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di Ennio Fiocco

Maria e Giovanni, un amore violato                    

Presento ai lettori questa mia breve ricerca che ha una storia vera in una tragicità della vita che coinvolge un uomo e una donna, legati nei sentimenti e nell'ideologia.

Mi riferisco a Giovanni Domaschi e Maria Ciarravano durante il loro soggiorno coatto a Lipari.

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Il Domaschi (1894-1945) veronese di nascita, aderì giovanissimo al socialismo e poi, passando attraverso il sindacalismo rivoluzionario, si oppose, per quanto possibile, alla “guerra maledetta”. Nell'aprile del 1918 i componenti del Gruppo  libertario veronese subiscono una serie di perquisizioni che portano al sequestro di opuscoli di propaganda, cartucce e caricatori. Dopo l’avvento al potere del fascismo del 1922, Giovanni passò tutto il resto della sua vita accumulando innumerevoli anni di prigione e di confino e fu il famoso “protagonista delle fughe più incredibili” evase più volte  dai luoghi di detenzione dove era rinchiuso, ma fu sempre ripreso,  a causa soprattutto delle alte somme di denaro promesse dal regime fascista a chi avesse contribuito alla sua cattura. Nel memoriale che  il Domaschi inviò al Corriere della Sera  dal Campo di concentramento  di Renicci d’Angari egli stesso ricostruì le sue tormentose vicende giudiziarie e penitenziarie.

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Nell’aprile del 1927 fu trasferito nell’isola di Lipari dove vi rimase fino al 1928 con l’accusa “di complotto contro la sicurezza dello Stato”. Afferma nel memoriale del 08/09/1943 cheDopo sei mesi di detenzione nelle carceri di Lipari la notte del 21 luglio riuscii a fuggire con altri vestito da prete, ma fui ripreso dopo due giorni per la spiata di un contadino...lusingato dalle cinquemila lire messe a disposizione dalle autorità... Per questa evasione.. fui condannato a quattro mesi di detenzione... nel febbraio del 1929 mi si conduceva in traduzione straordinaria di nuovo davanti al Tribunale di Messina per il ricorso in appello inoltrato contro la sentenza di quel Tribunale; la pena venne riconfermata....”. Nel luglio 1944 fu  arrestato, durante una retata delle brigate nere, insieme ad altri membri del CLN e dopo avere subito pesanti torture, fu consegnato alle SS e deportato in Germania. Morì nel lager di Dachau nel febbraio 1945. Proprio a Lipari conobbe la molisana Maria Ciarravano (1904-1965) che era la giovane moglie di Sergio Di Modugno che, nel 1927, perseguitato da fascisti e poliziotti espatriò in Francia. Desiderando con tutte le sue forze il ricongiungimento con la sua famiglia, il di Modugno aveva richiesto più volte al vice console fascista a Parigi, Carlo Nardini, l’autorizzazione per avere il passaporto della moglie. Con vari pretesti, essa gli veniva però sempre rifiutata sino a quando, esasperato, sparò al Nardini e lo uccise. Come risposta il regime fascista mandò la giovane moglie e il suo figlioletto di tre anni, Icilio, al confino di Lipari dichiarandola istigatrice del delitto.

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Nella relazione del prefetto di Campobasso riferito alla donna di dice che “ Non vi è dubbio che essa, anziché mitigare le idee del proprio marito, lo abbia invece eccitato, sia pure indirettamente, creando in lui quello stato d’animo che lo portò al delitto. Dopo di tale delitto, essa mantenne e mantiene viva la fede comunista nei propri famigliari, specie nella sorella Ester, moglie dell’altro pericoloso sovversivo Di Modugno Antonio. Avvicina famiglie di internati politici per portare loro coraggio e folli speranze.” In particolare la Ciarravano, arrivata nell’isola di Lipari suscitò la simpatia e la compassione dei confinati e in particolare di Giovanni Domaschi. “ … nel settembre del 1927, mi vidi giungere pure una giovane donna con un bambino, il cui stato mi fece veramente compassione: a nome dei compagni Anarchici mi occupai di trovarle una abitazione conforme ai suoi bisogni e dopo qualche giorno raggiunsi lo scopo. In quel frattempo fui colpito dalla “liparite” che costringeva a letto per alcuni giorni, noi la denominavamo così perché si era diffusa solo a Lipari, e la nuova compagna confinata, che non era altro che la Maria Carravano, mi assistette con vero affetto fraterno. ... Divenimmo come due fratelli che si sorreggono sulle proprie pene e gioiscono insieme nei piaceri dell’uno e dell’altro, ma quel genere di amore non durò e non poteva durare molto, poiché eravamo giovani entrambi e tutti e due avevamo altri bisogni, a poco a poco maturavano così in noi altri sentimenti. Che cosa impediva a noi di divenire compagni magari per tutta la vita? Avevamo forse bisogno del consenso del Parroco oppure del nulla osta del Sindaco? Che valgono tutti questi padri eterni di fronte all’amore di due cuori i quali si sentono attratti l’uno verso l’altro? Eravamo giunti a un momento che non si poteva vivere insieme senza che l’alito dell’uno non vibrasse nel cuore dell’altro. ….”

