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di Ennio Fiocco

Michele Lojacono Pojero e alcuni aspetti delle Eolie.

Michele Lojacono Pojero (Palermo 1853 + Messina 1919) è stato uno dei più prolifici autori italiani di piante vascolari della fine del XIX e inizio XX secolo. Allievo di Agostino Todaro e autore dell'opera “Flora sicula” ha pubblicato molteplici testi e numerosi contributi botanici. Resta tra gli studiosi più emblematici e tra i meno conosciuti di quel periodo. Libero docente all'Università di Palermo, ottiene anche un incarico di insegnamento di Scienze Naturali al Regio Istituto Tecnico di Messina dove si si sarebbe trasferito nel 1913 a seguito di rottura con l'Ateneo Palermitano.

Si presume che abbia portato con se nella città dello stretto il suo erbario, purtroppo oggi andato disperso. Più che ventenne scrive un opera “LE ISOLE EOLIE E LA LORO VEGETAZIONE con enumerazione delle piante spontanee vascolari” (edizione 1878 stamperia di Palermo Lorsnaider ) e ciò come assistente provvisorio del Regio Orto Botanico di Palermo.

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La mia ricerca non è diretta alle piante e alla flora esaminata dal giovane ricercatore, ma in particolare all'aspetto umano riportato nei contenuti nel lavoro di cui sopra.

Il Lojacono visitò all'epoca tutte le isole (ad eccezione di Filicudi ed Alicudi per delle problematiche intervenute), evidenziando che “Alle Eolie non è l'uomo solo che lavora, lavorano le donne e sono le più perfette contadine, eseguono i lavori i più virili; zappano, fanno tutto quel che richiede una cultura la più ragionata alle loro vigne, ogni cura del raccolto dei capperi, delle Uve, della Passolina è a loro. A Panaria le donne remano sulle loro barchette, e vanno a pesca, a Lipari (ed è qui doloroso dirlo) giovanette ancora tenere portano sul dorso i gravi carichi di pietre pomici...

Vanno sole per tutta l'Isola svelte ed allegre, a piè scalzi sempre, e ciò non è segno come si potrebbe credere di estrema miseria, sembra fosse uso consigliato, o dalla natura dei terreni, o dal clima stesso. Non fuggono il forestiere, tutt'altro gli si mostrano amabili, se questi loro rivolge la parola rispondono gentilmente, procurano essergli utili. Lo guardano con estrema curiosità...ma tutto ciò con disinvoltura senza quell'aria di sfiducia, e di estrema suscettibilità a cui vanno soggette quelle di Sicilia e di altrove. L'ingenuità, e credo di non errare, è la loro forza - quanto belle giovanette dalle mosse eleganti, dalla vesti variopinte, e dal rosso fazzoletto sul capo come pittorescamente si addobbano le donne delle Eolie...”.

Precisa l'autore, che “A Salina le donne non faceansi scrupolo alcuno di mostrare la maggior parte delle loro gambe, quando sulla riva fanno il loro bucato, io non saprei dire se questi usi che da noi non esistono sono l'estremo della impudicizia, o la massima innocenza! E sempre al lavoro che devesi attribuire la bontà d'animo di queste popolazioni. Da noi la donna limitata fra quattro mura, poltrisce e spesso è cattiva...gli attentati alla proprietà, i reati di sangue poi, sono sconosciuti e non rammento in quale Isola mi si dicea che da un ventennio non si contava un delitto! E l'argomento ha una prova nel vedere i 3000 abitanti di Stromboli, i 600 di Panaria...amministrati politicamente e spiritualmente da Curati, senza che si risentisse il bisogno della vigilanza del carabiniere - o di ogni altro genere di forza che in quell'Isole benedette è conosciuta”.

Afferma di avere impiegato sette giorni ad esplorare Lipari e che “Lo strano aspetto della città di Lipari è dovuto anche all'insolita costruzione delle sue case, che per loro forme rammentono le piatte casipole dei villaggetti della costa Africana...la cultura dei cereali non è molto estesa ed il frumento che si produce non è sufficiente al consumo, coltivasi la segale, l'orzo massimamente a Panaria, ove di quest'ultimo si fa il pane, ma che razza di pane!...Restai molto sensibile alle tante gentilezze dei Liparoti che colle loro informazioni e colle cortesi esibizioni resero più facili le mie ricerche, la bontà la buona fede di questi abitanti è estrema ed io non saprei quali termini usare per esprimere loro la mia gratitudine”. Il Loiacono Pajero, con riferimento a quanto sopra, cita a piè di pagina i nomi dei signori De Pasquale Sindaco di Lipari, del signor Ambrogio Picone, ed A. Famularo nonché del Rev. Can. V. Amendola e del signor. G. Occhipinti, “come quei buonissimi miei amici e a cui io restai tanto grato nelle mia residenza in quella isola tanto civile”.

