiosi e testimoni. Raffaele, figlio da sempre e per sempre di quella terra di passione, fuoco e sangue, dopo la morte della madre viene adottato da una famiglia romana e diventa prete, il fratello maggiore Peppino, invece è il boss del rione, diversi di indole e di approccio alla vita, eppure uniti dal sangue che scorre nelle loro vene.

Tornato a Napoli come parroco della Basilica di santa Maria alla Sanità, Raffaele ripercorre le strade dell’infanzia, rivede il basso in cui abitava trasformato in un bar e conosce l’attività criminale del fratello. Ben presto l’omicidio di un usuraio dalla doppia vita riporta don Raffaele a fronteggiare il male, la solitudine, gli abbandoni e il dolore che lo avevano colpito durante l’infanzia. Stavolta il suo sguardo è compassionevole e diretto alla gente del quartiere di cui si sente responsabile e guida non solo spirituale. Quando il solitario e randagio ispettore Carmine Vitiello arriva sul luogo del delitto, per don Raffaele tornare verso la canonica fu come scendere i gradini dell’infero, inquieto e dubbioso si tormenta chiedendosi se poteva essere stato Peppino il mandante dell’omicidio.

La scrittrice tesse una trama in cui ogni filo narrativo si lega alla matassa aggrovigliata dei rapporti familiare tra fratelli, genitori e amanti. Palazzi e vie si rivelano agli occhi di Raffaele che però doveva svuotare la mente e concentrarsi sul delitto, ora più che mai doveva avere la certezza che il fratello non ci avesse nulla a che fare. In un gioco del doppio in cui Peppino e Raffaele si alternano con azioni e ricordi, la scrittrice fa venire a galla i lati opposti e nascosti dei suoi personaggi e di una città-madre che decide da sola quando svelarsi.
Anna Vera Viva Questioni di sangue Garzanti Euro 16,90

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Gustav Skordeman- Parola d’ordine Geiger- Rizzoli

Noto sceneggiatore, regista e produttore svedese Gustav Skordeman si cimenta nel suo primo romanzo con “Parola d’ordine Geiger” un thriller che inaugura la serialità dedicata all’agente Sara Nowak. Tradotto da Alessandro Borini e Samanta K. Milton Knowles, il romanzo è un crescendo di pathos e indagine. A far scattare l’innesco criminale una telefonata ricevuta da Agneta, moglie del famoso anchorman Stellan Broman, dopo un tranquillo pomeriggio in famiglia. Come nei film di hitchcockiana memoria, lo squillo interrompe la quiete della quotidianità di cui si nutrono i Broman, genitori e nonni appagati.

Dall’altro capo della cornetta viene detta una sola parola e Agneta non ci pensa due volte a freddare con un colpo di pistola alla testa il marito assorto a leggere il Faust di Goethe in lingua originale sulla sua poltrona e poi sparire nel nulla. Stellan un uomo a cui in realtà importava soltanto del suo lavoro e dei suoi libri era stato la più grande celebrità del paese, tutti guardavano i suoi programmi, tutti ne parlavano il giorno dopo e la notizia della sua morte, attribuita inizialmente a una rapina in casa, sconvolge l’opinione pubblica e gli inquirenti che cercano di rintracciare la moglie. L’autore da bravo sceneggiatore non si perde in chiacchiere e punta sul ritmo e il dinamismo narrativo e fa entrare in scena la sua detective, l’agente Sara Nowak, coinvolta direttamente, essendo amica di famiglia e molto legata allo zio Stellan, che non esita a indagare cercando di mettere da parte per quanto le è possibile il coinvolgimento emotivo.

Fisico statuario e capelli rossi che le costavano da giovanissima il soprannome illogico ma alla lunga anche tedioso di indiana insieme a quello di giraffa, per la sua altezza, adesso diventano il suo vanto e se per motivi professionali deve tingerli di castano per non essere troppo riconoscibile durante gli appostamenti per la squadra anti-prostituzione, Sara non gradisce avere gli sguardi delle persone su di sé e si concentra totalmente sui casi da risolvere. L’omicidio di Stellan e la scomparsa di Agneta svelano vecchi mestieri e un gioco spietato di spionaggio che risale alla Guerra Fredda e infilano Sara in una trappola psicologica che fa emergere dure verità legate al suo passato.

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Susan Stokes Chapman- Pandora – Neri Pozza

Il mito incontra la storia col romanzo Pandora di Susan Stokes Chapman, un mystery ricco di inganni, sogni, determinazione e coraggio ambientato nella Londra georgiana. L’autrice racconta le avventure della giovane Pandora, detta Dora, una donna forte e moderna che si barcamena tra le insidie, i pregiudizi e le costrizioni proprie del diciottesimo secolo con intelligenza e arguzia. Dora è intraprendente e indipendente senza rinunciare però al sostegno di due uomini importanti per la sua formazione personale e per il suo percorso di vita, lo zio Hezekiah e il giovane Edward. Appassionato e studioso Edward, come lei, è attratto dall’antichità e dai suoi misteri e tesori. Il mito di Pandora rivive in questo romanzo in una chiave moderna e originale e la curiosità verso la conoscenza diventano le scelte e l’autodeterminazione di una donna calata nella sua epoca ma con lo sguardo già avanti.

L’autrice ci fa esplorare il periodo georgiano e la magia del mondo degli antiquari attraverso Dora Blakes, orfana di entrambi i genitori che vuole dedicarsi all’oreficeria nel ricordo dei suoi cari morti in uno scavo archeologico e con Edward che rincorre il suo sogno di entrare nella società degli Antiquari e con loro ci imbattiamo nel mistero che avvolge la figura oscura di Hezekiah Blakes. La storia prende ben presto i colori del mystery e l’indagine verso la verità diventa anche indagine sulla realtà sociale del tempo, sugli usi e le abitudini. Con Chapman il lettore compie un’esperienza immersiva nell’epoca georgiana ed emerge la figura della protagonista che come la Pandora mitologica è animata da una voglia di sapere che sfida ogni pericolo.

Titolo Pandore Autrice Susan Stokes Chapman Traduttore Massimo Ortelio Editore Neri Pozza

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Ciao Micio! di Mies van Hout e AA.VV. edito da Camelozampa

Febbraio è il mese degli innamorati ma anche quello della giornata internazionale del gatto, ed il felino di casa o di strada è stato celebrato il 17 con manifestazioni, eventi e nuove uscite in libreria. Camelozampa editore sempre attento alle novità e alle pubblicazioni di alta qualità, arriva tra gli scaffali con Ciao micio! un libro illustrato che unisce l’eccellenza artistica di Mies van Hout con quella letteraria di noti autori nederlandesi. Il volume, con disegni a piena pagina accompagnati da testi in rima racconta venti espressioni feline e altrettanti modi di essere, caratteristiche o particolarità dei nostri amati mici.

Con oltre diecimila copie vendute solo nei Paesi Bassi e vincitore del Fag and Pennant Prize, “Ciao Micio!” arriva in Italia con la traduzione poetica di Nicola Cinquetti insieme a Valentina Freschi. Colori vivaci e pennellate decise fissano sulle pagine le mille “vite” dei gatti tra coccole, dispetti, fughe e pisolini. L’illustratrice già autrice di oltre cento libri per bambini e ragazzi tradotti in più di venti lingue si immerge nel mondo-gatto e realizza quadri umoristici, divertenti e anche commoventi che, pur appartenendo al mondo dei piccoli felini ,diventano pure umani.

Dal buongiorno alle coccole alle golosità, al posto sulla poltrona, gli autori con disegni e parole mettono in scena uno spettacolo racchiuso in ogni micio che sorridente, perplesso, nervoso o felice rivela il suo essere re della casa e del mondo. Non azzardatevi a dargli del pigro e se trovate il vostro gatto non stupitevi se la sua espressione significherà “pigro? Non sono né pigro né grasso, io sono io!”.

Titolo Ciao Micio! Autori vari Illustrazioni Mies van Hout Traduzione Nicola Cinquetti e Valentina Freschi Editore Camelozampa

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Michal Skibinski – Ho visto un bellissimo picchio- Einaudi Ragazzi

Nell’estate nel 1939, Michal ha otto anni e trascorre la bella stagione ad Anin vicino Varsavia con la governante e il fratello esercitandosi nella scrittura. Annota una frase al giorno e scrive un taccuino come compito delle vacanze “necessario per passare alla classe successiva”. Quel suo diario ripercorre le tappe di una stagione che diventa crudele e orribile e che, dalla serenità delle passeggiate fino al ruscello o nel bosco, alle gite a Milosna, arriva fino a settembre, a quel primo del mese che sancisce l’inizio del conflitto con la Germania e delle bombe sganciate sulla Polonia senza alcuna dichiarazione di guerra. Il piccolo Michal è dai nonni a Milanòwek e Varsavia si difende con coraggio in “un assedio lungo ventotto giorni prima di capitolare” e dare inizio alla Seconda Guerra Mondiale.

