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di Ennio Fiocco

Il principe Paternò Castello e il viaggio in Sicilia.

Ignazio Paternò Castello principe di Biscari (1719 + 1786), con la sua eredità di cultura e di patrimonio monumentale resta il personaggio più prestigioso della nobiltà siciliana del XVIII secolo. E' stato un punto di riferimento per i grandi viaggiatori del tempo, tra cui i giovani del Gand Tour, che ne celebrarono nei loro scritti le lodi per le doti di cultura e di mecenatismo. Nella sua opera “Viaggio per tutte le antichità della Sicilia”, pubblicata a Napoli nel 1781, invita i ben colti stranieri ad “intraprendete con animo ilare il viaggio della Sicilia...Vi aspetta l’Etna, curiosi Indagatori della natura, per farvi ammirare da vicino i portentosi effetti de’ suoi stupendi fenomeni... Venite, o Ammiratori della veneranda antichità, che ben soddisfatto reitera il vostro erudito genio, in osservare la Sicilia tutta sparsa, ed adorna delle più rispettabili vetuste magnificenze, testimonio ben chiaro di sua antica opulenza...”.

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Inizia dalla città di Messina e percorre la Sicilia nell'intera bellezza parlando di Catania, Siracusa, dell'entroterra, fino ad arrivare a Palermo, e poi viaggia sui paesi della costa tirrenica da Tusa a Tindari. Si dirige a Milazzo che è “l’ultimo oggetto, che abbia trattenuto la curiosità del Viaggiatore. In questo luogo potrà egli pigliare le sue misure per ricondursi in Italia, e potrà trovare non rare le occasioni di sicure navi, che lo trasportino”. Il Paternò Castello, alla fine del suo libro, ci parla delle isole e cioè “di non tralasciar di visitare nel suo passaggio l’Isola di Lipari, la più grande tra l’Eolie: essendo stata questa molto celebre un giorno per l’antichissima sua popolazione, sino dai tempi favolosi....

Sono fruttiferi assai i suoi terreni, e saporitissimi i suoi prodotti...ebbe salutari Bagni, e molto frequentati, distanti da circa sei miglia dalla Città, ove ancora persistono non piccioli pezzi delle sue antiche fabbriche. Grandissimi guadagni trasse Lipari dalle miniere di Allume...Il sito antico ancor oggi occupa la Città di Lipari, ov’è la Fortezza, e circondata di buone mura, tra le quali restano racchiusi il Vescovato colla sua Cattedrale, la Casa pubblica, e del Governo, e non poche altre case de’ principali; non essendo capace della maggiore popolazione, la quale fuori l’antica porta abita un gran borgo, stendendosi sino al mare.

Maggiore sarebbe la sua popolazione, se nel 1544 non fosse stata saccheggiata dal Pirata Ariadeno Barbarossa, che la lasciò affatto deserta, conducendo in schiavitù tutti quegli abitatori, che non potettero colla fuga sottrarsene; ma quei, che ebbero la sorte di scampare da tale sciagura, ritornando, la ripopolarono coll’ajuto di Carlo V., che vi mandò una Colonia di Spagnuoli, ed accrebbe le sue fortificazioni.

Quivi trovandosi il Viaggiatore, gli verrà forse il desiderio di esaminare le vicine Isolette...l’Isoletta di Vulcano, chiamata anticamente Jera dai Greci...Arde quasi continuamente quest’Isola, o almeno manda densissimo fumo. Altra picciola Isoletta, o Scoglio, chiamato Volcanello, era diviso dal Vulcano per uno strettissimo canale di mare, oggi chiuso dalle ceneri del Vulcano medesimo...La quarta è l’Isola delle Saline, chiamata Thermisia, per le salutari acque Termali, molto un tempo frequentata...

Produce assai vino, ed allume...Panaria è la quinta...ha un comodissimo Porto, in cui si osservano ancora i vestigj di rovinata Torre. Per lo stesso vento, ed in simile distanza da Lipari sorge la VI picciola Isoletta, chiamata Liscia Bianca. Non ha che un sol miglio di giro, ma ancorché così picciola, mostra essere stata anticamente abitata; essendovi nel centro di essa una esistente antica cisterna, che raccoglieva le acque piovane per comodo degli abitanti; vedendosi ancora non pochi vestigj di destrutti edificj. L’Isoletta chiamata Basiluzzo siede dalla parte di Levante, dieci miglia lontana da Lipari, e contiene ottimi terreni nel suo brieve giro di due miglia. Ancora conserva l’antico nome l’Isola di Stromboli, come la chiamò Strabone, e Tolomeo...

Questa ha un Vulcano, che quasi continuamente manda fuoco, e serve di scorta ai naviganti in tempo di notte. La quantità delle pietre gettate da questo Vulcano, ha coperta, e resa sterile una parte dell’Isola; ma il resto de’ terreni è fertile, e coperto d’alberi: e i Liparoti ne traggono non poco profitto col seminar del cottone....”.

Lo scrittore accenna anche a Filicudi ed Alicudi e, infine, invita il Viaggiatore a visitarle “perché costituivano il Regno di Eolo, dai favolosi Poeti creduto il Re de’ venti. Visitate ancora queste, come una parte adjacente alla Sicilia, soddisfatto il Viaggiatore salpi felicemente pe’l suo destino: e su l’alto mare volgendo lo sguardo verso di essa, perdendola a poco a poco di vista, porti con se la memoria della sua Guida, che così fedelmente lo ha condotto, ed assistito”. L'opera può essere considerata come una funzione educativa-esplorativa del viaggio, in un’interazione dinamica tra ragione e passione.

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