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di Ennio Fiocco

L'isola del naufragio

Filicudi è qualcosa di indescrivibile, soprattutto in tarda primavera, con i sui colori, profumi e l'odore del mare che manifesta. Mi recai per la prima volta sull'isola per la proclamazione degli eletti nel 2008 e da allora restò per sempre nel mio cuore. Li ho conosciuto anche donna Eugenia, vedova Patti, ed era mia consuetudine andarla a trovare almeno una volta l'anno. L'ultima volta che parlai con lei era il 16 agosto del 2014 proprio sotto il pergolato eoliano e l'anziana donna aveva compiuto 100 anni il giorno prima. Non ero a conoscenza della storia che mi accingo a trattare e non ho mai chiesto, pertanto, alla Signora riferimenti o altro sulla vicenda.

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Cosa avrà immaginato sin da piccolissima donna Eugenia (che all'epoca aveva quasi cinque anni) dai racconti di Filicudi a seguito del disastro avvenuto il 16 giugno del 1919 dove il piroscafo “Citta di Milano” affondò? Il giorno della tragedia il mare era limpido ed era necessario riparare il cavo di Alicudi, corroso dagli scogli. Il piroscafo era stato fatto costruire nel 1887 in un cantiere di Sunderdand in Scozia, dall'industriale Giovan Battista Pirelli e il mezzo veniva impiegato per la posa e riparazione di cavi elettrici sottomarini in ben 73 campagne nel mediterraneo, dal terremoto di Messina del 1908 con i cavi spezzati via dalle onde del maremoto, alla guerra italo-turca del 1911 ai Dardanelli per tagliare cavi sotto il fuoco dei nemici, dalla Grande Guerra ad atri interventi. Il piroscafo aveva lasciato Milazzo di buon mattino e poi aveva raggiunto Filicudi.

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Quel 16 giugno del 1919 partì in direzione di Alicudi e invece che a nord fece rotta a sud-est, verso Capo Graziano. Un urto improvviso, due o tre scossoni e l'ordine in macchina di fermare: lo scoglio di Serravecchia a tre metri d'acqua! La tragedia a mezzo miglio da terra. L'urto della nave con lo scoglio e lo scafo squarciato causò l'affondamento di prora. “A mare a mare” si sentì gridare. La nave si alzò... e la tragedia ebbe corso. La secca di Capo Graziano, con un fondale di due-tre metri, con contiguo strapiombo di circa 75 metri di profondità, è insidiosa e custodisce ben undici relitti, di cui nove navi di epoca greco-romana inabissatesi.

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L'imbarcazione era soprannominata “la nave dei miracoli”. In due accurati resoconti del 18 giugno e 9 luglio 1919 diretti alla Pirelli, Ernesto Del Grande, il geometra esperto dei cavi, salvatosi dal disastro, così descrisse i fatti: “…Stavo scrivendo nel rapporto gli appunti circa la visita all’approdo, quando sentii la nave urtare due volte a breve distanza (ore 13,40). La prua incominciava già ad abbassare, mi precipitai a poppa dove ho il camerino per provvedermi di salvagente seguito dal comm. Brunelli…Il bastimento era già per metà sommerso intravidi la poppa che si alzava, vidi che qualcuno dei nostri vedendo che non si riusciva a scostare l’imbarcazione si buttarono in acqua e ne seguii l’esempio nuotando disperatamente per allargarmi. Intanto sopraggiungevano pescatori ed abitanti di Filicudi che avevano visto il disastro e si diedero a prestare soccorso…

I soccorsi giunsero dopo il tramonto; la Regia torpediniera 24 che prese a bordo le due salme ritrovate, il comandante e parte dell’equipaggio militare. Più tardi giunse un vaporetto da Lipari sul quale imbarcammo noi della ditta ed il rimanente dell’equipaggio. Più tardi ancora essendo arrivato anche il vaporetto di Milazzo vi fummo trasbordati. Si partì dopo le ore 23 noi diretti a Milazzo, la torpediniera a Messina. A Milazzo arrivammo alle 3 del mattino ma non trovando la torpediniera “Cigno” che, secondo gli accordi, avrebbe dovuto portarci subito a Messina. Verso le ore 7 ottenemmo dalla Capitaneria di Porto di farci proseguire per ferrovia e giungemmo a Messina verso le ore 9,30. Ci portarono alla Difesa Marittima, ove finalmente potemmo avere un po’ di ristoro. Ieri sera poi, per cura delle autorità civili e militari, venne fatto il trasporto funebre, su camion, dal viale S. Martino al Cimitero, per una tumulazione provvisoria delle salme dell’Ing. Pinelli e del Comm. Brunelli.

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Al ponte Americano il corteo sostò e si ebbero discorsi del Prefetto, del Direttore Ufficio Telegrafi, del Generale Vagliasindi edel Comandante Casabona...”. Sui 101 imbarcati vi furono 75 superstiti e 26 vittime. I pescatori filicudari nell'immediatezza misero in salvo i naufraghi sopravvissuti stesi sugli scogli di Capo Graziano. Vanno tutti ricordati. Fra i superstiti, il geometra cavista Ernesto Del Grande, il capitano marittimo Stefano De Ferrari, il caposquadra giuntista Primiero Lagomarsini, 22 operai della ditta Pirelli, il comandante capitano di corvetta Cornigliani, il tenente medico Francesco Stola, l’ufficiale di rotta sottotenente di vascello Bolla, il direttore di macchina sottotenente Marcello Milio, il marinaio Saioni.

Tra le 26 vittime, gli ingegneri Emanuele Jona, Ettore Pinelli, Ettore Vitali, gli operai Libero Galantini, Giacomo Porrini, Umberto Tonelli, tutti della ditta Pirelli, Italo Brunelli, Direttore Generale dei Telegrafi, l’ufficiale in seconda tenente di vascello Carlo Marchetti, il primo nocchiere Rizzo, il capo meccanico Mantori, il capomeccanico Violante, il sottocapo meccanico Mombelli, il sottocapo torpediniere elettricista Travaglio, i marinai De Michetti, Lauro, Maulo, Arrigò, Spina, l’operaio carpentiere Conti, i fuochisti Crispino, Manganaro, Bolcese e infine il cuoco Maselli.

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