Il quaderno di Michal conservato dalla sua famiglia e pubblicato dalla casa editrice Dwie Siostry ,che ha legato le brevi frasi quotidiane alle illustrazioni di Ala Bankroft (premiate nella categoria Opera Prima al Bologna Ragazzi Award nel 2020 ) arriva in libreria in Italia per Einaudi ragazzi con la traduzione di Silvia Mercurio. Il libro deve il titolo da uno dei ricordi annotati da Michal, ancora vivente e prete in Polonia, e alcune delle pagine originali del quaderno fanno da appendice al libro che diventa un racconto di una pagina della Storia europea visto dagli occhi di un bambino e bastano poche righe e le giuste pennellate di colore per non dimenticare.

Michal Skibinski e Ala Bankroft Ho visto un bellissimo picchio Einaudi Ragazzi Euri 13,90

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Lena Johannson – Il sogno della bellezza- tre60 TEA

Della sua vasta esperienza di libraia Lena Johannson si porta la passione e la conoscenza della scrittura che la inducono a scrivere un romanzo che le ha fatto scalare in fretta le classifiche di vendita, si tratta di Il sogno della bellezza e racconta le vicende, i protagonisti e la realizzazione di prodotti per la protezione della pelle tra i più indispensabili e della crema diventata iconica: la Nivea. Tutto inizia a Poznàn nel 1889 e con la storia d’amore tra Gertrud e Oscar, lui farmacista “laborioso e intelligente, non particolarmente sentimentale o esuberante, ma in compenso schietto”, lei amante dell’arte “dal carattere posato e i nervi saldi”.

Oscar ha in mente di formulare un prodotto innovativo e efficace per proteggere la cute e aiutato dalla moglie che lo impone in società schivando i pregiudizi sulla sua origine ebrea e coinvolgendo artisti dal fonte impatto sull’opinione pubblica , così Oscar rileva il laboratorio farmaceutico Beiersdorf e inizia la sua ascesa nel mondo dell’imprenditoria a partire dai i rivoluzionari cerotti Leukoplast fino alla Nivea. La scrittrice ci immerge nell’Amburgo di fine Ottocento e miscela personaggi inventati e reali e il racconto dell’epidemia di colera riporta drammaticamente ai giorni nostri.

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Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi illustrato da Iacopo Bruno – Rizzoli

La storia della vita racchiusa già in un tronco di legno dal quale il falegname Geppetto fa venir fuori il burattino più noto della letteratura per l’infanzia internazionale, ritorna in libreria con la nuova edizione Rizzoli di Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi illustrata da Iacopo Bruno. Il celebre disegnatore, vincitore dei principali premi del settore e già illustratore per Rizzoli di “Il canto di Natale” di Dickens, incanta sin dalla copertina del volume che raggruppa tutti i personaggi collodiani sotto e intorno a un albero doppio simbolo della vicenda del burattino raccontata in trentasei capitoli e pubblicata per la prima volta interamente nel 1883. Il microcosmo che l’autore narra con le peripezie del burattino che sogna di diventare bambino e la sua crescita e la sua formazione accanto a un padre onesto e saggio prendono nuova “vita” con la creatività di Bruno.

Come Geppetto, Iacopo Bruno plasma Pinocchio e i personaggi che lo accompagnano nel suo percorso tra monellerie, bugie, scoperte, gioie e dolori e lascia grande scena agli animali emblematici della fiaba dal grillo parlante, al gatto, alla volpe, al granchio e al ciuco. Diretto, elegante, con la tenerezza e la sensibilità che strappano un sorriso e una lacrima, Bruno regala al lettore anche una postfazione illustrata e lo lascia con la matita in mano a continuare una storia senza tempo.

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Georges Simenon – La mano- Adelphi

Una mano, uno sguardo, una panchina, bastano a Georges Simenon per scrivere un giallo psicologico tra i più belli e crudeli. “La mano” pubblicato a puntate sulla Revue des Deux Mondes e poi in volume nel 1968, scritto in prima persona è il racconto duro e vero di Donald Dott, un uomo vissuto in una gabbia di protezione, prigioniero dello sguardo inquisitore della moglie e di una quotidianità che si è creato per sfuggire da sensi di colpa o responsabilità troppo grandi. Cosa sposta la sua visuale dalla comoda e ripetitiva vita da avvocato di provincia in Connecticut e lo proietta a New York?

Padre di due figlie adolescenti che vede ogni due week end e marito di una donna remissiva per eccellenza che non protesta e si limita a guardarti e giudicare Donald ha ancora il padre, irreprensibile direttore di un giornale locale, che vede raramente ma che è un esempio a volte troppo difficile da emulare. La notte tra il 15 e il 16 gennaio, una bufera di neve sorprende in macchina i Dott al rientro da un party insieme agli amici Ray e Mona Sanders. Costretti ad abbandonare l’auto, proseguono a piedi verso Yellow Rock Farm, la fattoria di Donald, ma in casa arrivano solo in tre. Che fine ha fatto Ray? La scomparsa dell’amico, ricco e stimato socio di una grossa agenzia pubblicitaria di New York, innesca un meccanismo psicologico che spinge Donald a uscire a cercarlo per poi scegliere di fermarsi nel fienile, sedersi su una panchina rossa e fumare. Il tempo passa e il fumo delle sigarette sembra bruciare pensieri e supposizioni, ricordi e desideri.

Donald in preda a una lucidità distorta ripensa alle sue scelte fatte per vigliaccheria o pigrizia come quella di sposare Isabel per il bisogno di avere accanto cose solide e ordinate. In attesa di sapere la sorte dell’amico, Donald ne desidera la moglie e le sue agiatezze. Due amici coetanei che avevano fatto gli stessi studi a Yale e poi preso strade diverse diventano con Simenon il volto dello stesso personaggio in una sorta di sliding door che mette Donald di fronte a uno specchio spietato e tagliente che è quello della sua coscienza. Simenon riprende atmosfere e luoghi vissuti nel suo lungo soggiorno americano e concentra la storia di Donald nello spazio ristretto della provincia per poi liberarla a New York . La scomparsa di Ray apre uno scenario nuovo e la mano del titolo assume più di un significo simbolico nel corso della narrazione.

Titolo La mano Autore Georges Simenon Traduzione Simona Mambrini Editore Adelphi
Prezzo euro 18,00

 

Vincent Spasaro “Morte sul vulcano” Newton Compton editori

Liam è un bambino di undici anni che arriva a Stromboli negli anni Ottanta per un lungo soggiorno estivo di tre mesi con i genitori che sull’isola intendono seguire i corsi di autocoscienza dei coniugi Mason.

Dalla loro casa le isole parevano forme oniriche di grossi cetacei antidiluviani e il panorama è quello che si scorge da Ginostra scogliera altissima dove le case si raggruppavano a cento e più metri sul livello del mare. Qui Vincent Spasaro ambienta la storia gialla e noir di “Morte sul vulcano”, nella quale si intersecano le vicende di tre bambini, delle loro famiglie e dei loro destini.

A Ginostra qualche anno prima era sparito il piccolo Ramon e sulle sue tracce si mette Liam con il giovane isolano Pietro, la loro indagine scava nel nero di una piccola comunità ma anche dei cuori di ogni personaggio che guarda Iddu con rispetto e timore.

Il romanzo esplora la piccola Ginostra, natura selvaggia a perdita d’occhio: scogli aguzzi e neri, fianchi di montagna scoscesi, lava che si accendeva ogni venti minuti un chilometro più in alto e mare, mare, mare nelle restanti direzioni ed estrapola con maestria storie occultate o svelate, volti nascosti, e soprattutto lascia spazio alla voce di due adolescenti che abbandonano vecchie certezze e ne acquisiscono altre e si scontrano col dolore e la morte. Su tutti i personaggi incombe il vulcano che sorveglia e indica, suggerisce e incanta.

Stromboli negli anni Ottanta. Perché ha scelto proprio quel periodo?

Perché è anche il periodo del passaggio dalla mia infanzia all’adolescenza. Solo dopo aver scritto il romanzo mi sono accorto che Liam oggi avrebbe la mia età. In fondo Stephen King suggerisce di scrivere di cose che conosci davvero. Okay, non sono inglese… A parte gli scherzi, l’inizio degli anni 80 è stato un momento di sbandamento i cui effetti durano ancora adesso.

Venivamo da un mondo pieno di certezze, spesso contraddittorie, e ci siamo ritrovati in mezzo alle rovine. Le prime piogge acide, Chernobyl, Solidarnosch, Reagan e il tatcherismo, la fine del terrorismo. E poi lo Spectrum, il Commodore. Potrei andare avanti a lungo. Un mondo che adesso sembra lontano ma in cui c’è in nuce l’oggi.

Il vulcano è custode, testimone, lascia indizi ma è anche un colpevole?

Quando stavo raccogliendo materiale mi avevano colpito le storie dei suicidi sul vulcano. Qual è il posto migliore per far sparire qualcuno senza lasciarne traccia? Leggevo e ascoltavo storie di litigi continui fra i paesani costretti a lavorare duramente su terreni senza acqua, e poi di ville dove famosi intellettuali si rifugiavano d’estate alla ricerca di solitudine.

