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di Laura Natoli

Gentile Direttore,

ho letto con attenzione ed interesse, qualche settimana fa, l’ articolo pubblicato a firma del prof. Renato Candia e, dopo aver meditato a lungo sui suoi pensieri, vorrei esprimere anche il mio.

Premesso che essendo per mia natura una persona che crede profondamente nel rispetto delle regole come base necessaria per una convivenza civile, concordo perfettamente con lui sulla triste constatazione riguardo alle cattive abitudini di chi “và per strada” ma dissento fortemente sulla responsabilità di tali comportamenti che non può, e non deve, essere addossata esclusivamente all’ educazione ricevuta in famiglia.

Piuttosto bisognerebbe che tutti, la Scuola in primis, insieme alle famiglie ed a tutte le altre Istituzioni presenti sul territorio e preposte, tra l’ altro, al controllo, si prendessero ognuna la loro quota parte di responsabilità per il fallimento di un progetto educativo che dovrebbe essere comune.

Certo, la Famiglia rimane la base di una società civile, intendiamoci, ma la realtà ci insegna che non tutte sono uguali, per cultura ed appartenenza a contesti sociali ed economici diversi. La Scuola , al contrario, è un’ Istituzione, con princìpi didattici ed educativi uniformi su tutto il territorio nazionale ( seppur con qualche differenza, soprattutto al sud) ed il suo ruolo, a mio modestissimo parere, dovrebbe essere quello di garantire a tutti un’ adeguata e corretta formazione, soprattutto ai soggetti più deboli e svantaggiati che non avrebbero altrimenti altro luogo in cui sperimentare la conoscenza ed il senso dell’ appartenenza ad una comunità civile.

Oggi è la “Giornata della Legalità”, si commemora quel tragico 23 maggio del 1992 in cui persero la vita uomini e donne davvero “d’onore”, ma dove? Non a Lipari. Nelle nostre scuole, a parte l’ iniziativa personale di qualche docente, qualcuno ha pensato forse di organizzare qualche manifestazione, collegata magari a quella di Palermo, per raccontare ai nostri piccoli e grandi studenti chi erano Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e tutti gli agenti delle scorte morti dilaniati per difendere il valore della legalità????? E l’ amministrazione invece?....Tace. Forse la nuova caserma dei Carabinieri si sarebbe dovuta inaugurare oggi per far finta di svegliare qualche coscienza.

Lei, prof. Candia, dice che a Scuola fate legalità, cercando di insegnare le regole ed il senso della cittadinanza, ma è proprio sicuro che tutti gli operatori (scolastici e non) riescano effettivamente a trasmettere agli studenti quanto è indubbiamente nelle Sue intenzioni ed indicazioni?

Io non vedo educazione quando mi reco a scuola e vengo puntualmente accolta dal collaboratore di turno che, troppo impegnato a discutere al cellulare o a fumare l’ ennesima sigaretta, non si degna nemmeno di rispondere al mio:<< buongiorno!>>;

a scuola non serve avere 9 o 10 in pagella se a questi voti non corrispondono reali conoscenze e competenze; non serve essere in regola in quanto a produzione di piani, programmi e progetti vari se gli stessi non si traducono in realtà tangibili, così come non serve parlare di educazione stradale quando proprio all’ uscita regna sovrano il caos, sia tra gli automobilisti (anche quelli che utilizzano il parcheggio della Sua scuola) che tra i ragazzi di tutti e tre gli Istituti (è lampante la loro incapacità di entrare ed uscire da scuola in maniera ordinata, così come la loro assoluta indifferenza nell’ attraversare gli incroci antistanti le scuole, con o senza i vigili urbani).

Al giorno d’ oggi essere arroganti ed autoreferenziali non è più prerogativa del “popolo ignorante” ma si addice spesso a chi occupa posizioni di potere.

La pratica del rispetto delle regole è questione di educazione, di formazione, di informazione ma anche e soprattutto di buoni e concreti esempi ricevuti.

Io mi prendo le mie responsabilità, e voi?

Cordialmente.

LA REPLICA.

di Renato Candia*

Gentile Direttore,

come Lei sa non è mia abitudine contribuire ad alcun tipo di catene d’opinione che, seppure divertenti, tendono a spostare spesso le questioni sui piani parziali di emozioni passeggere e del tutto individuali.

Tuttavia il sempre gradito suo invito, mi suggerisce oggi di intervenire in materia di legalità e scuola, sperando di non urtare la sensibilità dei soliti esperti della qualunque o di qualche casalinga disperata alle prese con le proprie ambizioni tuttologiche.

Una gentile lettrice di questo giornale è intervenuta qualche giorno fa chiamandomi in causa con una serie di riflessioni personali in merito ad un mio precedente intervento, svolto sul Suo giornale in qualità di cittadino automobilista, sulla cattiva abitudine di chi passa col semaforo rosso alla galleria verso Canneto.