Riferisce anche di Vulcano dove i galeotti presenti “proseguivano nel delitto e le loro contese decidevansi col coltello...i galeotti ricorsero alle foglie carnose della Kleinia ed i suoi effetti erano salutari, le virtù di questa per sanare le ferite furono conosciute da tutti gli Isolani di Vulcano e dai Liparoti, poiché a Lipari la pianta è conosciuta e volgarmente si chiama erba da taglio...”.

Riferendosi poi a Salina afferma che “Gli abitanti di quest'isola che non sono meno di 5000 sono industriosissimi, sono reputati i migliori marinai delle Eolie....Sono franchi, e sotto una tale ruvidezza di modi ascondono sempre la massima sincerità e buona fede, delle gente di mare. Son meno ignoranti perciò delle altre classi avendo girato il mondo...La quantità dei giovani assenti dalla loro patria è considerevole, l'America è il loro sogno dorato...Le mie relazioni con quegli abitanti furono cordiali, è debito di cortesia per chi scrive l'esternare a coloro i sensi di ogni gratitudine per la squisita ospitalità offertagli nella sua breve dimora nell'Isola”.

Riferendosi a Panarea afferma che quest'ultima “è un oasi di verzura, e vista dal sua lato più favorevole dal Sud Est venendo la Lipari, i folti gruppi di Ulivi, i suoi campi di Orzo, di Segale fanno a questa un manto verde che ricrea l'occhio, è dei più attraenti...E' un fatto che la Flora di Panaria è ricca di molte specie che non esistono in alcuna delle altre isole...Anche a Panaria si avverte la bontà degli isolani, che stanno in balia di loro stessi, senza che l'assenza delle autorità militari fosse in alcun modo lamentata, in quell'Isola, calma ed amena. La pesca è la principale risorsa dei suoi abitanti, e la base del loro alimento...i Panaroti ne fanno esportazione a Lipari, ed in date epoche sino a Palermo”. Sempre con riferimento a quest'ultima isola il giovanissimo scrittore Lojacono evidenzia che “Gli animali bovini sono abbondanti, onde si ha sempre un buon latte”.

Riferendosi poi a “Lisca nera, Bottaro, e Lisca bianca afferma che queste ultime vengono utilizzate dai Panaroti quale pascolo tanto che era presente al suo arrivo “una banda di montoni” che “fuggì al mio approdo per tutte le direzioni, intimoriti dalla rara presenza di un essere umano, che osasse disturbare la loro quiete dimora”. Su Basiluzzo afferma che lo stesso “è coperto di campi di orzo e di Segale...E' inabitata, ma non fu così un tempo, e gli avanzi di due e tre case e di una cisterna provano che l'uomo ne fece la sua dimora una volta”.

Infine l'universitario esploratore “Da Basiluzzo, in 3 ore con buon vento” raggiunge Stromboli e, “Sorpassata una serie di grossi massi di trachite dalle più strane tinte, appare San Vincenzo che sembravami un villaggio musulmano per la quantità di piccole cupole bianche, che sono i forni delle misere case, tanto più luride di aspetto, perché costruite di pietre di lave nerissime, che sono le stesse di cui è sparsa la insicurissima spiaggia di questa povera borgata...andando in cerca per mezzo i vigneti che circondano la casipole della spiaggia, del Rev. Padre Russo, il Sindaco, il Parroco, e l'autorità, politica di Stromboli. Il mio arrivo aveva visibilmente commosso gli Isolani, che vennero a circondarmi sulla spiaggia, e con modi gentili, disputavansi il piacere di guidarmi sino alla dimora del Padre. Se l'isola ributtava, gli abitanti al solito come in tutte quell'Isole benedette attiravansi per tutti i riguardi la simpatia dei forestieri.

Quanta differenza, e quanto contrasto offrivano i loro costumi, colla ruvida e selvaggia natura del loro suolo!. Il Padre Russo era in chiesa. Era un simpatico vecchio, che tutt'ora conserva la forte tempra di una perduta giovinezza...Un fatto che si era avverato a Panaria, si ripeté a S. Vincenzo. Divulgossi la voce che io fossi un medico. Una buona parte degli ammalati dell'Isola, si porto in casa mia per consultarmi. Il mio imbarazzo non fu poco, a procurare di persuadere quella povera gente che io non lo era affatto; non lo volevano credere...La loro insistenza, lo stato di quegli infelici, mi facea compassione...”. Alla fine il Lojacono completa la sua opera affermando che “I miei esperti marinai di S. Marina, approfittando della calma, successa ai venti fortunati del dì avanti, e della brezza favorevole, in 8 ore toccando Panaria, mi condussero a Lipari, che dopo le privazioni di Stromboli, mi sembrò un vero Eden”.

Il resoconto pubblicato a quasi 150 dalla sua visita ci fa meglio conoscere gli eoliani e ci continua a trasmettere emozioni in una terra all'epoca difficile, ma ricca di umanità.

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