C’era questo vulcano che eruttava continuamente, un Dio capriccioso che ci illudiamo di poter tenere a bada, come d’altronde i suoi vicini Vulcano, Etna e la caldera sommersa di Panarea. I personaggi del romanzo subiscono l’influenza dello Stromboli: tutto diviene fosco, tutto ingrandisce. Quando finisci di leggere secondo me in fondo non sai se dare la responsabilità degli eventi ai personaggi o a Iddu.

Com’è stato il tuo lavoro di ricerca soprattutto per quelle che sono le superstizioni, le abitudini e le credenze dell’isola?

I serpenti coi capelli, il volo delle streghe, i bambini scomparsi e l’uomo con le orecchie d’asino fanno parte del folklore dell’isola. Credo che un eoliano non avrà difficoltà a riconoscere la provenienza di quelle leggende poiché ho fatto ricerca attraverso vari saggi divulgativi e specialistici e ho avuto modo di chiacchierare a lungo con persone che hanno vissuto laggiù.

Mi affascinavano particolarmente i racconti degli incontri-scontri fra la popolazione stanziale e i ricchi turisti in cerca di solitudine. Ma credo che il lavoro più importante lo abbia fatto soggiornando per qualche tempo a Ginostra. Ho cercato d’infilarmi in tutti i pertugi che riuscivo a trovare e sono anche stato abbastanza folle da tentare la salita al vulcano attraverso il vecchio sentiero che parte dal cimitero, la stessa che ho poi fatto percorrere a Mick e Liam. Non spaventarti: ho dovuto rinunciare a metà perché il percorso era franato.

Che rapporto hai con Stromboli?

Di amore e di terrore. Amore perché sono cresciuto davanti a Stromboli: da casa mia si scorgeva addirittura Strombolicchio. È un luogo presente nel mio cuore. Quando da bambino leggevo Verne, mi bastava alzare lo sguardo per proseguire l’avventura. Per non parlare dello sceneggiato «Odissea», e poi degli studi sull’Odissea vera. Vivevo là dove tutto era accaduto, dove storia e natura s’incontravano.

Terrore perché subisco quel senso di sublime kantiano di cui parla Mick nel romanzo. Una natura capace di meravigliare e di distruggere, se pensiamo che il maremoto descritto da Petrarca a Napoli potrebbe aver avuto origine da un’eruzione dello Stromboli. E poi Stromboli è Iddu, il Padre, e la mia è una storia di padri e figli. Di sfide all’autorità e punizioni. Una sfida allo Stromboli e, se vogliamo, la conseguente reazione da parte di Iddu.

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Eolie&Comuni, in arrivo un milione e 300 mila euro

Al via il pagamento dei fondi della terza trimestralità ai Comuni siciliani. Si tratta di circa 59 milioni di euro dei trasferimenti regionali per l’anno 2021 a valere sul Bilancio regionale. Sono stati pubblicati, infatti, i decreti dell'assessorato regionale per le Autonomie locali e la funzione pubblica, con cui si autorizzano l'assegnazione e l'erogazione delle risorse finanziarie ai Comuni.

Nello specifico, si tratta di 58.983.534,79 euro di trasferimenti ordinari relativi alla terza trimestralità 2021, che andranno nelle casse dei 390 Comuni siciliani, di cui 25.493.297,65 euro ai Comuni con oltre 5 mila abitanti e 33.490.237,14 ai restanti Comuni.

«Il governo Musumeci è al fianco dei Comuni siciliani - ha detto l'assessore regionale alle Autonomie locali, Marco Zambuto - Abbiamo fortemente e volutamente accelerato il processo di trasferimento delle risorse, in modo da assicurare i trasferimenti necessari alle amministrazioni locali, molte delle quali in grave dissesto economico-finanziario e bisognose con urgenza di fondi a garanzia del loro funzionamento».

Lo scorso aprile era stato erogato l'acconto delle somme pari a circa 22 milioni, a luglio era stato liquidato il saldo della prima e della seconda trimestralità per un totale di circa 118 milioni di euro; adesso scatta il pagamento della terza trimestralità 2021 con l'erogazione effettiva di 52.835.750,09 euro al netto degli importi dovuti alla Regione, a titolo di quota parte dei piani di recupero delle anticipazioni concesse dalla Ragioneria generale. A seguito del riparto definitivo dei fondi sarà determinata la quarta trimestralità.

Queste le cifre destinate ai Comuni eoliani

Lipari € 788.784,53 Malfa € 179.100,06 Santa Marina Salina € 172.981,83 Leni € 140.765,83 

EX UFFICIO DI COLLOCAMENTO, NUOVE DISPOSIZIONI

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Piove di Alessandro Locatelli – il Palindromo

Quando un bravo libraio scrive e pubblica ci si può aspettare qualunque cosa, soprattutto se chi consiglia e assimila storie ha talento narrativo e uno spiccato sense of humour e allora accade che vi ritrovate tra le mani un libro piccolo di dimensioni ma con dentro grandi sventure esistenziali paradossali e comiche. Succede questo con “Piove – breviario di sventure esistenziali” del palermitano Alessandro Locatelli edito da Il palindromo e illustrato da Monica Rubino. Ironico e autoironico, Locatelli già autore di tre romanzi fa letteralmente bagnare il lettore di una pioggia simbolica che lo mette di fronte a verità e circostanze di quotidiana routine.

Quella di Locatelli è una pioggia invadente o provvidenziale, devastante e dispettosa o anche salvifica e rigenerante. Piove in estate mentre c’era in programma un film all’arena o prima di un comizio, appena si è steso il bucato o per la festa del quarantesimo compleanno organizzata in giardino, piove come cantano tante canzoni. Pioggia lieve che l’autore condensa in brevi storie o lunga e la narrazione si dilata e la pioggia fa innervosire o intenerire. Questo piccolo libro mette dentro tutti noi che in prima persona sussurriamo o urliamo le sventure che ci procura la pioggia o ne riusciamo a cogliere il lato positivo.

Alessandro Locatelli Piove breviario di sventure esistenziali Il palindromo Euro 11,00

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Simona Lo Iacono “La tigre di Noto” (Neri pozza)

E’ un romanzo di luce e di ombra, di ricordi e decisioni, di coraggio e tenerezza, di determinazione e scelta, di libri e poesia, di stelle e di numeri, di fughe e di abbandoni, è il romanzo dedicato a una donna che fa del suo sguardo traballante una forza e un’arma di difesa e lo rende strumento di esplorazione e scoperta. Simona Lo Iacono con “La tigre di Noto” restituisce “voce, giustizia e memoria” a Anna Maria Ciccone, scienziata nata a Noto nel 1891 che dedicò la sua vita allo studio della spettrometria, sposò le teorie di Einstein, si laureò in Matematica a Fisica e insegnò alla Normale di Pisa. Una donna sola e solitaria che la scrittura poetica e intensa di Lo Iacono avvicina al lettore con una narrazione in prima persona della protagonista che scorre l’album fotografico della sua vita e a ogni scatto corrisponde una tappa della sua esistenza controcorrente, dalla sua infanzia, agli studi, alla pensione.

Lo Iacono assembla poeticamente i generi biografico e storico, senza trascurare un accenno di spy story e entra nello sguardo di Ciccone, osserva le brutture e atrocità della Grande che si intrecciano alla continua ricerca della luce per scandagliare il mistero della creazione. Anna Maria Ciccone, detta Marianna, lasciò la famiglia e la Sicilia per raggiungere le università di Roma, Pisa e la Germania. Quanto mistero celano le stelle e quanto orrore vedono da lassù? Marianna racconta la Storia attraverso la sua storia, mostra le foto sbiadite di un’infanzia negli agi ma con una madre che non le presta attenzione e non la abbraccia e che “combatte contro le irruenze del mio affetto così come le imperfezioni del mio viso”.

La protagonista si racconta in una confessione dolorosa ma serena, come se espiasse una colpa non sua, un difetto all’occhio che la rende diversa ma la fa indagare su un periodo storico struggente e sulla condizione delle donne che si dedicano alla ricerca e agli studi cercando di imporsi in ambiente prettamente maschile. L’occhio di Marianna “era come una stella, brillava interdetto, scompigliato, facendosi largo senza vergogna, elevandosi fino alla luna”. Marianna si nutre di luce e di parole, sin da bambina con la complicità della tata Rosa saccheggia la biblioteca di famiglia. Se somiglia al padre da cui eredita “il temperamento da scampato, l’ostinazione che in meno di dieci anni lo aveva reso uno dei commercianti più ricchi di Noto”, dalla sua amata tata eredita la saggezza, la capacità di scegliere la via del cuore, la volontà a non rinunciare ai sogni che insegue indossando le scarpe semplici e robuste appartenute a Rosa. Marianna scandaglia la luce anche simbolicamente nelle zone d’ombra e la seduce in “un corpo a corpo in cui percepivo chiaramente che di mezzo si metteva il buio, e che tra i due opposti c’era la stessa distanza che esiste tra la colpa e l’assoluzione”. Senza l’approvazione dei genitori, rinunciando a due possibili matrimoni lascia Noto “senza saluti e senza indirizzi” colpevole di avere scelto la strada della conoscenza.