Con personale abilità, collegava quelle considerazioni al fatto che l’educazione (stradale?) non si impartisce in famiglia ma in un coacervo di entità tra cui la famiglia (appunto), la Scuola e altre Istituzioni varie ma non ben definite (forse le Autoscuole?).

Non ho dimestichezza col pensiero liquido caro direttore, e ragiono per mia formazione sul classico schema tesi-antitesi-sintesi: da questo punto di vista il ragionamento della gentile lettrice mi pare che trovi risoluzione retorica più o meno come il noto paradosso di Saussure: le lasagne si fanno con la farina, quindi mio nonno ha verniciato la carriola.

La gentile lettrice osserva, con riferimento, mi pare, a Massimo Catalano, che le famiglie non sono tutte uguali ma la Scuola invece si, mettendo poi in evidenza l’urgenza di una maggiore attenzione ai soggetti svantaggiati.

E poi parla della giornata della legalità, praticamente dimenticata dalla scuola eoliana, che poco o nulla avrebbe detto (ma la giornata era ancora in corso) sulle figure di quegli straordinari eroi del nostro tempo.

Chiamato in causa come Dirigente scolastico, mi sento di dire che la legalità, cara gentile lettrice, non si commemora il 23 maggio, che non è un compleanno: la si pratica tutti giorni dell’anno, come fanno gli operatori della scuola che dirigo, impegnati per buona parte del tempo a spiegare, ripetere e verificare il rispetto delle regole, che, a suo avviso, non sarebbero di competenza (quantomeno esclusiva) delle famiglie.

Rispettare le regole, per noi scolastici, si fa anche cercando di venire a scuola in orario, magari cercando di non entrare con insolenza e pretendere di essere ricevuti da chiunque, cercando di non lasciare rifiuti sotto il banco, cercando di non gettare a terra le merendine mezze consumate, magari schiacciandole con i piedi, cercando di non svitare i rubinetti nelle cassette dei cessi appena montate, cercando di non allagare i servizi intasandoli con la carta igienica, cercando di evitare di fare la pipì sui muri dei bagni, cercando di evitare di costringere ogni volta le collaboratrici scolastiche a pulirla con le mani, cercando di non rubare i libri e i quaderni ai compagni quando le classi sono fuori aula, cercando di ascoltare i rimproveri senza rispondere con arroganza, cercando di non venire a scuola a giocherellare con i cellulari, cercando di non portarli comunque a scuola (i cellulari) tenendoli nascosti all’insegnante per potersi chiudere in bagno dedicandosi a conversazioni private in orario di lezione, cercando di evitare l’uso indiscriminato delle chat telefoniche come fossero ricetrasmittenti per camionisti, cercando di ascoltare la voce degli insegnanti che spiegano o richiamano anziché fare salotto col compagno/compagna di banco, cercando di avere rispetto per le persone adulte che lavorano e cercano di mantenere pulito e accogliente l’ambiente scolastico, cercando di evitare di mettere le mani dentro le borse degli insegnanti, cercando di evitare di fare lo sgambetto al compagno che sta passando accanto, cercando di rispettare le consegne, cercando di imparare ad ascoltare anziché pretendere di parlare soltanto, magari riportando a casa (a qualche genitore particolarmente in ansia, che intanto insulta e offende, poi a volte si ritrae e si scusa) narrazioni di indicibili vessazioni a cui sarebbero costretti durante le ore di lezione da insegnanti svogliati, irosi e poco capaci, cercando di non offendere, cercando di aiutare il compagno o la compagna in difficoltà, cercando di non passare col rosso (ma a dodici anni, cara gentile lettrice, cosa vuole che ne sappiano?). Contemporaneamente si fa pure scuola con le materie di studio, che sono strumento, e non fine, del moderno apprendimento per competenze.

Purtroppo temo di non risultare molto capace agli occhi della gentile lettrice che, dopo aver brevemente tratteggiato la scuola che mi onoro di dirigere come una sordida taverna da pirati dove gli operatori, anziché lavorare e accogliere con educazione, passerebbero il tempo a fumare e parlare al cellulare, evidenzierebbe come il sottoscritto, proprio in quanto dirigente, proprietario di una scuola con parcheggio e ‘uomo di potere’, si paventi arrogante, autoreferenziale, e poco incline al buon esempio (quindi non ancora in grado di dare buoni consigli, come avrebbe detto Fabrizio De Andrè).

Può darsi che francamente non abbia compreso molto bene la nota della gentile lettrice (sa, sempre per quella questione della tesi-antitesi-sintesi, troppo performante), ma mi è venuto un dubbio: sarà mica stata la gentile lettrice a suonarmi il clackson in galleria, quella volta che non mi spicciavo a passare col semaforo rosso?

*Dirigente scolastico

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