Verso la fine di dicembre Maria Ciarravano protestò energicamente, senza avvisare Domaschi e gli altri confinati per non rischiare di aggravare la loro già delicata situazione, perché non era stata pagata , da alcuni giorni, la “mazzetta” quotidiana, unica fonte di sostentamento. Immediatamente arrestata “per oltraggio a pubblico ufficiale” fu alcuni giorni dopo condannata a 15 giorni di prigione.” “Maria era ancora in prigione, quando Domaschi ottenne una breve licenza per andare a Verona a trovare la madre gravemente ammalata. Giunse a Verona troppo tardi : la mamma era già stata sepolta. Quando tornò a Lipari, Maria era uscita dal carcere, ma, la gioia di ritrovarsi durò poco, in quanto, dopo pochi giorni, fu denunciato con l’accusa pretestuosa di avere , durante, il viaggio a Verona, “complottato contro la sicurezza dello Stato”. Era stato un suo compagno di Verona, con cui era da tempo in corrispondenza, che, arrestato, fece, oltre a quello altri compagni, anche il suo nome. Rinchiuso in carcere, Maria Ciarravano andava spesso a trovarlo, ufficialmente per portargli la biancheria, in realtà per scambiarsi informazioni per mezzo di bigliettini e in più fornire “limette” e chiavi gregge” che potessero servire all’evasione che intanto Domaschi stava preparando. Per non insospettire troppo le guardie carcerarie, con sue visite troppo frequenti, Maria Ciarravano trovò anche il modo di mandare, per qualche ora, ogni giorno il figlioletto, Icilio, a giocare nella cella di Domaschi con nascosti su di sé o nei suoi giocattoli bigliettini e tutto ciò che poteva servire per l’evasione. Inoltre Maria cucì un abito femminile da far indossare a uno dei prescelti compagni d’evasione e agli altri degli abiti adatti per fuori dal carcere. Domaschi decise invece di vestirsi, per l’occasione, con un abito da prete, che già possedeva. Infine Maria stessa, dopo essersi assicurata di poter lasciare il piccolo Icilio nelle mani sicure della sorella, Ester, trasferitasi, a Lipari, come moglie del confinato Antonio Di Modugno, fratello di Sergio, decise di partecipare anche lei all’evasione, camuffandosi da uomo. L’evasione il 20 luglio 1928 riuscì, ma poi, per un motivo o per altro, tutti furono ripresi, fuorché Maria, che riuscì a rientrare in casa e a rispondere all’appello del giorno dopo. Più tardi però, pur se non fu mai accusata di evasione, gli investigatori trovarono prove della sua complicità nei preparativi di quell’evasione e fu trasferita all’isola di Ponza.

Al processo, tenuto nella città di Messina, Giovanni Domaschi e Maria Ciarravano ebbero l’occasione di rivedersi. Lei fu condannata a tre mesi e destinata nuovamente al confino nell’isola di Ponza. Giovani Damasco fu, invece, condannato per l’evasione a 4 mesi e, contemporaneamente, arrivò l’ordine che fosse trasferito a Roma, nel carcere di Regina Coeli, in attesa di una sentenza del Tribunale Speciale per l’accusa di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Ad unirli, per l’ultima volta, fu il viaggio da Messina a Napoli. Poi vi fu la definitiva separazione e particolarmente commovente fu il distacco tra Domaschi e il piccolo Ilicio che nel frattempo, si era tanto affezionato all’anarchico veronese. Vi è comunque da dire che a Lipari, non tutti, anche tra gli anarchici o pseudo-tali avevano approvato la loro “libera unione”. “Per opera di alcuni confinati che si dicevano Anarchici, ma che altro non potevano essere che degli agenti provocatori al soldo della direzione, nacque un dissidio a proposito dei miei amori con la Ciarravano oramai divenuti evidenti: senza il consenso di questi signori amare la Ciarravano era un peccato mortale... Solo con alcune mie lettere , con le quali bollavo a sangue i responsabili e con l’opera dei compagni, Galleani, Binazzi e vari altri riuscimmo a sfaldare questo putridume che agiva nelle nostre file in nome dell’Anarchia. Dal Galleani e da vari altri ebbi anche alcune lettere di solidarietà in proposito che mi fecero molto piacere.

Del resto non era da meravigliarcene se al confino avvenivano di queste cose.... Per opera di questi agenti provocatori si maturarono complotti, e si crearono pretesti per mandare in carcere i migliori compagni e colpirli fisicamente. Ecco come fu , e mentre scrivo, come è ancora il confino: pieno di buonissimi compagni che lasciano nel cuore i migliori ricordi, ma anche di sedicenti tali e di spioni. La Maria Ciarravano che aveva la ingenuità di non comprendere il gioco della direzione, fu indignatissima contro tutti, non facendo distinzione tra Anarchici e coloro che non lo erano e non potevano mai ad esserlo”. Maria non vedrà mai più il Domaschi. Una vita amara quella vissuta da Maria, che fin da ragazza si è battuta con convinzione contro le ingiustizie del periodo fascista dove imperava il tacere e l'obbedire. Non solo ha rischiato la propria vita, ma si è sempre sentita libera di amare senza i freni morali imposti dalla società dell'epoca. La loro storia ci appartiene e va conosciuta da tutti. L'ideale politico e l'amore violato!

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