L’autrice entra nel cuore della sua protagonista e fa luce anche lì mescolando accadimenti veri e inventati e regala il ritratto fotografico di una donna profondamente legata ai suoi affetti, discreta e riservata che preserva anche il legame col fratello con cui condivideva la condizione di “creature zoppe, distanziate, che ambivano a una felicità disadorna, per tutti gli altri impossibile” quando l’occhio storto di Marianna ”viveva di complicità” col respiro mozzato del piccolo e malaticcio Salvo, che somigliava a “ a una spiga di grano nell’onda voraginosa del campo”.

Il treno estatico e sofferente porta la protagonista sempre più a nord e nel 1935 lascia l’Italia per collaborare con il professore Herzberg all’istituto di Fisica di Darmstadt,e inizia un’altra fase della vita di Marianna che coincide con l’avvento delle leggi razziali e le barbarie del conflitto mondiale che la donna contrasta con atti coraggiosi e imprudenti volti a salvare vite e libri. Da lettrice diventa una cospiratrice e a lei si deve la messa al riparo di numerosi volumi durante la spoliazione del patrimonio culturale ebraico nazista perché “se c’era un luogo in cui seppellire i morti, quelllo era il libro. L’unica tomba presso la quale piangerli. L’unico posto che assicurava un ritorno”

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Olaf Hajek “Flower power” -Rizzoli

Sono soprattutto la bellezza, i colori, i profumi, a colpirci e a rapirci quando guardiamo una pianta fiorita, ma non bisogna fermarsi a ciò che appare, per conoscere le altre strabilianti peculiarità dei fiori e i loro poteri curativi è necessario superare l’incanto del loro presentarsi così fragili e delicati. In questo viaggio alla scoperta dei poteri delle piante ci accompagna Olaf Hajek con “Flower power” libro illustrato edito da Rizzoli. Rivolto a un pubblico di lettori giovani, il viaggio per immagini accompagnato dai testi di Christine Paxmann e tradotto da Eleonora Dorenti, è un autentico e strabiliante tour per giardini dove ogni pianta è presentata come in un quadro. La forza delle piante è gentile, è insita nella corteccia, nelle foglie, nei semi, nelle radici o nella linfa. La loro è una forza curativa, concede benessere e sollievo ma può anche essere letale nel caso in cui si attinga ai veleni che alcune di loro possiedono.

Olaf Hajek “ha scelto di raccontare le storie di alcune piante tra le più straordinarie, usando parole e illustrazioni”, e osservando pagina dopo pagina i suoi dipinti botanici, si riesce a leggere le loro storie fatte di credenze, curiosità, riti, leggende, magie. Dipinte come se fossero realizzate su tavolette di legno per conferire loro quella patina antica, le illustrazioni sono dedicate a 17 piante e alle loro svariate virtù benefiche. I testi sono introdotti da domande sulla storia del fiore, sulle caratteristiche, rimedi, utilizzi e così conosciamo a fondo la Passiflora o la Calendula, il Carciofo o lo Zenzero che accompagnate da insetti, uccelli o esseri umani diventano un quadro narrato che racconta la loro armoniosa potenza curativa e benefica.

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Lorenzo Beccati “Il pescatore di Lenin” Oligo editore

Un uomo solo sui quarant’anni piccolo di statura, baffi e pizzetto appena accennato, magro, un volto vagamente esotico, con una bombetta in testa e una valigia di cuoio scuro scende dal traghetto Principessa Mafalda a Capri. La osserva nella sua interezza e gli sembra“che un gigante le avesse dato un morso, formando marina Grande e rimettendoci tre denti, i Faraglioni, quell’uomo è ricercato dai governi di mezza Europa, è nato in Russia ed è conosciuto col soprannome di Lenin e nell’ottobre del 1917 sarà colui che cambierà le sorti del secolo.

Protagonista del nuovo romanzo di Lorenzo Beccati “Il pescatore di Lenin”, il russo raggiunge l’isola nel 1908 con uno scopo ben preciso che l’autore ci farà scoprire non prima di svelarci il lato più umano e meno noto del rivoluzionario. L’isola sarà per Lenin una scoperta non solo per le sue bellezze paesaggistiche ma anche per gli abitanti, le situazioni pericolose o romantiche, i cambiamenti di atmosfere che riveleranno anche il suo lato più inquieto e misterioso. Solo e ospite di Gorkij, lo scrittore russo esiliato che a Capri ha una scuola di formazione al bolscevismo, Lenin fa un incontro importante apparentemente casuale che diventerà fondamentale durante il suo soggiorno. Incontra Antò o muto, un pescatore rustico, robusto e indipendente come la sua barca trovata tramortita sugli scogli dopo una brutta tempesta e curata con pazienza.

Antò diventa la sua guida, il suo compagno di gite per terra e per mare, è un uomo di parola, lui che di parole non ne ha. Tra i due si instaura un rapporto di fiducia e per entrambi Beccati riserverà al lettore la rivelazione di un loro doppio volto. Niente è come appare. L’abilità narrativa di Beccati nel cogliere gli aspetti meno conosciuti di personaggi realmente esistiti e calarli in un romanzo che attinge nella Storia ma si lascia cullare dalla fiction in questo ultimo rivela anche quanto i luoghi possano suggestionare la scrittura e renderla poetica.  

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Intervista a Gianluca Antoni autore di Io non ti lascio solo Salani

L’esordio narrativo di Gianluca Antoni, psicologo e psicoterapeuta, è un giallo sulla perdita, sui legami, sul dolore e sulla ripartenza. “Io non ti lascio solo” è una favola noir in cui luoghi e personaggi alternano luce e ombra, e il racconto poggia su tre piani temporali e ripercorre le vicende di due giovani amici speciali, Filo e Rullo, legate alla scomparsa di un cane e di un bambino, a un uomo temuto e solo, ad affetti perduti, a nuove solitudini e a rapporti genitori e figli.

Gianluca, il tuo romanzo è un giallo spalmato in un lungo periodo di tempo. Iniziamo dalla struttura narrativa?

Il romanzo comincia con il ritrovamento di due diari in un’intercapedine durante la ristrutturazione della cascina di Guelfo Tabacci. I diari appartengono a Filo e Rullo, due ragazzini di 12 anni, amici per la pelle, che 20 anni prima hanno fatto irruzione in quella casa perché convinti che Guelfo Tabacci, un montanaro scorbutico, tenesse prigioniero Birillo, il cane di Filo scappato qualche mese prima nei boschi a causa di un temporale. I diari raccontano la loro avventura, collegata a quello che è successo 30 anni prima del ritrovamento dei diari, ossia la misteriosa scomparsa del figlio piccolo di Guelfo Tabacci. Il maresciallo De Benedittis, al capo di quelle indagini, nutre il sospetto e la convinzione che Guelfo abbia ucciso il figlio. Quei diari, a lui recapitati, nascondono la verità per lungo tempo celata. Il racconto si muove quindi su questi tre piani temporali: oggi, 20 anni prima, 30 anni prima.

Il cane divento il motivo della ricerca che si espande a quella interiore di tutti i personaggi, come ti è nata l’idea di Birillo?

Le grandi sfide della vita nascondo da una motivazione profonda e importante. Filo ha perso la madre e Birillo è stato l’ultimo regalo da lei ricevuto prima della morte. Ritrovare Birillo diventa fondamentale per ritrovare anche la madre ed elaborare il lutto. Il legame bambino cane è un legame di amore incondizionato, come quello tra la madre e il figlio. Attraverso Birillo volevo raccontare quanto l’amore e la fedeltà possano permetterci di affrontare delle sfide più grandi di noi.

Il bosco in cui si svolge parte della storia, riporta al mondo delle favole con natura e misteri, attraverso il bosco racconti anche la paura?

Il romanzo può essere anche definito come una favola noir dove ogni aspetto e ogni personaggio può avere un significato simbolico. Il bosco certamente è il luogo delle nostre paure interiori, Guelfo rappresenta i nostri “mostri” interiori, Filo la nostra parte razionale, Rullo quella emotiva, Amélie quella bambina, Scacco quella pazzoide e via così. Ogni parte di noi è una risorsa fondamentale per affrontare il dolore e la paura e crescere in modo sano ed equilibrato. Ho cercato di rendere il racconto quando più fiabesco possibile togliendo ogni riferimento temporale o ambientale specifico in modo che sia il lettore a costruire ed entrare in contatto con il proprio modo interiore.

Gianluca Antoni Io non ti lascio solo Salani Le stanze Euro 15,90

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Daniele Palmieri “Il gatto, il mago e l’inquisitore” Magazzini Salani

Dai cani imparo l’amore e dai gatti la libertà, con queste parole il mago, alchimista e filosofo Enrico Cornelio Agrippa risponde al funzionario della dogana al suo arrivo a Metz in veste di consigliere del Patriziato, nel febbraio del 1518 e di amore, libertà, magia, malefici, divieti, obblighi, libri, il thriller storico di Daniele Palmieri Il gatto, il mago e l’inquisitore si nutre e si alimenta, regalando una storia di intrecci reali e immaginati con due protagonisti principali che ben presto aprono la scena a una maestosa coralità di personaggi. Agrippa insieme al suo inseparabile gatto Asmodeo, che porta il nome di uno spirito antico e possiede il dono dell’immortalità e della parola, diventano gli attori di una vicenda di fughe e di ricerche a bordo di una carrozza guidata dal cocchiere Duval e in compagnia del grosso cane Monsieur. Agrippa fugge da creditori e dalla Chiesa, cerca un nuovo mecenate, si insedia nelle città per liberarle dalle entità malvagie che le infestano ed è spesso in viaggio.

Palmieri, scrittore di testi in prosa e anche in poesia e già autore dei romanzi Diario di un cinico gatto e Storia di un gatto bibliotecario, gestisce il blog Nero d’inchiostro e in questo romanzo racconta anche Metz e Anversa nel Cinquecento, due città diversissime per colori e atmosfere. Col ritmo del thriller inserisce i suoi personaggi in una corsa contro il tempo e contro l’inquisitore Savini per salvare testi dalla censura e dal rogo e anche una donna accusata di stregoneria. Palmieri innesta tra loro vicende e personaggi e finzione e verità e ricostruisce un periodo storico soffermandosi sulla figura misteriosa del mago Agrippa, realmente esistito. Tutto è osservato con il doppio sguardo del filosofo-alchimista e del gatto Asmodeo in un’alternanza di punti di vista e riflessioni che intriga e omaggia il mondo animale.

E’ Asmodeo a compiere le indagini più rischiose, come una sorta di 007 dal pelo marrone e dal cuore tenero, non si tira mai indietro neanche quando si tratta di fare luce su se stesso, sulla sua identità e sulla ragione della sua immortalità. Il romanzo in modo originale valica anche i confini della formazione alla vita, al dolore e soprattutto all’amore.

Daniele Palmieri Il gatto, il mago e l’inquisitore Magazzini salani Euro 15,90

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Margherita Oggero – Il gioco delle ultime volte – Einaudi

Accade tutto nell’arco di un week end che cambia le vite dei personaggi del romanzo-indagine “Il gioco delle ultime volte” di Margherita Oggero, in cui le scelte, i rimandi, i dubbi, i rimorsi, l’amore attanagliano le esistenze di quanti si ritrovano a trascorrere tre giorni di relax in montagna nella stessa casa. Da venerdì a domenica, l’autrice costruisce le storie di sei coppie ospiti di Pietro e Giuliana Ferroni a Chamois tra le vette ancora innevate e i prati col verde novello punteggiati dai primi fiori. Sono luoghi rilassanti con spazi aperti come quelli che portano al lago, ma Oggero costringe i suoi personaggi a una resa dei conti, a fronteggiare le loro ombre, a ripescare i loro segreti, mentre in città Alessandra Vignali, bellissima e giovanissima, con tanta vita davanti finisce sotto un tram. Una vita in bilico e tante altre in stand by, vite di uomini e donne irrisolti, che cedono alla routine e rimandano sempre la soluzione di problemi esistenziali e di coppia. Per tutti arriva il momento di indagare su se stessi e su chi hanno accanto, riaprire i fascicoli delle loro scelte ambigue e ingannevoli o forse soltanto scelte errate, subìte e mai affrontate fino in fondo per cercare il vero colpevole.

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Alessandra, Ale per gli amici, ha una vita solo all’apparenza perfetta e felice, cosa si nasconde dietro il suo dolore che la spinge a finire sotto un tram? L’incidente appare subito al commissario Casassa un suicidio e anche per questo personaggio che compare quasi furtivamente, la scelta di Ale diventa motivo di riflessioni sui giovani e sulla sua vita senza figli. Rientrano da Montecarlo i genitori di Alessandra increduli e triturati dai sensi di colpa. A soccorrerla in ospedale c’era stato Nicola che ora in montagna la pensa e ritrova Matteo compagno di scuola che riemerge dalle nebbie di un passato lontano in cui è avvenuto un litigio o chissà cos’altro. Oggero racconta con stringatezza ed essenzialità i suoi personaggi e fa sviscerare loro, come in un gioco della verità, le ultime volte in cui hanno fatto qualcosa o visto qualcuno senza sapere che sarebbe stata l’ultima occasione. Uno sliding doors narrativo che apre e chiude le porte del passato e ripercorre la giovinezza trascorsa e quella che si affaccia prepotente o remissiva, da quella di Alessandra e dei suoi compagni a quella di Nicola e dell’amico Matteo, a scuola detti i Dioscuri, legatissimi come i due gemelli divini figli di Leda, senza incoscienza la giovinezza sconfina troppo presto nei piatti orizzontali della maturità, ma se la corteggiamo chiudendo gli occhi come a moscacieca non possiamo sapere come finirà il gioco. La vita di Ale appesa a un filo rimette in discussione anche il tranviere Alfredo Silvestrini che non ha potuto evitare l’impatto e lo sgomento per l’incidente riporta confusamente a galla la melma densa della fatica di vivere. L’autrice, raffinata conoscitrice di letteratura, mitologia e cinema crea innesti e citazioni e anche Teresa, la quarantenne moglie di Nicola cede a Eros. Ogni personaggio racconta la sua storia, c’è chi si confessa e chi la inventa si parte da un elemento reale, lo si lavora, lo si unisce ad altri fino a farlo diventare una cosa diversa da quello che era.
Oggero fa emergere storie di distacchi e di intimità, in cui la bellezza è confortante sedativo e il rimpianto è un sentimento equivoco. Bifido, serpentesco, storie di coppie, di amanti, di genitori e di figli, di un’amicizia potente che regala momenti di una felicità irrinunciabile, e tutti sono spalle al muro, senza la serena smemoratezza degli animali che possedevano Ciccio, il bastardino dell’infanzia dei figli di Florinda o le galline starnazzanti della sua infanzia al paese.
Autore Margherita Oggero
Titolo Il gioco delle ultime volte Editore Einaudi Prezzo euro 18,00

 

La luna al guinzaglio e Arturo di Gianni Rodari – Emme edizioni

La nuova collana di Emme edizioni dedicata ai piccoli lettori, è ideata e curata da Maria Cannata ed esordisce con due libri dedicati a Gianni Rodari, La luna al guinzaglio e Arturo. Proposti con pagine cartonate dalle punte arrotondate, i due titoli rivelano la magia nata dall’estro poetico di Rodari, grande maestro della narrativa per bambini, che fa della fantasia il segreto per incantare, e coinvolgere i lettori più piccoli rendendoli partecipi e protagonisti delle sue storie e liberando la loro immaginazione di futuri autori.

Entrambi i libri di ventiquattro pagine sono illustrati da Andrea Antinori e racchiudono due brevi storielle in rima in cui sono protagonisti la luna bianchissima e un gatto nero. I lettori non possono fare a meno di immedesimarsi nei due personaggi che fanno parte della loro quotidianità e che diventano amici e complici.

Arturo è un gatto intrepido e volante che sorvola le città spinto dalla curiosità e osserva, chiacchiera, mangia e già pensa alla nuova sfida da intraprendere quando sarà adulto e diventerà pilota. La luna è invece l’amica notturna di una bambina, è la sua confidente, la sua ombra che la segue e la protegge come se fosse un cagnolino al guinzaglio o un palloncino da tenere stretto a un filo e veglia sui suoi sogni ogni notte.

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Georges Simenon Europa 33- Adelphi

Dopo “il Mediterraneo in barca”, Adelphi continua la pubblicazione dei reportage di Georges Simenon con “Europa 33”. Fotoreporter e viaggiatore, Simenon è un grande testimone della realtà storica, sociale e culturale in cui versa il continente Europeo nel 1933, definito delle volte crudele o esagerato per la sua schiettezza, lo scrittore chiarisce che “esiste un’Europa ufficiale, un’Europa a uso dei francesi, immutabile da molto tempo, da talmente tanto tempo che non corrisponde più alla realtà. Ed è di questa Europa, definitiva come una cattedrale, che parla ogni mattina la maggior parte dei cronisti diplomatici. E’ questa in sostanza, l’Europa che l’opinione pubblica conosce a menadito, per cui si stupisce, si indigna perfino, quando i pochi grandi viaggiatori, ripassando da casa fra un treno e l’altro, raccontano di paesi che le appaiono irriconoscibili”.

Simenon si pone davanti a questa realtà come un semplice operatore, “un fabbricante di istantanee” e racconta con fotografie e racconti ciò che vede, i luoghi reali, le persone sofferenti, perché “c’è stata l’Europa di prima del 1914 , poi un’Europa squarciata dalle trincee e infine un’Europa del dopoguerra . Ma forse è ancora un’altra Europa, questa Europa del 1933 che sonnecchia sotto la neve e che, come chi dorme male è scossa da bruschi e terrificanti sussulti”. Usciti sulla rivista settimanale Voilà fondata da Gaston Gallimard nel 1931 e dedicata a reportage di firme illustri , gli scritti riportano città degradate, volti inquieti, popolazioni in crisi e la paura per l’incombente nuovo conflitto mondiale. Dal Belgio, alla Bulgaria, alla Polonia alla Russia, Simenon volge lo sguardo per catturarne stati d’animo, sofferenze, timori, privazioni ma anche qualche scorcio di luce, un barlume che traspare dalle annotazioni, dalle foto, dai dialoghi.

Da Varsavia ad Anversa alla periferia di Bucarest dove le povere case di legno sono però tinteggiate di fresco “poi ecco Bucarest che con la complicità di un raggio di sole , prolunga l’incantesimo. Le vie sono animate…sembra quasi Parigi. A volte una Parigi più allegra tipo quella dell’anteguerra”. Simenon riporta dettagli e fatti scomodi senza cedere alla letteratura e all’arrivo in Russia dove gli è difficile capire se la gente ha fame oppure no si lascia guidare dalla curiosità”tanto più grande dal momento che tutti fanno del loro meglio per impedirvi di soddisfarla”. Personali e autobiografiche sono le pagine dedicate ai popoli che hanno fame “avete mai sofferto la fame? La fame vera, non quella che attanaglia chi resta due giorni senza mangiare, ma quella che si insedia in chi per settimane, per mesi mangia troppo poco e che gli rimane dentro, appiccicata al ventre come un cataplasma, incrostata nelle pareti dello stomaco e alla base del cranio. Quella fame io l’ho patita durante la guerra, quando, da bambino, vivevo nelle regioni occupate.

E per questo so che, contrariamente alle rappresentazioni che se ne danno o a quel che ci racconta la letteratura, la Fame non grida, non si ribella. La Fame, la Fame vera, è fiacca e rassegnata. La Fame non è sempre smunta e scarna come la raffigurano. E’ gonfia. Ha un aspetto sgradevole e malsano, occhi inquisitori e l’amaro in bocca”. L’uomo nudo viene scovato da Simenon e lo propone così com’è nella sua interezza o nel suo essere spezzato, senza giudicarlo ma con gli occhi e le parole di chi i reportage sa farli davvero.

Georges Simenon “Europa 33” Tradotto da Federica e Lorenza Di Lella Nota di Matteo Codigliola  Adelphi euro 18,00

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Intervista a Stefano Medas autore di Il gatto che viaggiava in vaporetto (Sperling & Kupfer)

Di Cristina Marra

Si può conoscere una città come Venezia facendosi guidare dai gatti che la abitano e la vivono quotidianamente? La risposta è sì, se a seguirli nel loro girovagare per calli o a bordo di vaporetti è Stefano Medas, archeologo subacqueo e navale e autore di romanzi storici. Medas questa volta si lascia condurre in un viaggio di scoperta che affonda le radici nella sua infanzia, quando Venezia, la città dei gatti, era solo immaginata attraverso i racconti degli zii e poi diventa la sede del suo lavoro. Venezia mi ha accolto ed è diventata anche mia. E’ stata una delle più straordinarie scoperte che abbia mai fatto, mi ha segnato la vita. E i gatti ne sono stati parte integrante sin dall’inizio scrive l’autore che sin dai suoi primi approcci con i gatti veneziani si interessa alla loro storia, alle loro abitudini e anche alle credenze, leggende e storie che li accompagnano da secoli. Da queste esperienze reali e da studi e vere e proprie indagini e pedinamenti nel mondo felino della bella città lagunare, Medas scrive Il gatto che viaggiava in vaporetto una raccolta di racconti con protagonisti felini che si legge come un romanzo- guida che svela misteri e segreti, bellezze e atmosfere di Venezia e dei suoi misteriosi e affascinanti abitanti a quattro zampe.

Stefano, opo due romanzi storici scrivi questo libro che racconta Venezia attraverso i suoi abitanti felini e viceversa, possiamo considerarlo un viaggio e anche una preziosa guida nella città lagunare vista con gli occhi dei gatti?

Sì, l’intenzione è proprio quella. Vedere Venezia attraverso gli occhi dei suoi gatti significa avere un punto di vista privilegiato per conoscere gli angoli meno noti di questa straordinaria città e della sua meravigliosa laguna. Il che significa conoscerne la vita quotidiana, nel fluire dei sui tempi e dei suoi modi, tutti sempre speciali, assolutamente unici. Insomma, significa coglierne l’anima.

Nel libro emergono la storia della città, le tradizioni, le leggende, i riti, le atmosfere, Venezia può essere paragonata a un gatto che sceglie con chi stare. Venezia ti ha scelto e ti ha affascinato?

Proprio così, credo che Venezia possa essere paragonata a un gatto che sceglie con chi stare. Per capirla devi scoprirla, osservarla e studiarla da dentro. Allora ti rendi conto della sua vera meraviglia, che va molto al di là della bellezza esteriore, per altro unica e indiscutibile. Le atmosfere, la gente, le consuetudini, le situazioni, i colori, i mille riflessi, persino le difficoltà hanno un fascino speciale.

I gatti di Venezia sono detti gatti di campo o di calle, che differenza c’è con gatti liberi?

Ho coniato questa espressione per identificare quei gatti che hanno una loro casa, ma che amano sentirsi parte dell’ambiente esterno, della comunità circostante, e per questo diventano delle specie di mascotte, delle presenze amiche e costanti che caratterizzano un luogo, una zona. Si appagano del loro ruolo “comunitario”, consapevoli di essere i beniamini di tutti. Inoltre, regalano a campi e campielli dei “complementi d’arredo” insostituibili, assolutamente perfetti. I gatti liberi sono invece comunità di felini che non hanno casa e padrone, ma vivono radicati in una determinata zona grazie alle cure della gente, che procura loro il cibo e gli allestisce le cucce (questi gatti hanno comunque uno spirito territoriale, motivo per cui non è corretto parlare di gatti randagi). Del resto, le comunità feline hanno sempre avuto un ruolo importante in molte città, non solo a Venezia, sia per la simpatia che suscitano sia perché tengono lontani topi e ratti, dunque forniscono un loro sevizio. Oggi le comunità di gatti liberi sono diventare rare.

Racconti che Venezia prima dell’ultimo conflitto mondiale era davvero una città dei gatti con oltre quarantamila abitanti felini, per quale motivo nel senso si è ridotto il numero di gatti in città?

La città era molto diversa sul piano sociale ed economico. Era più povera, non conosceva il turismo di massa, ma era popolosa e vivissima, animata da una quantità di mestieri e di attività oggi scomparse. Il boom economico del dopoguerra, con l’attrattiva esercitata dai grandi poli industriali, ha determinato il progressivo spopolamento di Venezia; e col numero degli abitanti si è assottigliato anche quello dei gatti.

Tanti i gatti che nomini e racconti. Che rapporto hai avuto con uno chiamato Cuba?

Cuba, che viveva nella stessa calle in cui abitavo io, stava per ore seduto sul davanzale della mia finestra a prendersi i saluti e le carezze della gente che passava, sembrava un piccolo doge. Era il beniamino di tutti. Ogni tanto, poi, saltava in casa e mi faceva compagnia mentre scrivevo. Per me era un amico. La sua sola presenza costituiva un potente generatore di serenità, che infondeva buon umore, riuscendo a volgere al meglio anche una giornata nata grigia. Ciao Cuba, sei arrivato! lo salutavo aprendo la finestra, in modo che potesse entrare, se ne aveva voglia. In effetti, accadeva magari inconsciamente, ma ogni giorno lo aspettavo, ed ero sempre contento quando vedevo comparire la sua sagoma sul davanzale, dietro la tenda. E poi, sentire la gente che si fermava un istante per salutarlo era uno spettacolo unico!

Seguendo o osservando i gatti guardi anche Venezia con occhi indagatori e la scopri?

Certo. Non si finisce mai di scoprirla, Venezia. Credi di aver già visto tutto, poi giri un angolo, ti affacci a una porta, ti infili in una calletta e scopri sempre qualcosa di nuovo, di inaspettato. E bisogna guardare in alto, osservare con attenzione dove normalmente non guardi, senza fretta, come sanno fare i gatti.

Dall’ospedale alle pescherie, quali sono i luoghi che ti hanno attratto di più?

Difficile fare una classifica. Certo, l’Ospedale è un luogo straordinario, non te lo aspetti, un nosocomio-monumento d’arte. Lì vive una delle ultime vere comunità di gatti liberi, accuditi amorevolmente da un’anziana signora e dai volontari. Poi l’Arsenale, vicino a casa, uno dei luoghi più straordinari che esistano.

Gatti e libri, che rapporto hanno avuto nel tempo i gatti con archivi biblioteche e librerie?

I gatti amano le biblioteche e gli archivi, perché sono posti tranquilli, frequentati da gente tranquilla. Sappiamo che già in epoca medievale c’erano monaci amanuensi che amavano svolgere il loro solitario lavoro in compagnia di un gatto. Fino agli inizi del Novecento, inoltre, venivano arruolate intere squadre di gatti soprattutto negli archivi, per contrastare i topi, roditori che mettevano a rischio l’incolumità dei documenti cartacei. Così accadeva anche all’Archivio di Stato di Venezia.

Sei archeologo subacqueo, che legame hanno i gatti col mare e con i fari?

Per secoli, forse per millenni, i gatti hanno fatto parte degli equipaggi delle navi. Inizialmente venivano imbarcati per tenere pulite le stive e le cambuse, cioè per dare la caccia ai topi che vi si intrufolavano; poi finivano per diventare delle vere e proprie mascotte, una tradizione, quella dei gatti di bordo, sopravvissuta fino alla metà del secolo scorso. Inoltre, per gli stessi motivi, i gatti sono sempre stati ricercati per prestare servizio nei fari. Ho conosciuto una piccola comunità di gatti che viveva presso un faro nella laguna di Venezia, con uno dei quali ho stretto amicizia per parecchio tempo.

Quale tra le storie che hai raccontato ricordi con maggiore affetto?

Le ricordo tutte con affetto, per una ragione o per l’altra. Alcuni gatti, però, hanno lasciato un segno speciale, e tra questi ci sono senza alcun dubbio Cuba e Damasco.   

Illustrazioni di Ale Giorgini 

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Muriel Barbery “I gatti della scrittrice “ edizioni e/o

Per conoscere a fondo uno scrittore bisogna interrogare i suoi gatti. Grazie alla loro collaborazione si possono scoprire i misteri della creazione letteraria. E’ quanto svela Muriel Barbery, celebre autrice de “L’eleganza del riccio,” nel recente libro illustrato “I gatti della scrittrice” dove dà voce ai suoi quattro gatti certosini Ocha, Mizu, Petrus e la piccola Kirin, l’io narrante. La storia è quella di una rivelazione a lungo tenuta sopita e riguarda il ruolo dei gatti nella creazione della scrittura, la loro abilità nel suggerire o fornire suggestioni. Illustrato da Maria Guitar e tradotto dal francese da Alberto Bracci Testasecca, il libretto ha la semplicità del racconto che procede per piccoli aneddoti e stralci di quotidianità che fanno emergere quanto i quattro gatti siano davvero degli autentici consulenti letterari.

I gatti che nei nomi celebrano il Giappone tanto amato dalla scrittrice vivono in campagna con Muriel e suo marito musicista “in una casa con pareti grigio talpa, divani scuri e cuscini arancioni”. Kirin, ha quattro anni, è la sorella di Petrus ed è imparentata da parte di nonno con Ocha e Mizu, sono della stessa famiglia “ma ognuno ha una personalità ben distinta e una propria peculiare nevrosi”. Abitudini e quotidianità emergono tra le pagine e sono delicatamente rese dai disegni in un gioco dei colori grigio e arancione.

Ai gatti non sfugge nulla e si accorgono e percepiscono anche i tre malanni tipici che colpiscono ogni scrittore, l’agitazione, il dubbio e la negazione. Niente sarebbe uguale per l’autrice senza i suoi gatti che esprimono “una profusione di bellezza e armonia visiva” in movimento. Sono “righe irreprensibili che si spostano nello spazio, calligrafie in movimento sempre mutevoli e sempre sublimi”. Grazie a Muriel Barbery e al suo raccontino la narrativa rende omaggio a chi compie un lavoro costante e continuo e punta la luce “sugli invisibili che rendono migliore il mondo”.

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Crockett Johnson “La fiaba di Harold” (Carmelozampa)

“Harold e la matita viola” aveva fatto conoscere il genio creativo dell’americano Crockett Johnson (1906-1975 pseudonimo di David Johnson Leisk) in Italia e ritorna in libreria con “La fiaba di Harold” edito da Carmelozampa, casa editrice indipendente specializzata in picture book e narrativa per bambini e ragazzi. La nuova storia illustrata della popolare serie di Harold tradotta in tutto il mondo con protagonista un bimbetto curioso e intraprendente che si affaccia al mondo tenendo una grande matita viola in mano e disegnando gli scenari delle sue imprese, ha il sapore della fiaba e strizza l’occhio all’avventura. Basta avere lo sguardo curioso e intelligente di un bimbo in pigiama per immaginare un nuovo viaggio, inventare un mondo tanto fantastico quanto possibile e viene fuori tutta la magia di Johnson che con poche parole e altrettanti essenziali tratti di matita tuffa il suo protagonista in esplorazioni e fughe immaginarie che diventano altamente realistiche.

Che succede se una sera Harold lascia il suo lettino per fare una passeggiata in un giardino incantato con la sua matita viola? Johnson costruisce una storia in tempo reale con Harold che disegna ogni esperienza o difficoltà man mano che le incontra durante il suo percorso alla scoperta di cosa nasconde il giardino che appare sprovvisto di tutto. Tocca a lui cercare e costruire vie di accesso, personaggi e nuovi amici. Il giardino diventa quello che attornia un castello con dentro un re triste o forse solo pensieroso. Harold si ingegna per fare felice il re, contrastare una strega perfida e uscire dal castello.

Nato per i lettori più lettori, il libro appartiene a ogni età essendo una sfida creativa che contrasta ogni difficoltà a colpi di immaginazione e inventiva. Harold è un piccolo grande eroe dei nostri giorni che si entusiasma di fronte a una pagina bianca e la riempie di situazioni, dal castello ai fiori, dal topolino alle zanzare, a Johnson basta davvero pochissimo per creare un mondo in cui inserire Harold ma anche tutti i lettori perché il suo protagonista entra e esce dalla scena, sceglie e decide, crea e prosegue tirando il lettore con sè.

LA FIABA DI HAROLD Scritto e illustrato da Crockett Johnson Editore Carmelozampa

Traduzione di Sara Saorin 72 pagine copertina cartonata euro 15,90

 La fiaba di Harold. Ediz. a colori

Laura Imai Messina- Tokyo tutto l’anno- Einaudi

E’stato amore a prima vista quello tra la lingua giapponese e la giovane Laura, un vero e proprio colpo di fulmine che col tempo si è trasformato in un legame intenso e irrinunciabile quando si è trasferita a Tokyo. La capitale del Sol Levante diventa per Laura una scoperta quotidiana e i quartieri le sembrano “rubini di una melagrana, tutti ammassati e separati da una pellicola spugnosa, di contenimento, mentre la buccia non suggerisce per nulla quel che si troverà all’interno”.

Partita da Roma “con un’immensa valigia color ciliegia, una laurea in lettere” e la sorella a scortarla in aeroporto, doveva restare un anno per studiare la lingua in una prestigiosa università di Tokyo ed è lì da quindici anni. Laura si innamora, si sposa e si integra senza commettere l’errore di paragonare Tokyo alla sua Roma. Da alcuni anni racconta il Giappone coi suoi occhi nella pagina FB Giappone mon amour, adesso le dedica un libro “Tokyo tutto l’anno” un viaggio sentimentale nella grande metropoli, scandito dai dodici mesi dell’anno. L’autrice propone una metropoli inedita in cui vivono in armonia passato e futuro, tradizioni e innovazioni e lo racconta nella sua quotidianità che condivide col marito Ryosuke e i due figli Claudio Sosuke e Emilio Kosuke, e sono proprio gli occhi ingenui e curiosi dei piccoli ad aprirle un altro modo di osservare e apprezzare la città.

Laura è sempre più attratta dalla lingua complessa e intricata e dalla letteratura spesso citata nel libro e il suo omaggio a Tokyo diventa un racconto in cui convivono emotività e razionalità legati ai luoghi, ai riti, alle celebrazioni, ai cibi, allo stile di vita, all’educazione dei bambini. Nel libro, meravigliosamente illustrato dalle tavole di Igort, l’autrice propone la Tokyo che non è, fuori dagli stereotipi, e ne emerge una città che custodisce la bellezza in un involucro di grattacieli, una città bambina che cresce e dove “tutto è mescolanza. Nulla è definitivo”. Da gennaio “il mese degli affetti” a dicembre “il mese dei bonzi affaccendati”, l’autrice svela la città ma non è un libro di viaggio, piuttosto un compagno di viaggio che ti porta per mano alla scoperta di luoghi conosciuti e amati e ti trasmette la magia dello stupore e della meraviglia.

Titolo “Tokyo tutto l’anno” Autore Laura Imai Messina Illustratore Igort Editore Einaudi

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Rainer Maria Rilke “Del paesaggio e altri scritti” - Adelphi

Considerato da Musil “Il più grande poeta lirico che abbiano avuto i tedeschi”, Rilke stupisce e incanta con le “Elegie” e i “Sonetti a Orfeo” e non manca di trasmettere nel lettore lo stesso stupore e lo stesso incanto anche con i suoi scritti in prosa, appena pubblicati da Adelphi (Piccola Biblioteca 753) a cura di Giorgio Zampa e con una nota di Marco Rispoli. “Basta volgersi agli scritti in prosa dove con più agio, senza essere travolti dallo splendore imperioso dei versi, si possono incontrare gli elementi della più alta poesia rilkiana” scrive Rispoli e la raccolta mette insieme frammenti di scrittura sulle arti figurative, lettere, riflessioni impastate di elementi lirici.

Da sensibile osservatore con uno sguardo delicato ma profondo sui disagi e tormenti dell’essere umano, Rilke dimostra di possedere questa attitudine anche nella stesura di scritti come “Ricordo”, e se con “La lezione di grammatica” si rifà a ricordi e accenni autobiografici, ne “Il libro dei sogni” o “Un incontro” si concentra sulla visione di paesaggio e cose non come proiezioni dell’essere umano ma autonome. Anche l’idea del possesso e il non considerare la proprietà neanche di un oggetto o di un animale è meravigliosamente espressa in “Gatti”, “i gatti sono dei gatti, semplicemente, e il loro mondo è il mondo dei gatti, da un capo all’altro”. Chiudono gli scritti, in appendice, le Lettere a un giovane pittore.
Rainer Maria Rilke “Del paesaggio” Adelphi  Euro 14,00

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“100 Gianni Rodari” di Gianni Rodari e Illustratori vari Einaudi Ragazzi

Le cento candeline per il compleanno di Gianni Rodari diventano cento storie e filastrocche, ognuna delle quali abbinata un’illustrazione d’autore, e riunite nel pregevole volume “100 Gianni Rodari” edito da Einaudi Ragazzi. La magia narrativa dello scrittore nato a Omegna nel 1920, conquista da sempre i lettori piu’ giovani per la genialità della sua scrittura, il suo saper cogliere emozioni, caratteristiche, sogni, idee, esigenze e sentimenti del mondo dei giovanissimi, e diventando anche per gli adulti un riferimento e una guida per comprendere meglio figli o alunni.

Quasi trecento pagine, a cura di Gaia Stock, che cominciano con “Un bambino al mare” e si concludono con “La domenica mattina”, col criterio dell’ordine alfabetico riferito agli artisti italiani e stranieri che hanno realizzato le illustrazioni. “100 Gianni Rodari” raccoglie il mondo dell’autore, che è stato anche giornalista e maestro di scuola, in altrettante finestre che mettono a fuoco la sua sensibilità e la sua vicinanza verso il mondo dell’infanzia. Le brevi storie e le filastrocche raccontano di bambini, adulti, animali o degli elementi naturali con divertimento e leggerezza ma lasciando ampio spazio alla riflessione.

Dalla piccola Susanna che somiglia a tante bambine, alle bambole dell’omonima filastrocca sull’uguaglianza che dovrebbe regnare tra i piu’ piccoli, a Giovannino Perdigiorno che non perde mai l’allegria, sono tanti i protagonisti che Rodari regala e che danno voce a tanti piccoli lettori che in quelle storie si ritrovano o con quelle storie riacquistano il sorriso. L’autore non manca di omaggiare o ricordare figure entrate nel cuore o nell’immaginazione dei bambini, come lo spaventapasseri, lo spazzacamino, il pittore, la luna e il vento e ancora dedica attenzione ai piccoli amici dei bambini con contributi sui gatti, topi, uccellini. “La fantasia rende liberi” amava ripetere Rodari e lasciare viaggiare la fantasia significa anche usare le parole per divertire, raccontare e far sognare, perché di parole ne abbiamo per comprare, “ma ci servono parole per pensare”!

Titolo Cento Gianni Rodari Autore Gianni Rodari Illustratori Vari Pagine 296 Prezzo euro 20,00

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Nelli e Sabatini assumono la direzione editoriale delle nuove collane di Polillo Editore

A venticinque anni dalla fortunata intuizione di Marco Polillo, Divier Nelli e Mariano Sabatini hanno accettato la proposta della Rusconi Libri di ideare e curare le nuove collane della prestigiosa casa editrice fondata nel 1995: entrambi scrittori, il primo con una formazione prettamente editoriale che lo ha già portato a dirigere in passato i Gialli Rusconi, il secondo più giornalisticamente connotato, noto anche come autore televisivo al fianco di Luciano Rispoli e per aver riportato Elda Lanza alla fortunata pubblicazione dei suoi romanzi con Salani, si occuperanno del marchio con una vocazione alla narrativa di genere crime.

«Con piacere accogliamo la sfida di Maurizio Caimi di contribuire con idee e acquisizioni a un marchio storico di grande raffinatezza, inventato e curato con abnegazione dal suo fondatore. Nel panorama editoriale attuale, Polillo si distingue per l’estrema coerenza, anche grafica, alla mission iniziale e per scelte non commerciali. Ciò non vuol dire che non ci siamo margini per un ponderato rinnovamento», afferma Mariano Sabatini.

«Lavoreremo nel solco di quella che è la tradizione della casa editrice, ma con uno sguardo attento al futuro», aggiunge Divier Nelli.

Fondata a Milano nel 1995, in quasi un quarto di secolo di attività la Polillo Editore è andata conquistando un apprezzamento sempre maggiore da parte dei lettori grazie alle cinque collane con cui finora è stata presente sul mercato.

La più conosciuta è I Bassotti, "piccola biblioteca del giallo da salvare" che propone ai lettori una selezione di quanto di meglio è stato scritto nel periodo d’oro del giallo classico, dal 1910 al 1950, presentando veri e propri piccoli capolavori del genere, spesso opera di autori dimenticati o mai tradotti in Italia. Questa collana ha ormai superato il traguardo del numero 100.

Nella collana I Jeeves sono pubblicati invece in ordine cronologico, con nuove traduzioni e un’elegante veste grafica, tutti i libri dell’umorista inglese P.G. Wodehouse in cui fanno la loro comparsa lo scapestrato gentiluomo Bertie Wooster e il suo impareggiabile maggiordomo Jeeves.

Per info 338.4981123

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“Friedrich lo sguardo infinito” di Sebastiano Vilella (Oblomov edizioni)

 

“Sono un bambino, mai pago dello stupore e della meraviglia che destano in me questi spazi infiniti. I mei passi si inerpicano leggeri sulla pietra antica e silenziosa” e tanta è la voglia di perdersi per “ritrovarsi in questa parte di eternità”, queste parole sono accompagnate dai disegni di un uomo girato di spalle che sale su una montagna per poi arrestarsi in cima ma non sopraffatto dalla stanchezza bensì rapito dal panorama estasiante e unico che lo fa sentire parte della bellezza divina della natura.

Quell’uomo ritratto nel celebre dipinto “Viandante su un mare di nebbia” nel 1818 da Caspar David Friedrich ritorna magnificamente nell’ultimo graphic novel di Sebastiano Vilella “Friedrich Lo sguardo Infinito”, edito da Oblomov. Un racconto disegnato e sceneggiato da Vilella che ripercorre un tratto di vita del grande artista romantico Friedrich e indaga sulla sua arte e sulla sua ricerca artistica in totale immedesimazione con il creato, con gli occhi del detective e anche dell’autore che da quel pittore ha attinto e assimilato la visione del mondo e la considerazione dell’essere umano come testimone del mistero dell’universo.

Vilella omaggia Friedrich con la sensibilità dell’artista e la mano decisa del disegnatore d’esperienza che tratteggia con decisione o leggerezza suggestionando il lettore. Friedrich, nel racconto di Vilella, è colto nel momento di ricerca e di estraniamento dagli obblighi che la sua attività di insegnante d’arte o di marito gli impongono, è un uomo in fuga che cerca nella natura della montagna rifugio, ispirazione e immedesimazione. Cosa insegue Friedrich che gli altri non comprendono? Sulle sue tracce Vilella mette due uomini diversissimi e rappresentanti di due differenti categorie professionali e estrazioni sociali e culturali: un medico amico e seguace artistico di Friedrich, e un ispettore di polizia di Dresda. Un uomo in fuga, Friedrich, senza una colpa o un’accusa plausibile eppure ricercato come un criminale. Vilella mette a confronto lo status dei tre uomini, i loro limiti e le loro ambizioni, le loro esigenze e il loro rapporto con la realtà.

L’artista romantico appare nella sua veste piu’ affascinante e nel suo misterioso esistere pur volendo scomparire per mescolarsi con l’universo. L’indagine si carica di introspezioni e di giochi narrativi che puntano a scavare nelle dinamiche intime e personali dell’animo umano. Entrano in scena superstizioni e timori, ricordi e dolori, natura e soprannaturale e l’autore calca sulle espressioni degli sguardi, si sofferma sui colori e le sfumature dei paesaggi che si fanno personaggi e creando una coralità che fonde natura con esseri umani. Vilella si riconferma un grande maestro e dove si ferma la parola continua il disegno come in una staffetta che ha l’effetto ipnotico di far perdere il lettore nei paesaggi e negli sguardi dei personaggi.

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